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Autore: ChildOfTheDeath    28/07/2014    1 recensioni
" Cosa vedi nelle tue visioni? "
" Soltanto sabbia. Sabbia rossa, infuocata. E paura, tanta paura. "
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Quando Nico Di Angelo trascina una ragazzina al campo mezzosangue, nessuno si aspetta che quella semidea dall'aria spaurita possa rappresentare una vera minaccia. Ma Genesis Hale sa di essere completamente pazza. Sente le voci, ha gli incubi e le visioni. Visioni spaventose, di scenari apocalittici, sangue e morte.
Qualcosa di oscuro e potente si sta risvegliando, e lei l'ha visto in anticipo. Quando Rachel Elizabeth Dare pronuncia la profezia è troppo tardi.
Chaos si è ridestato dal suo profondo sonno, e reclama vendetta.
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" E' tutto nelle tue mani, ragazzina. "
" Cosa scegli? Te stessa o il mondo? "
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[ FUTURO APOCALITTICO, QUATTRO ANNI DOPO LA GUERRA DI GEA ] [ NICO/OC ]
Genere: Avventura, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Nico di Angelo, Nuovo personaggio
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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PROLOGO

 

 

 

 

 

 

 

 

Il mondo è rosso attorno a me. La sabbia bruciata vortica nell’aria, mentre l’incendio divampa, distruggendo New York. Il Central Park non esiste più ormai; è diventato una landa brulla senza vita. La gente grida, urla… Le fiamme lambiscono i corpi delle persone, ma io non posso fare niente. Sono bloccata nella sabbia. Sono bloccata, e il sole mi acceca. Un sole troppo luminoso, troppo grande. Un sole che uccide. La mia pelle brucia, ma è impossibile muoversi. E’ come se la sabbia mi ancorasse al terreno, è come se Madre Terra volesse risucchiarmi, per non lasciarmi andare mai più.

<< Sta arrivando. >> E’ una voce. Una voce femminile, che sussurra al mio orecchio. Volto la testa di scatto, ma accanto a me non c’è nessuno.

<< Manca poco. >> La voce è tranquilla. Non è troppo alta, ma nemmeno troppo bassa. E’  rassicurante, come se sapesse esattamente quello che sta succedendo. Il tono è quello di una donna. Una giovane donna, annoiata quasi. 

<< La Morte sta arrivando, ti aiuterà. >> Continua, insinuante. Rabbrividisco, nonostante il caldo cocente. Alzo lo sguardo verso New York. Riesco a vedere tutta la città da quassù, ma non so dove sono. In alto, sicuramente. Ma la sabbia continua a lambire le mie caviglie, senza lasciarmi scampo.

<< Fatti vedere. >> Dico. Il suono delle mie parole mi rassicura. Sono ancora in grado di parlare.

<< Non posso farmi vedere. Aspettala. Aspetta la Morte, dovrebbe già essere arrivata da te. >> Continua, imperterrita.

<< Aspettala, e andrà tutto bene. >> Poi sento una brezza gelida sulla nuca, e la ragazza è sparita. E’ come se la sua incombente presenza fosse scomparsa all’improvviso. Non l’ho mai vista, ma so che è stata qui. Improvvisamente mi sento assalire dal panico.

Sto sprofondando. La sabbia mi sta inghiottendo. Scotta, e io grido. Grido con tutto il fiato che ho in gola, mentre il mostro rosso mi trascina con se. Mi gremisce con le sue braccia ineffabili, impedendomi di respirare, impedendomi di vedere.

<< Aiuto! >> Urlo, sperando che la ragazza sia ancora qui con me.

<< Ti prego, aiutami! >> Mi divincolo, ma non faccio altro che sprofondare sempre più.

<< Salvami! >> Grido, un’altra volta. Ma il mostro mi afferra per le caviglie, e dà un ultimo strattone, più forte degli altri. La sabbia si chiude sopra di me, e tutto diventa nero.

Poi il nulla.

 

<< Genesis? Per l’amor del cielo, ragazzina! >> La voce petulante di Moira mi fece tornare alla realtà. Fu come riuscire a respirare di nuovo. Battei le palpebre un paio di volte, e poi presi un respiro profondo. Pensavo che le visioni non mi avrebbero mai più tormentata. I medici mi avevano imbottito di farmaci. Mi avevano detto che non sarebbe successo di nuovo. Che non sarebbe successo mai più.

