Serie TV > Violetta
Segui la storia  |       
Autore: GretaHorses    30/07/2014    10 recensioni
"L'intera aula viene invasa da una risata generale e sì, la battuta pessima arriva proprio dal vicino di banco di Andrès, dal deficiente. Se c'è qualcuno che odio più di Ludmilla in questa classe è proprio lui. E' arrogante, viziato, ignorante e pure troglodita! Mi domando come possa una persona essere così tanto sfaticata perché essere bocciati due volte è proprio da somari e soprattutto ad aver avuto così tante ragazze a soli diciassette anni! Da quando cavernicolo è bello?"
E' la mia prima fanfic su Violetta, per favore non aggreditemi D:
Genere: Commedia, Fluff, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Leon, Un po' tutti, Violetta
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
 <<    >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

                                                                       CAPITOLO 20

 

 

 

Cammino per i corridoi con una consapevolezza diversa, non mi sento più gelare ad ogni occhiata anche se un po' di disagio resta. Questa volta, però, procedo fissando la strada davanti a me e con il mento leggermente alzato come per conferire superiorità, io sono superiore a questa situazione perché non me ne curo di tutti loro. Svolto a destra e proseguo passando davanti allo spiazzo delle panchine e delle macchinette, vado ancora più avanti finché non trovo la porta che dà sul cortile. Le mie amiche sono tutte riunite sotto ad un albero ossuto e grande posto al centro del giardino, staranno aspettando solamente me. Esco e le raggiungo silenziosamente, l'erba scricchiola al contatto coi miei anfibi perché ricoperta di brina. “Buongiorno”. Mi sistemo il cappello in testa e mi sfrego le mani ghiacciate sebbene indossi i guanti. “Come mai così tardi? Di solito arrivi prima”, constata Nata. “Oggi mi ha portata papà”. Ancora silenzio, le uniche pazze ad uscire la mattina prima delle lezioni siamo noi. Gli altri sono tutti dentro a chiacchierare agli armadietti, ad aspettare qualcuno in atrio o a bere qualcosa di caldo al bar. “Sentite, non ce la faccio proprio! Vilu cominci tu o comincio io?”, sbotta Cami. “Che vi devo dire?”. La mia voce tremola, ma non per il freddo. “Tutto”. “Hey, Cami...mi spaventi!”. Scoppiamo tutte a ridere all'unisono, anche se devo ammettere che la sua espressione da maniaca mi ha un po' intimorita. “Beh, in verità non c'è molto da raccontare. Eravamo in camera ed è successo, l'avevamo programmato per cui niente sorprese”. “Ha fatto male?”, chiede subito Fran. “All'inizio abbastanza, poi sempre meno. Credo di aver avuto anche un orgasmo”, spiego ridacchiando. Sembra quasi vogliano fare a gara per pormi domande, sono davvero buffe. “E com'è Leon? Bravo?”. Pongo una mano come per dire 'Alt'. “Camilla, dove vuoi andare a parare?”. “Non fraintendere, era solo per sapere!”. “In verità non lo so, non ho persone a cui paragonarlo. Posso solo dirvi che a me è piaciuto e che ci sa fare”. “Su questo non c'era ombra di dubbio, Leon Vargas è pur sempre Leon Vargas”, dice Nata. Mi metto a braccia conserte squadrandola. “Risponderò ad altre vostre domande solo se la smetterete di fare insinuazioni sul mio ragazzo”. E' visibilmente pentita, infatti alza le mani a mezz'aria. “Scusa, non volevo”. “Ma tipo come l'avete fatto? Avete usato bondage, fruste oppure costumi per interpretare dei ruoli?”. Ci voltiamo tutte scioccate verso Francesca, non è da lei una cosa del genere e sono io la prima a dirlo! A malapena utilizza le parolacce se non in casi estremi, poi se ne esce con queste cose. “Fran, ma cosa cavolo...”. “Eh, ho letto 'Cinquanta sfumature di grigio'...”