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Autore: HamletRedDiablo    30/07/2014    6 recensioni
L’equilibrio della Confederazione Siderale era garantito da tempi immemori dall’Asse, il primogenito della famiglia Vaticana Vargas; l’Asse era il cardine su cui ruotava tutto l’universo conosciuto.
Ma due gemelli avrebbero fatto precipitare anche il cielo, pur di ricongiungersi con il consanguineo.
«Saresti davvero disposto a tradire la tua famiglia?»
«Voglio liberare mio fratello dal Palazzo. Non mi importa del resto.»
«E faresti qualunque cosa?»
«Qualunque cosa.»
Una mano abbronzata sventolò sotto il suo naso, in una precisa offerta.
«Sei pronto a unirti alla mia ciurma?»

Coppie: GerIta, Spamano, RoChu, PruCan (altre si uniranno in seguito)
Genere: Avventura, Fantasy, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Yaoi | Personaggi: Germania/Ludwig, Nord Italia/Feliciano Vargas, Spagna/Antonio Fernandez Carriedo, Sud Italia/Lovino Vargas
Note: AU, Lemon | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate
Capitoli:
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Capitolo Ventiquattro: Guerra

               

«Fratelli gemelli!»

Lo strepito del signor Vargas scricchiolò nell’utero di pietra.

Feliciano era stato fissato alla parete carnivora con pesanti catene. Il suo viso diventava sempre più stanco e spento man mano che il potere defluiva dal suo corpo.

«Ma adesso basta, questa follia termina oggi!»

«Oh, sì… la follia termina oggi.»

Il signor Vargas volse gli occhi allucinati sul figlio. Nonostante l’energia fosse stata gradualmente drenata dai suoi muscoli, il giovane trovò la forza di alzare il volto con aria di sfida.

«Il Vaticano ha creato i demoni che lo distruggeranno. E pagherà per le sue malefatte passate.»

«Taci! Abbiamo solo mantenuto l’ordine!»

«Avete mantenuto una dittatura basata sull’oppressione. Ma non potrete zittirli, oggi…»

«Di chi stai parlando?»

Gli occhi di Feliciano si chiusero, ma riuscì comunque a esalare, prima di piombare nell’oblio:

«Le vittime senza nome… urleranno…»

 

***

 

Antonio lanciò un’occhiata alla Reina, sotto di sé.

Stava cavalcando Gilbird insieme a Gilbert, mentre Lovino era salito su Mathias con Roderich. Al loro fianco, Yao fluttuava nella sua coltre di fiamme e Ivan attendeva, immobile nella sfera artificiale.

Avevano formato quel piccolo gruppo di attacco per infiltrarsi nel Palazzo, anche se il piano prevedeva che sarebbero entrati solo Antonio e Lovino: lo scopo degli altri era assicurarsi che varcassero le porte sani e salvi.

Aveva lasciato la Reina in mano a Francis, affiancata dalle truppe di Britannia, capitanate dal Mago dell’Ovest, e dalla flotta Asean, sotto la guida del Samurai. Lily e Tino avevano assunto nuovamente la loro forma di famigli, e portavano sulla schiena rispettivamente Vash e Berwald, armati di tutto punto. La piccola scialuppa di Norge si librava a poca distanza.

Erano avvolti da un manto di invisibilità, mantenuto vivo dagli sforzi congiunti di tutti gli incantatori presenti, per non scatenare il panico prima del previsto.

Avrebbero aspettato che Feliciano si affacciasse per il suo discorso, e lo avrebbero rapito prima che potesse finirlo.

Nessuno di loro si aspettava la dichiarazione sconvolgente del futuro Asse. Lo stupore fu così totale che non riuscirono a muoversi finché le guardie non afferrarono il giovane per le spalle, trascinandolo via.

«Feliciano!» gridò Lovino. Roma uscì violentemente dal suo corpo, richiamato dalla sua rabbia, e corse come un folle in direzione del Palazzo. Il lupo di ombra si bloccò quando vide le porte chiudersi, e si voltò verso Lovino in attesa di ordini.

«Andiamo a riprenderci Feliciano» ringhiò il ragazzo a denti stretti.

Gilbert e Mathias sfrecciarono veloci in direzione del Palazzo di Quarzo; Norge, Lily e Tino li seguirono, assieme a Ivan e Yao, mentre le navi rimasero in retroguardia.

In quel momento, sorsero.

Gilbert frenò bruscamente il suo famiglio, e lo stesso fece Roderich.

Le schiere dei Serafini e dei Cherubini si stesero ai lati del Palazzo, come le ali di un angelo della morte.

I marinai mormorarono preghiere scaramantiche nel vedere i Serafini, avvolti in tre delle loro sei ali piumate, le restanti spiegate nell’aria per permettere loro di volare. Gli Asean tremarono, inorriditi dalle quattro facce e dalle quattro ali membranose dei Cherubini.

