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Autore: GretaHorses    13/08/2014    19 recensioni
"L'intera aula viene invasa da una risata generale e sì, la battuta pessima arriva proprio dal vicino di banco di Andrès, dal deficiente. Se c'è qualcuno che odio più di Ludmilla in questa classe è proprio lui. E' arrogante, viziato, ignorante e pure troglodita! Mi domando come possa una persona essere così tanto sfaticata perché essere bocciati due volte è proprio da somari e soprattutto ad aver avuto così tante ragazze a soli diciassette anni! Da quando cavernicolo è bello?"
E' la mia prima fanfic su Violetta, per favore non aggreditemi D:
Genere: Commedia, Fluff, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Leon, Un po' tutti, Violetta
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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                                                                          CAPITOLO 22

 

 

 

E' difficile comportarsi come se niente fosse con papà. Ieri non si è accorto che sono uscita di nascosto, infatti avevo studiato un piano ben strutturato nonostante Leon dica non abbia usato la testa. Eccome se l'ho usata, ho ideato il piano! Siccome il giorno precedente ero strana e non ho nemmeno mangiato, ho pensato bene di fare finta di essere afflitta dallo stesso problema senza rivelarglielo. Il pomeriggio sono stata rintanata in camera e sono scesa soltanto per cenare fingendomi una morta vivente, durante il pasto non ho proferito parola ed alla fine, giustamente, mi ha chiesto il motivo del mio malumore. Negata la risposta, ha insistito così ho finto di arrabbiarmi, gli ho fatto una scenata e sono corsa nella mia stanza chiudendomi a chiave. Mi ha seguita ed ha iniziato a bussare dicendomi di uscire, ma gli ho urlato che non volevo vedere nessuno e che non mi sarei fatta viva fino all'indomani. Ha continuato a parlare, ma dalla mia parte c'era solo silenzio così se n'è andato. Ho sistemato per bene dei vestiti sotto le coperte in modo da formare una sagoma e spento la luce lasciando accesa solo quella fioca dell'abat-jour sul comodino. Rapidamente mi sono messa il giubbotto e mi sono infilata il foglietto con le indicazioni ed il cellulare in tasca. Ho aperto cautamente la porta e poi richiusa, dopodiché ho preso il mio ombrellino ed un sasso abbastanza grosso che avevo nascosto appositamente dentro al cassetto di un mobile in corridoio. L'ho percorso con passo felpato fino ad arrivare infondo di fronte ad una finestra che dà sul giardino antistante alla nostra casa, l'ho aperta facendo attenzione anche al minimo rumore ed ho guardato fuori. Dovevo mirare al cancello, non era poi così difficile. Ho immagazzinato un po' d'aria nei polmoni che ho scaricato del tutto durante il lancio, un frastuono enorme ha invaso il quartiere riecheggiando fra il silenzio della notte invernale. Appena ho visto la luce dell'entrata accendersi sono corsa giù per le scale, passata per il soggiorno e la cucina rischiando di esser scoperta e sgusciata dalla porta sul retro. Ho corso fino alla fermata guardandomi più volte alle spalle, ma di papà nessuna traccia. Probabilmente avrà creduto fosse stato uno scherzo dei vicini maleducati, i loro figli non sono a nuovi a burlate come petardi o strani oggetti nel nostro giardino. Al ritorno invece mi sono avvalsa di Leon per rientrare, lui ha suonato il campanello con la scusa di cercarmi ed ha trattenuto papà mentre io, passando sempre dal retro, sono riuscita a tornare in camera e a fingere di essere stata là tutto il tempo a piangermi addosso. Secondo lui devo sdebitarmi per, a detta sua, l'enormissimo favore che mi ha fatto contro la sua volontà perché l'ultima cosa che desidera è mentire al padre della propria ragazza. Tanto più se il soggetto in questione è German Castillo. Abbiamo patteggiato che questo sabato avrà lui il monopolio sul sesso, sceglierà tutto senza consultazione: dalla durata alla quantità delle volte, dallo 'stile' da adottare agli eventuali esperimenti. Andiamo bene. Un po' mi fa paura, lo ammetto. Perché sono stata così stupida da cascarci? Sono o non sono io la posseditrice della porta del tempio e dovrei avere l'arbitrio su di essa? Però lui ha un'informazione che farebbe incazzare papà e non poco, per cui per non rovinare la cena di stasera forse è meglio così. Ci guadagniamo entrambi, forse più io che lui. “...perché nonostante tutto la moda va avanti e non si può mica rimanere bloccatati su un solo stile!”