CHAPTER
ONE- Castle of Glass
<<
E’
arrivata, non è vero? >> La voce della ragazza
sussurra nelle mie
orecchie, come se volesse prendermi in giro. Mi guardo attorno. Il sole
sta
tramontando, ma fa comunque molto caldo. Da quassù riesco a
scorgere tutta New
York. E’ deserta. Gli antifurti delle automobili suonano
all’unisono, per poi
spegnersi uno dopo l’altro. Granelli di sabbia scura
vorticano nell’aria, mossi
da un vento sferzante.
<<
Chi? Chi è arrivata? >> Chiedo. Questa volta
riesco a camminare. Faccio
un passo in avanti, stringendo le mani alla ringhiera di una balaustra.
Non
riesco a capire dove mi trovo. L’Empire State Building mi
fissa, da lontano. E’
uno dei pochi grattacieli rimasti in piedi. Me ne rendo conto soltanto
adesso.
E’ come una specie di gigante della città, che
veglia su ciò che è rimasto
della sua casa.
<<
La
Morte, ovviamente. E’ l’unica che può
aiutarti. >> Risponde la ragazza.
Mi mordo un labbro. Odio non riuscire a vederla. So che lei sta
cercando di
aiutarmi, ma è… frustrante.
<<
Aiutarmi a fare cosa? >> Domando, a bassa voce. La
ragazza ridacchia, poi
è come se qualcuno mi avesse messo tra le mani un binocolo.
Stringo gli occhi,
sporgendomi sempre di più. Guardo sotto di me, ma
all’improvviso il terreno è
vicinissimo. C’è qualcosa, a qualche metro da me.
E’ un corpo umano, sembra
respirare ancora. Allungo una mano, quasi a voler aiutare quel
poveretto.
<<
Se
fossi in te non mi avvicinerei. >> Suggerisce la ragazza.
Il mio istinto
dice che dovrei ascoltarla, ma non posso lasciare lì
quell’uomo. Muove un
braccio, cominciando a strisciare nella mia direzione. Non riesco a
vederlo in
volto, perché i capelli lunghi gli coprono il viso. Deve
essere gravemente
ferito, anche se non vedo sangue da nessuna parte. L’uomo
emette un lamento di
pura sofferenza.
<<
Devo aiutarlo! >> Esclamo. Allungo la mano, sporgendomi
sempre di più.
Sono quasi completamente al di là della balaustra. Se
cadessi morirei
sicuramente, ma qualcosa mi dice che non succederà. Adesso
sono in bilico,
ancora qualche centimetro e precipiterò verso il basso.
L’uomo d’un tratto alza
il viso verso di me, fissandomi negli occhi.
Urlo.
Urlo
perché
quello che ho davanti non è un essere umano. No,
è… un mostro. La pelle è
bianca, quasi trasparente. Casca, come se fosse stata corrosa
dall’acido. Gli
occhi sono rossi ed iniettati di sangue, privi di una qualsiasi luce
vitale.
Batte i denti, come se avesse fame. Fame di me. Emette ancora quel
lamento,
tirandosi in piedi. Provo a tornare indietro, ma ormai è
troppo tardi.
Sto
precipitando tra le braccia del mostro.
Mi
svegliai di soprassalto, con il cuore che mi batteva in gola. Il sudore
freddo
mi scivolava lungo la spina dorsale, facendomi rabbrividire. Deglutii,
mettendomi a sedere. Ormai ero diventata di nuovo pazza, era ufficiale.
Prima
le visioni, poi la
voce, e infine gli
incubi. Avevo sprecato un’estate rinchiusa dentro ad uno
stupido manicomio, e
non era servito a niente. Tutto era ricominciato, senza nessun
preavviso, senza
che avessi potuto prepararmi. Quanto ero stata stupida… ad
illudermi che la mia
vita sarebbe tornata normale. Che sarei potuta diventare una comune
sedicenne.
Una
grossa goccia di pioggia mi cadde sul naso, facendomi ricordare dove
fossi.
