Capitolo
Ventiquattro: Guerra
«Fratelli
gemelli!»
Lo
strepito del signor Vargas scricchiolò nell’utero
di
pietra.
Feliciano
era stato fissato alla parete carnivora con pesanti
catene. Il suo viso diventava sempre più stanco e spento man
mano che il potere
defluiva dal suo corpo.
«Ma
adesso basta, questa follia termina oggi!»
«Oh,
sì… la follia termina oggi.»
Il
signor Vargas volse gli occhi allucinati sul figlio.
Nonostante l’energia fosse stata gradualmente drenata dai
suoi muscoli, il
giovane trovò la forza di alzare il volto con aria di sfida.
«Il
Vaticano ha creato i demoni che lo distruggeranno. E
pagherà per le sue malefatte passate.»
«Taci!
Abbiamo solo mantenuto l’ordine!»
«Avete
mantenuto una dittatura basata sull’oppressione. Ma
non potrete zittirli, oggi…»
«Di
chi stai parlando?»
Gli
occhi di Feliciano si chiusero, ma riuscì comunque a
esalare, prima di piombare nell’oblio:
«Le
vittime senza nome… urleranno…»
***
Antonio
lanciò un’occhiata alla Reina,
sotto di sé.
Stava
cavalcando Gilbird insieme a Gilbert, mentre Lovino
era salito su Mathias con Roderich. Al loro fianco, Yao fluttuava nella
sua
coltre di fiamme e Ivan attendeva, immobile nella sfera artificiale.
Avevano
formato quel piccolo gruppo di attacco per infiltrarsi
nel Palazzo, anche se il piano prevedeva che sarebbero entrati solo
Antonio e
Lovino: lo scopo degli altri era assicurarsi che varcassero le porte
sani e
salvi.
Aveva
lasciato la Reina
in mano a Francis, affiancata dalle truppe di Britannia, capitanate dal
Mago
dell’Ovest, e dalla flotta Asean, sotto la guida del Samurai.
Lily e Tino
avevano assunto nuovamente la loro forma di famigli, e portavano sulla
schiena
rispettivamente Vash e Berwald, armati di tutto punto. La piccola
scialuppa di
Norge si librava a poca distanza.
Erano
avvolti da un manto di invisibilità, mantenuto vivo
dagli sforzi congiunti di tutti gli incantatori presenti, per non
scatenare il
panico prima del previsto.
Avrebbero
aspettato che Feliciano si affacciasse per il suo
discorso, e lo avrebbero rapito prima che potesse finirlo.
Nessuno
di loro si aspettava la dichiarazione sconvolgente
del futuro Asse. Lo stupore fu così totale che non
riuscirono a muoversi finché
le guardie non afferrarono il giovane per le spalle, trascinandolo via.
«Feliciano!»
gridò Lovino. Roma uscì violentemente dal suo
corpo, richiamato dalla sua rabbia, e corse come un folle in direzione
del
Palazzo. Il lupo di ombra si bloccò quando vide le porte
chiudersi, e si voltò
verso Lovino in attesa di ordini.
«Andiamo
a riprenderci Feliciano» ringhiò il ragazzo a
denti
stretti.
Gilbert
e Mathias sfrecciarono veloci in direzione del
Palazzo di Quarzo; Norge, Lily e Tino li seguirono, assieme a Ivan e
Yao, mentre
le navi rimasero in retroguardia.
In
quel momento, sorsero.
Gilbert
frenò bruscamente il suo famiglio, e lo stesso fece
Roderich.
Le
schiere dei Serafini e dei Cherubini si stesero ai lati
del Palazzo, come le ali di un angelo della morte.
I
marinai mormorarono preghiere scaramantiche nel vedere i
Serafini, avvolti in tre delle loro sei ali piumate, le restanti
spiegate nell’aria
per permettere loro di volare. Gli Asean tremarono, inorriditi dalle
quattro
facce e dalle quattro ali membranose dei Cherubini.
Lovino
li aveva istruiti su di loro, nei giorni precedenti;
i Serafini erano incantatori di notevole potenza, trasmutati in quegli
esseri
meravigliosi e tremendi in seguito a un rito all’interno del
Vaticano. I
Cherubini, invece, erano combattenti che erano stati plasmati in quella
forma
bestiale dai Serafini stessi.
Furono
Ivan e Yao a spezzare la calma surreale che si era
creata: il Custode abbatté violentemente la sua mazza contro
un Cherubino,
fracassandogli due delle quattro teste, e le spire di fuoco del Figlio
del
Cielo avvolsero un Serafino, bruciandolo assieme alle sue sei ali.
Il
Samurai si staccò immediatamente dalla flotta Asean e,
avvolto da una bolla di atmosfera artificiale, affiancò il
suo sovrano.
Estrasse la katana, e
falciò due
Cherubini troppo audaci.
«Correte!»
gridò il Mago dell’Ovest. «Noi li
blocchiamo!»
La
flotta di Britannia si diresse verso i Serafini, la Reina
contro i Cherubini, mentre le navi
Asean si divisero a metà tra le due fazioni.