. Aggrotto la fronte. “Mi avevi detto che non avresti letto quel libro per nulla al mondo e che era troppo volgare per i tuoi gusti esortandomi pure a fare come te”. Abbassa lo sguardo imbarazzata, è diventata tutto d'un tratto paonazza. “Ehm...io...in realtà l'avevo letto e anche tutta la trilogia...”. “Ah però, dopo sarei io la pervertita del gruppo”, sentenzia Cami ridendo. Cerco di levarla da questa situazione scomoda dicendole: “Niente di tutto questo, comunque”. “Non si è rotto il preservativo, vero?”. Inarco un sopracciglio. “Naty, tu vuoi proprio chiamarle le disgrazie”. Improvvisamente sento dei passi dietro di me venire verso di noi, mi giro per vedere chi è...Federico? Torno a guardare le ragazze, Camilla l'abbiamo persa. “Oh, ma siete pazze o cosa?”. Ci raggiunge sotto l'albero sorridendoci, mi sono persa qualcosa? No, perché ultimamente mi perdo sempre tutto. “Ti piace il nostro ritrovo?”, chiedo. “Un po' troppo gelido e angusto in questa stagione, ma più avanti potrebbe essere carino”. Si guarda sommariamente attorno. “Perché sei qui?”. Fran ha un'espressione confusa tanto quanto la mia, la rossa dal suo canto non riesce a formulare nemmeno una sillaba. “Mi annoiavo ed ho pensato di venire da voi dato che vi ho intraviste dalla finestra, la compagnia lì dentro non è delle migliori”. “Tipo chi?”, domanda Nata. “Bah, Tomas e Braco che non mi stanno simpatici più di tanto e poi mi pare di aver visto quello nuovo, ma non lo conosco abbastanza da poterci andare a parlare. Infine ci siete voi, l'alternativa migliore che potessi trovare”. E' un abile conversatore, l'ho sempre pensato di lui. Riesce a persuadere le persone con la sua parlantina e i suoi complimenti talvolta non veritieri, secondo me è anche per questo che Cami si è fissata con lui. Attenta a non farmi vedere, le do una gomitata facendola cadere dalle nuvole. “Dì qualcosa!”, le sussurro all'orecchio. “Sai per caso dove sono gli altri?”. Alzo gli occhi al cielo, poteva domandargli qualsiasi cosa e lei è andata a chiedere degli altri come se di lui poco le importasse. “Ho visto Maxi e Broadway nelle gradinate prima dell'entrata e Marco mentre scendeva da un bus”. E Leon non lo vede mai nessuno. “Comunque io e te potremmo avere un futuro come ballerini, mio zio ha una scuola di ballo e potrei trovare qualche posto disponibile anche se le iscrizioni sono già state chiuse”, dice ridendo. “Tu dici? Ho ancora i lividi sui piedi per i pestoni che mi hai dato”. “Sono proprio un disastro”. Si posa una mano sulla fronte. “Beh, non è che io sia stata tanto meglio”. “Vilu, Nata: potreste accompagnarmi in bagno?”. “Ci puoi andare benissimo da sola, Fran”, le rispondo. “Sai che noi donne necessitiamo di essere accompagnate...”. Mi fa l'occhiolino e le mostro il pollice all'insù. “Giusto! Che stupida, andiamo?”. Nata ci osserva ancora confusa e le do un colpetto sulla schiena per farla camminare, ci dirigiamo verso la porta. “Ed io?”. “Tu continua a parlare della tua pseudo bravura nel ballo, dei lividi sui piedi e di tante cose belle”, la liquida la mia migliore amica. Ci dileguiamo velocemente prima che possa ribattere, sicuramente ci starà lanciando uno dei suoi sguardi assassini però non dobbiamo voltarci in loro direzione. Ritornate in corridoio, io e Francesca ci scambiamo un'occhiata complice e scoppiamo in una fragorosa risata. “Siamo buone amiche, un giorno ci ringrazierà”, mi dice col fiato corto. “Quel giorno non è oggi”. Utilizzo volutamente una voce roca e ombrosa, come quella degli assassini quando telefonano alla vittima nei film horror. “Mamma, ti ricordi quella volta che abbiamo visto un film dell'orrore a casa mia? Ci eravamo dimenticate di aver ordinato delle pizze e quando il fattorino ha suonato il campanello, siamo andate ad aprirgli con una mazza da baseball di mio fratello per sicurezza”. “Come dimenticarlo? Tu davanti che aprivi la porta di appena mezzo centimetro ed io dietro già pronta in posizione per colpire”. “Che serata, da rifare!”