PROLOGO
Il
mondo è
rosso attorno a me. La sabbia bruciata vortica nell’aria,
mentre l’incendio
divampa, distruggendo New York. Il Central Park non esiste
più ormai; è
diventato una landa brulla senza vita. La gente grida, urla…
Le fiamme
lambiscono i corpi delle persone, ma io non posso fare niente. Sono
bloccata
nella sabbia. Sono bloccata, e il sole mi acceca. Un sole troppo
luminoso,
troppo grande. Un sole che uccide. La mia pelle brucia, ma è
impossibile
muoversi. E’ come se la sabbia mi ancorasse al terreno,
è come se Madre Terra
volesse risucchiarmi, per non lasciarmi andare mai più.
<<
Sta
arrivando. >> E’ una voce. Una voce femminile,
che sussurra al mio
orecchio. Volto la testa di scatto, ma accanto a me non
c’è nessuno.
<<
Manca poco. >> La voce è tranquilla. Non
è troppo alta, ma nemmeno troppo
bassa. E’ rassicurante,
come se sapesse
esattamente quello che sta succedendo. Il tono è quello di
una donna. Una
giovane donna, annoiata quasi.
<<
La
Morte sta arrivando, ti aiuterà. >> Continua,
insinuante. Rabbrividisco,
nonostante il caldo cocente. Alzo lo sguardo verso New York. Riesco a
vedere
tutta la città da quassù, ma non so dove sono. In
alto, sicuramente. Ma la
sabbia continua a lambire le mie caviglie, senza lasciarmi scampo.
<<
Fatti vedere. >> Dico. Il suono delle mie parole mi
rassicura. Sono
ancora in grado di parlare.
<<
Non
posso farmi vedere. Aspettala. Aspetta la Morte, dovrebbe
già essere arrivata
da te. >> Continua, imperterrita.
<<
Aspettala, e andrà tutto bene. >> Poi sento
una brezza gelida sulla nuca,
e la ragazza è sparita. E’ come se la sua
incombente presenza fosse scomparsa
all’improvviso. Non l’ho mai vista, ma so che
è stata qui. Improvvisamente mi
sento assalire dal panico.
Sto
sprofondando. La sabbia mi sta inghiottendo. Scotta, e io grido. Grido
con
tutto il fiato che ho in gola, mentre il mostro rosso mi trascina con
se. Mi
gremisce con le sue braccia ineffabili, impedendomi di respirare,
impedendomi
di vedere.
<<
Aiuto! >> Urlo, sperando che la ragazza sia ancora qui
con me.
<<
Ti
prego, aiutami! >> Mi divincolo, ma non faccio altro che
sprofondare
sempre più.
<<
Salvami! >> Grido, un’altra volta. Ma il mostro
mi afferra per le
caviglie, e dà un ultimo strattone, più forte
degli altri. La sabbia si chiude
sopra di me, e tutto diventa nero.
Poi
il
nulla.
<<
Genesis? Per l’amor del cielo, ragazzina! >> La
voce petulante di Moira
mi fece tornare alla realtà. Fu come riuscire a respirare di
nuovo. Battei le
palpebre un paio di volte, e poi presi un respiro profondo. Pensavo che
le
visioni non mi avrebbero mai più tormentata. I medici mi
avevano imbottito di
farmaci. Mi avevano detto che non sarebbe successo di nuovo. Che non
sarebbe
successo mai più.
<<
Ehm… sì? >> Domandai, cercando di
risultare il più naturale possibile.
Poi mi guardai attorno. Mark mi fissava con aria disgustata, con una
mano
appoggiata sulla portiera, e una piede ormai posato sul marciapiede.
Certo.
Eravamo a scuola. La nuova fantastica scuola. Mio padre non aveva
voluto che
tornassi alla Ross High School. “Troppe voci, troppi
pettegolezzi.” Diceva. “Qui
invece nessuno saprà del tuo difetto,
tesoro.” Si ostinava a chiamarlo così.
Gli incubi, le voci, le visioni…
Secondo lui erano soltanto dei difetti. Secondo me invece era pazzia.
Pura e
semplice pazzia. Io ero pazza, ma ormai ci avevo fatto
l’abitudine.
<<
Sei sorda per caso? Vai con Mark, forza, e comportati come una persona
normale.