Gilbird
e Mathias saettarono verso le porte del Palazzo di
Quarzo, evitando il più possibile la battaglia infuocata.
«Come
diavolo si apre questo maledetto portone?» gridò
Gilbert sopra il frastuono dello sparo con cui eliminò un
Cherubino.
«Abbiamo
la chiave» Antonio estrasse dal suo tascapane una
croce argentata, lievemente arrugginita, e la passò a
Lovino. Il giovane la
strinse tra le dita per un istante, in guerra con se stesso.
Aveva
strappato quel simbolo nel momento stesso in cui la
sua famiglia lo aveva abbandonato. Ironico che proprio
quell’oggetto potesse
riportarlo da suo fratello.
Lovino
lo applicò sulla porta, e concentrò tutta la sua
magia per replicare l’incanto che permetteva agli edifici
Vaticani di
riconoscerlo come parte della famiglia. La magia scorse nelle sue vene,
riconobbe il suo sangue come quello di un Vargas, e i bagliori
argentati del
simbolo trapelarono dalle sue dita.
Le
porte perfette si aprirono senza un cigolio. Lovino e
Antonio saltarono all’interno, poco prima che queste si
chiudessero dietro di
loro.
«È
sicuro lasciarli andare da soli?» chiese Roderich, mentre
Mathias si voltava per fronteggiare i Cherubini e i Serafini.
«Solo
pochi eletti hanno il permesso di entrare in questo
palazzo. Non troveranno troppe persone a sbarrargli la
strada» spiegò Gilbert.
L’archibugio cantò di nuovo, prima che la voce
dell’Hellsing risuonasse nell’aria:
«Le guardie e l’esercito, di solito, sostano
all’esterno. Dobbiamo liberare
l’uscita per quando avranno finito.»
Il
calcio del fucile premette contro la spalla del
guerriero, ma non poté sparare: Roderich e Mathias si
pararono davanti a lui.
«Lascia
fare a me» ordinò il musicista.
«Interverrai solo in
caso di necessità.»
«Sono
un Hellsing anche io!» protestò Gilbert.
«Non
ti farò andare in battaglia con
quello sguardo!» sentenziò ferreo,
imbracciando il violino.
«Sembra che tu attenda la morte a braccia aperte!»
L’Hellsing
sbarrò gli occhi a quelle parole.
Era
sicuro di non averne parlato, e nessuno se ne era
accorto: erano tutti troppo focalizzati sulla battaglia. Roderich non
gli aveva
lanciato più di un’occhiata, eppure aveva capito.
Doveva essere una specie di
sesto senso sviluppato dai padri.
Aveva
parlato
con Francis, quella mattina. Poco prima di partire, gli si era
avvicinato e gli
aveva posto la fatidica domanda.
«Dove
si trova
Matthew adesso?»
Francis
lo aveva
guardato con quei suoi occhi nuovi. Gli aveva appoggiato una mano sulla
spalla,
e aveva mormorato, il più delicatamente possibile:
«Non
è nel regno
dei morti. Si è reincarnato.»
Il
suo cuore, la
sua anima, l’interno universo erano andati in pezzi. Gilbert
era riuscito a
malapena a tartagliare:
«Reincarnato?»
«Sì.
Potreste
incontrarvi di nuovo, un giorno…»
«A
che scopo?
Quando avrà dieci anni, io ne avrò più
di quaranta. Che futuro può esistere?»
Francis
aveva
stretto con più decisione la sua spalla.
«Gilbert,
lui
non ha rotto il giuramento.»
«Che
vuoi dire?»
«Sta
facendo
quello che ti ha promesso: ti sta aspettando. Non perdere la speranza,
Gilbert.»
L’Hellsing
stese le labbra in un ghigno.
Non
perdere la
speranza…
«Farò
un tentativo…» concesse a mezza voce.
«Anche se
continuo a non capire come un neonato e un vecchio possano stare
insieme…»
Gilbird
saltò improvvisamente davanti a Mathias, e Roderich
urlò un avvertimento all’Hellsing.
«Non
preoccuparti!» gridò di rimando Gilbert. Si
voltò,
mostrando un viso sfolgorante di orgoglio barbaro. «Non ho
intenzione di morire
in questo posto schifoso, papà!»
L’archetto
di Roderich si immobilizzò per un istante. Al
contrario, il suo cuore batté furiosamente nel petto,
risuonandogli fino alla
gola.
«Hai
sentito, Mathias?» sorrise l’uomo. «Erano
anni che non
mi sentivo chiamare così…»
La
musica dell’Accordatore risuonò come sottofondo
degli
spari dell’Hellsing. Padre e figlio cominciarono a suonare
quel concerto di
guerra.
***
«Non
ti fa impressione?»
«Cosa?»
«Se
ne sta lì fermo senza fare niente…»
«Meglio
così. Chi riuscirebbe a fermare quel bestione, se
fosse agitato?»
Le
guardie bisbigliavano appena, fuori dalla cella in cui
era stato rinchiuso il Guardiano.
