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Autore: ChildOfTheDeath    30/07/2014    1 recensioni
" Cosa vedi nelle tue visioni? "
" Soltanto sabbia. Sabbia rossa, infuocata. E paura, tanta paura. "
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Quando Nico Di Angelo trascina una ragazzina al campo mezzosangue, nessuno si aspetta che quella semidea dall'aria spaurita possa rappresentare una vera minaccia. Ma Genesis Hale sa di essere completamente pazza. Sente le voci, ha gli incubi e le visioni. Visioni spaventose, di scenari apocalittici, sangue e morte.
Qualcosa di oscuro e potente si sta risvegliando, e lei l'ha visto in anticipo. Quando Rachel Elizabeth Dare pronuncia la profezia è troppo tardi.
Chaos si è ridestato dal suo profondo sonno, e reclama vendetta.
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" E' tutto nelle tue mani, ragazzina. "
" Cosa scegli? Te stessa o il mondo? "
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[ FUTURO APOCALITTICO, QUATTRO ANNI DOPO LA GUERRA DI GEA ] [ NICO/OC ]
Genere: Avventura, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Nico di Angelo, Nuovo personaggio
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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CHAPTER ONE- Castle of Glass

 

 

 

 

 

 

 

 

 

<< E’ arrivata, non è vero? >> La voce della ragazza sussurra nelle mie orecchie, come se volesse prendermi in giro. Mi guardo attorno. Il sole sta tramontando, ma fa comunque molto caldo. Da quassù riesco a scorgere tutta New York. E’ deserta. Gli antifurti delle automobili suonano all’unisono, per poi spegnersi uno dopo l’altro. Granelli di sabbia scura vorticano nell’aria, mossi da un vento sferzante.

<< Chi? Chi è arrivata? >> Chiedo. Questa volta riesco a camminare. Faccio un passo in avanti, stringendo le mani alla ringhiera di una balaustra. Non riesco a capire dove mi trovo. L’Empire State Building mi fissa, da lontano. E’ uno dei pochi grattacieli rimasti in piedi. Me ne rendo conto soltanto adesso. E’ come una specie di gigante della città, che veglia su ciò che è rimasto della sua casa.

<< La Morte, ovviamente. E’ l’unica che può aiutarti. >> Risponde la ragazza. Mi mordo un labbro. Odio non riuscire a vederla. So che lei sta cercando di aiutarmi, ma è… frustrante.

<< Aiutarmi a fare cosa? >> Domando, a bassa voce. La ragazza ridacchia, poi è come se qualcuno mi avesse messo tra le mani un binocolo. Stringo gli occhi, sporgendomi sempre di più. Guardo sotto di me, ma all’improvviso il terreno è vicinissimo. C’è qualcosa, a qualche metro da me. E’ un corpo umano, sembra respirare ancora. Allungo una mano, quasi a voler aiutare quel poveretto.

<< Se fossi in te non mi avvicinerei. >> Suggerisce la ragazza. Il mio istinto dice che dovrei ascoltarla, ma non posso lasciare lì quell’uomo. Muove un braccio, cominciando a strisciare nella mia direzione. Non riesco a vederlo in volto, perché i capelli lunghi gli coprono il viso. Deve essere gravemente ferito, anche se non vedo sangue da nessuna parte. L’uomo emette un lamento di pura sofferenza.

<< Devo aiutarlo! >> Esclamo. Allungo la mano, sporgendomi sempre di più. Sono quasi completamente al di là della balaustra. Se cadessi morirei sicuramente, ma qualcosa mi dice che non succederà. Adesso sono in bilico, ancora qualche centimetro e precipiterò verso il basso. L’uomo d’un tratto alza il viso verso di me, fissandomi negli occhi.

Urlo.

Urlo perché quello che ho davanti non è un essere umano. No, è… un mostro. La pelle è bianca, quasi trasparente. Casca, come se fosse stata corrosa dall’acido. Gli occhi sono rossi ed iniettati di sangue, privi di una qualsiasi luce vitale. Batte i denti, come se avesse fame. Fame di me. Emette ancora quel lamento, tirandosi in piedi. Provo a tornare indietro, ma ormai è troppo tardi.

Sto precipitando tra le braccia del mostro.