Avevo deciso di saltare le lezioni pomeridiane, rifugiandomi in
cortile. Mi ero
sdraiata sotto la chioma di una grande quercia, decisa ad osservare il
cielo
azzurro tutto il pomeriggio. Purtroppo mi ero assopita, e nel frattempo
grossi
nuvoloni neri si erano radunati sopra la mia testa, minacciando di
esplodere da
un momento all’altro. Sbuffai, mettendomi a sedere. Sapevo
già che mio padre
avrebbe fatto una scenata, dopo aver scoperto quello che avevo fatto,
ma non mi
interessava più di tanto. Avrei potuto dire che stavo male,
e che avevo bisogno
di aria fresca.
<<
Ma io ho fame, Pam! Da quant’è che non ci facciamo
un bello spuntino? >>
Sentii la voce di Michelle provenire da sinistra. Mi nascosi subito
dietro al
tronco della quercia, stupendomi di me stessa. Potevo semplicemente
andarmene
indisturbata, eppure qualcosa mi diceva che sarei dovuta rimanere ferma
immobile, finché quelle due non se ne fossero andate.
<<
Da tanto tempo, compagna. Ma non preoccuparti, tra poco potremo
mangiare
chiunque vogliamo. >> Rispose Pamela, utilizzando un tono
rassicurante e
sognante allo stesso tempo. Mangiare… chiunque!?
Quella cheerleader doveva avere qualche rotella fuori posto.
Magari era
caduta facendo la piramide speciale, o
forse aveva ingoiato un pon-pon.
<<
Tra poco quanto, Pam? Sono passati tre anni dall’ultima
volta, non ricordi?
>> Michelle sembrava piuttosto seccata. Le due erano
sedute su una
panchina, con le mani in grembo e le gambe accavallate. La pioggia, che
si faceva
sempre più battente, non sembrava disturbarle più
di tanto.
<<
Lo so, Michelle. E mi ricordo anche il suo gusto…
>> Pamela ghignò,
strizzando l’occhio alla sua amica dai capelli rossi.
Cominciavo seriamente ad
avere paura. Evidentemente non ero l’unica ad essere pazza,
in quel posto.
<<
Oh, sì! E ti ricordi come si lamentava? Come piangeva?
>> Michelle
sembrava persa nei ricordi, e sorrideva in modo quasi maniacale.
Speravo
stessero parlando di un cucciolo di cane. Sarebbe stato comunque un
gesto
orribile, ma sempre meglio che mangiare un essere umano.
<<
Me lo ricordo come se fosse successo ieri, sorella. >>
Pamela scoppiò a
ridere, passandosi una mano tra i capelli biondi.
<<
Non sai quanto mi manca il sapore di semidio. Spero che lui
sorgerà presto, perché non vedo
l’ora di mangiare ancora un
po’. >> S-sapore di
semidio? Ma
cosa diamine!? Quelle due erano persino più inquietanti di
me. Forse stavano
soltanto scherzando, ma la scintilla nei loro occhi era di puro odio e
desiderio. Mossi un passo all’indietro, attenta a non
emettere alcun suono. La
cartella era rimasta a qualche metro di distanza, ma l’avrei
lasciata lì.
<<
Se continuiamo a pensarci ci verrà ancora più
fame. Nel frattempo è divertente
prendersi gioco degli umani. Sono così… stupidi.
>> Pam fece una smorfia
di disgusto, arricciando il suo nasino alla francese.
<<
Come Mark? Già, ma non capisco perché non provi a
succhiargli il sangue. Non
devi per forza ucciderlo, sai? >> Domandò
Michelle, quasi irritata.
D’accordo, Mark era un grandissimo stronzo che meritava il
peggio, ma…
succhiargli il sangue? Forse quelle due erano ubriache. Dovevo
scappare. Chiamare
la polizia o cose del genere. Feci un altro passo
all’indietro, e andai a
sbattere contro qualcosa di solido. Spalancai la bocca per urlare, ma
una mano
me la tappò prima che potessi emettere un solo suono. Mi
divincolai, ma un
braccio si chiuse attorno alla mia vita, impedendomi di fare un solo
movimento.
<<
Stai zitta, ragazzina! >> La voce del rocker mancato si
insinuò nelle mie
orecchie. Strabuzzai gli occhi. Cosa ci faceva lì? Mi aveva
forse seguita?
<<
Se urli saremo in grossi, grossissimi guai. Perciò, o stai
zitta, o sarò
costretto a darti una botta in testa. E credimi, non sarà
una belle esperienza.
