Serie TV > Violetta
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Autore: GretaHorses    05/08/2014    9 recensioni
"L'intera aula viene invasa da una risata generale e sì, la battuta pessima arriva proprio dal vicino di banco di Andrès, dal deficiente. Se c'è qualcuno che odio più di Ludmilla in questa classe è proprio lui. E' arrogante, viziato, ignorante e pure troglodita! Mi domando come possa una persona essere così tanto sfaticata perché essere bocciati due volte è proprio da somari e soprattutto ad aver avuto così tante ragazze a soli diciassette anni! Da quando cavernicolo è bello?"
E' la mia prima fanfic su Violetta, per favore non aggreditemi D:
Genere: Commedia, Fluff, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Leon, Un po' tutti, Violetta
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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                                                                           CAPITOLO 21

 

 

 

E' una di quelle mattine in cui avrei voluto restarmene nel mio letto, al caldo e lontano da tutti. Non ho nemmeno richiamato Fran, ma mi sono addormentata quasi subito ieri per cui sono giustificata. Non le telefonerei nemmeno adesso perché non mi sento meglio, forse peggio. Ho finto anche di essere malata, ma, viste la mie doti recitative pari a quelle di una sedia, papà non ha abboccato e mi ha spedito a scuola. Un giorno di assenza non avrebbe fatto male, però non ammette che io stia a casa per niente. Per niente. Ho i miei motivi validi per farlo, avrei potuto fargli una lista lunghissima sui perché: Leon, Ludmilla...in verità ci sono solo loro due, ma basta e avanza. Almeno l'ho convinto a portarmi in macchina, qualcosa si può dire che abbia ottenuto. Se avessi preso il bus, avrei visto di sicuro lui e non avrei potuto sopportarlo. Non sono solo triste e delusa, stamattina al mio risveglio ho scoperto di essere incazzata nera e di avere una rabbia disumana che mi ribolle nel sangue. La mia testa esploderà, troppi sentimenti messi assieme per una come me. Non uno alla volta come le persone normali, ho rinunciato ad avere un pizzico di normalità già da anni. Scuoto il capo come per eliminare tutti i pensieri che mi attanagliano la mente, graffiano e premono contro la scatola cranica. Non devi pensare, concentrati su ciò che stai facendo. Inspiro, l'aria sembra perfino bruciarmi quando entra nei polmoni. Espiro profondamente, non tralasciando neanche un soffio. Infilo le mani dentro l'armadietto e rovisto per bene, non passa molto tempo prima che trovi qualcosa di suo. Estraggo il suo libro di laboratorio artistico e lo poso a terra, cerco meglio e trovo pure un suo modellino. Continuo la mia ricerca e mi ritrovo fra le mani i suoi colori acrilici, le sue squadrette ed un suo album. Poggio tutto nello stesso posto e frugo ancora con la testa praticamente all'interno di esso. “Buongiorno, bimba”. Il mio corpo s'irrigidisce tutto su un colpo, ma provo a non darlo a vedere. “Ti è passata molto in fretta l'influenza”, dico senza nemmeno guardarlo in faccia. “Dicono siano sintomi dovuti allo stress”. Afferro un suo disegno e lo metto assieme alle altre cose, dopodiché chiudo il tutto. “Che stai facendo?”. Mi volto verso di lui. Ha un'espressione accigliata, poi indica il mucchietto. “Quelle cose sono mie?”. Scrollo le spalle. “Impara a ricordarti le chiavi del tuo armadietto, nel mio ci sono più cose tue che mie e di Fran”. “Avevi detto che non sarebbe stato un problema...”. Raccolgo i suoi oggetti e glieli porgo. “Portateli via, occupano solo spazio e basta”. Drizza un braccio e mi mostra una busta marroncina. “E con ciò? Non puoi prendere le tue cose perché hai le mani occupate?”. “No, è per te”. Sono stanca di dover riprendere e riappoggiare le cose e, roteando gli occhi, le rimetto a terra. “Cos'è?”, chiedo con voce priva di emozione. “Scoprilo tu stessa”. Afferro il sacchetto e lo apro: un bombolone alla crema. Lo osservo per alcuni secondi, poi lo chiudo e gli sorrido falsamente. “Ho pensato che fosse un modo per scusar...aspetta! Che fai?!”. Raggiungo un cestino poco distante e lo getto all'interno rabbiosamente, mi viene incontro di corsa. “Perché lo hai fatto?”. “Chiedilo a Ludmilla perché l'ho fatto, potreste incontrarvi al parco centrale oggi pomeriggio e discuterne là...che ne dici? Mi sembra una brillante idea!”. Serra la mascella e si mette a braccia conserte. “Chi è stato a dirtelo?”. Sento il sangue defluire bollente in ogni parte di me, che importanza ha chi mi ha riferito l'informazione? Il meschino qui è lui, non chi mi ha avvertita! “Cosa te ne frega? Lo so e basta, dovresti vergognarti”. Allarga le braccia. “Vergognarmi di cosa? Non ho fatto niente di male!”. “Mi hai trattato di merda tutto il giorno e detto bugie su bugie, come faccio a fidarmi di te? Poi ti vedono con la tua ex e...bingo! C'è qualche cazzata che ti sei dimenticato di fare, Leon?”. “Ti giuro che non ho fatto niente!”. Cala il silenzio e ci specchiamo negli occhi, chissà perché quando litighiamo c'è sempre un momento di stallo in cui ci zittiamo per guardarci. E' paonazzo in viso e ha le vene del collo pulsanti, non oso pensare a come sia ridotta io. Porto le mani ai fianchi e mi avvicino, per un istante mi balena in testa l'idea di baciarlo. Che cosa stupida. “Se è vero che non hai niente da nascondere e non hai combinato nulla, adesso dimmi: cosa ci facevi al parco assieme a lei?”