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Autore: Angie Mars Halen    30/07/2014    2 recensioni
Fin dal loro primo incontro Nikki e Sharon capiscono di avere parecchi, forse troppi, punti in comune, particolare non indifferente che li porta ad aggrapparsi l’uno all’altra per affrontare prima la vita di strada a Los Angeles, poi quella instabile e frenetica delle rockstar. Costretti a separarsi dai rispettivi tour, riusciranno a riunirsi nuovamente, ma non sempre la situazione prenderà la piega da loro desiderata: se Sharon, in seguito ad un evento che ha rivoluzionato la sua vita, riesce ad abbandonare i vizi più dannosi, Nikki continua a sprofondare sempre di più. In questa situazione si rendono conto di avere bisogno di riportare in vita il legame che un tempo c’era stato tra loro e che le necessità di uno non sono da anteporre a quelle dell’altra. Ma la vita in tour non è più semplice di quella che avevano condotto insieme per le strade di L.A. e dovranno imparare ad affrontarla, facendosi forza a vicenda in un momento in cui faticano a farne persino a loro stessi.
[1982-1988]
Genere: Generale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Mick Mars, Nikki Sixx, Nuovo personaggio, Tommy Lee, Vince Neil
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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RECKLESS





Quella sera la combinammo davvero grossa, Vince e io. Negli ultimi tempi eravamo diventati culo e camicia per puro opportunismo dal momento che, quando uno andava in crisi perché non aveva niente da calarsi, l’altro arrivava in suo soccorso con una dose d’emergenza. Se poi nessuno dei due aveva droga da condividere, allora sì che erano guai seri perché bisognava armarsi di pazienza – e di grana – e avventurarsi nei vicoli meno raccomandabili della città per rimediarne un po’, a meno che Vince non riuscisse ad averne a sufficienza per entrambi da una delle innumerevoli ragazze che aveva abbindolato durante l’ultima settimana.

Quella volta, però, quello in crisi era Vince e io, che avevo abbastanza cocaina per entrambi, decisi di dividere il mio approvvigionamento con lui dato che era sempre stato disponibile con me. Si era presentato davanti alla porta di casa mia poco prima con una pessima cera e, siccome Steven e Rita erano usciti e Brett stava russando pesantemente nella sua camera, gli feci cenno di seguirmi e sgusciammo nella mia stanza, dove nessuno avrebbe osato mettere piede per evitare di scatenare la mia ira.

Ci riprendemmo dalla batosta parecchio tempo dopo, quando l’orologio sul comodino di Rita segnava le otto meno un quarto e fuori era già buio. Mi accorsi di essere seduta su una sedia, mentre Vince era sdraiato supino sul letto della mia batterista, beatamente addormentato come non lo avevo mai visto. Dovetti però ricredermi quando lo chiamai e aprì di poco gli occhi, per poi mostrarmi uno sguardo tutt’altro che rassicurante. Le iridi nocciola sembravano immerse in una pozza di sangue da tanto i capillari erano dilatati e le guance avevano assunto un colorito malsano e preoccupante.

“Devi andare al Troubadour, te lo ricordi?” gli chiesi lentamente e scandendo ogni parola. “Avete un concerto.”

Vince si grattò il naso con un dito tremante. “Come?”

Sbuffai e decisi di passare alle maniere forti: arraffai un bicchiere pieno di Pepsi ormai calda e sgassata e gliela rovesciai in faccia, ottenendo ciò che volevo. Vince aprì del tutto gli occhi, sembrando ora più vivo che morto.

“Che cazzo!” tuonò mentre si passava le mani sul volto per ripulirsi dal liquido zuccherino e appiccicoso, ora infervorato come non mai. “Adesso mi tocca anche farmi una doccia. Non posso salire sul palco conciato così.”