>> Ringhiò ancora nel mio orecchio,
rabbrividii sentendo il suo fiato sul
collo. Soppesai per un attimo la situazione. Effettivamente lui non mi
stava
picchiando, né cercava di stuprarmi o uccidermi. Molto
probabilmente voleva
soltanto aiutarmi. Alzai gli occhi al cielo, e poi annuii. La sua mano
si
spostò dalle mie labbra, e riuscii a respirare come prima.
Lanciai
un’occhiataccia al suo braccio, ancora stretto attorno a me.
Lui alzò le mani,
in segno di resa.
<<
Dobbiamo scappare. >> Mormorò, tirandomi
dietro alla corteccia.
<<
Non vengo da nessuna parte con te. >> Ribattei a bassa
voce, incrociando
le braccia al petto. Non sarei scappata con un perfetto sconosciuto.
Per quanto
ne sapevo poteva anche essere un maniaco. Lui sembrò sul
punto di darmi sul
serio una botta in testa, ma strinse i denti, e sospirò.
<<
Qui sei… siamo in
pericolo. E’ già un
miracolo che quelle due non ci abbiano notato, se…
>>
<<
Quelle due, Nico di Angelo? Pensavo che ti ricordassi i nostri nomi.
>>
La voce bassa e sibilante di Pam mi fece gelare il sangue nelle vene.
Il rocker
mancato- che a quanto pare si chiamava Nico di Angelo- si
voltò di scatto. Nel
girarsi riuscì ad aprire il suo zainetto e ad estrarre da
esso una spada nera
lunga più o meno sessanta centimetri. Spalancai la bocca,
incredula. Stavo
avendo un’altra visione?
<<
L’ultima volta che vi ho viste eravate nel Tartaro.
>> Disse lui, in
tutta tranquillità. Nel Tartaro!?
<<
Ma ora siamo qui. >> Ribatté Michelle,
arrotolandosi una ciocca rossa
attorno alle dita… artigliate. Inciampai nei miei stessi
piedi, e se non fosse
stato per il tronco dell’albero sarei certamente caduta a
terra. Pamela e
Michelle si stavano trasformando. I loro capelli caddero in ciocche
rade sul
terreno, mentre i canini spuntavano dalle labbra. Le gambe divennero
una specie
di miscuglio bronzeo e peloso… e gli occhi. Gli occhi erano
rossi. Rossi come
il sangue.
<<
Ti ho già infilzata una volta, Michelle. Ti assicuro che non
ho problemi nel
ripetermi. >> Nico mi spinse all’indietro, e
poi fece roteare la spada,
con una naturalezza incredibile. Osservai la lama fendere
l’aria, quasi
incantata. Era così letale… Eppure
così bella. Come il suo proprietario.
<<
Allora fatti avanti, figlio di Ade. >> Intervenne Pamela,
sorridendo. Per
un attimo tornò ad essere la bellissima ragazza di prima, ma
durò soltanto
pochi secondi. Nico sembrava quasi stordito.
<<
A te la prima moss… >> Ma non
terminò la frase, perché Michelle si era
lanciata all’attacco. Mi nascosi saggiamente dietro
all’albero, cercando d non
andare in iperventilazione. Poteva essere una delle mie visioni.
Credevo di
riuscire a distinguerle dalla realtà, ma forse non era
così.
Quei…
mostri. Non erano gli stessi di quello
che avevo visto nell’incubo. Questi sembravano intelligenti,
e sapevano
parlare. Davano la caccia a noi. E poi… Figlio
di Ade. Le parole di Pamela rimbombavano inesorabili
all’interno della mia
scatola cranica. L’ultima volta che avevo controllato, Ade
era un dio greco. E
non ero sicura che gli dei greci potessero avere figli. A dire il vero
ero
abbastanza certa che gli dei greci non esistessero affatto.
