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Autore: _Sherazade_    30/07/2014    0 recensioni
Ayla, Ragazza come tante.
A diciotto anni si ritrova orfana, ma con grandi sacrifici e con l'aiuto degli amici riesce a non abbattersi e a sopravvivere in una qualche maniera.
Dopo qualche anno la vita sembra essere tornata tranquilla, ma Ayla non sa la triste verità: sta per morire.
È qui che entra in campo Apodis, un demone della morte.
Il suo lavoro è quello di aiutare le anime degli uomini a trovare la strada per l'altro mondo e impedire che gli spiriti malvagi se ne impadroniscano.
Il suo ultimo incarico è proprio Ayla.
Apodis si troverà di fronte a una scelta: seguire il proprio lavoro e prendere l'anima di Ayla, oppure dare retta al proprio istinto e lasciare libera la giovane.
Una semplice scelta che cambierà le loro vite.
Scritto nel 2009, rielaborato nel 2014.
Genere: Malinconico, Sentimentale, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Iris - custode dei mondi'
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- Capitolo Secondo -



Mi trovavo all’interno di un grande castello, le cui pareti sembravano di ghiaccio, stavo correndo, verso una meta ignota. Capii che stavo scappando da qualcosa, ero spaventata e gli occhi mi stavano diventando lucidi per via delle lacrime. La paura si stava impossessando di me. Senza perdere troppo tempo a pensare continua a correre fino a che arrivai alla fine del corridoio, trovandomi su una grande balconata.
 
Mi affacciai, e vidi sotto di me un immenso salone gremito di persone. Fin lì nulla di strano, eccetto che per una cosa.
Alcuni di loro erano avvolti da uno strano bagliore: alcune persone erano avvolte da una luce rossastra, e altre da una violacea.
 
La stanza intera era avvolta da una luce rossa, come se fossimo stati in discoteca coi i fari colorati che illuminavano la pista
Le persone non ci facevano caso, ma non appena la luce, da rossa passò a blu, gli uomini e le donne che emanavano il bagliore rossastro si bloccarono.
Era come se il tempo per loro si fosse fermato.
Le persone che prima erano avvolte dal bagliore violaceo invece continuavano a comportarsi come se nulla fosse successo, e ora la loro luce era cambiata: emanavano il bagliore bluastro.
 
Cosa stava capitando? Dove ero finita?
Non riuscivo a capire niente, la testa cominciava a dolermi, quando dal nulla apparve un ragazzo. Mi venne incontro, tutto affaticato, aveva il volto coperto da un cappuccio scuro e la luce che emanava il suo corpo era blu.
Mi prese per mano e mi disse che dovevamo scappare, che era pericoloso rimanere lì.
Non dovevo, non potevo farmi trovare da “loro”.
Non sapevo nemmeno chi fossero queste persone che non mi dolevano trovare. Non sapevo chi fosse quell’uomo, ma in cuor mio sentivo che potevo fidarmi.
Mi trascinò via, verso un nuovo corridoio.
Non so da quanto stessimo correndo, ma all’improvviso sentii delle voci che ci chiamavano.
L’uomo incappucciato mi spinse verso una porta, la aprì e mi buttò dentro. Lo sentii parlare con qualcuno, le persone che ci avevano chiamato, supposi. e poi niente.
La porta finalmente si aprì e vidi quell’uomo con altre due figure avvolte che mi fissavano.
- Su andiamo, la strada è sgombra. – aveva una bella voce.
La luce che illuminava tutto di blu era cambiata nuovamente, tornando al rosso acceso di prima.
 