. “Sicuro”. Natalia agita una mano con entrambe le sopracciglia inarcate. “Mi spiegate che sta succedendo invece di parlare delle vostre serate?”. “Cami muore dietro a Federico”, le rispondo. “Ah, ecco perché hanno ballato assieme al Kaleidoscope!”. Ha l'espressione di chi ha appena scoperto una cosa di vitale importanza, lei vive di queste cose. “Sarebbero una bella coppia, guardate che carini!”. Indica fuori dalla finestra e li vediamo intenti a parlare seduti a terra con le schiene poggiate al tronco dell'albero. “Già, quasi belli quanto te e Maxi”. Mi arriva una gomitata dalla diretta interessata. “Non è vero, Fran? Fran?”. Mi volto e la mia migliore amica non è più al mio fianco, è corsa incontro a Marco che si trova in fondo al corridoio. Soffoco una risata e scuoto il capo. “Ha perso proprio la testa”. “E' normale quando si è innamorati, credo”. Le sorrido annuendo. “Più che normale, fidati”. Abbassa lo sguardo, poi mi chiede: “Tu cosa provi quando lo vedi?”. “Leon?”. “E chi sennò?”. Mi mordo il labbro inferiore sospirando. “Non lo so, cioè...sono talmente tante cose messe assieme che riesco a malapena distinguerle. Nonostante tutto mi blocco ancora a guardarlo come la prima volta o come quando lo osservavo da distante in giro per la scuola e mi sembra che ogni giorno diventi sempre più bello. La mia mente va completamente in tilt e c'è come un blackout generale di tutto il corpo, ossia esso non reagisce ai miei comandi infatti rimango inchiodata sul posto. E' strano e forse da malati, ma infondo è solo perché sono innamorata di lui”. Non mi sono nemmeno resa conto che mi sono portata una mano al petto in corrispondenza del cuore, la levo subito appena me ne accorgo. “Un giorno mi piacerebbe poter provare un amore così”. La osservo piacevolmente sorpresa, è bello che pensi che il mio amore per lui abbia qualcosa di speciale rispetto agli altri. “Sono sicura che lo troverai anche te, devi guardarti attentamente attorno soprattutto alle macchinette”. Aggrotta la fronte. “Che?”. Le faccio cenno di guardare verso i distributori automatici per vedere Maxi assorto nella scelta dello snack da prendere. “Oh, porca...”. “Vai là e parlagli”. Con le labbra tremanti e gli occhi fuori dalle orbite riesce solo a proferire: “No-non po-posso...”. Le carezzo il braccio. “Tu puoi tutto, sei Natalia Navarro. L'hai dimenticato? Non c'è nessuna Ludmilla che ti ostacola, ora hai la strada spianata verso lui e qualcosa mi dice che non gli dispiaccia”. Arrossisce leggermente. “Quindi dovrei provarci?”. “Devo ricordarti la serenata che ti ha cantato sabato sera spolpo? O di quando ha urlato che sei bella come un angelo? Si sa che gli unici a dire sempre la verità sono i bambini e gli ubriachi”. Prende un profondo respiro serrando le palpebre, poi le riapre. “Okay, sono pronta”. “Brava, però muoviti che sta ritirando la merendina”. Si gira di scatto e camminando velocemente lo raggiunge, non prima di avermi rivolto un'occhiata carica di gratitudine. Dal posto in cui mi trovo sento che stanno discutendo su quale sia più buono fra il Bounty e il Twix, dopodiché le voci si fanno sempre più lontane e fievoli perché si stanno allontanando per raggiungere l'aula. Estraggo il cellulare dalla tasca del giubbotto e guardo l'ora: mancano tre minuti alle otto. “Come mai ancora qua Vilu?”