Non voglio fare una brutta figura a causa tua. >>
Sibilò Moira,
lanciandomi un’occhiata fulminante dallo specchietto
retrovisore. Alzai le mani
in segno di resa, aprendo la portiera. Guardai mio padre, sperando che
dicesse
qualsiasi cosa. Magari una frase rassicurante, un sorriso
fiducioso… Ma si
limitò soltanto ad un cenno svogliato della mano. Dovetti
trattenere una
risatina amara.
<<
Muoviti, stramboide. >> Sentii il fiato caldo di Mark
nell’orecchio, e
sobbalzai. Saltai giù dall’auto nuova di zecca,
evitando la gamba del mio
fratellastro, tesa tra i miei piedi. Mark aveva due anni più
di me, e da quanto
avevo sentito dire era considerato una specie di divinità da
tutta la scuola.
Non capivo cosa la gente trovasse in lui. Era biondo, aveva gli occhi
azzurri
ed era alto… Ma era la cattiveria fatta a persona. Di quelli
che si divertivano
a bruciare la ali alle farfalle, o a tormentare i fratelli. Magari le
sorelle.
O le sorellastre, più precisamente. Mi lasciava lividi in
luoghi strategici,
che nessuno poteva vedere. Una volta mi aveva sostituito lo shampoo con
la candeggina,
per non parlare…
<<
Ehi, Donovan! Come va, bello? >> Fui costretta a
scansarmi di scatto,
mente una montagna di muscoli senza cervello si abbatteva su Mark.
Doveva
essere uno dei suoi tanti amici della squadra di football. Cominciarono
a
sghignazzare e a darsi pacche un po’ troppo forti sulle
spalle. Nessuno mi
degnò di uno sguardo. La campanella della prima lezione
squillò nel cortile, e
un coro di esclamazioni sdegnate proruppe nell’aria. Ah, il
primo giorno di
scuola… Sempre uno spasso.
<<
Beh, allora io vado. >> Borbottai, grattandomi la nuca.
Mark mi mostrò i
denti, come se volesse azzannarmi, e poi tornò a
chiacchierare amabilmente con
il suo amicone. Notai altri gorilla decerebrati che si avvicinavano ai
due. Era
davvero arrivato il momento di tagliare la corda. Mi dileguai, diretta
verso
l’entrata della Goode High School di Manhattan. A detta di
Moira era uno dei
migliori licei della città e bla, bla, bla. A me sembrava
soltanto un covo di
ricchi e viziati figli di papà, ma avevo preferito non
dirglielo.
Mi
sistemai la cartella sulle spalle, cominciando a salire le scale
dell’ingresso.
Quella giornata era cominciata malissimo, e avevo il cattivo
presentimento che
non avrebbe fatto altro che peggiorare. Era forse il karma? Magari
un’entità sconosciuta
e superiore ce l’aveva con me. Forse ero stata troppo
cattiva, e l’universo
voleva punirmi. Certo, non si poteva dire che fossi una santarellina,
ma non
avevo mai ucciso nessuno. Nemmeno picchiato, se è per
questo. Il mio “difetto”
mi aveva sempre impedito di avere amici, o una vita sociale normale.
Alle
elementari le altre bambine mi invitavano ai pigiama-party, ma non ci
potevo
andare. Gli incubi la notte mi perseguitavano, e mi sarei svegliata in
lacrime,
o addirittura con le convulsioni. Dovevo sempre rifiutare, e ad un
certo punto
loro avevano smesso di chiamare. L’estate era appena passata,
e io l’avevo
trascorsa in un centro di cura
psichiatrico, o manicomio, per chi accetta il fatto che i
pazzi esistono
ancora. La mia compagna di stanza aveva tentato di suicidarsi sei volte
in due
mesi, e il cibo faceva schifo. I dottori e gli psicologi mi avevano
diagnosticato una specie di psicosi acuta, che mi faceva vedere e
sentire
strane cose. Mi avevano imbottita di farmaci, come un tacchino. Gli
incubi, le
visioni e le voci non mi avevano più tormentata. Fino a
quella mattina.
<<
Sta
arrivando. >> La voce. La voce
della visione.
<<
Lei
è qui. La Morte ti è vicina. Sta arrivando.
>> No, fuori
dalla mia testa. Fuori. Dalla. Mia.
Testa.