<<
Attenta! >> Gridò Nico Di Angelo, senza
successo. Due mani artigliate mi
afferrarono per le spalle, e fui scagliata via con forza, sbattendo la
schiena
contro il manto erboso del cortile della scuola. Quando il mondo smise
di
girare riuscii ad alzarmi in piedi. Il sangue mi scorreva
inesorabilmente lungo
le braccia. Lento, cremisi. Quasi ipnotico. Pamela, da lontano, rideva
sguaiatamente. Il rocker mancato aveva ingaggiato un combattimento con
Michelle. Sembrava che lui stesse avendo la meglio, ma il
mostro-cheerleader
non demordeva. Indietreggiai, inciampando nei miei stessi piedi.
<<
Vai da qualche parte? >> Mi voltai di scatto, mentre il
mio cuore perdeva
un battito. Pamela mi fissava, ghignando. Come diavolo aveva fatto a
muoversi
così velocemente? O forse ero io che mi ero lasciata
distrarre.
<<
C-cosa vuoi da me? >> Balbettai. Che
domanda idiota. Ovviamente sospettavo che volesse mangiarmi
per pranzo, o
cose del genere. Mi sembrava di essere una di quelle stupide
protagoniste dei
film dell’orrore di serie B. Pamela scoppiò a
ridere, ma quel suono
assomigliava più ad un ragliato.
<<
E’ da tanto che non mangio, ragazzina. Ovviamente Di Angelo
sarebbe uno
spuntino migliore, ma vai bene anche tu. >>
Cominciò. Dovevo pensare, e
velocemente. Non potevo scappare, perché lei mi avrebbe
raggiunta subito, e
Nico non poteva aiutarmi, perché stava già
tentando di decapitare Michelle.
<<
P-perché sarebbe uno spuntino migliore? >> Parlare. Dovevo parlare il
più possibile. Nei film i buoni si
salvavano sempre parlando. Ovviamente ho sempre pensato che i cattivi
fossero
dei grandi idioti, insomma… Lasciarsi sprecare
un’occasione del genere…
<<
Perché è figlio di uno dei tre pezzi grossi.
E’ uno importante, capisci? Tu… tu
sei soltanto un’insulsa indeterminata, ma sempre meglio di
niente. >> Tre pezzi grossi?
Indeterminata? Non ero
io quella pazza. Era l’universo che aveva perso la testa.
Ormai ero giunta alla
conclusione che non stavo avendo una visione. La paura,
l’adrenalina, il terrore
viscerale… Erano troppo forti, troppo reali.
<<
Oh. E quando mi determineranno? >> Chiesi, quasi
dimostrandomi delusa,
anche se in realtà non avevo la minima idea di cosa si
stesse parlando. Con la
coda dell’occhio scorsi Michelle esplodere in una polvere
grigia. Nico si
accasciò contro l’albero. Era pallidissimo,
persino più di prima.
<<
Non ha importanza, tanto adesso diverrai il pranzo del capo delle
Empuse.
Dovresti ritenerti fortunata. >> Empuse? Avevo
già sentito quel nome da
qualche parte.
<<
Beh, capo delle Empuse, non so se te ne sei accorta, ma la tua amica
laggiù è
appena morta. Kaput. >> Incrociai le braccia al petto,
sorridendo. Pamela
non sembrò troppo turbata dalla
notizia. Si limitò a fare una smorfia con la sua bruttissima
faccia.
<<
Ha fatto il suo dovere, come le avevo detto. >>
<<
Non sei un gran bel capo. Per esempio, dove sono le tue amiche?
>>
Domandai, sibilando tra i denti. Non so dove trovassi il coraggio di
fare ciò
che stavo facendo, né come le parole riuscissero ad uscire
dalla mia gola. Era
come se qualcuno le stesse sussurrando nelle mie orecchie. Fissai
Pamela dritta
negli occhi, e lei vacillò, come se l’avessi
colpita con un gancio destro.
<<
Loro… loro sono… >> Stava davvero
balbettando? Sembrava quasi che i
nostri ruoli si fossero invertiti.
<<
Non ci sono, ecco tutto. Guarda come ti sei ridotta… Stare
con un umano come
mio fratello? Per di più della peggior
specie. Tu non conti niente. >> Ringhiai, facendo un
passo in avanti.
Pamela indietreggiò, punta nel vivo.
<<
Nessuno ti vuole, nessuno ti cerca. Sei soltanto una sgualdrina.
>>
Continuai, imperterrita ed impietosa. Vidi una lacrima brillare sulla
guancia
incartapecorita della cheerleader. Stava… piangendo?