. Oh, giusto. Sono alle panchine delle macchinette e sto parlando con Ludmilla, siamo il due febbraio ed ho un sonno tremendo. Quando parto con i pensieri viaggio proprio dimenticandomi di tutto il resto, perfino di chi si sta rivolgendo a me. “Ad esempio te: vesti sempre con colori smorti tipo nero, grigio scuro e altre tonalità opache...vivacizza il tuo guardaroba! E poi tutte questi felponi enormi e queste magliette con scritte e disegni che nessuno capisce...”. “Queste magliette con 'scritte e disegni che nessuno capisce' sono band merch, Ludmilla”. Aggrotta la fronte. “Band che?”. “Band merch, ossia merce di band. Sono tutto quel vestiario e quei gadget con frasi di canzoni o significative, simboli rappresentativi o il nome del gruppo”. Si mette a braccia conserte. “Interessante, ma non è di questo che stavamo parlando. Un giorno verrò a casa tua e rifaremo il tuo guardaroba da cima a fondo!”. “No, grazie. Sto benissimo così, mi piacciono i miei vestiti”. Scuote il capo sconsolata. “Ma non pensi al tuo ragazzo? Non pensi voglia vederti in qualche mise più provocante?”. Le sorrido divertita, si vede che è nata in una dimensione completamente diversa dalla mia. Che poi a Leon darebbe fastidio se andassi in giro conciata in modo provocante, mi ha detto che se vedrà mai qualcuno osservare insistentemente 'cose che non dovrebbe' non esiterà a piazzargli un suo gancio destro in piena faccia. Nonostante stesse scherzando, non credo lo abbia fatto del tutto visto che è una testa calda. Per cui è meglio non rischiare. “A Leon vado bene così, non credi starebbe con un'altra già da un pezzo se non mi accettasse per quello che sono?”. Ci pensa un po', dopodiché annuisce. “Effettivamente se cercasse solo sesso, mirerebbe ad altri soggetti”. “Appunto”. “Spero tu soddisfi, però, il suo desiderio tipico dei ragazzi”. Scoppio a ridere. “Oh, certo! Gli concedo anche fin troppe libertà, ovviamente nella giusta misura”. Ripenso subito all'accordo di sabato. Sì, sono decisamente fin troppe libertà. “Brava, bisogna sempre appagare il proprio partner altrimenti si rischia che lui cerchi pascoli più verdi”. Assumo un'espressione confusa e mi dà una pacca sulla spalla. “Scherzo, scema!”. Il viso torna ad essere rilassato e sorrido timidamente, mi punta l'indice contro. “Però è anche vero che tutti i ragazzi hanno bisogno della loro razione una volta tanto, nessuno escluso. Hanno istinti più animaleschi dei nostri sotto questo punto di vista”. “Ci siamo messi d'accordo sul farlo il fine settimana, gli ha anche dato un soprannome...che cosa stupida”, ridacchio. “Una volta a settimana? Mi sembra ottimo! E che nome gli ha dato? Sempre se posso saperlo”. Mi metto una mano di fronte al volto come per nascondermi da ciò che sto per dire, mi vergogno per lui e per le stronzate che fuoriescono dalla sua bocca come fossero sparate da un mitra. “Lo ha chiamato...'L'essenza vitale'. Ora, dimmi te se non è la cosa più stupida che abbia mai sentito!”. “Almeno è sincero con sé stesso”. “In che senso?”. “Ammette che per lui è una cosa importante, ergo tu devi soddisfarlo”. Roteo gli occhi anche se forse ha ragione. “Conosco abbastanza Leon per dirti che è molto legato alla fisicità e fare sesso gli piace, anche tanto!”. Mi passo una mano fra i capelli. “L'ho notato dal modo in cui prende seriamente la faccenda”. “Sinceramente mi domando come abbia resistito per ben tre settimane a secco, un'eternità per lui! Bah, si sarà sfogato su YouPorn o guardando le tue foto...”. Sgrano gli occhi e spalanco la bocca. “Ludmilla!”. Come fa a parlarne con così tanta naturalezza? Sono io che sono troppo pudica o lei troppo diretta? “Che c'è? E' normale che un maschio faccia certe cose, Violetta!”. “Lo so, è solo che immaginare il mio ragazzo...brrr!”. Rabbrividisco alla sola idea, non voglio nemmeno provare a pensarci. “Come è anche normale che lo faccia una ragazza, anche se per molti è un tabù. Tu ad esempio l'hai mai fatto?”. “Co-cosa?”. “Masturbarti, genia!”. Abbasso lo sguardo e divento rossa, questo argomento mi imbarazza alquanto. “No, mai”. Si sbatte la mano sulla fronte. “Oh Gesù, non è possibile...è una cosa basilare, tutti l'hanno provato almeno una volta. Su che mondo vivi?”. “Il mio?”. “Adesso appena torni a casa, ti infili sotto la doccia e provi a farlo”. “No, non voglio...”. “Sì che lo farai!”. “Che senso avrebbe se adesso ho un ragazzo col quale farò l'amore regolarmente? Non devo sfogare alcun desiderio represso, non mi serve”. Improvvisamente sento un trillo proveniente dal mio cellulare, lo estraggo dalla tasca degli skinny jeans e dalla spia rossa che lampeggia capisco che mi è arrivato un messaggio. “Ma non serve mica a quello! E' una cosa che va fatta e basta...ma mi stai ascoltando?”.