Lovino li aveva istruiti su di loro, nei giorni precedenti; i Serafini erano incantatori di notevole potenza, trasmutati in quegli esseri meravigliosi e tremendi in seguito a un rito all’interno del Vaticano. I Cherubini, invece, erano combattenti che erano stati plasmati in quella forma bestiale dai Serafini stessi.

Furono Ivan e Yao a spezzare la calma surreale che si era creata: il Custode abbatté violentemente la sua mazza contro un Cherubino, fracassandogli due delle quattro teste, e le spire di fuoco del Figlio del Cielo avvolsero un Serafino, bruciandolo assieme alle sue sei ali.

Il Samurai si staccò immediatamente dalla flotta Asean e, avvolto da una bolla di atmosfera artificiale, affiancò il suo sovrano. Estrasse la katana, e falciò due Cherubini troppo audaci.

«Correte!» gridò il Mago dell’Ovest. «Noi li blocchiamo!»

La flotta di Britannia si diresse verso i Serafini, la Reina contro i Cherubini, mentre le navi Asean si divisero a metà tra le due fazioni.

Gilbird e Mathias saettarono verso le porte del Palazzo di Quarzo, evitando il più possibile la battaglia infuocata.

«Come diavolo si apre questo maledetto portone?» gridò Gilbert sopra il frastuono dello sparo con cui eliminò un Cherubino.

«Abbiamo la chiave» Antonio estrasse dal suo tascapane una croce argentata, lievemente arrugginita, e la passò a Lovino. Il giovane la strinse tra le dita per un istante, in guerra con se stesso.

Aveva strappato quel simbolo nel momento stesso in cui la sua famiglia lo aveva abbandonato. Ironico che proprio quell’oggetto potesse riportarlo da suo fratello.

Lovino lo applicò sulla porta, e concentrò tutta la sua magia per replicare l’incanto che permetteva agli edifici Vaticani di riconoscerlo come parte della famiglia. La magia scorse nelle sue vene, riconobbe il suo sangue come quello di un Vargas, e i bagliori argentati del simbolo trapelarono dalle sue dita.

Le porte perfette si aprirono senza un cigolio. Lovino e Antonio saltarono all’interno, poco prima che queste si chiudessero dietro di loro.

«È sicuro lasciarli andare da soli?» chiese Roderich, mentre Mathias si voltava per fronteggiare i Cherubini e i Serafini.

«Solo pochi eletti hanno il permesso di entrare in questo palazzo. Non troveranno troppe persone a sbarrargli la strada» spiegò Gilbert. L’archibugio cantò di nuovo, prima che la voce dell’Hellsing risuonasse nell’aria: «Le guardie e l’esercito, di solito, sostano all’esterno. Dobbiamo liberare l’uscita per quando avranno finito.»

Il calcio del fucile premette contro la spalla del guerriero, ma non poté sparare: Roderich e Mathias si pararono davanti a lui.

«Lascia fare a me» ordinò il musicista. «Interverrai solo in caso di necessità.»

«Sono un Hellsing anche io!» protestò Gilbert.

«Non ti farò andare in battaglia con      quello sguardo!» sentenziò ferreo, imbracciando il violino. «Sembra che tu attenda la morte a braccia aperte!»

L’Hellsing sbarrò gli occhi a quelle parole.

Era sicuro di non averne parlato, e nessuno se ne era accorto: erano tutti troppo focalizzati sulla battaglia. Roderich non gli aveva lanciato più di un’occhiata, eppure aveva capito. Doveva essere una specie di sesto senso sviluppato dai padri.

Aveva parlato con Francis, quella mattina. Poco prima di partire, gli si era avvicinato e gli aveva posto la fatidica domanda.

«Dove si trova Matthew adesso?»

Francis lo aveva guardato con quei suoi occhi nuovi. Gli aveva appoggiato una mano sulla spalla, e aveva mormorato, il più delicatamente possibile:

«Non è nel regno dei morti. Si è reincarnato.»

Il suo cuore, la sua anima, l’interno universo erano andati in pezzi. Gilbert era riuscito a malapena a tartagliare:

«Reincarnato?»

«Sì. Potreste incontrarvi di nuovo, un giorno…»

«A che scopo? Quando avrà dieci anni, io ne avrò più di quaranta. Che futuro può esistere?»

Francis aveva stretto con più decisione la sua spalla.

«Gilbert, lui non ha rotto il giuramento.»

«Che vuoi dire?»

«Sta facendo quello che ti ha promesso: ti sta aspettando. Non perdere la speranza, Gilbert.»

L’Hellsing stese le labbra in un ghigno.

Non perdere la speranza…

«Farò un tentativo…» concesse a mezza voce. «Anche se continuo a non capire come un neonato e un vecchio possano stare insieme…»

Gilbird saltò improvvisamente davanti a Mathias, e Roderich urlò un avvertimento all’Hellsing.