Continuavamo a scappare e notai che continuavamo a girare in tondo. Quel castello sembrava un labirinto, era così immenso.
- Non preoccuparti, e fidati di me!  Fidati di noi Ayla – era sicuro, e lo ero anche io. Riuscii ad intravvedere degli occhi chiari che riuscirono a trasmettermi una gran fiducia.
Una delle altre figure si trasformò in un drago argentato.
- Presto saliamo! Non abbiamo più molto tempo. – era però troppo tardi: ci avevano trovati.
Sentii una risata dalla quale trapelava una grande malvagità, e davanti a noi si materializzò un grande mostro, alto almeno cinque metri.
Avevo paura, ero terrorizzata e mi aggrappai forte al braccio dell’uomo che aveva cercato di aiutarmi. Era forse la fine?
- Non preoccuparti, andrà tutto bene. – mi disse lui con voce suadente.
Il mostro allungò la mano verso di noi, mi prese e urlai con tutta la forza che avevo, allungando il braccio verso l’uomo che aveva cercato in tutti i modi di salvarmi.
 
 
- Noooooo! – urlai svegliandomi, sbattendo così la testa contro il mobile del letto. Era un sogno, solo un sogno! Quel dannato sogno che mi perseguitava oramai da ben due settimane. Ogni notte lo facevo, e ogni notte era sempre più chiaro, più dettagliato.
- E no, adesso basta. Non ce la faccio più. – protestai verso il soffitto.
- So che lassù vi divertite, ma io sono una povera mortale, almeno nei sogni lasciatemi fantasticare. Datemi dei bei sogni. Sto forse chiedendo troppo? – dovevo assolutamente tradurre il significato di quel maledettissimo sogno. Troppe notti rovinate.
Cerby, il mio cane, e Morphy, il gatto, mi guardarono con aria stranita. Erano abituati ai miei scatti, ma ultimamente avvenivano un po’ troppo spesso.
Non era certo colpa mia, ero emotivamente in crisi per colpa di quel sogno.
Oggi era anche il giorno della bilancia! Mi ero impegnata davvero molto con la cyclette e altri piccoli attrezzi che mi ero procurata. Non potevo non avere perso almeno un po’ di peso. Non pretendevo tanto, mi piacevo un po’ in carne. Tuttavia un po’ dovevo dimagrire: ero leggermente sovrappeso. Senza contare che non riuscivo più a mettermi quei jeans che avevo da cinque anni. Erano i miei preferiti in assoluto con tutte quelle pailette.
- Io rimetterò quei jeans, a qualunque costo! – dissi alzandomi e correndo in bagno.
 
Mi feci una doccia veloce, tralasciando i capelli che avevo già lavato la sera prima, e con molto coraggio salii sulla bilancia.
Lanciai un grido e Cerby e Morphy mi raggiunsero.
Canticchiando e saltellando presi in braccio il gatto e, muovendomi a passo di valzer, li informai della mia piccola conquista: nelle ultime due settimane avevo perso tre chili. Non era moltissimo, ma era già una piccola conquista.
Volevo fare una prova, anche se sapevo che sarebbe andata male.
Dovevo provarci: presi quei pantaloni e li provai. Come previsto però non riuscii ad infilarmeli.
Me li tolsi e li riposi nell’armadio, avrei dovuto aspettare ancora un po’, ma non mi sarei certo arresa davanti al primo ostacolo
Non mi sarei lasciata scoraggiare da una prima sconfitta, ora sapevo che avrei potuto farcela. Dovevo solo continuare così e non arrendermi!
 
Mi vestii in fretta e furia, fiondandomi, coi pantaloni ancora a mezza gamba, in salotto per fare colazione. In passato non ero mai stata una da dieta, non riuscivo mai a portarle avanti. E con  la ginnastica non è che andasse molto meglio, dopo un po’ mi stancavo.
In effetti parlare di diete non è proprio corretto, mi son sempre limitata a rinunciare ai dolci e alle schifezze varie.
Sarò sincera, in realtà mi trattenevo semplicemente dal mangiarne troppi. Non riuscivo a staccarmene completamente e se devo parlare di sport... l’unico vero sport che riuscissi a praticare seriamente ero lo zapping con la tv.
Ogni tanto mi cimentavo coi pesi oppure prendevo la mia fedele mountain bike per fare un giro, di più non facevo.
 