Hai un concetto piuttosto distorto di 'cinque minuti e poi torno', non credi? Muovi quel culetto bello e portalo agli armadietti, ti devo dare una cosa e se non ti sbrighi non faccio in tempo a dartela.

02 febbraio 2014, ore 07.49

“E' Leon”. “Che vuole?”. Blocco il telefono e scrollo le spalle. “Ha detto che deve darmi una cosa agli armadietti”. “Ah, allora va!”. “Sicura? Non vuoi che io stia qua ancora un po'?”. “Ci vediamo dopo in classe”, mi risponde. “Okay, a dopo”. Mi alzo e la saluto, per poi imboccare il corridoio. Cosa avrà mai di così importante da darmi da interrompere la mia chiacchierata con Ludmilla? Un regalo! Che dolce, potrebbe avermi regalato una collana con la triade. Un cd? Magari ha puntato su qualcosa di più romantico tipo un peluche o una scatola di cioccolatini a forma di cuore. Svolto a sinistra e percorro ancora un po' di strada fino a trovare un piccolo braccio laterale in cui si trovano gli armadietti della nostra classe, mi sta aspettando poggiato con la schiena su di essi. “Oh, alla buon'ora”. Sbuffo. “Come se tu fossi sempre in orario”. “Sono sempre più preciso di te”. Roteo gli occhi. “Ad ogni modo, non siamo qui per discutere su chi sia ritardatario o no! Ho pensato di farti...”. “Un regalo!”, pigolo. “Ehm sì, un regalo. Mi è venuta l'ispirazione ieri sera, quando sei venuta fino alla mia palestra”. Oddio, è di sicuro qualcosa di romantico. Ora il cerchio si restringe ai cioccolatini e a quelle cose lì. Raccoglie da terra un sacchetto di plastica e me lo porge, lo prendo e constato che pesa parecchio. “Oh, wow! Pesa eh?”. “Su, guarda che c'è dentro!”. Gli sorrido ed infilo la mano al suo interno, è una cosa liscia e dura. Trovo una cavità per afferrarlo e lo tiro fuori. “Un casco?”. “Sì, è il mio secondo casco e voglio che tu lo tenga”. Corrugo la fronte. “E cosa me ne faccio di un casco?”. “Secondo te?”. Che stupida, come ho fatto a non pensarci? E' per salire assieme a lui nella moto. “Finite le lezioni ti porto a casa con la Ducati, che dici?”. Mi fa l'occhiolino. “Com'è galante, cavalier Vargas! Comunque grazie, tra l'altro è del mio colore preferito”. “Sapevo che rosso ti sarebbe piaciuto, ma guardalo un po' meglio”. Lo rigiro fra le mie mani, quando nel lato destro scorgo una scritta davanti alla quale scoppio a ridere. “Non è possibile”. “Oh, eccome se è possibile! Ora tutti sapranno chi sei”. Con stile graffiti c'è scritto in blu 'L's Girl', la ragazza di L. “Hai fatto tu la scritta?”. “Beh, mi pare ovvio”. Anche se non è proprio quello che mi aspettavo, è una cosa tenera a modo suo. Lui ama le moto, le auto ed i motori in generale ed il fatto che mi abbia fatto entrare a far parte di questa sua passione mi rende felice. “E sul tuo?”. “Il mio è pieno di scritte, non so se hai notato. Alcune me le avevano fatte quelli della vecchia compagnia, c'è ancora il soprannome con cui mi chiamavano”, ricorda sorridendo. “Sarebbe?”. “Vuoi davvero saperlo?”. Annuisco. “Granata”. “Perché 'Granata'?”. “Perché potevo esplodere in qualsiasi momento, ero il più irascibile del gruppo. Le ho date e le ho prese anche quando non c'entravo, tante volte mi arrabbiavo io al posto di un amico”. Inarco le sopracciglia. “Vi davate tutti soprannomi così?”. “Oh, sì. Veleno era quello più, come dire, schietto? Sputava veleno, appunto, su tutto. Ciccio, il più grasso, e Sardina, il più esile. Se volevi un consiglio andavi da Guru ed infine Casanova, il ragazzo che aveva in mente solamente una cosa e penso tu sappia a cosa mi stia riferendo”. “Come mai non sei più amico loro?”. Assume un'espressione malinconica. “Li ho conosciuti quando facevo l'ITIS perché eravamo in classe assieme, abbiamo tenuto un po' i contatti anche il primo anno in cui sono venuto qui però poi mi sono staccato quando ho conosciuto...altra gente”. Capisco a chi si riferisce, perciò cambio argomento per non incappare in cose che per lui sono difficili anche solo da pensare. “Ma proprio zero contatti?”. Fa le spallucce. “Ogni tanto mi capita di risentire Veleno e Guru, ma gli altri tre nulla”. Sospira. “Evidentemente non erano veri amici”. Gli accarezzo il braccio. “Ora hai noi”. Mi guarda un po' insicuro. “Ho te, Andrès e Moises, vorrai dire”. Scuoto la testa. “No, hai tutti noi! Perché dici questo?”. “Per il semplice fatto che non sono mai stato uno di voi e che, nonostante i vostri sforzi, mi sento sempre fuori posto perché ho paura di sbagliare tutto”. Allora non sono l'unica ad avere questo tipo di timori. “Ma non suoni in una band con Marco, Broad e Andrès?”. “Certo, sono stato inserito perché Andrès è amico di tutti! Io sono solo...solo...il tastierista”. “Non dire cazzate! Tu sei molto di più, inizi a fare l'insicuro? Questo non è il Leon che ho conosciuto! Lui se la tira come pochi, quando si osserva allo specchio crede di essere Mister Universo e se si guarda attorno l'unica cosa che vede sono plebei”. Riesco a strappargli una risata che coinvolge anche me. “Hai ragione, sono troppo bello per abbattermi”. “Questo è quello che intendo!”. Gli do una pacca sulla spalla ridacchiando. “Comunque grazie per il casco, mi piace un sacco! Soprattutto la scritta, è fatta veramente bene”. Si passa una mano sul ciuffo con la sua consueta nonchalance. “Un artista del mio calibro non potrebbe far altro che un lavoro eccellente”. “Sai una cosa? Rimpiango il Leon complessato che ho visto per una frazione di secondo”. Avvolgo il braccio libero attorno al suo collo, mi innalzo sulle punte e gli lascio un leggero bacio. “Pronto per stasera?”. “Non farmici pensare, ti prego”. “Perché? Vedrai che tutte le tue preoccupazioni si riveleranno inutili”. “Se lo dici tu...”. “Sì, amore, lo dico io”. Adesso è lui a stringermi a me, anche se è un po' complicato con il casco che ingombra. “Farò il bravo”, mi sussurra all'orecchio. Il suo fiato mi solletica il collo facendomi sogghignare, poggio l'altra mano sulla sua guancia e vi lascio un bacio. “Sarà meglio andare in classe o ci prenderemo all'ultimo come sempre ultimamente”. Mi stacco e ripongo il casco nell'armadietto, una volta chiuso mi avvicino per venire avvolta e attirata al suo corpo. Camminiamo ancora insieme, più forti e sicuri di prima. In molti si voltano a guardarci lungo il nostro tragitto, ma noi fissiamo la strada di fronte imperturbabili. Nulla potrà separarci.