. Il mio tono è minacciosamente pacato, lui abbassa lo sguardo. “Non puoi saperlo”. Lo supero tornando davanti al mio armadietto, mi accuccio e prendo le sue cose per poi pressargliele contro il petto. “Per me è sufficiente”. Gli do le spalle e mi incammino per il corridoio, mi afferra per un braccio. “Aspetta! Amore mio, non fare così!”. Un pugno allo stomaco. Quella parola è un pugno allo stomaco. Meccanicamente ruoto il capo per vederlo in volto, ha il viso contratto in una smorfia. Con una mano mi sta bloccando il polso, con l'altra sorregge i suoi oggetti tenendoli premuti contro il torace. “Non chiamarmi in quel modo”, sibilo. “Mollami!”. “Credimi se ti dico che vorrei dirtelo, ma non posso”. Mi mordo il labbro inferiore, nonostante sia devastato. Altro sangue, altro sapore metallico. “Non credo a ciò che dici, non credo a te...”. Mi libero con uno strattone. “...e non credo al tuo amore”. E' una frase dettata dall'impulsività, non so nemmeno se lo penso realmente. Deglutisce e molla la presa, si mette a ridacchiare scuotendo il capo. “Non mi sento neanche di offenderti, Violetta. Dico solo che sei come tutto il resto della gente in questa scuola, in questa città...tu non hai capito un cazzo di me”. Infila una mano in tasca, estrae delle chiavi ed apre il suo armadietto. Scaraventa tutto dentro senza un minimo di cura e lo chiude sbattendo forte l'anta, dopodiché se ne va lasciandomi sola con la bocca semiaperta. No, non devo provare compassione per lui. Si è comportato male, è un dato di fatto. Non devo sentirmi in colpa per niente, lui ha sbagliato e lui ne paga le conseguenze. Cerco di mettere a tacere il rimorso ingozzandolo di rabbia, concentrandomi solo sul fatto che in questo momento sono arrabbiata perché nonostante tutto non si è degnato di darmi una spiegazione al suo comportamento. Però adesso lo è anche lui e mi fa quasi paura, mi dà come l'impressione che possa spaccare la faccia al primo che gli capiti sotto tiro solo perché è alterato per gli affari suoi. Raccolgo il mio zaino e percorro tutto il corridoio fino ad arrivare alle mie adorate panchine. Mi siedo a peso morto e sbuffo rumorosamente, quando finiranno queste orribili giornate? Apro la cerniera ed estraggo il libro di biologia, ripassare aiuterà. Inizio a sfogliarlo, ma ci sono due pagine attaccate fra loro e dalla foga di staccarle ne strappo una. Digrigno i denti e serro le palpebre, chiudo il libro e lo getto a destra. Con la coda dell'occhio noto una presenza poco distante da me, mi volto e vedo Diego intento a guardarmi con un bicchierino di caffè in mano. “Che hai da guardare?”, sbotto rabbiosa. “Uno, in questa panchina sono seduto da prima di te. Due, sei tu che ti sei messa qua. Tre, dovresti smetterla di fare tiri da psicopatica se vuoi evitare di essere guardata”. Sorseggia un po' del contenuto inarcando un sopracciglio. Effettivamente ha ragione, sto praticamente grugnendo inferocita sotto ai suoi occhi. “Scusami, sono arrabbiata”. “Non si era notato molto”. Mi sfugge un sorriso. In condizioni normali non lo farei, ma ho solo bisogno di questo. “Che stai facendo qua tutto solo?”. Fa le spallucce. “Penso e mi tengo sveglio col caffè”. “Come va con i tuoi?”. Perché gli sto chiedendo della sua vita? Quando ci sentivamo mi raccontava abbastanza dei suoi problemi in famiglia e forse erano gli unici momenti in cui mi sembrava simpatico. “Il solito, come vuoi che vada?”. Giocherella con il cucchiaino. “Quindi non si è risolto proprio nulla? Non vanno ancora d'accordo?”. Nega con la testa. “Litigano in continuazione anche a distanza di anni e si telefonano solo per sbraitarsi dietro i peggiori insulti per ogni minima stronzata, l'unica ignara di tutto è Michelle”. Michelle è la sua sorellina più piccola che avrà sui cinque anni, i suoi genitori sono divorziati e lui non sembra averlo preso bene. “Meglio così, è troppo piccola per vivere certe cose”. “Non ero tanto più grande quando le ho vissute io”. “Non ti trovi meglio ora? Piuttosto di averli in casa che litigano, è meglio che stiano separati e si siano rifatti una vita”. Accartoccia il bicchierino con un solo gesto, forse ho toccato un tasto dolente. “Mia madre non capisce un cazzo”. “Diego, cerca di...”. “No, Violetta! Non cerco di capirla, di biasimarla...ha sbagliato, punto. Qual è il senso di trasferirsi dall'altra parte del paese per risposarsi? Non poteva venire lui con sua figlia qua a Buenos Aires in modo che io e Michelle potessimo vedere papà? E' egoista e non ha pensato al bene mio e di mia sorella, ma al suo. Ha messo la sua felicità davanti alla nostra e mi è toccato passare il primo anno di superiori via da qui, è stato un inferno tanto che sono stato pure bocciato. E di chi è la colpa? Mia, certo...ma anche sua perché non mi applicavo per il disagio che provavo costantemente in quella cittadina schifosa. Odiavo la gente, i miei compagni, il posto...tutto. La mia sorellastra, poi, era una rompipalle seriale e dovevo pure dividerci la camera con quella, poi si domanda perché me ne sono tornato da papà”. Per quanto mi sforzi di comprenderlo, non ci riesco appieno perché non ho mai vissuto una situazione come la sua. Avere entrambi i genitori, ma divisi. Dev'essere tremendo. “Non vedo mia sorella da sette mesi...”