Sicuramente
avrebbe lottato per salvare il giovane Vargas,
per cui era stato immediatamente saldato a un pesante ceppo con robuste
catene,
e rinchiuso in una cella sigillata con simboli magici.
Le
sentinelle si erano aspettate reazioni furiose, urla,
combattimenti inutili contro la magia che lo bloccava.
Invece
Ludwig era rimasto immobile e silente, profondamente
assorto nei propri pensieri.
«Siamo
fortunati che…»
Entrambi
i militi trasalirono per un piccolo rumore alla
loro sinistra. Fu l’ultima cosa che fecero: lo sconosciuto
alzò una mano, ed
entrambi crollarono a terra, addormentati.
Ludwig
rialzò il capo, per nulla sconvolto.
«Sette
minuti precisi» si complimentò, rigido.
«Stavi
contando i secondi?»
«Dovevo
pur impiegare il tempo in qualche modo.»
L’uomo
sorrise, prima di alzare nuovamente la mano.
La
magia che imprigionava Ludwig si dissolse con uno
sfrigolio, lo stesso prodotto dall’acqua gettata su un masso
rovente.
Il
Guardiano si liberò velocemente dai ceppi e uscì
dalla
prigione, sotto l’occhio vigile dell’altro
individuo.
«Questa
è tua, a proposito» offrì quello,
allungandogli la
spada che gli avevano sottratto al momento del turbolento arresto.
Ludwig
la sistemò sulle spalle con un unico movimento
esperto, per poi portare i suoi occhi di ghiaccio sul suo interlocutore.
«Possiamo
andare. Feliciano ci sta aspettando.»
L’altro
annuì.
Il
Palazzo inghiottì in pochi secondi l’eco dei loro
passi.
***
La
musica di Roderich rallentava i Cherubini, falciati da
Ivan e Gilbert, con il supporto della Reina,
guidata da Francis. Le fiamme del Figlio del Cielo trattenevano i
Serafini,
attaccati senza pietà dal Samurai e dalla flotta di
Britannia, protetta dal
Mago dell’Ovest contro gli incantesimi degli angeli con sei
ali.
I
Gunsmith volavano da una flotta all’altra, attaccando,
schivando, uccidendo.
Norge
aspettava, seduto nella sua scialuppa con le mani
avviluppate alla scatola contenente l’Elfo, la loro ultima
creazione.
Non
dovette attendere a lungo: ben presto, le porte laterali
del Palazzo si aprirono, e una cascata di soldati si
rovesciò all’esterno,
ognuno di loro protetto da un globo di atmosfera artificiale.
«È
arrivato il tuo momento» sussurrò Norge alla
scatola,
prima di rimuovere il coperchio.
La
carica furiosa delle truppe Vaticane si arrestò; i militi
inciamparono nei loro stessi piedi, perplessi e spaventati.
L’Elfo
li fissò dalla cima della sua altezza imponente, la
pelle verde che riluceva fioca sotto le luci delle stelle. La sua forma
umanoide confuse i soldati, incerti se quello fosse un uomo modificato
con la
magia o una creatura bestiale. Gli occhi gialli dell’essere,
tuttavia, erano
troppo vacui per appartenere a un essere senziente.
Norge
stracciò la scatola, impadronendosi della tastiera di
comando dell’Elfo. Premette i primi pulsanti e immediatamente
le iridi topazio
del costrutto si illuminarono di un’intelligenza feroce.
Comandato
dal Gunsmith, l’Elfo sollevò i pugni giganteschi e
spazzò via la prima fila delle schiere Vaticane.
Norge
non si sorprese della facilità con cui l’Elfo
seguiva
i suoi comandi: i Gunsmith non producevano mai prodotti fallaci. Il
costrutto
si mosse esattamente come desiderava, e il giovane lo guidò
contro l’esercito
Vaticano.
Era
troppo concentrato nel muovere l’Elfo, e non vide il
Cherubino che lo puntava.
Se
ne accorse solo quando un peso immane lo travolse,
schiacciandolo contro il legno dell’imbarcazione. Il comando
gli scivolò di
mano, e ruzzolò dall’altro capo della scialuppa.
Gli
artigli della bestia si conficcarono nelle sue spalle,
passandole da parte a parte come rasoi. Norge non fece quasi in tempo a
urlare:
il Cherubino lo voltò bruscamente sulla schiena, e
affondò le zanne di una
delle sue quattro facce nella gola del giovane. Il suo grido si
smorzò in un
gorgoglio mentre il suo sangue inondava le fauci della belva.
Lo
stridio bestiale di un falcone s’incuneò i suoi
timpani
otturati, e un vento improvviso gli schiaffeggiò il volto
prima che il peso
immane del Cherubino venisse scaraventato via dal suo petto.
Gli
parve di sentire perfino il suono di un violino. Ma era
assurdo: chi mai si sarebbe messo a suonare in mezzo a una battaglia?
«Norge!»
Conosceva
quella voce, ne era quasi certo, anche se era
distorta e offuscata. Gli faceva male al cuore, quella voce…
«Non
mi riconosce!»