 

 

“...non mi dispiacerebbe, anzi! Sabato sera?”. Mi sistemo il cordless nell'incavo del collo dal momento che stava per scivolare. “Okay, avevo pensato di andare a quel nuovo ristorante giapponese in centro”. Mi passo la piastra guardandomi allo specchio. “Meglio di no, a Leon non piacciono le cucine orientali”. “Tu per cosa opteresti? Va bene qualsiasi cosa, Marco mangia un po' tutto”. “Mmm...una pizza? Più le cose son semplici, meglio è”. Mi liscio l'ultima ciocca, spengo il tutto ed esco dal bagnetto. “Va bene, dopo gli mando un messaggio. Ci andiamo assieme o ci troviamo lì?”. Mi siedo sul letto per indossare i tacchi, in pratica mi ha costretto Angie ad indossare queste macchine da tortura. “Per me è uguale, può sempre passare Leon a prendervi in auto”. “Perfe...aspetta, ma lui non ha la patente!”. Mi alzo in piedi per andare di fronte allo specchio, non sono poi così orribile. Finalmente sostengo il telefono con la mano, la spalla stava iniziando a farmi male. “Sta facendo scuola guida, deve dare l'esame a maggio e poi ha il foglio rosa! Insomma, la sa guidare un'auto”. “Sì, ma teoricamente non potre...”. “E' una lunga storia, Fran”. Il vestito me l'ha prestato zia, se avessi usato quello del compleanno di Maxi papà farebbe un infarto. E' rosso fuoco, lungo fino alle ginocchia davanti e a metà polpaccio dietro e senza spalline. L'ho scelto principalmente per il colore, ma è piuttosto carino. Sento il campanello suonare dal piano di sotto ed un vociare, i nostri ospiti sono arrivati. “Ora ti devo salutare, sono appena arrivati. Grazie per i consigli sul trucco, mi sei sempre utile! Un bacione enorme, a domani”. “Buona fortuna per stasera, Vilu. A domani”. Riattacco, esco dalla camera e poso il cordless al suo posto nel mobiletto in corridoio. Qualcuno mi chiama, sembra nonna Angelica. Inspiro un bel po' di aria e mi decido a scendere le scale lentamente, mi mordo il labbro nervosamente. Quando mancano solamente pochi gradini, decido finalmente di voltarmi verso il salotto: al centro vi sono tutta la mia famiglia e quella del mio ragazzo. Lucia ha i capelli castani raccolti in un chignonne, delle scarpe blu con poco tacco ed un vestito lungo con fantasia floreale. Leon invece indossa dei jeans, una camicia azzurrina tassativamente arrotolata fino ai gomiti e, sorprendentemente è dir poco, una cravatta bordeaux. Mi avvicino verso di loro attenta a non inciampare sui trampoli che ho ai piedi e armandomi del sorriso più spontaneo possibile. “Buonasera”, dico. “Oh, ciao Violetta! Come sei bella!”. Sua madre mi abbraccia teneramente, non sono più così impacciata con gli abbracci. “Ciao Vilu”. “Ciao Leon”. Saluto più freddo di questo non esiste, per cui gli do una pacca amichevole sulla spalla. Ci guardiamo leggermente a disagio, sentiamo lo sguardo di papà addosso. “Vi salutate così di solito? Siete una coppia un pochino smorta!”. No, nonna. Normalmente avremmo concluso il saluto nel migliore dei modi. “Ho fatto gli stuzzichini per l'aperitivo questo pomeriggio, sono di là in cucina. Andiamo? Ah, ragazzi: dal momento che non potete bere alcolici, che ne dite di portare le giacche al piano di sopra? Vilu, mettile pure nella tua stanza”. Zia vede sempre oltre rispetto agli altri e non sapete quanto la sto ringraziando mentalmente. “Oh, certo”. Per fortuna la sala si libera degli adulti che se ne vanno in cucina in un chiacchiericcio continuo, Lucia piacerà loro di sicuro. “Concordo con quanto ha detto mia