«Non preoccuparti!» gridò di rimando Gilbert. Si voltò, mostrando un viso sfolgorante di orgoglio barbaro. «Non ho intenzione di morire in questo posto schifoso, papà!»

L’archetto di Roderich si immobilizzò per un istante. Al contrario, il suo cuore batté furiosamente nel petto, risuonandogli fino alla gola.

«Hai sentito, Mathias?» sorrise l’uomo. «Erano anni che non mi sentivo chiamare così…»

La musica dell’Accordatore risuonò come sottofondo degli spari dell’Hellsing. Padre e figlio cominciarono a suonare quel concerto di guerra.

 

***

 

«Non ti fa impressione?»

«Cosa?»

«Se ne sta lì fermo senza fare niente…»

«Meglio così. Chi riuscirebbe a fermare quel bestione, se fosse agitato?»

Le guardie bisbigliavano appena, fuori dalla cella in cui era stato rinchiuso il Guardiano.

Sicuramente avrebbe lottato per salvare il giovane Vargas, per cui era stato immediatamente saldato a un pesante ceppo con robuste catene, e rinchiuso in una cella sigillata con simboli magici.

Le sentinelle si erano aspettate reazioni furiose, urla, combattimenti inutili contro la magia che lo bloccava.

Invece Ludwig era rimasto immobile e silente, profondamente assorto nei propri pensieri.

«Siamo fortunati che…»

Entrambi i militi trasalirono per un piccolo rumore alla loro sinistra. Fu l’ultima cosa che fecero: lo sconosciuto alzò una mano, ed entrambi crollarono a terra, addormentati.

Ludwig rialzò il capo, per nulla sconvolto.

«Sette minuti precisi» si complimentò, rigido.

«Stavi contando i secondi?»

«Dovevo pur impiegare il tempo in qualche modo.»

L’uomo sorrise, prima di alzare nuovamente la mano.

La magia che imprigionava Ludwig si dissolse con uno sfrigolio, lo stesso prodotto dall’acqua gettata su un masso rovente.

Il Guardiano si liberò velocemente dai ceppi e uscì dalla prigione, sotto l’occhio vigile dell’altro individuo.

«Questa è tua, a proposito» offrì quello, allungandogli la spada che gli avevano sottratto al momento del turbolento arresto.

Ludwig la sistemò sulle spalle con un unico movimento esperto, per poi portare i suoi occhi di ghiaccio sul suo interlocutore.

«Possiamo andare. Feliciano ci sta aspettando.»

L’altro annuì.

Il Palazzo inghiottì in pochi secondi l’eco dei loro passi.

 

***

 

La musica di Roderich rallentava i Cherubini, falciati da Ivan e Gilbert, con il supporto della Reina, guidata da Francis. Le fiamme del Figlio del Cielo trattenevano i Serafini, attaccati senza pietà dal Samurai e dalla flotta di Britannia, protetta dal Mago dell’Ovest contro gli incantesimi degli angeli con sei ali.

I Gunsmith volavano da una flotta all’altra, attaccando, schivando, uccidendo.

Norge aspettava, seduto nella sua scialuppa con le mani avviluppate alla scatola contenente l’Elfo, la loro ultima creazione.

Non dovette attendere a lungo: ben presto, le porte laterali del Palazzo si aprirono, e una cascata di soldati si rovesciò all’esterno, ognuno di loro protetto da un globo di atmosfera artificiale.

«È arrivato il tuo momento» sussurrò Norge alla scatola, prima di rimuovere il coperchio.

La carica furiosa delle truppe Vaticane si arrestò; i militi inciamparono nei loro stessi piedi, perplessi e spaventati.

L’Elfo li fissò dalla cima della sua altezza imponente, la pelle verde che riluceva fioca sotto le luci delle stelle. La sua forma umanoide confuse i soldati, incerti se quello fosse un uomo modificato con la magia o una creatura bestiale. Gli occhi gialli dell’essere, tuttavia, erano troppo vacui per appartenere a un essere senziente.

Norge stracciò la scatola, impadronendosi della tastiera di comando dell’Elfo. Premette i primi pulsanti e immediatamente le iridi topazio del costrutto si illuminarono di un’intelligenza feroce.

Comandato dal Gunsmith, l’Elfo sollevò i pugni giganteschi e spazzò via la prima fila delle schiere Vaticane.

Norge non si sorprese della facilità con cui l’Elfo seguiva i suoi comandi: i Gunsmith non producevano mai prodotti fallaci. Il costrutto si mosse esattamente come desiderava, e il giovane lo guidò contro l’esercito Vaticano.

Era troppo concentrato nel muovere l’Elfo, e non vide il Cherubino che lo puntava.

Se ne accorse solo quando un peso immane lo travolse, schiacciandolo contro il legno dell’imbarcazione. Il comando gli scivolò di mano, e ruzzolò dall’altro capo della scialuppa.