<<
Levati dai piedi, ragazzina. Blocchi il passaggio. >>
Qualcuno mi piombò
addosso, facendomi barcollare. Alzai lo sguardo verso al ragazzo che mi
fissava
con aria truce. Era alto, molto più di me, e aveva
l’aria da rocker mancato.
Giubbetto da aviatore, capelli neri spettinati e occhiaie scure che lo
rendevano inquietante.
<<
Agli ordini, Mr. Simpatia… >> Borbottai tra i
denti, scostandomi. Ad un
tratto non ero più molto sicura che quel giorno sarebbe
andato tutto bene.
Nessuno, a parte Mark, sapeva delle mie stramberie, ma una visione
poteva
cogliermi durante un’interrogazione, o avrei potuto
incantarmi davanti alla
cuoca che distribuiva il cibo a mensa. O peggio… Soprattutto
quando ero piccola,
le visioni e gli incubi mi sembravano talmente reali che mi mettevo a
piangere
e urlare. Con il tempo la situazione era migliorata, perché
avevo imparato a
distinguere gli orrori partoriti dalla mia mente e la
realtà. Non che durante
le visioni non avessi paura, ma perlomeno sapevo che non erano altro
che una
folle attività del mio cervello.
La
seconda campanella, quella delle otto e cinque, cominciò a
trillare
all’impazzata, rischiando di rompermi un timpano. Sospirai,
abbassando lo
sguardo. Non volevo entrare a scuola. Avrei preferito scappare al Polo
Sud, o
andare a vivere come una clochard a Parigi. Oppure sarei potuta
diventare
un’artista di strada. Tutto, ma non volevo più
quella vita.
<<
Forza e coraggio, Genesis Hale. >> Sospirai tra me e me.
<<
E che la fortuna possa sempre essere a tuo favore. >>
Aggiunsi.
Citare
frasi
tratte da Hunger Games? Mai un buon presagio.
<<
Ciao sorellina. >> Chiusi l’armadietto con un
colpo secco, voltandomi di
scatto. Mark mi fissava dall’alto in basso, con le braccia
incrociate sul
petto. Lo guardai in faccia, diffidente. Non avevo fatto niente quella
mattina.
Niente esplosioni, niente risse, niente feriti… Proprio
niente di niente. Me ne
ero stata buona e tranquilla nel mio angolino, passando da lezione a
lezione
con la testa fra le nuvole. Insomma, un banalissimo primo giorno di
scuola.
<<
Mark, stavo giusto per… >> Provai a sgusciare
via, ma le sue mani
andarono a schiantarsi ai lati della mia testa. Oh,
cavolo. Sbirciai oltre le sue spalle. Una specie di gorilla
in
tenuta sportiva ghignava sotto i baffi, mentre Pamela, la ragazza del
mio
fratellastro, rideva come un’oca giuliva, insieme alla sua
amica Michelle.
Erano spesso state ospiti a casa nostra, sospettavo che fosse per la
vasca
idromassaggio e per la piscina all’aperto. Pamela era una
biondina tutta tette
e niente cervello, capo cheerleader. Michelle aveva i capelli rossi e
una
miriade di lentiggini. La sua bellezza era più naturale di
quella di Pamela, ma
entrambe avevano il quoziente intellettivo pari a quello di un
comodino.
<<
Stammi a sentire, ragazzina. >> Cominciò Mark,
ringhiandomi praticamente
in faccia. Odiavo quando si comportava in quel modo. Un conto era
affrontarlo a
casa, da solo. Ma quando ci si metteva con le scenate in
pubblico…
Effettivamente negli ultimi giorni era stato piuttosto indifferente nei
miei
confronti. Che stesse architettando qualcosa?
<<
Questo è il mio territorio, qui comando io. Prova a fare una
delle tue
stramberie in pubblico, e ti giuro che ti farò pentire di
essere nata. >>
Sibilò. Mi aveva afferrata per le spalle, stringendo un
po’ troppo forte.
Cercai di divincolarmi, con scarso successo. Fui tentata di sputargli
in
faccia, ma non avrei certamente migliorato la situazione.
<<
Lasciami andare, Mark. >> Mi limitai a dire, freddamente.
Lui sorrise,
maligno. Oh, oh.
Quel
mezzo sorrisetto non prometteva nulla di buono.