. Tiene lo sguardo abbassato e riesco a leggere un velo di malinconia nei suoi occhi, è fragile come tutti nonostante voglia dimostrare il contrario. “Devi volerle molto bene”. Anche qua, non capisco cosa si provi ad avere un fratello o una sorella. Non ho mai dovuto condividere l'amore dei miei genitori con nessun altro all'infuori di me, io e Diego apparteniamo a dimensioni completamente diverse. “Sì, mi sono sempre preso cura di lei fin da piccola. Sono ancora fermamente convinto che lei meritasse più di tutto questo, infatti i miei si separarono quando lei aveva qualcosa tipo nove mesi. Mia madre mi ha rifilato una sberla in faccia quando le ho detto ciò che pensavo...”. “Cosa le hai detto?”. Sospira. “Il giorno della mia partenza da Buenos Aires ero seduto in macchina accanto a lei mentre Michelle dormiva pacifica nei posti dietro, mi chiese perché tenessi il muso da tutto il viaggio e le risposi che per colpa del suo egoismo ci aveva fatto allontanare da papà più di quanto non lo fossimo già. Poi guardai verso la mia sorellina e le dissi che lei meritava molto di più di tutto ciò e che almeno io sapevo cosa significasse avere una famiglia unita dato che l'avevo provato sulla mia pelle per dieci anni. Mi corressi, otto anni era più veritiero perché in pratica gli ultimi due, nonostante agli occhi di tutti fossimo felici, erano un litigio dietro l'altro e tante volte papà finiva col stare in hotel per giorni. Puoi immaginare come mi sentivo? All'epoca ero figlio unico. Poi diede alla luce Michelle, creatura nata dal disperato tentativo di ricucire un rapporto che si era già sfaldato da un bel pezzo. Le dissi che i figli non vanno fatti per salvare i matrimoni, ma per amore e mi arrivò un bello sberlone dritto sulla faccia”. Mima il gesto di darsi un ceffone. “Tua sorella come si trova lì?”. “Meglio di me di sicuro”, sghignazza. “A settembre comincerà le elementari e si è fatta degli amici, mentre io sono arrivato probabilmente troppo tardi. Una fetta di vita l'avevo già vissuta e mi era difficile ambientarmi in un contesto completamente differente, mi trovavo meglio qui per cui, alla fine dell'anno scolastico, presi la decisione di andare a vivere con papà”. “Tornerai da loro?”. “Credo che in giugno ci andrò come ho fatto l'estate scorsa, un mese fa è nato Miguel, figlio di mia madre ed il suo compagno, per cui mi vedo quasi costretto viste le telefonate insistenti. L'unica cosa che mi lega a quella famiglia, che non sento mia, è Michelle. Se non fosse per la mia sorellina, non andrei mai fino a laggiù”. Non so perché, ma gli poso una mano sulla spalla. “Sai cosa penso? Sempre che il mio parere valga qualcosa. Penso che tu non ti renda conto della fortuna che possiedi, tua madre può anche aver sbagliato però è pur sempre tua madre. Nonostante tutti gli errori, sono sicura che ti ama. Vuoi provare a metterti nei miei panni? Io una mamma l'ho avuta per relativamente poco e Dio solo sa quanto ho sofferto per questo. Non sono l'unica ad avere una figura in famiglia, ci sono moltissimi altri ragazzi che hanno solo uno dei genitori”. Penso subito a Leon, quindi scaccio il pensiero. “Tu nel bene o nel male li hai entrambi e, sebbene tu dica che è un'egoista, tua madre in qualche modo ha donato a tua sorella un prototipo di famiglia unita e felice anche se manca il suo vero padre che può comunque vedere quando vuole perché non credo le sia privato incontrarlo”. Alza il capo e fissa un punto indefinito di fronte a lui. “Forse hai ragione, devo ragionarci. Sono conscio che la colpa della loro separazione sia dovuta ad entrambi, ma il trasferimento è stato un colpo troppo basso. Vorrei perdonarla, ma vedere papà soffrire a causa sua di certo non aiuta”. Immaginare Casal stare male per qualcosa è praticamente impossibile, allora dietro a quell'atteggiamento duro si nascondono dei sentimenti? Un animo umano? “Ora è più imperturbabile, ma ricordo come se fosse ieri che dopo ogni telefonata si rinchiudeva nel suo studio dicendo che aveva del lavoro urgente da sbrigare. Lo sentivo piangere, non ero stupido. Feci finta di niente però, non gli piaceva parlarne”. Il professore di matematica nonché vicepreside piange? Espelle lacrime dagli occhi? Mi si sta aprendo un mondo. “Prenditi il tempo che ti serve per rifletterci, secondo me dovresti mettere da parte il rancore perché ti rovini la vita e basta”. Sorride timidamente. “Grazie, Violetta”. “Prego, non c'è di che”. Mi porge la mano e gliela stringo, dopodiché scoppiamo a ridere e ci abbracciamo. Perché lo sto facendo? In questo momento lo sento mio amico, è strano da spiegare. Ho il viso infossato sulla spalla, alzo lo sguardo e vedo Leon in lontananza intento a parlare con Andrès. La sua vista basta per farmi staccare automaticamente, lui però non mi nota e sparisce andando verso l'aula. Ritorna a tormentarmi la mente, questa conversazione mi aveva un po' distratta perlomeno. “Violetta, cosa c'è che non va?”. Prendo il libro di testo e lo rimetto nello zaino, chiudendolo. “E' per Leon? Per come ti ha trattata ieri?”. “Tu come fai a saperlo?”, chiedo scioccata. “Lo ha notato tutta la classe che non vi calcolavate”. “Sai qualcosa di Ludmilla? Sei suo amico, dovresti sapere”. “Ludmilla?”. Aggrotta la fronte. “Ludmilla cosa c'entra adesso?”. Quindi nemmeno lui lo sa essendo suo amico, allora perché Leon? “Niente, lascia perdere”. Suona la campanella. Grazie al cielo, non avrei saputo rispondere ad una domanda in più. Ci tiriamo su ed andiamo verso l'aula silenziosamente, finito il corridoio svoltiamo a destra ed incrociamo Ludmilla. E' bianca cadaverica, ha gli occhi cerchiati ed il viso stanco. Ci lancia un'occhiata vacua per poi sgattaiolare in classe, sembra un fantasma.