Gli artigli della bestia si conficcarono nelle sue spalle, passandole da parte a parte come rasoi. Norge non fece quasi in tempo a urlare: il Cherubino lo voltò bruscamente sulla schiena, e affondò le zanne di una delle sue quattro facce nella gola del giovane. Il suo grido si smorzò in un gorgoglio mentre il suo sangue inondava le fauci della belva.

Lo stridio bestiale di un falcone s’incuneò i suoi timpani otturati, e un vento improvviso gli schiaffeggiò il volto prima che il peso immane del Cherubino venisse scaraventato via dal suo petto.

Gli parve di sentire perfino il suono di un violino. Ma era assurdo: chi mai si sarebbe messo a suonare in mezzo a una battaglia?

«Norge!»

Conosceva quella voce, ne era quasi certo, anche se era distorta e offuscata. Gli faceva male al cuore, quella voce…

«Non mi riconosce!»

Roderich non smise di suonare, nemmeno quando Mathias, nella sua forma umana, gridò disperato; non poteva terminare la melodia, o l’effetto frenante su Cherubini e Serafiti sarebbe svanito.

Le mani si Mathias vagarono sul corpo sconquassato di Norge, frenetiche: le spalle erano state quasi divelte dal corpo, e dalla gola aperta uscivano copiosi ruscelli di sangue. Non poteva chiamare il Mago dell’Ovest: era troppo lontano, e troppo impegnato a impedire ai Serafini di trucidare i suoi uomini. Lovino era dentro il Palazzo, e lui non aveva conoscenze sufficienti per salvarlo.

Lo sguardo gli cadde sulla spilla al colletto di Norge.

Quando era stato solo un famiglio era quasi morto, ma nel momento in cui Gilbert lo aveva punto con la spilla era rinato come un essere umano in piena salute. Non era certo che avrebbe funzionato di nuovo, ma era la sua unica possibilità per salvare l’uomo che amava.

Si chinò su Norge, sui suoi occhi spenti e sulle sue labbra insanguinate. Depositò un bacio su di esse, e le sue parole ebbero il sapore del sangue.

«Non andare, Norge. Posso ancora salvarti. Ti amo.»

Se c’era anche una remotissima possibilità che il giovane potesse udirlo, voleva che quelle fossero le ultime parole a scivolare nelle sue orecchie. Non voleva vivere per sempre con il rimpianto di averlo fatto fuggire senza avergli ripetuto che l’amava.

Punse il collo delicato del ragazzo con la spilla.

Un piccolo vortice risucchiò le membra umane di Norge all’interno dell’orpello, facendolo sparire in un turbinare di spire smeraldine.

Mathias strinse freneticamente il ninnolo tra le dita. Era tiepido; poteva quasi sentire il cuore di Norge palpitare al suo interno. Il Gunsmith portò l’orpello al viso, e lo tempestò di baci.

Norge era vivo.

Avrebbe aspettato fino alla fine della battaglia, e lo avrebbe fatto uscire solo davanti al Mago dell’Ovest. Lui sarebbe riuscito a curarlo. Probabilmente.

Mathias scrollò la testa. La battaglia. Doveva concentrarsi sulla battaglia.

Si mise a quattro zampe per tastare il pavimento della scialuppa, e recuperò veloce il comando dell’Elfo.

Il loro gigante verde si rianimò solo quando Mathias cominciò a premere sulla tastiera.

«Roderich» gridò, manovrando l’Elfo. «Mi dispiace, avevo detto che ti avrei guardato le spalle…»

«Lo stai facendo.»

Mathias sentì la schiena dell’uomo premersi contro la sua. Le scapole del musicista si muovevano sotto le sue, seguendo i movimenti repentini dell’archetto.

«Per un famiglio non esiste onore maggiore che combattere con il proprio padrone. L’hai detto tu» gli ricordò Roderich. «Per un padrone, non c’è onore più grande che salvare il proprio famiglio, quando questo lotta per la persona che ama.»

Mathias sorrise, inghiottendo le lacrime.

Sapeva che la sua fiducia era ben riposta. Il suo padrone era un padre affezionato, e una persona dal cuore d’oro.

Cercò di non pensare ad altro, mentre muoveva l’Elfo al posto di Norge.

 

***

 

«Non puoi combattere in queste condizioni!»

«Non posso. Ma lo farò.»

«Perché?»

«Con che coraggio potrei presentarmi davanti a Young Soo, se non spenderò ogni goccia del mio sangue per difendere Yao?»

Il primo spasmo lo colse durante i primi minuti della battaglia.

Kiku non vi badò, e continuò a combattere sotto lo sguardo preoccupato dei suoi colleghi della Stella Polare, gli stessi che avevano espresso la loro preoccupazione quella mattina.

Il secondo giunse poco dopo, e Kiku faticò di più a nasconderlo. Fortunatamente, Yao stava lottando dandogli le spalle.

Il terzo lo costrinse in ginocchio, all’interno della sua sfera artificiale.

Lo spirito del Samurai gli impedì di arrendersi: la katana roteò, nonostante i muscoli preda di spasmi, stroncando i Serafini che miravano alle spalle del Figlio del Cielo.