 

Mi svegliai di soprassalto, con il cuore che mi batteva in gola. Il sudore freddo mi scivolava lungo la spina dorsale, facendomi rabbrividire. Deglutii, mettendomi a sedere. Ormai ero diventata di nuovo pazza, era ufficiale. Prima le visioni, poi  la voce, e infine gli incubi. Avevo sprecato un’estate rinchiusa dentro ad uno stupido manicomio, e non era servito a niente. Tutto era ricominciato, senza nessun preavviso, senza che avessi potuto prepararmi. Quanto ero stata stupida… ad illudermi che la mia vita sarebbe tornata normale. Che sarei potuta diventare una comune sedicenne.

Una grossa goccia di pioggia mi cadde sul naso, facendomi ricordare dove fossi. Avevo deciso di saltare le lezioni pomeridiane, rifugiandomi in cortile. Mi ero sdraiata sotto la chioma di una grande quercia, decisa ad osservare il cielo azzurro tutto il pomeriggio. Purtroppo mi ero assopita, e nel frattempo grossi nuvoloni neri si erano radunati sopra la mia testa, minacciando di esplodere da un momento all’altro. Sbuffai, mettendomi a sedere. Sapevo già che mio padre avrebbe fatto una scenata, dopo aver scoperto quello che avevo fatto, ma non mi interessava più di tanto. Avrei potuto dire che stavo male, e che avevo bisogno di aria fresca.

<< Ma io ho fame, Pam! Da quant’è che non ci facciamo un bello spuntino? >> Sentii la voce di Michelle provenire da sinistra. Mi nascosi subito dietro al tronco della quercia, stupendomi di me stessa. Potevo semplicemente andarmene indisturbata, eppure qualcosa mi diceva che sarei dovuta rimanere ferma immobile, finché quelle due non se ne fossero andate.

<< Da tanto tempo, compagna. Ma non preoccuparti, tra poco potremo mangiare chiunque vogliamo. >> Rispose Pamela, utilizzando un tono rassicurante e sognante allo stesso tempo. Mangiare… chiunque!? Quella cheerleader doveva avere qualche rotella fuori posto. Magari era caduta facendo la piramide speciale, o forse aveva ingoiato un pon-pon.

<< Tra poco quanto, Pam? Sono passati tre anni dall’ultima volta, non ricordi? >> Michelle sembrava piuttosto seccata. Le due erano sedute su una panchina, con le mani in grembo e le gambe accavallate. La pioggia, che si faceva sempre più battente, non sembrava disturbarle più di tanto.

<< Lo so, Michelle. E mi ricordo anche il suo gusto… >> Pamela ghignò, strizzando l’occhio alla sua amica dai capelli rossi. Cominciavo seriamente ad avere paura. Evidentemente non ero l’unica ad essere pazza, in quel posto.

<< Oh, sì! E ti ricordi come si lamentava? Come piangeva? >> Michelle sembrava persa nei ricordi, e sorrideva in modo quasi maniacale. Speravo stessero parlando di un cucciolo di cane. Sarebbe stato comunque un gesto orribile, ma sempre meglio che mangiare un essere umano.

<< Me lo ricordo come se fosse successo ieri, sorella. >> Pamela scoppiò a ridere, passandosi una mano tra i capelli biondi.

<< Non sai quanto mi manca il sapore di semidio. Spero che lui sorgerà presto, perché non vedo l’ora di mangiare ancora un po’. >> S-sapore di semidio? Ma cosa diamine!? Quelle due erano persino più inquietanti di me. Forse stavano soltanto scherzando, ma la scintilla nei loro occhi era di puro odio e desiderio. Mossi un passo all’indietro, attenta a non emettere alcun suono. La cartella era rimasta a qualche metro di distanza, ma l’avrei lasciata lì.

<< Se continuiamo a pensarci ci verrà ancora più fame. Nel frattempo è divertente prendersi gioco degli umani. Sono così… stupidi. >> Pam fece una smorfia di disgusto, arricciando il suo nasino alla francese.