<< Ehm… sì? >> Domandai, cercando di risultare il più naturale possibile. Poi mi guardai attorno. Mark mi fissava con aria disgustata, con una mano appoggiata sulla portiera, e una piede ormai posato sul marciapiede. Certo. Eravamo a scuola. La nuova fantastica scuola. Mio padre non aveva voluto che tornassi alla Ross High School. “Troppe voci, troppi pettegolezzi.” Diceva. “Qui invece nessuno saprà del tuo difetto, tesoro.” Si ostinava a chiamarlo così. Gli incubi, le voci, le visioni… Secondo lui erano soltanto dei difetti. Secondo me invece era pazzia. Pura e semplice pazzia. Io ero pazza, ma ormai ci avevo fatto l’abitudine.

<< Sei sorda per caso? Vai con Mark, forza, e comportati come una persona normale. Non voglio fare una brutta figura a causa tua. >> Sibilò Moira, lanciandomi un’occhiata fulminante dallo specchietto retrovisore. Alzai le mani in segno di resa, aprendo la portiera. Guardai mio padre, sperando che dicesse qualsiasi cosa. Magari una frase rassicurante, un sorriso fiducioso… Ma si limitò soltanto ad un cenno svogliato della mano. Dovetti trattenere una risatina amara.

<< Muoviti, stramboide. >> Sentii il fiato caldo di Mark nell’orecchio, e sobbalzai. Saltai giù dall’auto nuova di zecca, evitando la gamba del mio fratellastro, tesa tra i miei piedi. Mark aveva due anni più di me, e da quanto avevo sentito dire era considerato una specie di divinità da tutta la scuola. Non capivo cosa la gente trovasse in lui. Era biondo, aveva gli occhi azzurri ed era alto… Ma era la cattiveria fatta a persona. Di quelli che si divertivano a bruciare la ali alle farfalle, o a tormentare i fratelli. Magari le sorelle. O le sorellastre, più precisamente. Mi lasciava lividi in luoghi strategici, che nessuno poteva vedere. Una volta mi aveva sostituito lo shampoo con la candeggina, per non parlare…

<< Ehi, Donovan! Come va, bello? >> Fui costretta a scansarmi di scatto, mente una montagna di muscoli senza cervello si abbatteva su Mark. Doveva essere uno dei suoi tanti amici della squadra di football. Cominciarono a sghignazzare e a darsi pacche un po’ troppo forti sulle spalle. Nessuno mi degnò di uno sguardo. La campanella della prima lezione squillò nel cortile, e un coro di esclamazioni sdegnate proruppe nell’aria. Ah, il primo giorno di scuola… Sempre uno spasso.

<< Beh, allora io vado. >> Borbottai, grattandomi la nuca. Mark mi mostrò i denti, come se volesse azzannarmi, e poi tornò a chiacchierare amabilmente con il suo amicone. Notai altri gorilla decerebrati che si avvicinavano ai due. Era davvero arrivato il momento di tagliare la corda. Mi dileguai, diretta verso l’entrata della Goode High School di Manhattan. A detta di Moira era uno dei migliori licei della città e bla, bla, bla. A me sembrava soltanto un covo di ricchi e viziati figli di papà, ma avevo preferito non dirglielo.

Mi sistemai la cartella sulle spalle, cominciando a salire le scale dell’ingresso. Quella giornata era cominciata malissimo, e avevo il cattivo presentimento che non avrebbe fatto altro che peggiorare. Era forse il karma? Magari un’entità sconosciuta e superiore ce l’aveva con me. Forse ero stata troppo cattiva, e l’universo voleva punirmi. Certo, non si poteva dire che fossi una santarellina, ma non avevo mai ucciso nessuno. Nemmeno picchiato, se è per questo. Il mio “difetto” mi aveva sempre impedito di avere amici, o una vita sociale normale. Alle elementari le altre bambine mi invitavano ai pigiama-party, ma non ci potevo andare. Gli incubi la notte mi perseguitavano, e mi sarei svegliata in lacrime, o addirittura con le convulsioni. Dovevo sempre rifiutare, e ad un certo punto loro avevano smesso di chiamare. L’estate era appena passata, e io l’avevo trascorsa in un centro di cura psichiatrico, o manicomio, per chi accetta il fatto che i pazzi esistono ancora. La mia compagna di stanza aveva tentato di suicidarsi sei volte in due mesi, e il cibo faceva schifo. I dottori e gli psicologi mi avevano diagnosticato una specie di psicosi acuta, che mi faceva vedere e sentire strane cose. Mi avevano imbottita di farmaci, come un tacchino. Gli incubi, le visioni e le voci non mi avevano più tormentata. Fino a quella mattina.