Roderich
non smise di suonare, nemmeno quando Mathias, nella
sua forma umana, gridò disperato; non poteva terminare la
melodia, o l’effetto
frenante su Cherubini e Serafiti sarebbe svanito.
Le
mani si Mathias vagarono sul corpo sconquassato di Norge,
frenetiche: le spalle erano state quasi divelte dal corpo, e dalla gola
aperta
uscivano copiosi ruscelli di sangue. Non poteva chiamare il Mago
dell’Ovest:
era troppo lontano, e troppo impegnato a impedire ai Serafini di
trucidare i
suoi uomini. Lovino era dentro il Palazzo, e lui non aveva conoscenze
sufficienti per salvarlo.
Lo
sguardo gli cadde sulla spilla al colletto di Norge.
Quando
era stato solo un famiglio era quasi morto, ma nel
momento in cui Gilbert lo aveva punto con la spilla era rinato come un
essere
umano in piena salute. Non era certo che avrebbe funzionato di nuovo,
ma era la
sua unica possibilità per salvare l’uomo che amava.
Si
chinò su Norge, sui suoi occhi spenti e sulle sue labbra
insanguinate. Depositò un bacio su di esse, e le sue parole
ebbero il sapore
del sangue.
«Non
andare, Norge. Posso ancora salvarti. Ti amo.»
Se
c’era anche una remotissima possibilità che il
giovane
potesse udirlo, voleva che quelle fossero le ultime parole a scivolare
nelle
sue orecchie. Non voleva vivere per sempre con il rimpianto di averlo
fatto
fuggire senza avergli ripetuto che l’amava.
Punse
il collo delicato del ragazzo con la spilla.
Un
piccolo vortice risucchiò le membra umane di Norge
all’interno dell’orpello, facendolo sparire in un
turbinare di spire
smeraldine.
Mathias
strinse freneticamente il ninnolo tra le dita. Era
tiepido; poteva quasi sentire il cuore di Norge palpitare al suo
interno. Il
Gunsmith portò l’orpello al viso, e lo
tempestò di baci.
Norge
era vivo.
Avrebbe
aspettato fino alla fine della battaglia, e lo
avrebbe fatto uscire solo davanti al Mago dell’Ovest. Lui
sarebbe riuscito a
curarlo. Probabilmente.
Mathias
scrollò la testa. La battaglia. Doveva concentrarsi
sulla battaglia.
Si
mise a quattro zampe per tastare il pavimento della
scialuppa, e recuperò veloce il comando dell’Elfo.
Il
loro gigante verde si rianimò solo quando Mathias
cominciò a premere sulla tastiera.
«Roderich»
gridò, manovrando l’Elfo. «Mi dispiace,
avevo
detto che ti avrei guardato le spalle…»
«Lo
stai facendo.»
Mathias
sentì la schiena dell’uomo premersi contro la sua.
Le
scapole del musicista si muovevano sotto le sue, seguendo i movimenti
repentini
dell’archetto.
«Per
un famiglio non esiste onore maggiore che combattere
con il proprio padrone. L’hai detto tu» gli
ricordò Roderich. «Per un padrone,
non c’è onore più grande che salvare il
proprio famiglio, quando questo lotta
per la persona che ama.»
Mathias
sorrise, inghiottendo le lacrime.
Sapeva
che la sua fiducia era ben riposta. Il suo padrone
era un padre affezionato, e una persona dal cuore d’oro.
Cercò
di non pensare ad altro, mentre muoveva l’Elfo al
posto di Norge.
***
«Non
puoi
combattere in queste condizioni!»
«Non
posso. Ma
lo farò.»
«Perché?»
«Con
che
coraggio potrei presentarmi davanti a Young Soo, se non
spenderò ogni goccia
del mio sangue per difendere Yao?»
Il
primo spasmo lo colse durante i primi minuti della
battaglia.
Kiku
non vi badò, e continuò a combattere sotto lo
sguardo
preoccupato dei suoi colleghi della Stella Polare, gli stessi che
avevano
espresso la loro preoccupazione quella mattina.
Il
secondo giunse poco dopo, e Kiku faticò di più a
nasconderlo. Fortunatamente, Yao stava lottando dandogli le spalle.
Il
terzo lo costrinse in ginocchio, all’interno della sua
sfera artificiale.
Lo
spirito del Samurai gli impedì di arrendersi: la katana roteò, nonostante i
muscoli preda
di spasmi, stroncando i Serafini che miravano alle spalle del Figlio
del Cielo.
Il
guerriero strinse una mano al petto, e la stoffa bagnata
di rosso emise un rumore acquoso, strizzata dalle sue dita. Le ferite
si
stavano riaprendo; il respiro usciva più corto e
più affaticato a ogni nuova
stilla di sangue versato.
Yao
si voltò in quel momento, e lo vide spezzato, piegato su
se stesso e sanguinante.
«Kiku!»
esclamò.
Nemmeno
la preoccupazione del Figlio del Cielo lo fermò: il
Samurai spiccò un balzo e decapitò i Serafini
alle spalle del sovrano prima che
questi potessero ferirlo.