Il guerriero strinse una mano al petto, e la stoffa bagnata di rosso emise un rumore acquoso, strizzata dalle sue dita. Le ferite si stavano riaprendo; il respiro usciva più corto e più affaticato a ogni nuova stilla di sangue versato.

Yao si voltò in quel momento, e lo vide spezzato, piegato su se stesso e sanguinante.

«Kiku!» esclamò.

Nemmeno la preoccupazione del Figlio del Cielo lo fermò: il Samurai spiccò un balzo e decapitò i Serafini alle spalle del sovrano prima che questi potessero ferirlo.

«Kiku, fermati!»

Il richiamo del regnante non sfiorò le orecchie del guerriero, otturate dal rombo della battaglia. Il Samurai tenne una mano stretta al ventre sanguinante, e fece piroettare la katana con l’altra.

Spezzò le ali e tagliò le gole di altri dieci Serafini, prima che Yao lo afferrasse per le spalle.

«Kiku! Sei ferito! Se continui così, morirai!»

«Sono già morto!»

Altri due fendenti, altri due Serafini caduti.

Il respiro si fece rovente nella sua bocca, impregnata del sapore ferrigno del sangue, ma il Samurai riuscì comunque ad articolare:

«Sono già morto contro il demone. Ho ottenuto una vita lunga qualche giorno. E voglio consacrarla al mio sovrano» un colpo di katana concluse il suo discorso, abbattendo un altro nemico.

«Io non voglio perdere anche te!» Yao urlò sopra il ruggito delle sue fiamme.

Kiku aprì la bocca per rispondere, ma un fiotto di sangue sostituì le parole.

Tossì e sputò, annaspando disperatamente per respirare. Due mani delicate ma decise lo afferrarono da sotto le ascelle, e il soldato si sentì trasportare verso il basso.

Si rese conto di dove si trovasse solo quando il legno della nave Asean si plasmò contro la sua schiena.

Inspirò a fondo, e i polmoni feriti quasi si carbonizzarono per quel respiro. Allungò la mano alla sua destra; non aveva bisogno di vedere per riconoscere l’aura ribollente del sovrano.

«Non ci perderai» riuscì finalmente a sputare fuori.

«Come puoi dirlo, proprio mentre mi stai lasciando?»

Yao faticò a spingere le parole fuori dalla gola gonfia di lacrime bollenti.

La guerra si spense, intorno a lui; il tempo perse consistenza, lo spazio svanì. C’erano solo Kiku e quel dolore lancinante al petto.

Le iridi di pece lo fissarono vacue, e una mano candida si alzò alla ricerca del suo viso. Il Figlio del Cielo la afferrò e se la premette sulla bocca, baciandogli il palmo.

«Questo mondo non è stato creato per quelli come me e come Young Soo» esalò, rauco. «Young Soo era un servo con le mani maledette, io ero un orfano assassino. Questo mondo ci ha calpestato dal giorno in cui siamo nati. Ma tu, Yao…» il pollice del Samurai gli accarezzò debolmente lo zigomo. «Tu hai creato un mondo a parte per noi. Io e Young Soo non abbiamo combattuto per la Confederazione; abbiamo combattuto per quel piccolo universo che hai cucito su di noi» le dita di Kiku si contrassero leggermente, avvertendo le lacrime di Yao scorrere sulle loro nocche. Circondò quella guancia liscia con la sua mano malferma, e stese un sorriso sulle labbra tremanti. «Tu sei un ottimo sovrano, perché, se il mondo non accetta i tuoi sudditi, ne crei un altro appositamente per loro. Non basterebbero mille vite per ringraziarti abbastanza.»

L’Aeronave sobbalzò sotto un violento attacco nemico. Un’orda di Cherubini si rovesciò sul ponte, e fiotti di sangue colorarono l’aria quando i loro artigli si abbatterono sui marinai inermi.

Yao si rialzò in piedi bruscamente, e richiamò a sé il potere delle fiamme. Il Cherubino che ebbe l’ardire di scagliarsi su di lui venne incenerito con un solo gesto da parte del sovrano.

Kiku sorrise stancamente, steso sul pavimento.

Nonostante il dolore, il suo regnante riusciva a recuperare la freddezza e la lucidità in un attimo. Sapeva che un’emozione fuori posto poteva compromettere l’esito di un’intera battaglia, e, qualunque fosse la sofferenza che lo affliggesse, non le avrebbe permesso di compromettere il futuro dei suoi sudditi.

Un sovrano che amava la sua gente; il popolo non avrebbe potuto chiedere di meglio.

Kiku strinse i denti, e fece un enorme sforzo per girarsi sul fianco. Le dita artigliarono il legno e le ginocchia sfregarono dolorosamente quando il Samurai tentò di rimettersi in piedi.

Era il Figlio del Cielo migliore che Chugoku avrebbe mai avuto; doveva combattere fino alla fine per quell’uomo dal cuore di fuoco.