 

 

Ha cominciato a piovere, sento qualche goccia colpirmi il viso ma non ci faccio caso. Va di male in peggio, oggi se possibile è stato più lungo ed interminabile di ieri. Continuo camminare meccanicamente, i miei movimenti sono dettati dalla routine e non dal cervello che è da tutt'altra parte. Non mi ha parlato. Infondo provo rimorso perché credo che in un certo senso sia anche colpa mia, però ogni volta che vedevo le occhiate che si scambiava con Ludmilla cambiavo idea all'istante. In classe si sarà voltato tre o quattro volte verso i banchi sul fondo dell'aula, lui con lo sguardo teso e la mascella serrata e lei con un'espressione vuota e persa. Non capire cosa sta accadendo mi snerva, decisamente. Anche se mi sforzo, non riesco a provare compassione per lei. In passato mi ha fatto troppe cattiverie per meritarla, è quasi impossibile. Ho chiacchierato con Diego del più e del meno, forse non è così male come pensavo. Magari parlare della sua famiglia lo ha aiutato a comportarsi in modo migliore con me, chissà. So solo che l'unico momento in cui Leon mi ha considerata è stato quando, al cambio dell'ora, stavo ridendo ad una battuta del mio compagno di banco, ho alzato la testa e mi stava fissando poggiato alla parete. Ho distolto subito lo sguardo tornando a guardare Diego, anche se con la coda dell'occhio ho visto che ha dato un pugno al muro. Per sedersi, poi, ha tirato la sedia facendo un frastuono incredibile come per attirare l'attenzione. Probabilmente è solo un'impressione mia. Rabbrividisco ed imbocco il vialetto incorniciato da alberi che porta alla fermata, almeno questa giornata scolastica è terminata. “Violetta!”. Una voce conosciuta, ma più fievole ed incrinata. Mi fermo per poi proseguire, fingo di non averla sentita. “Violetta, ti devo parlare! Aspettami!”. Mi volto all'indietro, Ludmilla ha gli stessi occhi vitrei ed i calamari scuri. Si avvicina finché a dividerci sono pochi centimetri, è senza trucco ed ha la chioma legata in uno chignonne spettinato. La pioggia inizia a scendere un po' più insistentemente, inumidendo il mio cappello e lasciando delle goccioline simili a rugiada lungo i suoi capelli biondi. “Che vuoi?”. Le labbra screpolate le tremano. “Volevo parlarti di Leon”. Alzo una mano come per fermarla. “Non sono in vena di sentir parlare di lui tanto meno da te, cosa sei venuta a fare? A sbattermi in faccia qualcosa? Cosa vuoi dimostrare?”. “Lo so che ama te, smettila di fare così!”, mi urla contro scoppiando in lacrime. Il mio corpo s'irrigidisce tutto su un colpo, mi sento sempre a disagio quando qualcuno piange di fronte a me tanto più se è la Ferro. “Se ti ha mentito, lo ha fatto ha fatto perché è una brava persona”. Scuoto il capo. “Non capisco”. Tira su col naso. “Sono io che non ho voluto che parlasse, gli ho chiesto espressamente di non dire niente a nessuno. Non l'ha fatto per farti star male, lo ha fatto perché l'ho pregato di mantenere un segreto”. Mi metto a braccia conserte. “Che genere di segreto?”. Si asciuga il viso con il dorso della mano. “Se questo aiuta a farti entrare in quella testa di rapa che lui non è uno stronzo, allora te lo dirò...”. Abbassa lo sguardo. “Mia madre è morta un anno e mezzo fa di cancro ed a mia sorella minore è stata diagnosticata la stessa patologia”. Strizza le palpebre con il volto contratto in una smorfia di dolore. “Papà è sempre via per lavoro e ci ignora, se dovessi perdere anche lei...io...”. Nasconde la faccia nelle mani emettendo dei lamenti. “Mi spiace, non credevo fosse per questo che ieri era nervoso”. Alza il capo, ha gli occhi gonfi ed arrossati. “Leon ha un cuore enorme e l'ha presa anche lui molto male perché mi era stato vicino poco dopo la morte di mia madre e conosce personalmente mia sorella. Ti chiedi il perché della mia fissa con lui? Semplice, è l'unico che sa più di tutti. Mi sono aperta più volte a lui ed ha vissuto il mio dolore come se fosse il suo, nonostante tutto è una delle persone migliori che conosca”. Non sta mentendo, lo vedo. E' sincera, lo si capisce dalla sofferenza di cui sono intrise le sue parole. “Non credo di essermi innamorata di Leon seriamente, lui è più una sbandata. Attualmente per me è solo un amico però è anche una delle persone più importanti, era ora che lo sapessi. Ovviamente per lui non valgo così tanto...”