madre”. Mi prende per mano facendomi fare una giravolta su me stessa. “Grazie, anche tu stai molto bene vestito con la camicia e...la cravatta”. “Taci va, taci! Mi ha costretto a metterla, mi sembra di essere un animale in cattività”. Mi lascia per allentare il nodo al collo, dopodiché si guarda attorno. “Più che una cena come un'altra sembra un ricevimento nuziale, aperitivo? Vestiti eleganti? Poi tutte queste decorazioni...buon Dio”. “Un lato positivo c'è, non ho mai visto la mia casa così pulita”, cerco di sdrammatizzare invano. “Parlo seriamente”. “Il matrimonio ti spaventa così tanto?”, gli chiedo leggermente innervosita senza sapere nemmeno il motivo. “Il matrimonio è come questa cravatta...”. La indica. “...è una cosa scomoda e strozzante”. Roteo gli occhi. “Guarda che ho cambiato pure idea col tempo! Una volta dicevo che era la morte di tutte le gioie, ora sono delle idea del 'magari più tardi ripasso'...non so se mi spiego”. Annuisco. “Comprendo che ad una così giovane età la cosa ti spaventi, certo”. “Non mi spaventa!”, sbotta orgoglioso. “E' solamente che lo trovo un grosso impegno, ma non di quelli che durano un determinato tempo. E' una cosa che ti porti dietro per tutto il resto della tua vita, una responsabilità alla quale non puoi sottrarti una volta detto sì”. Fino a poco fa Leon ed impegno nella stessa frase suonavano ridicoli, mentre ora ci sta lavorando. Credo bisogna fare un passo alla volta, ecco una sua paura: la responsabilità. “Hai ragione, andiamo a portare su i giubbotti?”. “Certo”. Li raccolgo dal divano ed andiamo al piano di sopra, una volta arrivati in camera li poso sopra la mia scrivania e mi volto verso di lui che nel frattempo si è accomodato nel mio letto. Lo raggiungo e mi ci siedo accanto, sbadiglio. “Rischierò di addormentarmi sopra il tavolo stasera, ho bisogno di qualcosa per ricaricarmi”. Sento la sua presenza sempre più vicina, ma cos...mi bacia prepotentemente facendomi schiudere le labbra a forza per permettere alla sua lingua di entrarvici. Okay che non ci siamo salutati, ma questo mi sembra un po' eccessivo. Dal mio canto, però, ricambio e mi lascio trasportare, intreccio le braccia attorno al suo collo e senza neanche rendermene conto mi stendo. Improvvisamente sento la sua mano nella zip del vestito, sgrano gli occhi e lo spingo via. “Che fai?”. Ritorno seduta e fa le spallucce. “Avevi detto che ti serviva qualcosa per ricaricarti”. Chiudo gli occhi e mi passo una mano sulla fronte. “Ma cosa hai capito? Intendevo il caffè, testone”. “Specifica, allora!”. “Non c'era bisogno di specificare e poi semmai è una cosa che stanca”. Mi sistemo i capelli e mi passo l'indice attorno alla bocca per togliere il rossetto sbavato. Ridacchia, cosa ci sarà mai di divertente? “Cos'hai?”. Scuote il capo. “Niente, è solo che da questo deduco che non mi desideri”. Aggrotto la fronte. “Non dire stronzate, sai benissimo che non è così!”. “Quindi lo faresti?”. “Sì, ma...”. Non faccio nemmeno in tempo a finire la frase che già si sta riavvicinando, perciò lo blocco posando una mano sul suo petto. “La smetti?”. “Eh, dai!”. Sorride sornione. “Sei pazzo? Al piano di sotto c'è tutta la mia famiglia compreso mio padre e sottolineo mio padre! Hai idea del rischio che correremmo?”. “Il rischio rende tutto molto più eccitante”. Mi fa l'occhiolino e sbuffo. “No, è fuori questione”. “Ma...”. “Dacci un taglio, Leon”. Torno in piedi, mentre lui è ancora stravaccato con le gambe divaricate. “Fra quanto ceneremo?”