«Kiku,
fermati!»
Il
richiamo del regnante non sfiorò le orecchie del guerriero,
otturate dal rombo della battaglia. Il Samurai tenne una mano stretta
al ventre
sanguinante, e fece piroettare la katana
con l’altra.
Spezzò
le ali e tagliò le gole di altri dieci Serafini,
prima che Yao lo afferrasse per le spalle.
«Kiku!
Sei ferito! Se continui così, morirai!»
«Sono
già morto!»
Altri
due fendenti, altri due Serafini caduti.
Il
respiro si fece rovente nella sua bocca, impregnata del
sapore ferrigno del sangue, ma il Samurai riuscì comunque ad
articolare:
«Sono
già morto contro il demone. Ho ottenuto una vita lunga
qualche giorno. E voglio consacrarla al mio sovrano» un colpo
di katana concluse il suo discorso,
abbattendo un altro nemico.
«Io
non voglio perdere anche te!» Yao urlò sopra il
ruggito
delle sue fiamme.
Kiku
aprì la bocca per rispondere, ma un fiotto di sangue
sostituì le parole.
Tossì
e sputò, annaspando disperatamente per respirare. Due
mani delicate ma decise lo afferrarono da sotto le ascelle, e il
soldato si
sentì trasportare verso il basso.
Si
rese conto di dove si trovasse solo quando il legno della
nave Asean si plasmò contro la sua schiena.
Inspirò
a fondo, e i polmoni feriti quasi si carbonizzarono
per quel respiro. Allungò la mano alla sua destra; non aveva
bisogno di vedere
per riconoscere l’aura ribollente del sovrano.
«Non
ci perderai» riuscì finalmente a sputare fuori.
«Come
puoi dirlo, proprio mentre mi stai lasciando?»
Yao
faticò a spingere le parole fuori dalla gola gonfia di
lacrime bollenti.
La
guerra si spense, intorno a lui; il tempo perse consistenza,
lo spazio svanì. C’erano solo Kiku e quel dolore
lancinante al petto.
Le
iridi di pece lo fissarono vacue, e una mano candida si
alzò alla ricerca del suo viso. Il Figlio del Cielo la
afferrò e se la premette
sulla bocca, baciandogli il palmo.
«Questo
mondo non è stato creato per quelli come me e come
Young Soo» esalò, rauco. «Young Soo era
un servo con le mani maledette, io ero
un orfano assassino. Questo mondo ci ha calpestato dal giorno in cui
siamo
nati. Ma tu, Yao…» il pollice del Samurai gli
accarezzò debolmente lo zigomo.
«Tu hai creato un mondo a parte per noi. Io e Young Soo non
abbiamo combattuto
per la Confederazione; abbiamo combattuto per quel piccolo universo che
hai
cucito su di noi» le dita di Kiku si contrassero leggermente,
avvertendo le
lacrime di Yao scorrere sulle loro nocche. Circondò quella
guancia liscia con
la sua mano malferma, e stese un sorriso sulle labbra tremanti.
«Tu sei un
ottimo sovrano, perché, se il mondo non accetta i tuoi
sudditi, ne crei un
altro appositamente per loro. Non basterebbero mille vite per
ringraziarti
abbastanza.»
L’Aeronave
sobbalzò sotto un violento attacco nemico.
Un’orda di Cherubini si rovesciò sul ponte, e
fiotti di sangue colorarono
l’aria quando i loro artigli si abbatterono sui marinai
inermi.
Yao
si rialzò in piedi bruscamente, e richiamò a
sé il
potere delle fiamme. Il Cherubino che ebbe l’ardire di
scagliarsi su di lui
venne incenerito con un solo gesto da parte del sovrano.
Kiku
sorrise stancamente, steso sul pavimento.
Nonostante
il dolore, il suo regnante riusciva a recuperare
la freddezza e la lucidità in un attimo. Sapeva che
un’emozione fuori posto
poteva compromettere l’esito di un’intera
battaglia, e, qualunque fosse la
sofferenza che lo affliggesse, non le avrebbe permesso di compromettere
il
futuro dei suoi sudditi.
Un
sovrano che amava la sua gente; il popolo non avrebbe
potuto chiedere di meglio.
Kiku
strinse i denti, e fece un enorme sforzo per girarsi
sul fianco. Le dita artigliarono il legno e le ginocchia sfregarono
dolorosamente quando il Samurai tentò di rimettersi in piedi.
Era
il Figlio del Cielo migliore che Chugoku avrebbe mai
avuto; doveva combattere fino alla fine per quell’uomo dal
cuore di fuoco.
Impugnò
la katana e,
ringhiando di dolore, la conficcò nel petto di un Cherubino.
Il suo ventre
sanguinò assieme a quello del nemico,
l’incantesimo del Mago dell’Ovest che
perdeva progressivamente efficacia.
Un
vento gelido si abbatté sul ponte, e Kiku comprese che il
Custode dei Cancelli si era appena aggiunto alle loro forze.