Avevo appena fatto piangere un mostro. Una data da segnare
sul calendario.
<<
Stai zitta, piccola mezzosangue! Io ti… >> Ma
non concluse mai la frase,
perché la lama nera della spada di Nico Di Angelo si
abbatté contro la sua
gola, tagliandole di netto la testa. Pamela esplose in una nuvoletta,
senza
lasciare più nessuna traccia. Io e il ragazzo rimanemmo a
fissarci per un
attimo che sembrò infinito. Lui sembrava stanchissimo, ma
sulle sue labbra era
dipinta un’espressione combattiva. Come se fosse la millesima
volta che
uccideva un mostro. Come se facesse parte di quel mondo da sempre.
<<
Io non credo di… >> Crollai in ginocchio,
percossa dai brividi. La
scarica di adrenalina era passata, e solo in quel momento il mio
cervello
riuscì a metabolizzare quello che avevo appena visto.
Ricacciai indietro un
conato di vomito, infilando le unghie nel terriccio. Mi impedii
fermamente di
piangere, e cominciai a fare dei respiri profondi. Perlomeno sapevo di
non
essere io, quella pazza. Sapevo che era l’intero universo ad
avere qualche
rotella fuori posto.
Magari le visioni,
gli incubi, le voci… Avevano una spiegazione.
<<
Ti fa male? >> Nico mi sfiorò le spalle, e
sentii una scarica di dolore
propagarsi per tutto il mio corpo.
<<
No, finché non me l’hai ricordato.
>> Rantolai, mordendomi a sangue un
labbro inferiore. Lui sospirò, accovacciandosi accanto a me.
Infilò la sua
spada nera nello zainetto, e poi tirò fuori
qualcos’altro. Era una fialetta
piccola e di vetro, contenente un liquido dorato, che sembrava miele.
Il
ragazzo la stappò con un gesto sicuro e preciso.
<<
Bevi un sorso. >> Ordinò. Aveva il tono di uno
che non avrebbe accettato
alcuna obiezione.
<<
Perché dovrei? >> Per quanto ne sapevo poteva
essere droga da stupro.
Nico mi lanciò un’occhiataccia che avrebbe
ammazzato un piccione in volo.
Deglutii, e poi afferrai la fialetta. L’odore non era per
niente cattivo. Chiusi
gli occhi, e mandai giù tutto d’un fiato. Avrei
voluto gustarne di più il
sapore, perché quella roba era davvero buonissima. Il dolore
diminuì di colpo,
e la nebbiolina che mi invadeva il cervello si diradò,
facendomi tornare la
mente lucida.
<<
Come…? >>
<<
Nettare d’ambrosia. Vitale per i semidei. >>
Spiegò brevemente lui. Non
sembrava molto propenso a dare spiegazioni. Piuttosto aveva molta
fretta, ma
non capivo perché. Forse sarebbero arrivati altri mostri.
<<
Adesso dobbiamo andare, questo posto non è sicuro.
>> Mi afferrò per un
braccio, tirandomi in piedi con una facilità disarmante. Mi
divincolai dalla
sua stretta. Non sapevo se essere terrorizzata o curiosa. Diciamo che
in quel
momento le mie sensazioni erano un mix letale di quelle due emozioni.
<<
Non vengo da nessuna parte con te. >> Ribattei
prontamente,
indietreggiando. Sì, mi aveva salvato la vita, ma forse
anche lui si sarebbe
trasformato in un orrendo vampiro spelacchiato. E poi la sua spada non
mi
piaceva per niente. Chissà quante mostri- e forse anche
persone- aveva
decapitato o trapassato come uno spiedino.
<<
La storia della botta in testa vale anche adesso. >>
Minacciò. Incrociai
le braccia al petto, facendogli capire che non avrei fatto un singolo
passo. Mi
fissò per un istante, e nei suoi occhi scuri
scintillò una vasta gamma di
emozioni. Rabbia, paura... Esasperazione.
<<
Tu non capisci. C’è un posto, qui vicino; il campo
Mezzosangue, a Long Island.
E’ casa tua. E’ casa… nostra.