Impugnò la katana e, ringhiando di dolore, la conficcò nel petto di un Cherubino. Il suo ventre sanguinò assieme a quello del nemico, l’incantesimo del Mago dell’Ovest che perdeva progressivamente efficacia.

Un vento gelido si abbatté sul ponte, e Kiku comprese che il Custode dei Cancelli si era appena aggiunto alle loro forze.

Si voltò leggermente, per catturare lo scorcio di Yao e Ivan, fuoco e ghiaccio, che combattevano in sincrono, il primo quasi danzando con le fiamme e il secondo colpendo con la forza di una valanga.

Fu così che vide anche il Cherubino avvicinarsi a Ivan senza essere visto. Il Samurai estrasse velocemente un pugnale da lancio dalla custodia sulla sua coscia, e lo fece sfrecciare in direzione del mostro.

La lama si infisse nella fronte del Cherubino con un secondo di ritardo: la bestia era riuscita ad artigliare il Cuore d’Inverno dell’uomo, e a strapparglielo barbaramente dal petto.

L’urlo del Custode frantumò l’aria. Yao si voltò con gli occhi sbarrati dal terrore, esattamente quando il gigante cadde pesantemente sulle ginocchia.

Ivan udì il tonfo del suo corpo che urtava il suolo come da un’enorme distanza.

Il sigillo del Cuore d’Inverno era stato infranto. Poté avvertire quasi fisicamente una ragnatela di crepe diramarsi nella sua anima di ghiaccio e, da quelle spaccature, il suo potere si disperse nel nulla.

La mazza ferrata divenne improvvisamente troppo pesante, e le dita non furono più in grado di sostenerla. Il manico di ferro rintoccò funereo contro il pavimento.

Ivan dischiuse le labbra per inalare l’aria sporca della battaglia; a ogni respiro, una nuova ondata di ricordi confluì in lui.

Tutte le memorie congelate dal Cuore d’Inverno eruppero come i fiumi durante il disgelo primaverile. Ricordi di infanzia e di famiglia si accatastarono senza ordine nella sua mente confusa, spingendo in un angolo le memorie fredde del Custode. Troppi colori, troppe emozioni, troppe cose cui non era più abituato. Di chi era quella vita che gli passava davanti? A chi sorridevano quelle due giovani ragazze, e quel vecchio signore dalla pelle rugosa come quella di una quercia?

E sangue, sangue, sangue… un mare rosso gli annegò gli occhi.

Facce sorridenti si frammentavano in bocche ritorte dall’agonia, un abbraccio diveniva un tentativo di strangolamento in un secondo: amore e odio combattevano una battaglia furiosa nella sua mente, cercando di decidere chi fosse realmente vivo, se Ivan o il Custode.

In mezzo a quella baraonda, solo una cosa era chiara.

Solo una persona era sempre stata il suo punto di riferimento inamovibile, il sole che splendeva sulla tundra gelata.

«Yao…» chiamò con un filo di voce, quando il volto amato si chinò su di lui, segnato da un torrente di lacrime.

Le belle labbra del sovrano si schiusero per rispondergli, ma Ivan non riuscì a sentirlo. Le memorie si erano affossate in un enorme pozzo nero. E aspettavano che lui le raggiungesse sul fondo di quel baratro. I raggi del sole di Yao sarebbero arrivati fin laggiù?

Gli occhi dell’uomo si chiusero, e quelli del sovrano si spalancarono.

Il Figlio del Cielo chiamò a pieni polmoni il compagno, scuotendolo per le spalle.

Aveva perso Yong Soo, stava per perdere Kiku. Non voleva perdere anche il suo gigante innamorato.

La katana sferragliò sul ponte: il Samurai aveva cercato di chinarsi con grazia, ma le ginocchia avevano ceduto. La fine era davvero vicina, se aveva già cominciato a perdere il controllo del suo corpo.

«Gli ha strappato il cuore» esalò Yao, come se non riuscisse a trovare abbastanza fiato per parlare a  un tono di voce normale. «Non può vivere senza cuore…»

Quasi non si accorse dalla mano che si strinse sul suo polso e lo diresse verso l’alto. Si voltò solo quando percepì il battito del Samurai sotto le sue dita.

«Allora è sufficiente fornirgliene uno nuovo» sentenziò calmo Kiku, e aggiunse, prima che il sovrano potesse protestare: «Io morirò comunque. Lo sai, lo hai visto con i tuoi occhi. Ma il mio cuore è illeso, ed è forte.»

«Kiku…»

«Mi hai fatto nascere come Samurai» il giovane chinò il capo, con la sua consueta eleganza. «Permettimi di morire onorando il mio ruolo.»

Le braccia calde del sovrano si strinsero con forza attorno alle sue spalle, e le sue lacrime roventi gli piovvero sul viso.