. Una folata d'aria fredda m'investe, mi volto verso la porta e noto che Camilla e Federico sono rientrati. “Sto aspettando Leon”, rispondo risolutamente. In verità non è per questo, ma piuttosto che pensino che sono qua per spiarli. “Ah, noi andiamo in classe...vieni con noi? Leon sarà già là che ti aspetta”, mi dice l'italiano sorridendo. “Okay, sennò rischio di entrare in ritardo”. Ci avviamo verso la classe, lascio passare loro davanti ed io mantengo una certa distanza per non sembrare di troppo. Stanno parlando di motorini e sinceramente mi sorprende alquanto che Cami ne sappia qualcosa in materia, chissà come ci sono finiti dalla danza agli scooter. Arrivati in fondo al corridoio, svoltiamo a destra e nel frattempo arriva Leon dalla parte opposta. Appena lo vedo senza pensarci due volte lo fermo per un braccio. “Hey, che fine avevi fatto?”. In un primo momento mi guarda serio, subito dopo accenna un sorriso. “E tu perché hai ancora indosso il giubbotto?”. Lascio la presa. “Non si risponde ad una domanda con un'altra domanda”. Rotea gli occhi. “A parlare con degli amici, ora tocca a te”. “Sono uscita in cortile per cui non aveva senso che lo togliessi, penso che me lo porterò in classe e lo lascerò all'armadietto alla ricreazione perché ora non c'è tempo”. Lo scruto attentamente, ha i lineamenti visibilmente tesi. Ho detto qualcosa che non va? Non mi pare. Forse ha litigato con Lucia o ha discusso animatamente con questi suoi amici con cui dice di aver parlato... “Andiamo?”. Sta già riprendendo a camminare, allora gli chiedo: “Cos'hai?”. Si volta all'indietro e scrolla le spalle. “Nulla”. “Ti conosco, hai per forza qualcosa”. “Se ti dico che non ho niente, significa che non ho niente”. Sembra spazientito, non l'ho mai visto così. “Puoi darla a bere agli altri, ma non a me”. Incrocio le braccia appena sotto il seno con aria di rimprovero. “Violetta...è così e basta”. “Non ti cre...”. “Non insistere, lo dico per il tuo bene”. “Ah, per il mio bene? Perché potresti anche farmi male solo perché mi preoccupo per te?”, dico ridacchiando. “Non mi ha mai visto arrabbiato in vita tua e ti assicuro che non è un gran bello spettacolo, finiscila sennò mi costringi a diventarlo”. “Io, davvero, non ti capisco...”. Suona la campanella interrompendo la nostra conversazione, rimaniamo alcuni secondi a guardarci seriamente negli occhi per poi andare verso l'aula silenziosamente. Tutt'intorno è una caciara ed un via vai di studenti diretti ognuno nella propria classe, mentre noi contrariamente non proferiamo parola. Quando siamo sulla soglia, lui si accomoda sul suo banco accanto a Tomas lasciando cadere con noncuranza lo zaino a lato di esso. Mi risveglio dal fissarlo quando Fran mi chiama dall'altro lato della stanza salutandomi con la mano, ricambio e, con movimenti lenti ed insicuri, mi siedo al mio posto. Mi dà le spalle e mi sento in colpa, avrei dovuto smetterla fin da quando si era dimostrato indisponente. Ora l'ho fatto incavolare ancora di più, ma infondo volevo solamente aiutarlo. Anche se è solo per oggi, mi manca non averlo girato in mia direzione. Poso la cartella accanto alla gamba della sedia e rimuovo gli indumenti che ho usato per ripararmi dal freddo poggiandoli su di essa. Mi guardo attorno dando una veloce occhiata ai miei compagni, sono tutti riuniti in gruppetti. Cami è seduta sopra ad un tavolo e scherza assieme a Federico e Braco, Francesca è in piedi mentre chiacchiera con Marco, Nata, Maxi e Broad. Alla mia sinistra Diego sta giocando annoiato col cellulare, mentre Napo e Andrès sono vicini alla cattedra intenti a leggere qualcosa sul calendario. Manca qualcuno, lo sento. Ruoto ancora il capo rapidamente da una parte e poi dall'altra. Ludmilla è assente.