Il mio corpo era strano, alle volte mi capitava di perdere appetito, di non avere più molta fame; lì calavo un po’ e senza nemmeno impegnarmi nell’impresa. Succedeva un paio di volte all’anno, o poco più.
 
Layla, o meglio Ly, mi aveva convinta a comprare la cyclette, e devo dire che non mi sono pentita dell’acquisto fatto. Era la mia migliore amica, ed era sempre ben disposta a darmi una mano per qualsiasi progetto mi passasse per la testa.
Inizialmente non riuscivo a essere costante, ma una volta presa confidenza ho continuato, anche per soli venti minuti al giorno. I risultati non hanno tardato a mostrarsi.
Oramai era il mio appuntamento fisso, ogni giorno un poco.
Per una come me che non era mai riuscita in questo genere di cose è stata una grandissima conquista.
 
Presi la brioche dal fornetto elettrico e me la gustai con calma. Vicino a casa mia c’era una piccola fabbrica che produceva paste, brioche, pizzette e ogni genere di prelibatezza.
Una volta all’anno andavo da loro e facevo un po’ di scorta. Non c’è niente di più buono di un bel cornetto caldo per la colazione.
Per quella giornata avevo scelto un pain au chocolat, dovevo pur festeggiare un po’ la mia conquista.
Avrei bruciato le calorie prese con la camminata che dalla stazione portava al negozio.
Era una bella giornata, e dato che eravamo in autunno era oramai una questione di tempo prima che arrivasse il brutto tempo. Potevo sfruttare il tram e farmi poi quelle breve camminata per arrivare alla libreria presso cui lavoravo.
Era deciso: avrei lasciato la mia vecchia Betsy, una lancia Ypsilon, in garage e avrei sfruttato il tram.
Per carità, anche col brutto tempo avrei potuto approfittare del mezzo pubblico, ma ero comunque sempre un po’ pigra. L’idea poi di beccarmi un acquazzone non è che mi avesse mai esaltata più di tanto.
 
Assaporare quella pasta  mi riportava con la mente a quando la mia famiglia era ancora unita, a quando eravamo tutti insieme.
Erano già passati tre anni da quel dannato incidente, e non passava giorno che non maledissi quel pirata della strada.
Il classico ragazzotto, strafatto di alcool e droga, che inconsciamente s’era messo al volante; e come al solito era quello che alla fine di tutto si salvava.
Mi chiedevo ancora perché non avessero preso la sua vita invece che quella dei miei cari.
 
Ogni anno, quando arrivava la fiera del paese, io e mio padre andavamo a prendere queste paste. Era diventata un po’ come una tradizione e io volevo portarla avanti.
Ammetto che era una cosa un po’ sciocca, ma mi faceva stare immensamente bene. Meno sola.
Non credo si riesca mai a superare del tutto la morte della propria famiglia, specie se questa morte è provocata dalla stupidità umana.
Loro faranno sempre parte di noi, e non li sui può cancellare.
Ci sarà sempre un piccolo posticino nel nostro cuore per tutti coloro che ci hanno lasciati. Il vuoto che lasciano è incolmabile perché le persone non le si può sostituire.
L’unica cosa che uno può fare è di andare avanti e cercare di continuare a vivere. Questa è la soluzione migliore, soprattutto per chi non c’è più e non ha avuto la possibilità di continuare la propria esistenza.
 
Avevo solo ventuno anni, ed ero decisamente troppo giovane per arrendermi e lasciarmi andare. Inoltre se mi fossi lasciata andare troppo Ly sarebbe stata capace di prendermi a schiaffi per farmi riprendere.
Sapevo che mi voleva un bene dell’anima, e sapevo anche che avrebbe fatto di tutto per non lasciarmi cadere nel baratro nero della depressione.
Se non ci fosse stata lei non so come avrei fatto a superare tutto questo.
Il lavoro mi aveva aiutato molto e mi ci ero buttata a capofitto per evitare di pensare troppo. Negli ultimi tre anni quasi non avevo preso le ferie: stare a casa mi deprimeva.
Dopo tutto quel tempo però cominciavo finalmente a respirare un po’ e ad essere più tranquilla e rilassata.
Più volte mi avevano proposto di prendermi un mese, anche due di aspettativa, ma avevo sempre rifiutato perché non me la sentivo.
“Forse tra qualche anno.” mi dicevo pur sapendo che era solo una banale scusa per gli altri.
 