>>
Il fatto che avesse pronunciato la parola “nostra”
con molta esitazione, non mi
aiutò affatto a fidarmi.
<<
Io sono un semidio, figlio di una divinità e di un essere
umano. >>
Disse. Fui tentata di mettermi a ridere istericamente, ma a giudicare
dalla sua
espressione forse avrei fatto meglio a scoppiare a piangere. O stare
zitta.
Effettivamente Pamela l’aveva chiamato “Figlio di
Ade”. Ade era una divinità
greca. Il dio degli inferi.
<<
Le divinità greche esistono ancora. Esistono da sempre. Si
sono soltanto
trasferite durante i secoli. Il Monte Olimpo, Roma… e adesso
vivono al
seicentesimo piano dell’Empire State Building.
>> Spiegò, con
naturalezza. Lo fissai, con gli occhi sgranati. Di sicuro si aspettava
quella
reazione, perché rimase impassibile. Beh, mi risultava molto
difficile credere
a quello che diceva. Ma del resto avevo appena visto due cheerleader
trasformarsi in mostri orrendi. Come potevo essere sorpresa?
<<
Anche tu sei una semidea, ragazzina. E lo so per certo.
>> Mi sembrò come
se mi avessero rovesciato in testa un secchio di acqua gelida. Ero
sicura che
l’avrebbe detto. Quelle parole erano in sospeso
nell’aria attorno a noi. Ma non
potevo accettare una cosa del genere. Si stava sbagliando, sicuramente.
<<
Hai sbagliato persona, mi dispiace. Io non sono una semidea, sono una
semplice adolescente
newyorkese. >> Protestai, scuotendo la testa. Mi
soppesò per un momento,
e l’ombra di un sorriso apparve sulle sue labbra sottili.
<<
Quando mi hanno detto chi sono davvero avevo dieci anni. Ero stato
rinchiuso
per oltre quarant’anni in un casinò di Las Vegas.
So come ci si sente. >>
Cominciò, facendo un passo nella mia direzione.
<<
So come ci si sente, quando tutto ciò che credevi vero si
rivela una bugia.
Quando scopri che… che le persone che ti circondavano ti
hanno mentito per gran
parte della tua vita. >> Nella sua voce c’era
una nota, a malapena
repressa, di un grande dolore. Mi guardò negli occhi. I suoi
erano dei pozzi
profondi. Troppo profondi, per un ragazzo che doveva avere
più o meno la mie
età. Erano gli occhi di un vecchio, oppure di qualcuno che
è stato costretto a
crescere troppo in fretta.
<<
Mi dispiace. >> Suonò più come una
domanda, che come un’affermazione.
<<
Mi dispiace, ma non sono la persona che cerchi. Mio padre fa
l’avvocato, non ho
mai conosciuto la mia vera madre. Lei se
n’è… >> Mi bloccai, con
le
parole che mi erano rimaste impigliate in gola. Se
n’è andata dopo avermi messo alla luce. Io
non avevo mai
conosciuto la mia vera madre. In casa non c’erano sue foto,
mio padre ne
parlava molto raramente. Diceva che gli aveva rovinato la vita. Che
aveva
rovinato la vita anche a me.
<<
Beh, adesso sappiamo che il tuo genitore divino è una dea.
>> Nico si
strinse nelle spalle, poi si mise in spalla lo zaino. Mi resi conto
solo in
quel momento che perdeva sangue dal costato. E diventava sempre
più pallido.
<<
Io… >> Ma non riuscivo a dire niente.
<<
So che non ti fidi di me. Nemmeno io lo farei se fossi nei tuoi panni.
Andiamo
da tuo padre, d’accordo? Lui saprà darti risposte.
>> Propose. Abbassai
lo sguardo. Come avrei potuto fidarmi di un uomo che- a quanto pareva-
mi aveva
mentito per sedici anni? Osservai il ragazzo di sottecchi, e poi
sospirai.
<<
D’accordo. >> Dissi.
<<
Andremo da mio padre. >>
NOTE
AUTRICE
Allora,
che ve ne pare? Nico è un tizio piuttosto inquietante, se
fossi in Genesis
nemmeno io mi fiderei più di tanto. Spero che il capitolo vi
sia piaciuto,
lasciate una recensione, anche piccola piccola.
Bacioni