. Fa una breve pausa per guardarmi negli occhi. “...la più importante per lui sei tu”. Mi manca il respiro, come se mi avessero aspirato tutta l'aria dai polmoni. “Ed ammetterlo mi è stato davvero difficile. Facevo finta di non notarlo, non c'è miglior ceco di non vuol vedere. Ma è così palese...il modo in cui gli brillano gli occhi quando parla di te, il fatto che si agita anche solo quando parli con un tuo amico, la foto in cui vi baciate come sfondo del cellulare, il sorriso che gli si forma ogni volta che ti guarda, il ciondolo con la tua iniziale appeso ad un braccialetto...”. Sento lo stomaco contorcersi, questa volta per l'emozione. Ha aggiunto al bracciale una 'V' e non me ne sono nemmeno resa conto, aveva detto che ci avrebbe aggiunto solo le cose importanti per lui. Mi sento una stupida, gli ho anche detto in faccia che non credo al suo amore. Come ho fatto a dubitare di lui? “...e scusami se sono stata accecata dalla gelosia e dall'invidia nei tuoi confronti tanto da trattarti così male, sono coscia di averti fatto soffrire e mi dispiace. Me lo ha fatto capire proprio lui ieri, è riuscito a farmi riflettere ed ho compreso di essere solo una vigliacca. E nonostante mi comportassi in modo aggressivo sottomettendoti, quella forte sei sempre stata tu. Io esercitavo potere sulle persone solo per avere l'illusione di poter fare qualsiasi cosa, ma non era così. Sono estremamente fragile e dentro sono tutta frantumi, non ho mai superato la perdita di mamma e se dovesse lasciarmi pure Marisol rischierei di impazzire”. “Tuo padre come l'ha presa?”, domando. “Lo scoprirò solo quando tornerà dal viaggio d'affari in Colombia, le domestiche sono disperate tanto quanto me. Ci hanno viste crescere e sono delle figure più vicine a noi che nostro padre. Ovviamente non si tratterrà qua per molto, rimarrà a Buenos Aires per una settimana e poi partirà per l'Europa e chissà fra quanto lo rivedremo. E' una delle principali giustificazioni alla mia costante sensazione di sentirmi abbandonata...”. Le poggio una mano sulla spalla. “Se solo ti comportassi in modo migliore con le persone, la gente ti starebbe più vicina. Fidati, lo so. Se respingi chi cerca di darti aiuto maltrattandolo od estraniandolo come facevo io, è ovvio che ti ritroverai sempre sola a gestire i tuoi problemi”. Sorride tristemente. “Sei troppo buona, Violetta. Non merito il tuo aiuto, né quello di nessun altro”. Inspiro profondamente, non so se mi pentirò di ciò che sto per dire. “Leon cerca di aiutarti e se vuoi pure io posso farlo, ti staremo vicini se necessario”. La pioggia è sempre più battente, siamo zuppe in mezzo al vialetto però non ce ne importa nulla. “Se mostrassi agli altri ciò che veramente sei e hai da dare, tutti ti apprezzerebbero di più e qualcuno, magari, ti starebbe accanto in questo momento difficile. Anch'io ho perso mamma, in circostanze completamente differenti ma è pur sempre successa la stessa cosa. Certo, la morte di tua madre dev'essere stata più dura perché l'hai vista appassire giorno dopo giorno sotto ai tuoi occhi, mentre quella della mia è stata istantanea. Abbiamo però entrambe pianto ad un funerale, posiamo regolarmente dei fiori nuovi sopra le loro lapidi e dedichiamo pensieri a loro ogni giorno. Non siamo poi così tanto diverse, Ludmilla. Eccetto per il carattere, ognuno ha il suo modo di reagire al dolore e tu l'hai fatto in maniera totalmente differente. In un certo senso riesco a compatirti e sapere che stai rivivendo lo stesso inferno, mi porta ad offrirti il mio aiuto e a darti il mio perdono”. Di slancio mi abbraccia, subito sono come un asse di legno ma dopo, sforzandomi un po' lo ammetto, contraccambio. “E' strano, le uniche persone disposte a fare qualcosa per me sono il mio ex e la ragazza che ho sempre detestato perché piaceva, appunto, a lui”. Il suo respiro è irregolare, intervallato da singhiozzi sommessi. “E' sempre stato affascinato da te”. Sciolgo l'abbraccio e la tengo per le spalle. “Come, scusa?”