<< Come Mark? Già, ma non capisco perché non provi a succhiargli il sangue. Non devi per forza ucciderlo, sai? >> Domandò Michelle, quasi irritata. D’accordo, Mark era un grandissimo stronzo che meritava il peggio, ma… succhiargli il sangue? Forse quelle due erano ubriache. Dovevo scappare. Chiamare la polizia o cose del genere. Feci un altro passo all’indietro, e andai a sbattere contro qualcosa di solido. Spalancai la bocca per urlare, ma una mano me la tappò prima che potessi emettere un solo suono. Mi divincolai, ma un braccio si chiuse attorno alla mia vita, impedendomi di fare un solo movimento.

<< Stai zitta, ragazzina! >> La voce del rocker mancato si insinuò nelle mie orecchie. Strabuzzai gli occhi. Cosa ci faceva lì? Mi aveva forse seguita?

<< Se urli saremo in grossi, grossissimi guai. Perciò, o stai zitta, o sarò costretto a darti una botta in testa. E credimi, non sarà una belle esperienza. >> Ringhiò ancora nel mio orecchio, rabbrividii sentendo il suo fiato sul collo. Soppesai per un attimo la situazione. Effettivamente lui non mi stava picchiando, né cercava di stuprarmi o uccidermi. Molto probabilmente voleva soltanto aiutarmi. Alzai gli occhi al cielo, e poi annuii. La sua mano si spostò dalle mie labbra, e riuscii a respirare come prima. Lanciai un’occhiataccia al suo braccio, ancora stretto attorno a me. Lui alzò le mani, in segno di resa.

<< Dobbiamo scappare. >> Mormorò, tirandomi dietro alla corteccia.

<< Non vengo da nessuna parte con te. >> Ribattei a bassa voce, incrociando le braccia al petto. Non sarei scappata con un perfetto sconosciuto. Per quanto ne sapevo poteva anche essere un maniaco. Lui sembrò sul punto di darmi sul serio una botta in testa, ma strinse i denti, e sospirò.

<< Qui sei… siamo in pericolo. E’ già un miracolo che quelle due non ci abbiano notato, se… >>

<< Quelle due, Nico di Angelo? Pensavo che ti ricordassi i nostri nomi. >> La voce bassa e sibilante di Pam mi fece gelare il sangue nelle vene. Il rocker mancato- che a quanto pare si chiamava Nico di Angelo- si voltò di scatto. Nel girarsi riuscì ad aprire il suo zainetto e ad estrarre da esso una spada nera lunga più o meno sessanta centimetri. Spalancai la bocca, incredula. Stavo avendo un’altra visione?

<< L’ultima volta che vi ho viste eravate nel Tartaro. >> Disse lui, in tutta tranquillità. Nel Tartaro!?

<< Ma ora siamo qui. >> Ribatté Michelle, arrotolandosi una ciocca rossa attorno alle dita… artigliate. Inciampai nei miei stessi piedi, e se non fosse stato per il tronco dell’albero sarei certamente caduta a terra. Pamela e Michelle si stavano trasformando. I loro capelli caddero in ciocche rade sul terreno, mentre i canini spuntavano dalle labbra. Le gambe divennero una specie di miscuglio bronzeo e peloso… e gli occhi. Gli occhi erano rossi. Rossi come il sangue.

<< Ti ho già infilzata una volta, Michelle. Ti assicuro che non ho problemi nel ripetermi. >> Nico mi spinse all’indietro, e poi fece roteare la spada, con una naturalezza incredibile. Osservai la lama fendere l’aria, quasi incantata. Era così letale… Eppure così bella. Come il suo proprietario.

<< Allora fatti avanti, figlio di Ade. >> Intervenne Pamela, sorridendo. Per un attimo tornò ad essere la bellissima ragazza di prima, ma durò soltanto pochi secondi. Nico sembrava quasi stordito.

<< A te la prima moss… >> Ma non terminò la frase, perché Michelle si era lanciata all’attacco. Mi nascosi saggiamente dietro all’albero, cercando d non andare in iperventilazione. Poteva essere una delle mie visioni. Credevo di riuscire a distinguerle dalla realtà, ma forse non era così.