“Fa’ pure, la strada per il bagno la conosci già, ma non dimenticarti che il tempo stringe,” dissi atona dopo essermi spostata. Ero convinta che si fosse ripreso, ma quando, mezz’ora dopo, me lo ritrovai davanti con addosso una camicia sfilacciata appartenente Steven e gli stivali con i tacchi ai piedi, immobile al centro del corridoio e con le braccia penzoloni lungo il corpo, capii che buona parte del suo cervello galleggiava ancora nei residui dell’ultima dose.

“Portami al Troubadour,” mi ordinò.

Mi stropicciai gli occhi con la speranza di vederci meglio, ma come risultato ottenni solo il rimmel sbavato sul dorso delle mani.

“Dove hai messo la tua maglia? Quella camicia non ti appartiene,” gli feci notare.

Vince fece ondeggiare il capo da una parte all’altra, ancora palesemente frastornato. “Ci hai rovesciato sopra la Pepsi e adesso è sporca.”

“Ti prendo qualcosa da metterti dall’armadio di Steven che non sia la camicia rotta che usa per dormire,” dissi, ma Vince mi interruppe ancora prima che potessi varcare la soglia della mia stanza.

“Portami al Troubadour e farò in modo di rimediare a questo casino,” ripeté, e dal momento che non vedevo altre soluzioni, fui costretta a obbedire.

Svegliai Brett in malo modo e lo obbligai a mettersi alla guida del suo pick-up verde scuro e arrugginito, lo stesso con il quale eravamo arrivati dalla Louisiana qualche anno prima, e sfrecciammo verso il locale, servendoci di scorciatoie tra le laterali per evitare i viali principali, ora intasati dal traffico. Mentre il mio amico guidava all’impazzata – e senza alcun motivo dal momento che ormai il ritardo era da considerarsi più che grave – io ero stata relegata nei sedili posteriori con il solo compito di aiutare Vince a stare dritto per evitare che scivolasse. In tutto questo, tra una brusca sterzata di Brett e una notevole quantità di roba ancora presente nel suo organismo, Vince fu colto da un attacco di conati che sembrava non dovesse terminare mai. Vomitò per tutto il viaggio e continuò anche mentre scendevamo dal pick-up per entrare nel retro del locale. Corremmo tutti e tre lungo il corridoio sudicio nel quale rimbombava la musica della band che era appena salita sul palco, qualche ragazza ci riconobbe e ci salutò mostrandosi gioviale, poi, col fiato corto e le gambe ormai prive di sensibilità, ci ritrovammo sulla soglia di una saletta angusta e puzzolente dove il resto del gruppo aspettava l’arrivo del cantante. Il primo ad accorgersi della sua presenza fu Tommy, che arricciò il naso piuttosto contrariato e lanciò una bacchetta per colpire il suo Gemello Terribile. “Ehi, bello, guarda un po’ chi è arrivato.”

Nikki si voltò di scatto, ancora spaesato per essere stato colto di sorpresa da un oggetto volante, e la sua espressione stranita si tramutò in un’inquietante smorfia rabbiosa non appena i suoi occhi incrociarono quelli stralunati di Vince.

“Come cazzo ti sei conciato?” esordì, riferendosi alla lunga camicia sfilacciata a righe verticali grigie, gialle e verdi che portava sopra i suoi adorati pantaloni bianchi.

“È una storia lunga da spiegare,” risposi mentre Brett aiutava Vince a sedersi su una sedia scricchiolante di fianco a quella di Tommy, che soffocò una risata sarcastica contro il palmo della mano.

“Nessuno ha chiesto il tuo parere,” sibilò Nikki, poi tornò a volgere lo sguardo in direzione dell’ultimo arrivato. “Eri ancora con lei a bucarti, vero? Sei proprio un caso perso.”

“Fatti gli affari tuoi, Sixx,” ribattei a denti stretti e con i pugni serrati lungo i fianchi. Li sentivo pulsare e con essi anche la piccola cicatrice nell’incavo del gomito.

Nikki agitò le mani in modo confuso. “Se permetti, sono affari miei visto che avremmo dovuto essere sul palco da quarantacinque minuti. Quello che mi fa girare le palle ancora di più è che ci saliremo tra altri tre quarti d’ora perché adesso mi tocca andare a casa a prendere qualcosa da mettere addosso a questo idiota.”