. “Se una cosa è troppo facile da avere, a Leon non interessa”. La guardo torva. “Non sono la più bella, non sono la più simpatica e non ho fascino”. “Che c'entra? Sei sempre stata carina e misteriosa. Secondo me è per questo che ti osservava spesso, cercava di capirti e voleva scoprire cosa si nascondesse dietro a quello sguardo ingenuo ma al contempo duro, come se avessi visto cose che noi non potremmo nemmeno immaginare. Non so moltissimo di Leon, ma so che ha passato momenti veramente difficili e che forse era attratto da te per questo aspetto: vedeva qualcosa di simile a lui”. Quindi anche lei se n'era resa conto. Interesso a lui fin dall'inizio e tutti nella sua compagnia sembravano averlo notato, mentre io ero palesemente cotta agli occhi di tutta la classe. Come abbiamo fatto a non accorgercene per due anni di scuola? Lo avevano capito tutti tranne noi, in pratica. “Non parli, Violetta?”. Scuoto il capo come per riordinare i pensieri. “No, è che mi sento una cretina ad aver dubitato del mio ragazzo”. “No, non sei una cretina! Credo sia normale, insomma...ti mente e poi viene visto con un'altra ragazza, non dev'essere molto carina come cosa”. “Effettivamente”. “Mi scuso ancora per i problemi che ho causato alla vostra relazione, è solo che non volevo che nessuno sapesse della mia vita privata e l'ho pregato di non farne parola con nessuno. Scusa, non credevo avrebbe reagito in modo così strano non parlandoti!”. “Scuse accettate. Hai un ombrello?”, chiedo ridacchiando. Le gocce sono aumentate di numero e velocità e fra non molto un acquazzone si riverserà su di noi. “Oh, certo”. Apre una tasca esterna dello zaino, estrae un ombrellino lilla e lo apre facendomi posto accanto a lei. Ci dirigiamo assieme fino alla fermata, lei mi terrà compagnia finché non arriva il bus dal momento che Leon si è fatto portare a casa da dei suoi amici di quarta. “Se ti va...potresti venire a casa mia un giorno”, dice timidamente. “Certo, volentieri”. Le sorrido per infonderle forza. “Vorrei rimediare a tutto il male che ho fatto, magari conoscendoci meglio. So che non sarà possibile del tutto, ma ci voglio provare. Mi sembri una persona in gamba, anche se lo pensavo di te già da tempo”. Inarco le sopracciglia sorpresa. “Sul serio?”. “Certo, ne sono convinta. Ti ho temuta, in un certo senso, da sempre per questo”. Un rumore stridente di vecchia ferraglia ci aggredisce le orecchie, mi volto e sta per arrivare l'autobus. Quando si ferma, la guardo e le dico: “Grazie per avermi riparata anche se per poco”. “Non c'è di che, a domani”. Faccio una breve corsetta per raggiungere le scalette, mentre sto salendo mi urla: “Violetta, hai il mio numero?”. “No! Scrivimi dopo su Facebook, me lo darai là”. “Va bene”. Le porte che ci dividono si chiudono e mi accomodo su un posto, oggi ci sono meno persone rispetto al solito sarà che alcuni si son fatti venire a prendere in auto. Guardo fuori dal finestrino e saluto Ludmilla con la mano, contraccambia ed il bus riparte. Mi infilo le mani in tasca ed estraggo le cuffiette, spero solo che vadano con tutta la pioggia che ho preso. Le attacco al cellulare e faccio partire 'Can you feel my heart?' dei Bring Me The Horizon, funzionano grazie al cielo! Sembra surreale ciò che è successo poco fa, Ludmilla che implora il mio perdono e che mi racconta cose intime per salvare il rapporto fra me e Leon. L'esperienza deve averla talmente scossa da farsi un esame di coscienza e mettersi il cuore in pace. Tutti possono cambiare, sono una stupida ad aver affermato il contrario ieri al telefono con Fran. Gli scream di Oli Sykes non sembrano infastidirmi, anzi alzo il volume al massimo. Entro su Facebook per ammazzare il tempo anziché fissare sempre il solito paesaggio, la prima cosa che mi appare nella home è uno stato di Leon. 'Giornata di merda. Non parlatemi, non toccatemi, non scrivetemi...sono incazzato nero! Ah, non commentate neanche questo stato perché tanto non vi rispondo'. Sento una fitta allo stomaco, questa storia deve finire. Scrivergli un messaggio? No, è tutto più fraintendibile. Queste sono cose che vanno affrontate di persona, ma per incontrarlo dovrò aspettare fino a domani e voglio chiarire al più presto questa faccenda. Devo escogitare qualcosa.