 

 

Sono in piedi accanto alla pensilina e fisso la strada assorta nei miei pensieri, oggi non ho proprio voglia di ascoltare musica anche se aiuterebbe. Non mi ha più rivolto la parola e non ho la minima idea di cosa abbia, stamattina si è ostinato a non volermelo dire. Avevo dimenticato cosa si provasse a non essere cagata minimamente da lui e questo suo atteggiamento distaccato mi fa ritornare alla mente le giornate grige e tristi dello scorso anno, quando eravamo praticamente degli sconosciuti. Dopo sei ore cariche di prese in giro e solitudine, mi rannicchiavo addosso allo stesso palo al quale sono poggiata ora con i Mars sparati a tutto volume. Ripensavo ai fatti accaduti e mi deprimevo, volevo solamente essere più forte di tutto quello. Più o meno verso meno un quarto le due, ossia cinque minuti prima che arrivasse il bus, arrivava lui in fermata. Senza un capello fuori posto, espressione da incazzato col mondo e movimenti sfrontati come se si sentisse superiore a tutti. Almeno, quella era una mia impressione. Diciamo che aveva il tipico modo di fare da stronzo a cui non gliene frega niente di nessuno, ma era una maschera che gli riusciva piuttosto bene. Dev'essere una passeggiata per lui mentire, non ho mai visto una persona farlo con così tanta naturalezza. Un semplice esempio è quando ieri ha detto a Lucia che non l'avevamo sentita entrare perché stavamo guardando dei video su Youtube, era composto e pacato mentre lo diceva per cui ha dato persino a me l'illusione che stesse realmente dicendo il vero. Guardo l'ora sul cellulare: meno venti. E' il lunedì più lungo della storia, sembra non finire mai. Sento gli ennesimi passi e mi volto ancora all'indietro per vedere se è lui, per fortuna è così. Cammina a testa bassa con le cuffiette alle orecchie e le mani nelle tasche della giacca, cosa gli sta passando per la testa? Perché è così strano? Durante l'intervallo ha parlato con tutti tranne che con me, sono per caso io il problema? Finito il vialetto, svolta subito per sedersi nel muretto adiacente e si toglie lo zaino dalle spalle. Rovista all'interno di un taschino di esso ed estrae un pacchetto di sigarette, se ne accende una e lo rimette dentro. Il fatto che non mi cerchi mi irrita un sacco. Posso comprendere tutto, ma ignorarmi non ha proprio senso. Vado o non vado? Vado. Silenziosamente mi dirigo verso di lui per sedermici accanto, appena mi accomodo mi rivolge un'espressione indecifrabile. Getta il mozzicone a terra, lo calpesta e si leva gli auricolari. Ci specchiamo l'uno negli occhi dell'altro senza dire nulla come stamane, le condense dei nostri respiri si fondono assieme. “Suppongo tu abbia qualcosa da dirmi”. Mi mordo forte l'interno guancia, devo saper usare bene le parole altrimenti rischio di farlo innervosire di nuovo. “Perché?”. L'unica cosa in grado di uscirmi. Effettivamente non c'è niente di meglio per esprimere ciò che ho da chiedergli: il perché. “Scusami, oggi non è giornata”. Scuoto il capo con vigore. “Non è che se hai una brutta giornata devi evitarmi, sono qua apposta per aiutarti e cercare di risollevarti il morale!”. Si osserva le mani quasi fosse imbarazzato. “Lo so, ho sbagliato e mi dispiace. Ogni tanto ci ricasco ancora, quando non sto bene scappo da chi mi vuole aiutare”. Poso la mia sopra le sue. “Sei perdonato. Adesso, mi dici che cos'hai?”. Ci mette un po' prima di rispondere, poi dice: “Mi sono svegliato di pessimo umore e non sto affatto bene, ho lo stomaco sottosopra e forti giramenti di testa. Spero di non avere l'influenza di cui si parla tanto perché sennò questo comporterebbe che te l'abbia passata”. Corrugo la fronte. “Quindi solo questo?”. Alza lo sguardo. “Solo? Non mi ammalo praticamente mai, tanto meno di influenza! Quando mi sento giù fisicamente preferisco stare solo e il più lontano possibile dalle persone che temo di poter infettare”. Faccio le spallucce e rido. “Beh, non dovresti farti tanti problemi perché probabilmente l'ho già presa”. Mi sistemo i guanti. “Se vuoi posso passare da te oggi pomeriggio, per aiutarti con i compiti o assisterti...”. “No!”, sbotta rapidamente. “Volevo dire...no, non serve. Riesco a cavarmela benissimo da solo, grazie per l'interessamento”. “Non c'è di che...”. Mi metto a fissare la strada di fronte a noi, cade un silenzio di tomba. E' strano, troppo strano. Perché mi tratta come se fossi una sconosciuta? Sono la sua ragazza e che diamine! Non mi ha sfiorato nemmeno per sbaglio per tutta la mattinata, mi ha evitato come la peste ed è evidente che nasconda qualcosa. Ma cosa? Ieri era tutto così perfetto, abbiamo fatto l'amore dopo diverso tempo. Che abbia intenzione di lasciarmi ora che ha ottenuto ciò che voleva? Le parole di Lara riecheggiano pesanti come macigni nella mia mente e si insinuano prepotentemente imponendomi di dare ascolto ad esse: 'Sappi solo che ottenuto ciò a cui mira, ti lascerà sola ed abbandonata. Fa come me, non credere in cazzate come l'amore e non aspettarti mai niente da nessuno...soprattutto da lui'. Deglutisco e lo guardo tristemente, vorrei dire tutto ciò che mi passa per la testa e che anche lui facesse lo stesso. Non è così. Una parte di lui sarà sempre restia a dirmi la verità e solo ora capisco il peso che comporta stare con uno come lui: se ha qualche problema, si allontana e non capisco a cosa serva tutto questo. 'Da adesso in poi niente bugie, solo sincerità fra di noi', ora come ora sembra una barzelletta. Potremmo affrontare tutto assieme e spaccare i culi a chiunque, se solo lui si degnasse di non mentirmi. Faccio per dirgli qualcosa di getto, non so nemmeno cosa di preciso. Arriva però l'autobus, quindi lui si alza di scatto ed io faccio lo stesso. Salite le scalette, ci accomodiamo vicini e mi vedo costretta ad infilarmi le cuffiette nelle orecchie. Il silenzio che c'è fra noi è insopportabile.