. Do una rapida occhiata alla sveglia sul comodino, per poi rispondere: “Fra dieci minuti, un quarto d'ora...perché?”. Il suo viso si illumina. “E' perfetto! Una sveltina ci sta tutta”. Mi metto a braccia conserte. “Ancora? Basta”. “Guarda che non c'è bisogno di fare chissà quali cose, basta che ti alzi la gonna ed io mi abbasso i panta...”. “Quale concetto non ti è chiaro della parola 'no'?”. Si butta a peso morto all'indietro. “Che palle però!”. Mi passo una mano nell'orecchio destro e noto di aver perso il gancetto dell'orecchino. “Merda”, bisbiglio. “Che c'è?”, domanda. “Ho perso il gancetto dell'orecchino...”. Mi accuccio a terra per cercarlo, basta scorgere anche solo un piccolo bagliore. “Ti do una mano”. “Ecco, bravo”. Si mette a carponi pure lui e girovaghiamo alla ricerca disperata del gancio. “Eccolo!”. “Cosa fai? Togliti da dietro!”. Mi sta praticamente sovrastando col suo corpo e sta allungando il braccio di fronte a lui. “Ragazzi, volevo dirvi che...oh”. “Zia, non è come sembra!”. Angie è sull'uscio della porta che era già aperta con gli occhi sgranati, effettivamente io sono a pecorina mentre lui è dietro di me con una mano poggiata sulla mia vita. “Ho perso il gancio dell'orecchino e...”. “Non voglio sapere”, sentenzia. “Ero venuta solamente a dirvi che stiamo per servire la cena in tavola e che potete venire giù quando volete, insomma...quando avrete 'trovato l'orecchino'”. Ci sorride maliziosa e se ne va. “Oh, tieni”. Me lo passa con non poca difficoltà e lo prendo. “E levati!”. Mi scrollo come per allontanarlo e torno in piedi, poi mi rimetto l'orecchino. Gli afferro la mano e lo tiro su, non è facile alzare un colosso di ottanta chili. “Comunque grazie per la figura che mi hai fatto fare con zia, eh? Grazie tante”. “Non è mica colpa mia se tutti ci trovano nei momenti meno opportuni, l'ho fatto per aiutarti”. Ci fissiamo per alcuni secondi, poi scoppiamo a ridere. “Dai, andiamo giù”. Gli do la mano ed usciamo, poi scendiamo le scale. Attraversiamo il salotto e raggiungiamo la cucina, si sono già tutti accomodati a tavola. “Oh, finalmente siete qua. Stavo iniziando a preoccuparmi...”, esordisce papà. Ci sediamo ai nostri posti, siamo vicini e soprattutto in una posizione centrale imbarazzante. “Avete trovato...l'orecchino?”. “Sì, grazie per l'interessamento”, rispondo risolutamente. Leon sta fissando il suo piatto, mentre io mi guardo nervosamente attorno. La smettono di osservarci? “Vado a prendere gli spaghetti allo scoglio, spero siano di vostro gradimento”. Zia si alza dal tavolo, grazie al cielo esiste lei. “Allora, Leon, cosa fai nella vita?”. Oddio nonna, manco fosse un quarantenne. “Studio...”. “Usiamo paroloni grossi”, ironizzo. Mi lancia un'occhiataccia per poi continuare: “...un giorno spero di diventare architetto”. “Oh, che bella cosa! Te lo sei scelto bene il fidanzatino, paperotta”. Arrossisco tutto ad un tratto e divento della stessa tinta del vestito, lo sguardo divertito del mio ragazzo mi urta un sacco. “Ah, paperotta? Questa mi mancava”. “Vilu da piccola camminava con i piedi all'infuori tipo a papera, per fortuna con la crescita ha corretto questo suo difetto”, racconta papà. “Come mai non me l'avevi mai detto, paperotta?”, mi dice ridacchiando. “Fossi in te non riderei tanto, devo ricordarti del Peperone Brontolone?”