Quando passò davanti a Vince prese la pelle della sua guancia tra il pollice e l’indice, come se avesse voluto fare un buffetto a un bambino capriccioso, poi gli rifilò una lieve sberla per rinsavirlo prima di sparire nel corridoio correndo.

“Mi dispiace, non volevo che il concerto fallisse,” mormorò il cantante, sfregandosi le mani sul viso per alleviare il fastidio e sfogare la tensione. “Diglielo, Sharon. Diglielo anche tu che non l’ho fatto apposta.”

Nessuno aggiunse altro. Lo ignorammo come se non avesse mai parlato e aspettammo il ritorno di Nikki in religioso silenzio, ascoltando i pezzi della band di apertura, che era stata costretta a suonare più a lungo in attesa che il gruppo successivo fosse al completo e pronto per prendere il suo posto.

Come accadeva ogni volta in cui quei quattro discutevano, dopo un concerto tornavano tutti amici per la pelle, o quasi. Quella sera, dopo un live che era andato piuttosto bene nonostante le condizioni di Vince, non c’era più alcun motivo per tenersi il broncio a vicenda, senza contare che fuori dal Troubadour, parcheggiato in una viuzza laterale sotto le lunghe foglie di un banano, il pick-up di Brett ci aspettava per portarci a spasso per i viali di Los Angeles. Uscimmo dal retro del locale con una sufficiente scorta di birra per affrontare il viaggio, Vince miracolosamente raggiante con una tipa aggrappata al braccio come una bertuccia, e percorremmo, urlando e ululando, la distanza che separava la nostra vecchia vasca da bagno su ruote dal Troubadour. Brett si mise alla guida e accanto a lui prese posto un trepidante Steven, mentre Vince e la tipa piantarono la tenda nei sedili posteriori. Per concludere in bellezza, Rita, Tommy, Nikki, Mick e io fummo abbastanza fortunati da occupare il posto d’onore riservato ai casinisti, quello dove si poteva schiamazzare senza temere di disturbare il guidatore e facendosi sentire da tutti: il cassone posteriore. Sistemammo il pacifico Mick con la schiena contro la parete del picl-up in compagnia dell’unica bottiglia di vodka che avevamo portato con noi e Tommy si sfregò le mani con fare soddisfatto e con chissà quali pensieri per la testa.

“Lo sapete che gli alieni ci osservano?” saltò su Mick non appena Brett mise in moto. Noi quattro voltammo il capo all’unisono e lo fissammo con gli occhi spalancati, incrociando il suo sguardo allucinato. Lui continuò a sostenere la sua tesi con voce alticcia. “Sono lassù e non possiamo vederli, però loro possono vedere noi.”

“‘Fanculo, bello,” lo zittì Tommy, accompagnando le parole con un gesto della mano. Rita scoppiò in una risata argentina e finì per sputare la birra fuori dal bordo del cassone.

Un attimo dopo il pick-up sbuffò e si spostò da sotto il banano per muoversi alla volta del Sunset Boulevard, ora invaso da una folla di festaioli pronti a prendere d’assalto i locali e a esaurire le scorte, mentre nel cielo terso le poche stelle visibili brillavano in lontananza sorvegliando su quell’enorme città caotica.

“Ehi!” esclamò Nikki levando un pugno in aria. La miriade di braccialetti metallici intorno al polso tintinnarono nello scatto. “Senti che aria fresca, T-Bone!”

Il batterista si spostò in fondo al cassone e appoggiò i gomiti e la schiena sul bordo come se fosse stato su una terrazza, beandosi dell’aria che gli sfiorava il viso e che faceva svolazzare i suoi lunghi capelli scuri. Noi intanto procedevamo a una velocità superiore a quella del limite stabilito, e io osservavo distrattamente le insegne al neon che guizzavano via dalla mia vista, dando l’illusione che lasciassero una scia colorata.