 

 

                                                                                                                                                                                                                       31 gennaio 2014

Caro diario,

è da tanto che non scrivo e non so nemmeno io il motivo per cui ti ho tenuto chiuso così a lungo, sarà che ora preferisco vivere i momenti senza necessariamente riportarli su carta perché tanto so che dalla mia mente non si scinderanno mai. O forse perché sento il bisogno smisurato di armarmi di penna e scrivere tutto ciò che sento quando qualcosa non va come vorrei. Leon è strano. Oggi a malapena mi ha rivolto la parola e, quando ho provato ad insistere per sapere cosa gli passasse, si è innervosito e mi ha risposto male. Mi ha evitata per tutto il giorno, fino a quando non gli ho parlato in fermata chiedendogli il motivo di tanto mistero. Ha l'influenza o meglio, lui dice di averla. Non spicca di certo per sincerità, per cui ho preso con le pinze ciò che mi ha detto anche perché suonava molto sospetto. Perché cagare gli altri e non me se sei veramente preoccupato di infettare qualcuno? Ma soprattutto...perché rifiutare in modo così avventato la proposta di andarlo a trovare questo pomeriggio? Ho provato a mandargli un paio di messaggi, ma il suo ultimo accesso risulta alle due e sono passate più di tre ore. Non voglio essere il tipo di ragazza pressante, però così mi spaventa. Mi vuole mollare. Cerco di non pensarci, ma sembra si stia prendendo del tempo per allontanarsi da me e meditare sul da farsi. Non voglio perderlo, è fondamentale per riuscire ad andare avanti. Non può andarsene, non può abbandonarmi...non ora. Ho bisogno di lui, adesso più che mai. Mi sono finalmente aperta al mondo dopo anni, se dovesse lasciarmi mi richiuderei a guscio all'istante. 'Sociofobia, depressione cronica, attacchi di panico e ansia, allucinazioni'. Sono schedata così al centro. Fatico perfino a scriverlo, mi trema la mano. Sono ancora malata, so di esserlo. Certe cose me le porterò dietro per tutta a vita, per sempre. Qualche sintomo resta ancora: la costante insicurezza, il detestare di essere al centro dell'attenzione, le iperventilazioni improvvise, il bloccarmi quando voglio dire qualcosa. Per fortuna ora non ho più così paura delle persone, dei contatti umani e non credo che tutti vogliano solo il mio male o mi giudichino dalla testa ai piedi. Certo, temo ancora il giudizio altrui ma ci sto lavorando. Alla fine l'uomo necessita di vivere in una comunità, non da solo e se ho rischiato l'esaurimento è stato anche per questo. Ora sto per spiccare il volo, mi sto gettando nel vuoto contando sulla forza delle mie ali. Non credo di farcela da sola, in un primo momento ho bisogno di qualcuno che mi sostenga e poi la mia precaria autostima mi permetterà di volare. Non se ne può andare. Per non cadere ci dev'essere lui, il ragazzo di cui mi sono innamorata alla follia. Gli sarò infinitamente grata per l'aiuto che mi ha dato nel suo piccolo, il quale ha comportato un grande cambiamento. Magari sto stilando delle conclusioni affrettate, ma con il suo comportamento ombroso come pos