Si
voltò leggermente, per catturare lo scorcio di Yao e
Ivan, fuoco e ghiaccio, che combattevano in sincrono, il primo quasi
danzando
con le fiamme e il secondo colpendo con la forza di una valanga.
Fu
così che vide anche il Cherubino avvicinarsi a Ivan senza
essere visto. Il Samurai estrasse velocemente un pugnale da lancio
dalla
custodia sulla sua coscia, e lo fece sfrecciare in direzione del mostro.
La
lama si infisse nella fronte del Cherubino con un secondo
di ritardo: la bestia era riuscita ad artigliare il Cuore
d’Inverno dell’uomo,
e a strapparglielo barbaramente dal petto.
L’urlo
del Custode frantumò l’aria. Yao si
voltò con gli
occhi sbarrati dal terrore, esattamente quando il gigante cadde
pesantemente
sulle ginocchia.
Ivan
udì il tonfo del suo corpo che urtava il suolo come da
un’enorme distanza.
Il
sigillo del Cuore d’Inverno era stato infranto.
Poté
avvertire quasi fisicamente una ragnatela di crepe diramarsi nella sua
anima di
ghiaccio e, da quelle spaccature, il suo potere si disperse nel nulla.
La
mazza ferrata divenne improvvisamente troppo pesante, e
le dita non furono più in grado di sostenerla. Il manico di
ferro rintoccò
funereo contro il pavimento.
Ivan
dischiuse le labbra per inalare l’aria sporca della
battaglia; a ogni respiro, una nuova ondata di ricordi
confluì in lui.
Tutte
le memorie congelate dal Cuore d’Inverno eruppero come
i fiumi durante il disgelo primaverile. Ricordi di infanzia e di
famiglia si
accatastarono senza ordine nella sua mente confusa, spingendo in un
angolo le
memorie fredde del Custode. Troppi colori, troppe emozioni, troppe cose
cui non
era più abituato. Di chi era quella vita che gli passava
davanti? A chi
sorridevano quelle due giovani ragazze, e quel vecchio signore dalla
pelle
rugosa come quella di una quercia?
E
sangue, sangue, sangue… un mare rosso gli annegò
gli
occhi.
Facce
sorridenti si frammentavano in bocche ritorte
dall’agonia, un abbraccio diveniva un tentativo di
strangolamento in un
secondo: amore e odio combattevano una battaglia furiosa nella sua
mente,
cercando di decidere chi fosse realmente vivo, se Ivan o il Custode.
In
mezzo a quella baraonda, solo una cosa era chiara.
Solo
una persona era sempre stata il suo punto di
riferimento inamovibile, il sole che splendeva sulla tundra gelata.
«Yao…»
chiamò con un filo di voce, quando il volto amato si
chinò su di lui, segnato da un torrente di lacrime.
Le
belle labbra del sovrano si schiusero per rispondergli,
ma Ivan non riuscì a sentirlo. Le memorie si erano affossate
in un enorme pozzo
nero. E aspettavano che lui le raggiungesse sul fondo di quel baratro.
I raggi
del sole di Yao sarebbero arrivati fin laggiù?
Gli
occhi dell’uomo si chiusero, e quelli del sovrano si
spalancarono.
Il
Figlio del Cielo chiamò a pieni polmoni il compagno,
scuotendolo per le spalle.
Aveva
perso Yong Soo, stava per perdere Kiku. Non voleva
perdere anche il suo gigante innamorato.
La
katana
sferragliò sul ponte: il Samurai aveva cercato di chinarsi
con grazia, ma le
ginocchia avevano ceduto. La fine era davvero vicina, se aveva
già cominciato a
perdere il controllo del suo corpo.
«Gli
ha strappato il cuore» esalò Yao, come se non
riuscisse
a trovare abbastanza fiato per parlare a
un tono di voce normale. «Non può
vivere senza cuore…»
Quasi
non si accorse dalla mano che si strinse sul suo polso
e lo diresse verso l’alto. Si voltò solo quando
percepì il battito del Samurai
sotto le sue dita.
«Allora
è sufficiente fornirgliene uno nuovo»
sentenziò
calmo Kiku, e aggiunse, prima che il sovrano potesse protestare:
«Io morirò
comunque. Lo sai, lo hai visto con i tuoi occhi. Ma il mio cuore
è illeso, ed è
forte.»
«Kiku…»
«Mi
hai fatto nascere come Samurai» il giovane chinò
il
capo, con la sua consueta eleganza. «Permettimi di morire
onorando il mio
ruolo.»
Le
braccia calde del sovrano si strinsero con forza attorno
alle sue spalle, e le sue lacrime roventi gli piovvero sul viso.
«Prima
di tutto, tu sei Kiku Honda» asserì il regnante
nel
pianto. «E non ci saranno altri Samurai, dopo di
te.»
«Ma
il Figlio del Cielo…»
«Nessuno
sarà mai degno di prendere il tuo posto. Kiku
Honda, tu sarai l’ultimo e il più grande tra i
Samurai» Yao si allontanò appena
per sfiorare le gote lattee con affetto. «Young Soo
sarà così felice di
rivederti…»
«Mi
assillerà di domande» sorrise mestamente il
giovane.