. Quanto posso adorare Lucia? Il suo viso da schernitore si fa serio. Arriva Angie con una pentola e serve tutti, dopodiché lo ripone sopra la cucina e ci raggiunge. “Beh, buon appetito a tutti”. Tutti intoniamo la stessa frase e cominciamo a mangiare. “Prima che veniste giù, ho scambiato quattro chiacchiere con Lucia e mi ha riferito qualcosa a proposito di un viaggio...potresti dirmi di che si tratta, Vilu?”. Rimango con la forchetta a mezz'aria e la bocca spalancata. E' giusto che sia io a dirlo, ma come? Ho paura che non mi lasci partire. “Ehm...sì, agosto...il compleanno...i Mars...Leon...”. “Che?”. “Per il compleanno le ho regalato dei biglietti per un concerto”. Sento la sua mano accarezzarmi dolcemente la schiena, mi infonde sicurezza. “Okay e cosa c'entra il viaggio?”. “Il concerto è a Chicago”, aggiungo. Silenzio di tomba. Papà ci scruta accigliato, Leon mi stringe la vita. Il rumore sommesso delle posate non fa altro che aumentare la mia ansia, noi tre non stiamo toccando cibo. “Tu...”. Mi indica. “...e lui...”. Sposta il dito su di lui. “...in una grande città degli Stati Uniti? Da soli?”. “No!”, sbotta Lucia. “Mi sono proposta di fare da accompagnatrice, sarei molto felice di stare loro vicino”. Le lancio un'occhiata carica di gratitudine ed abbozzo un sorriso. “Vorrei venire anch'io”. “German, non sarà necessario se c'è la madre del ragazzo”, puntualizza zia. “Appunto, se hanno una persona adulta con loro non vedo dove sia il problema”. Anche nonna Angelica sta dalla nostra parte, bene. Papà poggia i gomiti sul tavolo e congiunge le mani portandole a pochi centimetri dal volto con fare pensoso, poi si volta verso Leon. “Allora pensi veramente di fare sul serio con la mia bambina?”. Non risponde subito, inizio a preoccuparmi. “Sì”. “Dormirete in camere separate?”. Roteo gli occhi, lo sapevo che sarebbe andato a parare anche là. “Dormiremo tutti in un'unica stanza”, lo rassicura la messicana. “Mmm...”. Quanto sono tesa, detesto quando temporeggia! “Si può fare”. Non ci penso due volte, mi alzo e corro a stritolarlo. “Grazie, grazie! Sei il miglior papà del mondo”, pigolo euforica. “Certo, però fate attenzione negli States. Mi raccomando...”. “Pà, fidati di me per una volta!”. Sciolgo l'abbraccio per guardarlo negli occhi. “Di te sempre, è degli altri che non mi fido”. Sospira. “Ma se c'è Leon sono più sicuro”. Torno a sedermi e continuo la mia cena. “Stia tranquillo, German: è in buone mani”. “Tienila d'occhio, ogni tanto fa di quelle stupidaggini”. “Oh, lo so bene”. Mi osserva sottecchi. “Infondo però è una brava ragazza, se la sa cavare benissimo”. “Su questo non ho ombra di dubbio, ma tu monitorala lo stesso”. “Sicuro”. Si scambiano un sorriso complice per poi concentrarsi sui rispettivi piatti. Sono fiera di loro, degli uomini della mia vita. Abbasso lo sguardo ed imbocco una forchettata di spaghetti, mentre tutti chiacchierano io mi guardo attorno felice. Appartengo a tutto questo, so finalmente cosa voglio. Seguirò le orme di zia Angie, all'università voglio studiare storia dell'arte e laurearmi. Desidero viaggiare, tanto. Proseguire il mio cammino affianco al mio ragazzo, stare accanto alla mia famiglia nonostante tutto. Ora so che posto ho nel mondo e nei loro cuori. Sto attraversando il mio miglior momento, sono felice. Perché una seconda possibilità viene data a tutti, ma è un treno che devi saper prendere al volo. Ed io l'ho preso, per una volta ne sono uscita vincitrice dopo tutte le mie sconfitte. Non avrei mai pensato di poter tornare ad esserlo, non dopo la morte di mamma: potrei ripeterlo all'infinito, sono felice.