Cominciava a farsi un po’ troppo tardi, così preparai il pranzo per Cerby e Morphy e mi fiondai in strada.
Amavo molto il mio lavoro, e sebbene per molti fare la commessa in una libreria non sia esaltante, io mi divertivo. Amavo con tutto il cuore leggere, era una delle mie più grandi passioni. Forse era la più grande in assoluto.
Leggere ti fa scoprire cose nuove, mondi meravigliosi e fantastici. Leggendo ti si apre un mondo incantato.
Negli anni dell’adolescenza infausta la lettura era stata la mia scappatoia ad un mondo che sentivo non essere il mio. Certo, avevo Ly, ma non potevamo stare proprio sempre insieme.
Ero la classica adolescente un po’ emarginata, e i libri erano stati i miei più cari e fedeli amici per un lunghissimo periodo.
Poi arrivò Ly, e la vita non fu più così grigia.
Non mi dimenticai di loro comunque, continuai a coltivare questa mia passione e anche a vivere nel mondo esterno.
Trovai il mio equilibrio tra un mondo di fantasia e quello più duro, ma vero.
 
Non appena salii sul tram accesi il lettore mp3; era un po’ scassato e a volte i tasti non funzionavano del tutto, a volte mi cancellava le canzoni e a volte dovevo tenere il cavo delle cuffie leggermente staccato perché altrimenti andava solo un’auricolare.
Io però lo adoravo comunque, per quanto fosse rovinato.
Certo avrei potuto cambiarlo, ma ci ero molto affezionata, era uno degli ultimi regali dei miei e non potevo certo abbandonarlo.
Inoltre l’altoparlante funzionava alla perfezione, e mai e poi mai avrei potuto gettarlo via.
 
Preferivo il pullman al tram, ma sfortunatamente il sistema di trasporti era cambiato, e quindi mi toccava prendere l’altro mezzo. Sotto un certo punto di vista era più comodo il tram, c’erano più posti, erano più comodi e passava con maggiore frequenza. Purtroppo però dovevo fare un sacco di strada in più per arrivare alla fermata, quando invece quella del pullman era quasi sotto casa.
 
Il tram si fermava alla stazione e dovevo fare un bel pezzo per arrivare a Porta Nuova, il centro, e poi c’era il pezzo per arrivare al negozio; col pullman scendevo direttamente a Porta Nuova, e arrivavo subito.
Una delle cose buone del tram era che non mi trovavo più schiacciata, negli orari in cui lo prendevo non c’era troppa gente. Coi pullman era una cosa totalmente diversa dato che dovevamo affidarci anche alla clemenza del traffico. Col tram c’erano solo dei passaggi sulle strade principali, e lì avevamo comunque sempre noi la precedenza.
Mentre invece, una delle cose che più odiavo erano le donne con le carrozzine dei neonati, quando queste entravano sul pullman o sul tram e non si degnavano di chiudere quei dannatissimi affari.
Non che avessi qualcosa contro i bambini o i genitori, semplicemente c’è un regolamento che invita a chiudere quei trabiccoli. Cosa mai costa seguire poche e semplici regole per una pacifica convivenza? Ho sempre pensato che la gente fosse stupida sotto molti aspetti, ed ero assolutamente convinta che avrei continuato a pensarlo fino alla fine dei miei giorni. Alla gente frega poco di creare fastidi agli altri. L’importante è starsene tranquilli col proprio bell’orticello.
 