«Se
riuscirà a strapparti all’Aquila e a Heracles. Sei
mancato molto anche a loro.»
Gli
occhi di carbone si sollevarono su quelli del sovrano, e
la mano del Samurai si premette su quella del regnante, appoggiata al
suo
sterno.
«Ti
aspetteremo là, Yao. In un mondo in cui la notte
è
punteggiata di stelle, in cui non esistono orfani o schiavi. Heracles
ti
costruirà il trono più splendido che si sia mai
visto, e ti aspetteremo. Vivi
la tua vita e facci aspettare a lungo.»
Il
sorriso del Figlio del Cielo inghiottì a fatica le
lacrime, mentre il sovrano annuiva.
«Dovrete
fare spazio, perché sarò in compagnia di un
gigante…» mormorò in un sospiro.
Il
mento di Kiku si appoggiò alla sua spalla. Il corpo del
Samurai
stava perdendo le energie e, con esse, la vita.
«Ti
abbiamo amato con tutte le nostre forze, Yao. E
l’aldilà
non è abbastanza lontano per separare chi si ama.»
«Lo
so» le dita del sovrano si strinsero sul suo sterno, in
conflitto. «E lo sapeva anche Young Soo…»
La forza dell’incantesimo spinse all’indietro le
scapole del Samurai, come per
una forte onda d’urto. Il sovrano avvolse la schiena di Kiku
con un braccio per
impedirgli di cadere all’indietro.
Il
battito del Samurai si trasferì dallo sterno del
guerriero alle sue dita, che si chiusero a guisa di gabbia per impedire
al
palpito vitale di fuggire.
Il
Samurai si accasciò tra le sue braccia, come un bambino
contro il petto del genitore; la katana
emise uno stridio legnoso, sfregando sul pavimento della nave, e la
giacca
sporca di sangue scivolò a terra.
Le
ciglia di carbone tremarono, mentre le pupille si
fermavano per l’ultima volta sul viso del sovrano.
Aspettava
di dirlo da una vita intera. Le labbra esauste si
stesero in un sorriso sfinito, e una sola parola fuggì da
esse prima che si
chiudessero per sempre.
«Padre…»
Il
Samurai chiuse gli occhi. Non ricordava che il mondo
dietro le palpebre fosse così luminoso, quasi dorato. Era il
sole?
No,
non era il sole. Era una chioma bionda, con due occhi azzurri
e un sorriso abbagliante.
Sono
venuto a
prenderti.
Non
eri
obbligato.
Lo
so. Ma gli
eroi fanno così.
Due
mani dure come la corteccia, coperte da maniche troppo
larghe e troppo lunghe, gli strattonarono il polso.
Ben
fatto, Kiku.
Hai fatto sorridere anche le stelle.
In
lontananza, un ragazzo muscoloso con i capelli mossi si
stava sbracciando nella loro direzione.
Kiku
si lasciò condurre lungo quella strada eterea. Non
aveva paura.
Suo
fratello, il suo eroe e il suo amico d’infanzia erano
lì
con lui. Tutto era bello, in quel giardino di luce.
Lo
sapevi, no?
L’aldilà non è abbastanza lontano per
separare chi si ama…
***
Antonio
e Lovino ruzzolarono sul pavimento perlaceo, un
secondo prima che i portoni si chiudessero alle loro spalle.
Lovino
fu il primo a rialzarsi in piedi, e si sarebbe
lanciato a capofitto nel dedalo di corridoi se Antonio non lo avesse
trattenuto
per un gomito.
«Che
diavolo fai?» scattò il giovane, inviperito.
«Feliciano
è qui!»
«Ma
non è da solo» lo redarguì Antonio.
«Certo,
c’è anche quel bastardo di nostro
padre!» ruggì il
ragazzo, cercando di liberarsi dalla stretta del pirata.
Antonio
gli strinse il bicipite con tanta forza che Lovino
uggiolò di dolore.
«Fermo»
sibilò il pirata. «C’è
qualcosa che non va, qui.»
«Che
diavolo…»
L’uomo
gli impose il silenzio, e socchiuse gli occhi, come
in ascolto.
«Conosco
questa energia…» valutò, assorto.
La
sorpresa si stese sul volto del pirata, trasfigurandolo.
«Non
è possibile… come ha fatto a entrare prima di
noi?»
«Chi? Finisci una
frase, maledizione!»
Antonio
lo fissò stralunato.
«Eppure
dovrebbe essere al comando della Reina,
adesso…»
***
Un
plotone di Serafini si abbatté sulla nave delle Mani del
Diavolo.
Francis
guidò i marinai in una lotta furiosa, per difendere
la libertà della Reina.
Un
Serafino colpì duramente il Marauder al volto, facendolo
cadere a terra. Un marinaio al suo fianco svuotò
l’archibugio sulla bestia, che
precipitò fuori dalla nave ululando.