 

 

ANGOLO DELL'AUTRICE

Hey giovincelli! Vi è piaciuto il penultimo capitolo? * si acquatta piangendo * Co-co-cosa? Era un moscerino. E dopo quasi cinque mesi assieme a voi questa storia volge al termine, il riscontro positivo che ha avuto è stato qualcosa di inaspettato e unico! Eppure questa è una storia semplicissima, non ha chissà che di anomalo o speciale. Cosa ci avete visto in questa fanfiction? Soprattutto vista la trama che fa un po' tanto cagare LOL Vi do appuntamento alla prossima settimana con l'epilogo che sarà una lunga pagina di diario in cui parlerò di tutto ciò che è accaduto fino ad ora, cose passate e pensieri futuri. Direi il miglior modo per concludere in bellezza, no? So già che quando cliccherò su quel 'completa' prima di aggiornare mi si stringerà il cuore, ma hey chicos c'è il sequel! (Che se possibile vi truciderà il cuore più della fine di 'Indovina perché ti odio', ma dettagli) Lo ripeto per l'ultima volta: chi non ha la trama del sequel e vuole leggerla è pregato gentilmente di contattare in privato la sottoscritta. Ora come non mai mi sento di ringraziarvi profondamente per tutto l'appoggio datomi, per le bellissime recensioni, per quei numeri altissimi di visualizzazioni e di persone che hanno messo la storia fra i preferiti e le seguite e per l'affetto che dimostrate puntualmente per questa fanfic. Ma bando ai sentimentalismi, i discorsi strappalacrime li farò nel prossimo capitolo.

Un bacio grande,

Gre the disagiata

  
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