All’improvviso, come se niente fosse, Tommy balzò in piedi e diede un colpo sulla spalla del bassista col dorso della sua mano enorme. “Ehi, bello, ho una fottuta idea bellissima. Ci stai?”

Nikki annuì senza nemmeno domandare di cosa si trattasse e, con un ghigno astuto stampato in faccia, si sedette meglio come se avesse voluto prepararsi all’immane cazzata che il suo compagno di merende stava per mettere in scena.

“Gli alieni invaderanno il nostro pianeta,” biascicò Mick rischiando che la vodka gli andasse di traverso nel momento in cui il pick-up centrò un tombino.

“Tu taci, Marsi,” lo ammonì Tommy, poi si alzò sulle ginocchia, allungò una mano a Nikki in modo che la prendesse e lo aiutasse a tenere l’equilibrio, poi si portò l’altra sulla cintura dei pantaloncini bianchi.

“Qui si mette male,” sussurrò Rita con ironia mentre mi circondava le spalle con un braccio.

Tommy le fece l’occhiolino e urlò. “Ehi, Los Angeles! Guarda un po’ qui!”

E si calò i pantaloni per mostrare le chiappe al malcapitato automobilista che viaggiava dietro di noi.

“Oh, mio dio, non posso crederci!” Rita era esplosa e si teneva la pancia con le mani. La sua risata sovrastava persino il rumore del motore e gli schiamazzi dei gruppi di persone sul viale.

“Atterreranno e ci annienteranno,” asserì il cupo chitarrista, il quale non doveva neanche essersi reso conto di ciò che stava accadendo.

“Hollywood!” gridò di nuovo Tommy saggiando la consistenza delle sue stesse natiche con le mani ben aperte. “Guarda un po’ qui! Guarda!”

Nikki aveva iniziato a ridere così forte che cominciammo a temere che non avrebbe più smesso, ma nel piegarsi e nel battere il tacco di uno stivale sul pavimento di metallo aveva mollato la presa e Tommy era scivolato in avanti, con le chiappe all’aria e senza smettere di ridere.

“Uuh! Ci rapiranno!” berciò Mick prima di cadere di lato e accasciarsi contro di me.

Ormai il delirio aveva superato ogni limite e io sentivo l’eccitazione bruciarmi nelle vene insieme a un’eccessiva quantità di alcol. Intanto la mitica Hotter Than Hell dei Kiss rimbombava nel pick-up con i finestrini aperti del tutto, all’interno del quale Brett e Steven cantavano a squarciagola mentre Vince e la tipa sembravano piuttosto indaffarati. L’aria fresca della notte californiana ci colpiva in pieno viso come una confortevole carezza. All’orizzonte le cime arrotondate delle Hollywood Hills disegnavano una dolce silhouette bruna nel cielo notturno e la celebre scritta bianca nel Griffith Park spiccava nel buio. Stavamo andando lassù, e ne ero certa perché era là che Brett e io eravamo soliti recarci quando avevamo bisogno di trovare un po’ di pace. Sospirai per dare sfogo all’eccitazione poi mi voltai verso Rita, che stava ancora ridendo da abbracciata a Tommy. Mick si era profondamente addormentato e aveva lasciato un po’ di vodka nella bottiglia, allora gliela sfilai dalla mano e ne bevvi un sorso, godendo della sensazione di bruciore quando mi scese in gola.

“Non offri?” domandò una voce cupa. Mi voltai di scatto e mi accorsi che Nikki mi fissava con le braccia incrociate sul petto e lo sguardo accigliato. Gli occhi verdi mi scrutavano con insistenza da dietro i ciuffi corvini e mi mettevano una certa apprensione. Sembrava che volesse dirmi qualcosa.




N.D’.A.: Ciao a tutti! =)
Vedo che continuate a seguire e che non siete neanche in pochi! Grazie, belli! Grazie per le visite e le recensioni. :)
Spero che questo capitolo sia stato di vostro gradimento. Il prossimo arriverà mercoledì.
Glam kisses e alla prossima,

Angie


Titolo: Reckless - Judas Priest


   
 
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