Il
mozzo si inginocchiò di fianco all’uomo e
tentò di
chiedergli dove fosse stato colpito. Le parole divennero cenere sulle
sue
labbra quando vide il volto del Marauder liquefarsi e ricomporsi in un
nuovo
viso.
«Mago
dell’Ovest?» ragliò il mozzo.
«Oh
no!» sbuffò quello. «Io sono il
riflesso. Il più bello
tra i due.»
«Ma
se voi siete qui…» balbettò il mozzo.
«Dov’è il
Marauder?»
La
copia del Mago dell’Ovest diresse il suo sguardo
acquamarina sul Palazzo di Quarzo.
«È
andato a sistemare una faccenda di trecento anni
fa…»
***
Il
signor Vargas tambureggiò nervosamente le dita tra di loro.
Il
Guardiano era imprigionato, suo figlio era saldato alla
parete che ne avrebbe assorbito l’energia.
Aveva
fatto in modo che tutto tornasse sulla retta via.
Eppure non riusciva a cancellare quella sensazione acre nel suo
stomaco…
«Stai
provando dei sensi di colpa, Vargas?»
L’uomo
trasalì e si voltò con occhi spiritati.
Uno
sconosciuto con un paio di occhiali davanti ai grandi
occhi blu lo fissava dalla porta, seguito dal Guardiano,
inspiegabilmente
libero e armato.
«Chi
diavolo sei, tu?» esacerbò l’uomo,
arretrando di un
passo.
«Oh,
forse non mi riconosci per via degli occhiali»
teatralizzò lo sconosciuto. Liberò il viso dalle
lenti, e diresse verso l’uomo
terrorizzato uno sfolgorante sorriso, che divenne un ghigno diabolico
l’istante
successivo. «Forse non mi riconosci perché sono
stato costretto a cambiare
viso. Hai fatto rotolare la mia testa troppo lontano perché
potessi
riattaccarmela al collo…»
«Cosa?»
«Oh,
hai ragione. Le tue mani sono sporche di talmente tanto
sangue, che non puoi distinguere una goccia
dall’altra» l’uomo portò una
mano
alla fronte con fare drammatico. «Ti darò un
indizio: traghetto le anime verso
l’aldilà.»
Il
volto del signor Vargas si contorse in una terribile
comprensione.
Ricordava
il Fammingo di cui aveva ordinato la condanna a
morte.
L’uomo
lo aveva
guardato, prima di appoggiare la testa sul ceppo. I suoi occhi non si
erano
colorati di terrore; al contrario, gli avevano lanciato una sfida.
«Alla
prossima,
Vargas» aveva salutato, per poi porgere il collo
all’ascia del boia. «Non mi
tagli i capelli troppo corti, per cortesia. Sono anni che li curo per
farli
crescere a dovere.»
«Non
può essere…» tartagliò,
annichilito.
«Sono
spiacente, Vargas. Questa volta non potevo aspettare
un intero ciclo di reincarnazione, per guidare la Confederazione verso
la sua
fine.»
Il
Marauder scivolò vicino a Feliciano, inchiodato alla
parete con gli occhi chiusi. Sfiorò appena la guancia, e le
palpebre del
giovane si sollevarono.
«Perdonami,
Jeanne» sussurrò dolcemente Francis. «Ti
ho
fatta attendere a lungo…»
«No»
rispose Feliciano, con voce febbricitante. «Dice che
è
lei ad aver fatto aspettare te…» il sorriso del
giovane si ampliò quando vide
il suo Guardiano poco distante. «Ludwig…»
«Tu
sei quel maledetto ciarlatano?» l’urlo del signor
Vargas
ruppe quella riunione.
Francis
si voltò lentamente, un sogghigno malevolo a
distorcergli il viso.
«Nelle
mie numerose vite ho cambiato nome svariate volte, ma
il mio titolo è rimasto sempre lo stesso:
Marauder» l’uomo inclinò la testa,
sornione e maligno. «Ma se vuoi sapere chi sono stato durante
la mia prima vita…
ti dirò che tu mi conosci bene, Vargas. Tutti, nella
Confederazione, mi
conoscono.»
L’uomo
allargò le braccia, come un prestigiatore che svela
il suo trucco finale.
«Sono
nato per la prima volta circa trecento anni fa. Ero
l’Asse leggendario, il cui potere è rimasto
imbattuto fino alla nascita di
Feliciano.»
Gli
occhi dell’uomo si assottigliarono come quelli di una
volpe.
«Ed
è da trecento anni che sto pianificando l’ultimo
atto
della Confederazione.»
Babababaaaaam!
E
il terribile
segreto di Francis è stato svelato 8D
Nel
prossimo
capitolo torneremo a trecento anni prima, per scoprire come esattamente
sono
andate le cose. E ci sarà l’epilogo di questa
battaglia.
Direi
che
mancano circa sei capitoli prima della fine. OMG, non ci credo, mi
sembra di
aver scritto il prologo ieri ç_ç
Anyway,
cercherò
di aggiornare il prima possibile<3
A
presto!
Red