«Prima di tutto, tu sei Kiku Honda» asserì il regnante nel pianto. «E non ci saranno altri Samurai, dopo di te.»

«Ma il Figlio del Cielo…»

«Nessuno sarà mai degno di prendere il tuo posto. Kiku Honda, tu sarai l’ultimo e il più grande tra i Samurai» Yao si allontanò appena per sfiorare le gote lattee con affetto. «Young Soo sarà così felice di rivederti…»

«Mi assillerà di domande» sorrise mestamente il giovane.

«Se riuscirà a strapparti all’Aquila e a Heracles. Sei mancato molto anche a loro.»

Gli occhi di carbone si sollevarono su quelli del sovrano, e la mano del Samurai si premette su quella del regnante, appoggiata al suo sterno.

«Ti aspetteremo là, Yao. In un mondo in cui la notte è punteggiata di stelle, in cui non esistono orfani o schiavi. Heracles ti costruirà il trono più splendido che si sia mai visto, e ti aspetteremo. Vivi la tua vita e facci aspettare a lungo.»

Il sorriso del Figlio del Cielo inghiottì a fatica le lacrime, mentre il sovrano annuiva.

«Dovrete fare spazio, perché sarò in compagnia di un gigante…» mormorò in un sospiro.

Il mento di Kiku si appoggiò alla sua spalla. Il corpo del Samurai stava perdendo le energie e, con esse, la vita.

«Ti abbiamo amato con tutte le nostre forze, Yao. E l’aldilà non è abbastanza lontano per separare chi si ama.»

«Lo so» le dita del sovrano si strinsero sul suo sterno, in conflitto. «E lo sapeva anche Young Soo…»
La forza dell’incantesimo spinse all’indietro le scapole del Samurai, come per una forte onda d’urto. Il sovrano avvolse la schiena di Kiku con un braccio per impedirgli di cadere all’indietro.

Il battito del Samurai si trasferì dallo sterno del guerriero alle sue dita, che si chiusero a guisa di gabbia per impedire al palpito vitale di fuggire.

Il Samurai si accasciò tra le sue braccia, come un bambino contro il petto del genitore; la katana emise uno stridio legnoso, sfregando sul pavimento della nave, e la giacca sporca di sangue scivolò a terra.

Le ciglia di carbone tremarono, mentre le pupille si fermavano per l’ultima volta sul viso del sovrano.

Aspettava di dirlo da una vita intera. Le labbra esauste si stesero in un sorriso sfinito, e una sola parola fuggì da esse prima che si chiudessero per sempre.

«Padre…»

Il Samurai chiuse gli occhi. Non ricordava che il mondo dietro le palpebre fosse così luminoso, quasi dorato. Era il sole?

No, non era il sole. Era una chioma bionda, con due occhi azzurri e un sorriso abbagliante.

Sono venuto a prenderti.

Non eri obbligato.

Lo so. Ma gli eroi fanno così.

Due mani dure come la corteccia, coperte da maniche troppo larghe e troppo lunghe, gli strattonarono il polso.

Ben fatto, Kiku. Hai fatto sorridere anche le stelle.

In lontananza, un ragazzo muscoloso con i capelli mossi si stava sbracciando nella loro direzione.

Kiku si lasciò condurre lungo quella strada eterea. Non aveva paura.

Suo fratello, il suo eroe e il suo amico d’infanzia erano lì con lui. Tutto era bello, in quel giardino di luce.

Lo sapevi, no? L’aldilà non è abbastanza lontano per separare chi si ama…

 

***

 

Antonio e Lovino ruzzolarono sul pavimento perlaceo, un secondo prima che i portoni si chiudessero alle loro spalle.

Lovino fu il primo a rialzarsi in piedi, e si sarebbe lanciato a capofitto nel dedalo di corridoi se Antonio non lo avesse trattenuto per un gomito.

«Che diavolo fai?» scattò il giovane, inviperito. «Feliciano è qui!»

«Ma non è da solo» lo redarguì Antonio.

«Certo, c’è anche quel bastardo di nostro padre!» ruggì il ragazzo, cercando di liberarsi dalla stretta del pirata.

Antonio gli strinse il bicipite con tanta forza che Lovino uggiolò di dolore.

«Fermo» sibilò il pirata. «C’è qualcosa che non va, qui.»

«Che diavolo…»

L’uomo gli impose il silenzio, e socchiuse gli occhi, come in ascolto.

«Conosco questa energia…» valutò, assorto.

La sorpresa si stese sul volto del pirata, trasfigurandolo.

«Non è possibile… come ha fatto a entrare prima di noi?»

«Chi? Finisci una frase, maledizione!»

Antonio lo fissò stralunato.

«Eppure dovrebbe essere al comando della Reina, adesso…»

 

***

 

Un plotone di Serafini si abbatté sulla nave delle Mani del Diavolo.

Francis guidò i marinai in una lotta furiosa, per difendere la libertà della Reina.