 Quei… mostri. Non erano gli stessi di quello che avevo visto nell’incubo. Questi sembravano intelligenti, e sapevano parlare. Davano la caccia a noi. E poi… Figlio di Ade. Le parole di Pamela rimbombavano inesorabili all’interno della mia scatola cranica. L’ultima volta che avevo controllato, Ade era un dio greco. E non ero sicura che gli dei greci potessero avere figli. A dire il vero ero abbastanza certa che gli dei greci non esistessero affatto.

<< Attenta! >> Gridò Nico Di Angelo, senza successo. Due mani artigliate mi afferrarono per le spalle, e fui scagliata via con forza, sbattendo la schiena contro il manto erboso del cortile della scuola. Quando il mondo smise di girare riuscii ad alzarmi in piedi. Il sangue mi scorreva inesorabilmente lungo le braccia. Lento, cremisi. Quasi ipnotico. Pamela, da lontano, rideva sguaiatamente. Il rocker mancato aveva ingaggiato un combattimento con Michelle. Sembrava che lui stesse avendo la meglio, ma il mostro-cheerleader non demordeva. Indietreggiai, inciampando nei miei stessi piedi.

<< Vai da qualche parte? >> Mi voltai di scatto, mentre il mio cuore perdeva un battito. Pamela mi fissava, ghignando. Come diavolo aveva fatto a muoversi così velocemente? O forse ero io che mi ero lasciata distrarre.

<< C-cosa vuoi da me? >> Balbettai. Che domanda idiota. Ovviamente sospettavo che volesse mangiarmi per pranzo, o cose del genere. Mi sembrava di essere una di quelle stupide protagoniste dei film dell’orrore di serie B. Pamela scoppiò a ridere, ma quel suono assomigliava più ad un ragliato.

<< E’ da tanto che non mangio, ragazzina. Ovviamente Di Angelo sarebbe uno spuntino migliore, ma vai bene anche tu. >> Cominciò. Dovevo pensare, e velocemente. Non potevo scappare, perché lei mi avrebbe raggiunta subito, e Nico non poteva aiutarmi, perché stava già tentando di decapitare Michelle.

<< P-perché sarebbe uno spuntino migliore? >> Parlare. Dovevo parlare il più possibile. Nei film i buoni si salvavano sempre parlando. Ovviamente ho sempre pensato che i cattivi fossero dei grandi idioti, insomma… Lasciarsi sprecare un’occasione del genere…

<< Perché è figlio di uno dei tre pezzi grossi. E’ uno importante, capisci? Tu… tu sei soltanto un’insulsa indeterminata, ma sempre meglio di niente. >> Tre pezzi grossi? Indeterminata? Non ero io quella pazza. Era l’universo che aveva perso la testa. Ormai ero giunta alla conclusione che non stavo avendo una visione. La paura, l’adrenalina, il terrore viscerale… Erano troppo forti, troppo reali.

<< Oh. E quando mi determineranno? >> Chiesi, quasi dimostrandomi delusa, anche se in realtà non avevo la minima idea di cosa si stesse parlando. Con la coda dell’occhio scorsi Michelle esplodere in una polvere grigia. Nico si accasciò contro l’albero. Era pallidissimo, persino più di prima.

<< Non ha importanza, tanto adesso diverrai il pranzo del capo delle Empuse. Dovresti ritenerti fortunata. >> Empuse? Avevo già sentito quel nome da qualche parte.

<< Beh, capo delle Empuse, non so se te ne sei accorta, ma la tua amica laggiù è appena morta. Kaput. >> Incrociai le braccia al petto, sorridendo.  Pamela non sembrò troppo turbata dalla notizia. Si limitò a fare una smorfia con la sua bruttissima faccia.

<< Ha fatto il suo dovere, come le avevo detto. >>

<< Non sei un gran bel capo. Per esempio, dove sono le tue amiche? >> Domandai, sibilando tra i denti. Non so dove trovassi il coraggio di fare ciò che stavo facendo, né come le parole riuscissero ad uscire dalla mia gola. Era come se qualcuno le stesse sussurrando nelle mie orecchie. Fissai Pamela dritta negli occhi, e lei vacillò, come se l’avessi colpita con un gancio destro.

<< Loro… loro sono… >> Stava davvero balbettando? Sembrava quasi che i nostri ruoli si fossero invertiti.