 

 

Nel comodino suona il cellulare facendomi sobbalzare, lascio perdere ciò che stavo scrivendo lasciando pure una parola a metà e lo afferro. E' una chiamata in arrivo da parte di Fran, perché mi sta chiamando a quest'ora? A parte il fatto che predilige i messaggi di testo e se mi chiama lo fa col fisso. Con espressione accigliata, premo su 'rispondi' e lo porto all'orecchio. “Pronto?”. Sento un fiato affannoso. “Fran, che stai facendo?”. “Mi sono nascosta dietro ad un albero”. “Che? Dietro un albero? Fran dove sei? Mi stai facendo preoccupare”. “Li sto spiando”, bisbiglia. “Chi?”. Fa una breve pausa, il suo respiro è tornato regolare. “Leon e Ludmilla”. Una fitta lancinante mi colpisce lo stomaco, come se mi avessero accoltellato con una lama tagliente. “Co-cosa?”. E' l'unica cosa in grado di uscirmi, la voce si fa stridula e mi si spezza. “Sono in centro per raggiungere mio fratello al negozio e sono dovuta passare per il parco principale, li ho visti seduti in una panchina assieme e non ho esitato a chiamarti”. Mi mordo il labbro con forza facendomi male, il sapore metallico del sangue mi invade la bocca. “Che stanno facendo?”. “Sembrerebbe niente, stanno parlando...oh, aspetta! Adesso l'ha abbracciata!”. Gli occhi mi si velano di lacrime, cerco di ricacciarle indietro ma non ci riesco. Infondo sono in camera mia, non c'è nessuno che mi stia guardando. “Vilu, ci sei? Stai piangendo? Scusami, non avrei dovuto dirtelo...”. Tiro su col naso. “No, tranquilla. Hai fatto più che bene, ho capito molte cose”. Porto le ginocchia al torace, le premo contro di esso come se servisse ad alleviare il dolore. Il mio stomaco verrà dilaniato prima o poi, me lo sento. “Non credevo fosse così...così...”. “Stronzo? Meschino? Bugiardo?”, dico fra i singhiozzi. “Non traiamo conclusioni affrettate, però. Infondo non stanno facendo nulla di male, stanno continuando a parlare”. Rido amaramente. “Apprezzo il tuo buonismo, ma non mi pare il caso”. “Un abbraccio è una cosa innocente”. Mi passo la lingua sul labbro inferiore per placare la fuoriuscita di sangue. “Mi ha mentito, Fran! Aveva detto che stava male e che oggi pomeriggio se la sarebbe cavata da solo a casa sua”. “Oh...sul serio?”. “Sì”. C'è un momento di silenzio, lei non trova le parole ed io continuo a piangere. “Con lei...”. “Già, con lei”, le rispondo. “E' un cretino, lasciatelo dire”. Col braccio libero avvolgo le gambe e dondolo avanti e indietro. “Lo sapevamo praticamente da subito, ma credevo fosse cambiato per te”. “Le persone non cambiano...mai”. Mi asciugo il viso con il dorso della mano. “Quello sei e quello rimani”. “Mi spiace”. “Tranquilla, passerà come tutte le volte che ho sofferto per lui. Anche se adesso sarà decisamente più difficile...”. “Lo sapevo che l'estate scorsa stavi male per lui e non per quel Diego”. Sospiro anche se mi esce una specie di lamento. “Non credevo si sarebbe abbassato a tanto perché fino a che se la passa con le sgualdrine è un conto, ma con te è diverso”. Parole differenti, ma stesso concetto di Lara. Lei mi aveva avvertita ed io non l'ho voluta ascoltare. Stupida, stupida, stupida. “Vilu?”. “Ho bisogno di stare sola”. Quasi mi soffoco con la mia stessa voce, ne risulta un suono aspro ed incrinato. “Come vuoi, chiamami appena ti senti meglio”. “Certo, lo farò”. Metto giù e riposo con estrema calma il cellulare sopra al comodino, forse troppo pacatamente. Lo sguardo si posa sul mio diario sopra al letto, lo sfoglio rapidamente e ciò che leggo a ripetizione è il suo nome. In ogni riga, in ogni pagina. Lo getto rabbiosamente contro il muro e così faccio anche con la penna, riprendo a piangere più intensamente di prima. Gli occhi strizzati, il viso contratto in una smorfia disperata e la bocca spalancata dalla quale mi escono dei gemiti. Mi sto comportando come una bimba che si è appena fatta male cadendo a terra. Una bimba. Inizio ad odiare questa parola. Infosso il viso in una mano e con l'altra mi copro la bocca per ammortizzare un urlo gutturale. Ci sono andata a letto insieme, sono cretina tanto quanto lui. Ho fatto tutto quello che voleva ed ecco il risultato: mi mente per correre fra le braccia della sua ex. Eppure sembrava sincero, credevo fossi l'unica persona alla quale dicesse sempre e solo la verità. Mi sbagliavo. Chissà a quante avrà detto la cazzata del 'Io non so amare' per poi dire loro di amarle e farle sentire speciali, chissà quante volte avrà raccontato la sua storia fingendo di non averla mai confessata a nessuno per non far loro dubitare del suo 'amore'. E tutti i progetti futuri? Stronzate. Il viaggio negli States, il concerto, la cena di dopodomani...tutto sfumato. Tutto per la sua voglia di avere sempre una ragazza nuova a sua disposizione, si sa che i giocattoli vecchi attirano meno. Perché Ludmilla? E' un giocattolo vecchio, se così si può dire. Forse è la più facile fra quelle che ha avuto, probabilmente è così. Senza rendermene conto, mi butto a peso morto all'indietro sprofondando nel materasso. Volto il capo a destra in direzione del comodino, lo chiamo? Allungo il braccio verso il telefono, ma cade a penzoloni perché mi mancano le forze. Allora mi rannicchio a uovo posata su un lato, gli occhi gonfi e la bocca martoriata da tagli dovuti a morsi troppo forti. Stasera non ho voglia di cenare, non ho fame. Non voglio nemmeno vedere papà, né nessun altro. Quindi chiudo le palpebre e lascio che il sonno mi porti in altri mondi, il più lontano possibile da tutto questo. Ricordi della sua figura si stagliano nella mia mente e nonostante cerchi di rimuoverli persistono. Ad un certo punto tutto diventa confuso, le immagini si fondono assieme senza un senso logico e scorrono rapidamente una dopo l'altra: Ludmilla che mi sorride maliziosa, Lucia che mi abbraccia, papà che mi viene a prendere al centro, il concerto dei Mars dello scorso anno, Angie seduta alla cattedra con espressione severa, un messaggio di Diego, Fran che ride, mamma un attimo prima dell'incidente ed infine Leon che mi sussurra 'Ti amo' mentre facciamo l'amore. Poi il buio.