 

 

Rabbrividisco e mi sfrego le mani contro le braccia, è il primo febbraio eppure si muore di freddo. Non c'è il minimo accenno di primavera, è tutto così spoglio e frigido. Cammino lungo un marciapiede costellato di pozzanghere, per fortuna ha smesso di piovere un'ora fa anche se ho l'ombrello assieme a me. Dalla mia bocca escono nuvole di condensa, creano forme strane e buffe sotto ai miei occhi. Non c'è anima viva, spero di aver fatto la strada giusta altrimenti sono guai. Ad ogni rumore mi volto allarmata, non che sia notte fonda ma sono pur sempre le nove di sera e mi trovo per delle vie che avrò fatto sì e no due volte in tutta la mia vita. Ho una paura tremenda, ma non posso tirarmi indietro. Buenos Aires non brilla di certo per sicurezza, anzi tutt'altro. E se mi fossi persa? No, non può essere. Ho ricontrollato più volte i nomi delle vie che mi sono annotata e stando a ciò che ho scritto sono nella via giusta. Almeno questo non dà l'impressione di essere un quartiere malfamato, è tutta un'altra cosa rispetto al ghetto. L'inquietudine è data dal fatto che non c'è nessuno, i negozi a quest'ora sono tutti chiusi e gli unici bagliori fievoli vengono dalle finestre delle case. Finalmente infondo scorgo un'area abbondantemente illuminata con delle macchine parcheggiate a bordo della strada. Stavo perdendo le speranze. Accelero il passo quasi correndo, devo evitare che se ne vada prima che io raggiunga la palestra. Alcune auto iniziano già a partire, devo muovermi. Arrivo ai cancelli praticamente senza fiato, ma per fortuna sono in tempo. La moto rossa è ferma davanti a me, significa che è ancora dentro. Un uomo sulla trentina mi passa accanto lanciandomi un'occhiata accigliata, cosa avrà mai da guardare? Potrei essere venuta a prendere un amico o un'amica! Supero l'entrata ed imbocco il vialetto che va dritto alla porta, nello stesso momento Leon esce dall'edificio tirandosi su la cerniera della giacca in pelle con una tracolla nell'altra mano. Non mi ha ancora notata perché intento a far altro, perciò gli vado incontro. Quando sono ad un metro da lui, alza lo sguardo e sgrana gli occhi. “Tu che ci fai qui?”. Infilo le mani nelle tasche del doppiopetto e timidamente dico: “Volevo parlare con te”. Lascia cadere la borsa a terra e mi prende per il braccio con forza attirandomi più vicina. La sua espressione sembra...arrabbiata? “Cosa ti è passato per la testa? Andare col buio in giro da sola? Sai quali rischi potevi correre? Non voglio nemmeno pensarci perché mi vien male solo all'idea, come hai potuto essere così irresponsabile?”. Mi sta rimproverando perché sono venuta fin qui da sola? “Di German Castillo ce n'è già uno, non mi serve una sua copia in miniatura”. Serra le palpebre e espira rumorosamente dal nervoso. “Sei la persona più fifona che io conosca, eviti come la peste tutto ciò che può rappresentare anche solo lontanamente un pericolo e poi te ne esci con queste cose! Io...veramente...non farlo mai più, ti prego”. Il suo viso s'intenerisce anche se rimane comunque serio. Si sta preoccupando per me e nonostante voglia ostinarsi a fare il duro, riesco a captare che sta facendo uno sforzo enorme. “Non lo farò più, promesso”. Nel frattempo escono diverse persone dalla palestra fino a svuotarla del tutto. Allenta la presa dal mio braccio, ma non lo molla. “Allora?”. Mi esorta con il capo. Mi mordo il labbro inferiore, ho fatto tutta questa strada per arrivare fin qua e dovrò pur chiarire le nostre incomprensioni. “Dai, dimmi quello per cui se venuta”. Deglutisco della saliva perché la gola è secca, dal suo tono di voce pacato trapela impazienza. “Oggi ho parlato con Ludmilla e so tutto. Mi spiace per come ti ho trattato stamattina, per aver buttato via la colazione che mi avevi portato, per non averti chiesto scusa ma soprattutto...”. Abbasso lo sguardo. “...per aver detto che non credo nell'amore che provi per me. Io ci credo, credo in te e credo in noi. Quelle parole mi sono uscite inavvertitamente, le ho dette per vedere come avresti reagito e mi sento una stronza per questo. Tu, nonostante tutto, non mi hai mai offesa anche quando ce ne sarebbero state molte da dire! Il punto è che sono arrivata a pensare che mi volessi lasciare, avevo timore di perdere tutto questo. Ed una delle mie più grandi paure è che tu mi abbandoni, sarei inesorabilmente vuota e mi romperei di nuovo in mille pezzi. Grazie a te ho imparato a vivere degnamente la mia vita, a sorridere di fronte alle piccole cose, ad essere quello che sono senza curarmi di ciò che pensa la gente. Mi hai dato una possibilità dalla quale vengono generate mille altre opzioni, non sono più impantanata nella solita direzione! Ne ho centinaia e centinaia davanti e posso scegliere quella che voglio. Non posso separarmi da te, non posso separarmi da colui che ha fatto così tanto per me in così poco tempo. Ci sono persone che ti stanno accanto tutta l'esistenza e non fanno nulla, tu in quasi un mese l'hai stravolta. Non credo esista una parola per esprimere la gratitudine che provo nei tuoi confronti e nemmeno per dirti quanto ti amo”. Rialzo la testa per guardarlo in volto, mi sorride dolcemente con gli occhi lucidi. In controluce al chiaro di luna pare quasi più perfetto, oserei dire surreale. Mi prende il viso fra le mani e mi bacia appassionatamente, era da domenica che non ci sfioravamo nemmeno. Intreccio le braccia attorno al suo collo e faccio combaciare il mio corpo col suo, posso sentire il suo cuore battere all'impazzata come il mio. Non c'è più nessuna Ludmilla, nessun Diego e nessuna Lara che tenga. Siamo solo io e lui, ci amiamo e non dobbiamo dubitare l'uno dell'altro per nessuna ragione al mondo. Incastro le dita fra i suoi capelli mentre lui fa scivolare le sua mani sui miei fianchi. Ogni tanto ci interrompiamo per guardarci, ma poi riprendiamo ancora più famelici di prima. Sono in punta di piedi, non so quanto ancora potrò resistere. Lentamente e dopo chissà quanto tempo, stacchiamo le nostre labbra ormai gonfie rimanendo abbracciati. Abbasso i piedi e mi appoggio con la testa sul petto, quando indosso le scarpe basse ci arrivo giusta. Il suo battito è irregolare e sorrido beatamente socchiudendo le palpebre. Tabacco e vaniglia. Ho il naso infossato nella sua giacca, il suo profumo è l'unica cosa che riesco ad odorare. Mi stringe a sé ancora più forte quasi stritolandomi, affonda il suo viso fra i miei capelli e vi lascia un leggero bacio. Adesso che ci penso, non ho più così tanto freddo.