Un Serafino colpì duramente il Marauder al volto, facendolo cadere a terra. Un marinaio al suo fianco svuotò l’archibugio sulla bestia, che precipitò fuori dalla nave ululando.

Il mozzo si inginocchiò di fianco all’uomo e tentò di chiedergli dove fosse stato colpito. Le parole divennero cenere sulle sue labbra quando vide il volto del Marauder liquefarsi e ricomporsi in un nuovo viso.

«Mago dell’Ovest?» ragliò il mozzo.

«Oh no!» sbuffò quello. «Io sono il riflesso. Il più bello tra i due.»

«Ma se voi siete qui…» balbettò il mozzo. «Dov’è il Marauder?»

La copia del Mago dell’Ovest diresse il suo sguardo acquamarina sul Palazzo di Quarzo.

«È andato a sistemare una faccenda di trecento anni fa…»

 

***

 

Il signor Vargas tambureggiò nervosamente le dita tra di loro.

Il Guardiano era imprigionato, suo figlio era saldato alla parete che ne avrebbe assorbito l’energia.

Aveva fatto in modo che tutto tornasse sulla retta via. Eppure non riusciva a cancellare quella sensazione acre nel suo stomaco…

«Stai provando dei sensi di colpa, Vargas?»

L’uomo trasalì e si voltò con occhi spiritati.

Uno sconosciuto con un paio di occhiali davanti ai grandi occhi blu lo fissava dalla porta, seguito dal Guardiano, inspiegabilmente libero e armato.

«Chi diavolo sei, tu?» esacerbò l’uomo, arretrando di un passo.

«Oh, forse non mi riconosci per via degli occhiali» teatralizzò lo sconosciuto. Liberò il viso dalle lenti, e diresse verso l’uomo terrorizzato uno sfolgorante sorriso, che divenne un ghigno diabolico l’istante successivo. «Forse non mi riconosci perché sono stato costretto a cambiare viso. Hai fatto rotolare la mia testa troppo lontano perché potessi riattaccarmela al collo…»

«Cosa?»

«Oh, hai ragione. Le tue mani sono sporche di talmente tanto sangue, che non puoi distinguere una goccia dall’altra» l’uomo portò una mano alla fronte con fare drammatico. «Ti darò un indizio: traghetto le anime verso l’aldilà.»

Il volto del signor Vargas si contorse in una terribile comprensione.

Ricordava il Fammingo di cui aveva ordinato la condanna a morte.

L’uomo lo aveva guardato, prima di appoggiare la testa sul ceppo. I suoi occhi non si erano colorati di terrore; al contrario, gli avevano lanciato una sfida.

«Alla prossima, Vargas» aveva salutato, per poi porgere il collo all’ascia del boia. «Non mi tagli i capelli troppo corti, per cortesia. Sono anni che li curo per farli crescere a dovere.»

«Non può essere…» tartagliò, annichilito.

«Sono spiacente, Vargas. Questa volta non potevo aspettare un intero ciclo di reincarnazione, per guidare la Confederazione verso la sua fine.»

Il Marauder scivolò vicino a Feliciano, inchiodato alla parete con gli occhi chiusi. Sfiorò appena la guancia, e le palpebre del giovane si sollevarono.

«Perdonami, Jeanne» sussurrò dolcemente Francis. «Ti ho fatta attendere a lungo…»

«No» rispose Feliciano, con voce febbricitante. «Dice che è lei ad aver fatto aspettare te…» il sorriso del giovane si ampliò quando vide il suo Guardiano poco distante. «Ludwig…»

«Tu sei quel maledetto ciarlatano?» l’urlo del signor Vargas ruppe quella riunione.

Francis si voltò lentamente, un sogghigno malevolo a distorcergli il viso.

«Nelle mie numerose vite ho cambiato nome svariate volte, ma il mio titolo è rimasto sempre lo stesso: Marauder» l’uomo inclinò la testa, sornione e maligno. «Ma se vuoi sapere chi sono stato durante la mia prima vita… ti dirò che tu mi conosci bene, Vargas. Tutti, nella Confederazione, mi conoscono.»

L’uomo allargò le braccia, come un prestigiatore che svela il suo trucco finale.

«Sono nato per la prima volta circa trecento anni fa. Ero l’Asse leggendario, il cui potere è rimasto imbattuto fino alla nascita di Feliciano.»

Gli occhi dell’uomo si assottigliarono come quelli di una volpe.

«Ed è da trecento anni che sto pianificando l’ultimo atto della Confederazione.»

 

 

 

 

 

Babababaaaaam!

E il terribile segreto di Francis è stato svelato 8D

Nel prossimo capitolo torneremo a trecento anni prima, per scoprire come esattamente sono andate le cose. E ci sarà l’epilogo di questa battaglia.

Direi che mancano circa sei capitoli prima della fine. OMG, non ci credo, mi sembra di aver scritto il prologo ieri ç_ç

Anyway, cercherò di aggiornare il prima possibile<3

A presto!

Red

   
 
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