<< Sta arrivando. >> La voce. La voce della visione.

<< Lei è qui. La Morte ti è vicina. Sta arrivando. >> No, fuori dalla mia testa. Fuori. Dalla. Mia. Testa.

<< Levati dai piedi, ragazzina. Blocchi il passaggio. >> Qualcuno mi piombò addosso, facendomi barcollare. Alzai lo sguardo verso al ragazzo che mi fissava con aria truce. Era alto, molto più di me, e aveva l’aria da rocker mancato. Giubbetto da aviatore, capelli neri spettinati e occhiaie scure che lo rendevano inquietante.

<< Agli ordini, Mr. Simpatia… >> Borbottai tra i denti, scostandomi. Ad un tratto non ero più molto sicura che quel giorno sarebbe andato tutto bene. Nessuno, a parte Mark, sapeva delle mie stramberie, ma una visione poteva cogliermi durante un’interrogazione, o avrei potuto incantarmi davanti alla cuoca che distribuiva il cibo a mensa. O peggio… Soprattutto quando ero piccola, le visioni e gli incubi mi sembravano talmente reali che mi mettevo a piangere e urlare. Con il tempo la situazione era migliorata, perché avevo imparato a distinguere gli orrori partoriti dalla mia mente e la realtà. Non che durante le visioni non avessi paura, ma perlomeno sapevo che non erano altro che una folle attività del mio cervello.

La seconda campanella, quella delle otto e cinque, cominciò a trillare all’impazzata, rischiando di rompermi un timpano. Sospirai, abbassando lo sguardo. Non volevo entrare a scuola. Avrei preferito scappare al Polo Sud, o andare a vivere come una clochard a Parigi. Oppure sarei potuta diventare un’artista di strada. Tutto, ma non volevo più quella vita.

<< Forza e coraggio, Genesis Hale. >> Sospirai tra me e me.

<< E che la fortuna possa sempre essere a tuo favore. >> Aggiunsi.

Citare frasi tratte da Hunger Games? Mai un buon presagio.

 

 

<< Ciao sorellina. >> Chiusi l’armadietto con un colpo secco, voltandomi di scatto. Mark mi fissava dall’alto in basso, con le braccia incrociate sul petto. Lo guardai in faccia, diffidente. Non avevo fatto niente quella mattina. Niente esplosioni, niente risse, niente feriti… Proprio niente di niente. Me ne ero stata buona e tranquilla nel mio angolino, passando da lezione a lezione con la testa fra le nuvole. Insomma, un banalissimo primo giorno di scuola.

<< Mark, stavo giusto per… >> Provai a sgusciare via, ma le sue mani andarono a schiantarsi ai lati della mia testa. Oh, cavolo. Sbirciai oltre le sue spalle. Una specie di gorilla in tenuta sportiva ghignava sotto i baffi, mentre Pamela, la ragazza del mio fratellastro, rideva come un’oca giuliva, insieme alla sua amica Michelle. Erano spesso state ospiti a casa nostra, sospettavo che fosse per la vasca idromassaggio e per la piscina all’aperto. Pamela era una biondina tutta tette e niente cervello, capo cheerleader. Michelle aveva i capelli rossi e una miriade di lentiggini. La sua bellezza era più naturale di quella di Pamela, ma entrambe avevano il quoziente intellettivo pari a quello di un comodino.

<< Stammi a sentire, ragazzina. >> Cominciò Mark, ringhiandomi praticamente in faccia. Odiavo quando si comportava in quel modo. Un conto era affrontarlo a casa, da solo. Ma quando ci si metteva con le scenate in pubblico… Effettivamente negli ultimi giorni era stato piuttosto indifferente nei miei confronti. Che stesse architettando qualcosa?

<< Questo è il mio territorio, qui comando io. Prova a fare una delle tue stramberie in pubblico, e ti giuro che ti farò pentire di essere nata. >> Sibilò. Mi aveva afferrata per le spalle, stringendo un po’ troppo forte. Cercai di divincolarmi, con scarso successo. Fui tentata di sputargli in faccia, ma non avrei certamente migliorato la situazione.

<< Lasciami andare, Mark. >> Mi limitai a dire, freddamente. Lui sorrise, maligno. Oh, oh.