“Ti amo da morire”. Con le mani posate sul suo petto, alzo il capo per poterlo guardare negli occhi. “Anch'io, non sai quanto”. Sento la sua mano accarezzarmi la schiena, mentre io giocherello coi suoi capelli. “Per fortuna ha funzionato il piano A”. “Ah, perché avevi anche un piano B?”, mi chiede sorridendo. “Oh, certo...”. Frugo in tasca ed estraggo un Kinder Bueno. “Se non avesse funzionato il primo, con questo di sicuro avresti avuto il mio perdono!”. Scoppiamo a ridere, glielo porgo e lo afferra. “Grazie mille. Credo che anche io ti debba delle scuse, ti ho mentito ed ho sbagliato...”. “Era bugia a fin di bene, ti ho già perdonato da quando Ludmilla mi ha raccontato tutto”. Si mette a braccia conserte. “In tal proposito, cos'è questa storia?”. “Appena uscite da scuola è venuta a parlarmi di te e mi ha fatto capire che se mi hai mentito, era perché te l'aveva chiesto lei di non far sapere in giro cose sul suo conto. Si è scusata per aver creato problemi nella nostra storia e per tutte le cattiverie fatte in passato, proponendomi di provare a conoscerci meglio per cercare di rimediare. Mi sembrava sinceramente dispiaciuta e bisognosa d'aiuto, così ho acconsentito”. Mi osserva piacevolmente sorpreso. “Beh, wow! Ieri ho cercato di farle comprendere fra le altre cose che il suo comportamento nei tuoi confronti è stato sempre scorretto, ma non credevo che mi avesse dato ascolto e tanto meno che tu fossi disposta a starle vicina”. “Ha veramente bisogno d'aiuto e non dobbiamo far altro che essere presenti e non farla stare sola, tu sei suo amico ed io, non so perché, mi sento quasi in dovere di farlo. Si è aperta con me rivelando cose che non dice a nessuno per paura di sembrare fragile, proprio a me con la quale si comportava sempre da superiore. Necessita man forte ed io gliela darò, nonostante tutto”. Mi prende per mano. “Sei la persona migliore che abbia mai conosciuto in tutta la mia vita, davvero”. “Anche tu lo sei”. “Ragazzini, che ci fate ancora qui?”. Ci voltiamo di scatto verso l'entrata della palestra, un uomo tozzo e pelato sta chiudendo la porta a chiave. “Ci scusi signor Gonzalez, ci siamo trattenuti a parlare”. Ci squadra poco convinto. “Sì, certo. Vedete di andarvene subito che dovrei chiudere i cancelli ed andarmene a casa, se non vi dispiace”. “Si figuri. Vilu, andiamo”. Raccoglie la sua borsa da terra e percorriamo il vialetto fino ad arrivare sul marciapiede. “E' il sorvegliante della palestra, finisce più tardi perché è anche addetto alle pulizie. Non è il classico tipo gioviale”, mi sussurra all'orecchio. “L'ho notato”. Il sorvegliante ora è poco distante da noi, chiude i cancelli e sale nella propria auto per poi andarsene. Leon alza la sella della sua moto, rimuove il casco e ci inserisce la tracolla. “Toglimi una curiosità: con cosa sei venuta qui?”. Glielo devo proprio dire? “Bus”. “Di cazzate ne hai fatte abbastanza per oggi, non credi?”. Annuisco col capo. “Tuo padre lo sa che sei qui?”. Contraggo la bocca in un sorriso palesemente forzato. “Questa è una bella domanda, davvero...”. “Lo sa sì o no?”. “Ehm...no”. Si massaggia la fronte. “Sei uscita di nascosto...” . “Sì”. “...dal retro...”. “Sì”. “...e suppongo ti debba riaccompagnare a casa”. Inarco le sopracciglia. “Beh, non sei obbligato”. “Sono obbligato eccome dal momento che non ti permetterei mai di vagare sola soletta per le vie di Buenos Aires un'altra volta!”. “Giusto...”. Abbassa la sella ed infila testa dentro il casco allacciandoselo. Con la voce ovattata, mi dice: “Stasera farai il tuo primo giro sulla mia Ducati”. Sale a bordo e mi fa posto dietro di sé, tentenno in un primo momento però poi mi ci siedo. “Stringiti forte a me, non sia mai che ti perda per strada”. Faccio quanto mi dice ed accende la moto, poi parte. Ho il capo posato sulla sua schiena ed i capelli liberi al vento, mi piace la velocità. Tanto più se mi costringe ad appolparmi al mio ragazzo, cosa che farei anche in una situazione statica. Guardo la notte attorno a noi, le luci si susseguono confuse e mescolate fra loro mentre l'aria fredda s'infrange sul mio viso scoperto. Fra poco prenderò di sicuro la sgridata del secolo, ma non m'importa. Ci sono io, c'è lui e le stelle hanno preso il posto delle nuvole grige. La luna illumina il suolo bagnato tingendolo di tonalità perlacee, stiamo imboccando vie secondarie per cui non ci sono molte macchine. Silenzio, perfetto ed immacolato silenzio. Chiudo gli occhi e sorrido come una bimba stringendomi a lui ancora di più. Sono in paradiso.

 

 

ANGOLO DELL'AUTRICE

Ciao a tutti! Amatemi perché ho aggiornato con un giorno d'anticipo ed ho fatto il capitolo più lungo di sempre u.u che ve ne pare? Finalmente hanno chiarito i nostri due piccioncini ed abbiamo assistito ad un cambiamento da parte di Ludmilla e anche un po' di Diego. Con questo ne abbiamo la conferma indiscussa: la ama tanto. E finalmente, ora non abbiamo dubbi. Spero proprio che vi sia piaciuto, ditemi la vostra lasciando un commento! Vi ricordo che nel prossimo capitolo ci sarà la famosa cena dai Castillo e vi anticipo che Leon farà una sorpresa alla sua Vilu. Non vi dico altro, non voglio spoilerare. Ringrazio chi lascia puntualmente una recensione e chi mette la storia fra le preferite e le seguite, avere così tanti lettori mi riempie d'orgoglio. Grazie di cuore, davvero.

Stay tuned,

Gre 

  
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