<< Non ci sono, ecco tutto. Guarda come ti sei ridotta… Stare con un umano  come mio fratello? Per di più della peggior specie. Tu non conti niente. >> Ringhiai, facendo un passo in avanti. Pamela indietreggiò, punta nel vivo.

<< Nessuno ti vuole, nessuno ti cerca. Sei soltanto una sgualdrina. >> Continuai, imperterrita ed impietosa. Vidi una lacrima brillare sulla guancia incartapecorita della cheerleader. Stava… piangendo? Avevo appena fatto piangere un mostro. Una data da segnare sul calendario.

<< Stai zitta, piccola mezzosangue! Io ti… >> Ma non concluse mai la frase, perché la lama nera della spada di Nico Di Angelo si abbatté contro la sua gola, tagliandole di netto la testa. Pamela esplose in una nuvoletta, senza lasciare più nessuna traccia. Io e il ragazzo rimanemmo a fissarci per un attimo che sembrò infinito. Lui sembrava stanchissimo, ma sulle sue labbra era dipinta un’espressione combattiva. Come se fosse la millesima volta che uccideva un mostro. Come se facesse parte di quel mondo da sempre.

<< Io non credo di… >> Crollai in ginocchio, percossa dai brividi. La scarica di adrenalina era passata, e solo in quel momento il mio cervello riuscì a metabolizzare quello che avevo appena visto. Ricacciai indietro un conato di vomito, infilando le unghie nel terriccio. Mi impedii fermamente di piangere, e cominciai a fare dei respiri profondi. Perlomeno sapevo di non essere io, quella pazza. Sapevo che era l’intero universo ad avere qualche rotella fuori  posto. Magari le visioni, gli incubi, le voci… Avevano una spiegazione.

<< Ti fa male? >> Nico mi sfiorò le spalle, e sentii una scarica di dolore propagarsi per tutto il mio corpo.

<< No, finché non me l’hai ricordato. >> Rantolai, mordendomi a sangue un labbro inferiore. Lui sospirò, accovacciandosi accanto a me. Infilò la sua spada nera nello zainetto, e poi tirò fuori qualcos’altro. Era una fialetta piccola e di vetro, contenente un liquido dorato, che sembrava miele. Il ragazzo la stappò con un gesto sicuro e preciso.

<< Bevi un sorso. >> Ordinò. Aveva il tono di uno che non avrebbe accettato alcuna obiezione.

<< Perché dovrei? >> Per quanto ne sapevo poteva essere droga da stupro. Nico mi lanciò un’occhiataccia che avrebbe ammazzato un piccione in volo. Deglutii, e poi afferrai la fialetta. L’odore non era per niente cattivo. Chiusi gli occhi, e mandai giù tutto d’un fiato. Avrei voluto gustarne di più il sapore, perché quella roba era davvero buonissima. Il dolore diminuì di colpo, e la nebbiolina che mi invadeva il cervello si diradò, facendomi tornare la mente lucida.

<< Come…? >>

<< Nettare d’ambrosia. Vitale per i semidei. >> Spiegò brevemente lui. Non sembrava molto propenso a dare spiegazioni. Piuttosto aveva molta fretta, ma non capivo perché. Forse sarebbero arrivati altri mostri.

<< Adesso dobbiamo andare, questo posto non è sicuro. >> Mi afferrò per un braccio, tirandomi in piedi con una facilità disarmante. Mi divincolai dalla sua stretta. Non sapevo se essere terrorizzata o curiosa. Diciamo che in quel momento le mie sensazioni erano un mix letale di quelle due emozioni.

<< Non vengo da nessuna parte con te. >> Ribattei prontamente, indietreggiando. Sì, mi aveva salvato la vita, ma forse anche lui si sarebbe trasformato in un orrendo vampiro spelacchiato. E poi la sua spada non mi piaceva per niente. Chissà quante mostri- e forse anche persone- aveva decapitato o trapassato come uno spiedino.

<< La storia della botta in testa vale anche adesso. >> Minacciò. Incrociai le braccia al petto, facendogli capire che non avrei fatto un singolo passo. Mi fissò per un istante, e nei suoi occhi scuri scintillò una vasta gamma di emozioni. Rabbia, paura... Esasperazione.