<<
Come vuoi tu, sorellina. >> Poi mi lanciò
praticamente via, e fui spinta
brutalmente all’indietro, crollando contro a qualcuno. Sentii
Pamela che si
complimentava con il suo ragazzo, mentre il gorilla giocatore di
football
scoppiava a ridere sonoramente. Poi ritornai velocemente alla
realtà. Prima
cosa da fare: analizzare la situazione.
Ero
indubbiamente sul pavimento della scuola, e avevo un braccio piegato in
una
posizione fastidiosissima, sotto al corpo di qualcun altro. Udii il
povero
malcapitato grugnire qualcosa del tipo “Diis
Immortales! “, ma probabilmente avevo battuto la
testa. Poi il tipo si
districò dal groviglio di arti che formavano i nostri corpi,
e si tirò
velocemente in piedi. Aprii gli occhi, confusa. Era il rocker mancato,
quello
che mi aveva urtato all’ingresso della scuola. I suoi occhi
scurissimi mi
stavano lentamente incenerendo. Sembrava che stesse decidendo se
staccarmi
direttamente la testa o se farmi morire in modo più atroce e
doloroso.
<<
Guarda dove metti i piedi, imbranata! >>
Esclamò. Poi mi afferrò per un
braccio, e mi rimise in piedi con una forza davvero sorprendente. Non
che
pesassi molto, ma lui era talmente magro che sospettavo non riuscisse a
tenere
in mano nemmeno un pezzo di carta. Mi sistemai la maglietta sgualcita,
e poi
affrontai il tipo.
<<
Mi stai forse pedinando? >> Domandai, con aria di sfida.
Potevo anche
essere intimorita da Mark, ma non mi sarei mai fatta mettere i piedi in
testa
da un perfetto sconosciuto. Lui mi mostrò i denti, quasi
volesse azzannarmi. Si
avvicinò di un passo. Non mi ero accorta che fosse così alto.
<<
Credo che sia tu che stai pedinando me, piuttosto. >>
Ribatté, piccato.
Sbuffai, accennando ad una risatina. Chi si credeva di essere? Ok,
forse
quell’aria così tetra e lugubre poteva mettere un
po’ di paura. Senza contare
poi… era un anello col teschio quello che gli vedevo al
dito?
<<
Perché dovrei? E comunque un gentiluomo mi avrebbe chiesto
se mi sono fatta
male. >> Risposi, indignata. Le sue labbra si distesero
in un ghigno
ironico. Osservandolo meglio non era poi così male. I
capelli neri gli
incorniciavano il viso pallidissimo, creando un contrasto spaventoso ma
bellissimo al tempo stesso. Sembrava che un pittore avesse utilizzato
la
tecnica del chiaroscuro per dipingere le fattezze del suo volto. I suoi
tratti
erano spigolosi, ma
armoniosi ed
eleganti. Le occhiaie scure attorno agli occhi lo rendevano
inquietante, ma
quasi sexy. Sì, beh,
insomma… Era carino.
<<
Di solito il gentiluomo che c’è in me emerge
quando c’è una donna in pericolo.
>> Cominciò.
<<
Per caso tu hai visto una donna da queste parti? >>
Domandò poi, mentre il suo sorrisetto
si allargava. Che razza di…
Qualcosa
cominciò a suonare dalla tasca dei suoi jeans strappati. Il
rocker mancato
abbassò lo sguardo, e sembrò fissare il suo
cellulare per un’eternità. Quando
rialzò la testa era visibilmente impallidito, e mi fissava
come se fossi un
mostro. Inarcai le sopracciglia, sorpresa. Ma cosa diavolo gli era
preso?
<<
Beh? Non rispondi al cellulare? >> Chiesi, allargando le
braccia. Lui
sembrò riscuotersi al suono della mia voce. Alzò
il mento, assumendo una
posizione superba e fiera. Il sorrisetto sarcastico tornò a
dipingersi sulle
sue labbra.
<<
Devo andare. >> Disse semplicemente. Ma prima di girare i
tacchi mi si
avvicinò, quasi minaccioso.
<<
Lo scarso equilibrio è sintomo di labirintite. Ti consiglio
di andare da un
medico. >>
Che razza di stronzo.
NOTE AUTRICE
Allora, che ve ne pare? Non so nemmeno come mi sia venuta in mente questa storia. Comunque, se il capitolo vi è piaciuto recensite. Anzi, recensite anche se non vi è piaciuto, accetto le critiche costruttive.
Bacioni e buone vacanze a tutti :)