 

 

ANGOLO DELL'AUTRICE

Ciao a tutti! Come avete visto, sono tornata. Premettiamo che a livello di contenuto so già che il capitolo non vi piace, ma credetemi se vi dico che tutto questo sarà necessario. Alors, Leon nasconde qualcosa: evita Vilu e non si capisce cosa abbia, dice di essersi beccato l'influenza anche se dopo si scopre che in realtà deve incontrarsi con Ludmilla. Cosa starà accadendo? Perché tanto mistero? Di cosa stavano parlando al parco? Ma soprattutto...perché le ha mentito? Ha tutta l'aria di essere un tradimento oppure che sia intenzionato a lasciarla, ma sarà così? Beh, tutte le risposte a questi interrogativi verranno svelate nel prossimo capitolo! Voi cosa ne pensate? Come giustificate il suo comportamento? Ora tutti lo detesteranno e ne sono sicura, ma Leon è senz'altro il personaggio più complesso che ci sia nella fanfiction. Ha un carattere particolare e non di certo facile, ma del resto anche la nostra Vilu è complicata. Solo che della protagonista sappiamo tutto perché la storia è in prima persona, di lui fatichiamo a capire certi suoi atteggiamenti perché ciò che gli passa per la testa ci resterà sempre oscuro. Ovviamente fatta eccezione per me che solo l'autrice u.u Visto che non ho nient'altro da aggiungere, ringrazio chi recensisce e chi mette la storia fra le preferite e le seguite!

Besitos,

Gre

  
Leggi le 10 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Serie TV > Violetta / Vai alla pagina dell'autore: GretaHorses