<< Tu non capisci. C’è un posto, qui vicino; il campo Mezzosangue, a Long Island. E’ casa tua. E’ casa… nostra. >> Il fatto che avesse pronunciato la parola “nostra” con molta esitazione, non mi aiutò affatto a fidarmi.

<< Io sono un semidio, figlio di una divinità e di un essere umano. >> Disse. Fui tentata di mettermi a ridere istericamente, ma a giudicare dalla sua espressione forse avrei fatto meglio a scoppiare a piangere. O stare zitta. Effettivamente Pamela l’aveva chiamato “Figlio di Ade”. Ade era una divinità greca. Il dio degli inferi.

<< Le divinità greche esistono ancora. Esistono da sempre. Si sono soltanto trasferite durante i secoli. Il Monte Olimpo, Roma… e adesso vivono al seicentesimo piano dell’Empire State Building. >> Spiegò, con naturalezza. Lo fissai, con gli occhi sgranati. Di sicuro si aspettava quella reazione, perché rimase impassibile. Beh, mi risultava molto difficile credere a quello che diceva. Ma del resto avevo appena visto due cheerleader trasformarsi in mostri orrendi. Come potevo essere sorpresa?

<< Anche tu sei una semidea, ragazzina. E lo so per certo. >> Mi sembrò come se mi avessero rovesciato in testa un secchio di acqua gelida. Ero sicura che l’avrebbe detto. Quelle parole erano in sospeso nell’aria attorno a noi. Ma non potevo accettare una cosa del genere. Si stava sbagliando, sicuramente.

<< Hai sbagliato persona, mi dispiace. Io non sono una semidea, sono una semplice adolescente newyorkese. >> Protestai, scuotendo la testa. Mi soppesò per un momento, e l’ombra di un sorriso apparve sulle sue labbra sottili.

<< Quando mi hanno detto chi sono davvero avevo dieci anni. Ero stato rinchiuso per oltre quarant’anni in un casinò di Las Vegas. So come ci si sente. >> Cominciò, facendo un passo nella mia direzione.

<< So come ci si sente, quando tutto ciò che credevi vero si rivela una bugia. Quando scopri che… che le persone che ti circondavano ti hanno mentito per gran parte della tua vita. >> Nella sua voce c’era una nota, a malapena repressa, di un grande dolore. Mi guardò negli occhi. I suoi erano dei pozzi profondi. Troppo profondi, per un ragazzo che doveva avere più o meno la mie età. Erano gli occhi di un vecchio, oppure di qualcuno che è stato costretto a crescere troppo in fretta.

<< Mi dispiace. >> Suonò più come una domanda, che come un’affermazione.

<< Mi dispiace, ma non sono la persona che cerchi. Mio padre fa l’avvocato, non ho mai conosciuto la mia vera madre. Lei se n’è… >> Mi bloccai, con le parole che mi erano rimaste impigliate in gola. Se n’è andata dopo avermi messo alla luce. Io non avevo mai conosciuto la mia vera madre. In casa non c’erano sue foto, mio padre ne parlava molto raramente. Diceva che gli aveva rovinato la vita. Che aveva rovinato la vita anche a me.

<< Beh, adesso sappiamo che il tuo genitore divino è una dea. >> Nico si strinse nelle spalle, poi si mise in spalla lo zaino. Mi resi conto solo in quel momento che perdeva sangue dal costato. E diventava sempre più pallido.

<< Io… >> Ma non riuscivo a dire niente.

<< So che non ti fidi di me. Nemmeno io lo farei se fossi nei tuoi panni. Andiamo da tuo padre, d’accordo? Lui saprà darti risposte. >> Propose. Abbassai lo sguardo. Come avrei potuto fidarmi di un uomo che- a quanto pareva- mi aveva mentito per sedici anni? Osservai il ragazzo di sottecchi, e poi sospirai.

<< D’accordo. >> Dissi.

<< Andremo da mio padre. >>

 

 

 

 

 

 

NOTE AUTRICE

Allora, che ve ne pare? Nico è un tizio piuttosto inquietante, se fossi in Genesis nemmeno io mi fiderei più di tanto. Spero che il capitolo vi sia piaciuto, lasciate una recensione, anche piccola piccola.

Bacioni 

   
 
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