Quel mezzo sorrisetto non prometteva nulla di buono.

<< Come vuoi tu, sorellina. >> Poi mi lanciò praticamente via, e fui spinta brutalmente all’indietro, crollando contro a qualcuno. Sentii Pamela che si complimentava con il suo ragazzo, mentre il gorilla giocatore di football scoppiava a ridere sonoramente. Poi ritornai velocemente alla realtà. Prima cosa da fare: analizzare la situazione.

Ero indubbiamente sul pavimento della scuola, e avevo un braccio piegato in una posizione fastidiosissima, sotto al corpo di qualcun altro. Udii il povero malcapitato grugnire qualcosa del tipo “Diis Immortales! “, ma probabilmente avevo battuto la testa. Poi il tipo si districò dal groviglio di arti che formavano i nostri corpi, e si tirò velocemente in piedi. Aprii gli occhi, confusa. Era il rocker mancato, quello che mi aveva urtato all’ingresso della scuola. I suoi occhi scurissimi mi stavano lentamente incenerendo. Sembrava che stesse decidendo se staccarmi direttamente la testa o se farmi morire in modo più atroce e doloroso.

<< Guarda dove metti i piedi, imbranata! >> Esclamò. Poi mi afferrò per un braccio, e mi rimise in piedi con una forza davvero sorprendente. Non che pesassi molto, ma lui era talmente magro che sospettavo non riuscisse a tenere in mano nemmeno un pezzo di carta. Mi sistemai la maglietta sgualcita, e poi affrontai il tipo.

<< Mi stai forse pedinando? >> Domandai, con aria di sfida. Potevo anche essere intimorita da Mark, ma non mi sarei mai fatta mettere i piedi in testa da un perfetto sconosciuto. Lui mi mostrò i denti, quasi volesse azzannarmi. Si avvicinò di un passo. Non mi ero accorta che fosse così alto.

<< Credo che sia tu che stai pedinando me, piuttosto. >> Ribatté, piccato. Sbuffai, accennando ad una risatina. Chi si credeva di essere? Ok, forse quell’aria così tetra e lugubre poteva mettere un po’ di paura. Senza contare poi… era un anello col teschio quello che gli vedevo al dito?

<< Perché dovrei? E comunque un gentiluomo mi avrebbe chiesto se mi sono fatta male. >> Risposi, indignata. Le sue labbra si distesero in un ghigno ironico. Osservandolo meglio non era poi così male. I capelli neri gli incorniciavano il viso pallidissimo, creando un contrasto spaventoso ma bellissimo al tempo stesso. Sembrava che un pittore avesse utilizzato la tecnica del chiaroscuro per dipingere le fattezze del suo volto. I suoi tratti erano  spigolosi, ma armoniosi ed eleganti. Le occhiaie scure attorno agli occhi lo rendevano inquietante, ma quasi sexy. Sì, beh, insomma… Era carino.

<< Di solito il gentiluomo che c’è in me emerge quando c’è una donna in pericolo. >> Cominciò.

<< Per caso tu hai visto una donna da queste parti?  >> Domandò poi, mentre il suo sorrisetto si allargava. Che razza di…

Qualcosa cominciò a suonare dalla tasca dei suoi jeans strappati. Il rocker mancato abbassò lo sguardo, e sembrò fissare il suo cellulare per un’eternità. Quando rialzò la testa era visibilmente impallidito, e mi fissava come se fossi un mostro. Inarcai le sopracciglia, sorpresa. Ma cosa diavolo gli era preso?

<< Beh? Non rispondi al cellulare? >> Chiesi, allargando le braccia. Lui sembrò riscuotersi al suono della mia voce. Alzò il mento, assumendo una posizione superba e fiera. Il sorrisetto sarcastico tornò a dipingersi sulle sue labbra.

<< Devo andare. >> Disse semplicemente. Ma prima di girare i tacchi mi si avvicinò, quasi minaccioso.

<< Lo scarso equilibrio è sintomo di labirintite. Ti consiglio di andare da un medico. >>

Che razza di stronzo.

NOTE AUTRICE

Allora, che ve ne pare? Non so nemmeno come mi sia venuta in mente questa storia. Comunque, se il capitolo vi è piaciuto recensite. Anzi, recensite anche se non vi è piaciuto, accetto le critiche costruttive. 

Bacioni e buone vacanze a tutti :)

   
 
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