Una volta, ricordo, erano salite in tre, tutte con la carrozzina, ed il pullman era pieno, stracolmo. Fu anche grazie a loro se dovetti scendere ben due fermate dopo la mia, arrivando praticamente al confine del paese.
Due chilometri a piedi e carica di  cartella e borsone. Un’esperienza che auguro a pochi. La mia fortuna fu nel fatto che era bel tempo e non faceva freddo.
Un altro ricordo molto poco piacevole, risale al mio secondo anno delle superiori.
Era una mattina come tante, il mezzo era pieno, ma ero comunque riuscita a trovare posto vicino all’entrata.
Pensavo ai fatti miei, quando salirono due signore che si accomodarono nei sedili dietro al mio. Cominciarono a chiacchierare del più e del meno, le solite discussioni fra amiche. Peccato solo che anche non volendo riuscivo a sentire tutti i loro discorsi: parlavano a voce fin troppo alta.
Quando presero ad entrare nel discorso sesso, scendendo nei minimi dettagli, mi vennero i brividi lungo la schiena.
Certo fa piacere sapere che si rimane attivi anche dopo una certa età, ma per molti di quei  particolari che arrivarono alle mie povere orecchie ne avrei fatto volentieri a meno.
Per fortuna la scuola era vicina.
 
Il tram si arrestò: eravamo arrivati in stazione finalmente.
Non vedevo l’ora di raggiungere Ly per informarla del mio piccolo successo.
Mi attendeva una bella camminata, ma ero di buon umore e la presi con allegria. Muovermi un po’ non poteva farmi che bene.
 
Avevo superato Porta Nuova, e dopo poco vidi l’insegna della libreria, ed intravidi una Ly sorridente che mi stava venendo incontro.
Come al solito era vestita in modo impeccabile.
 
Ammetto che un po’ la invidiavo.
Eravamo molto diverse, lei alta, bionda, un fisico invidiabile e molto ben proporzionato. Senza contare che era molto carina, a differenza mia che ero relativamente bassa, castana e... formosa diciamo.
Ly era anche molto spigliata, una ragazza brillante, estroversa, a differenza mia che ero l’esatto opposto.
Nonostante le tante differenze però ci trovavamo e ci volevamo un gran bene.
Ogni tanto mi azzardavo a dirle come la pensavo riguardo il nostro rispettivo aspetto, e di come mi sentissi in difetto paragonata a una come lei. Inutile dire che si arrabbiava moltissimo.
- Non c’è niente che non vada in te, e sfido chiunque a dirlo. – mi diceva. Quando si arrabbiava, perché se la prendeva quando dicevo queste cose, era meglio non contraddirla troppo.
Non le credevo molto, specie a causa dei miei chiletti in più, ma sapevo che lei ciò che diceva lo pensava seriamente.
Io e Ly ci eravamo conosciute alle superiori, e da allora non ci eravamo praticamente mai separate. Stavamo sempre insieme, due amiche veramente inseparabili.
Di fronte al mio disagio fisico mi aveva proposto di andare insieme in palestra, ma la vergogna me lo aveva impedito.
Un paio di volte avevamo provato a fare jogging, ma non faceva per me dato che dopo poco mi accasciavo sulla prima panchina libera.
È stato dopo tutti questi fallimenti che siamo arrivati a qualche piccolo attrezzo, tipo i pesi, e in seguito alla cyclette.
Finalmente avevo trovato il mio sistema per fare un po’ di esercizio.
 
- Allora Ayla, pronta per un nuovo giorno di lavoro? – chiese Ly con il sorriso.
- Certo che sì mia cara. Dai, indovina?
- Cosa?
- Mi sono pesata stamattina, e… ho perso tre chili. – Dissi soffocando un gridolino.
Alla bella notizia Ly gridò all’unisono con me. Mi prese per mano e cominciò a saltellare sul posto, non potei fare a meno di imitarla.
Eravamo un po’ pazzerelle e i colleghi oramai non ci facevano neanche più caso.
George, il fidanzato di Layla e responsabile della libreria, ci fece cenno di avvicinarci: bisognava aprire il negozio.
Ly rise e mi trascinò verso l’entrata.
- Su bella, si comincia! – disse lei ridendo.
  
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