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Autore: The Writer Of The Stars    30/07/2014    3 recensioni
Questa è una storia come tante. é una storia che parla di adolescenti,come se ne conoscono tanti. Loro però sono solo un po' più sfortunati. Ma questo non significhi che non abbiano voglia di vivere al meglio. Comincia tutto così. In un aula canto di un liceo come tanti, dove un gruppo di ragazzi si incontrano, si conoscono e capiscono di avere in comune molto più di ciò che pensano. Sarà un professore un po' fuori dal comune a spingere i ragazzi a vivere la loro vita al meglio, a non farsi sconfiggere dalle avversità, ad unirli sotto un'unica passione. La musica. Bulma è cresciuta da sola, con una madre che non la vuole e non l'ha mai voluta.Vegeta è stato abbandonato dalla madre e non ha più tracce del padre. Goku vive in un orfanotrofio e Chichi vive in precarie condizioni economiche con suo padre. Sarà la forza dell'amore, dell'amicizia e la voglia di farsi valere che spingerà un gruppo di sfigati canterini a mostrare il loro vero valore. E a farli diventare qualcuno.
Questa è la mia prima long, ambientata in un universo alternativo. Spero che vi piaccia e conto di aggiornare regolarmente. Buona lettura!
Genere: Romantico, Sentimentale, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Bulma, Chichi, Goku, Vegeta | Coppie: Bulma/Vegeta
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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FAITHFULLY …
Oggi voglio raccontarvi una storia. Si, una storia. Vi va di ascoltarla? Vi avverto, la mia non è una favola. Anche se forse, alla fine potrà sembrarvi un po’ una fiaba. Ma non voglio anticiparvi già il finale. Direi di cominciare dicendo che la storia che sto per raccontarvi, ha come protagonisti un gruppo di ragazzi. E qui niente di insolito, direte voi. Infatti, avete ragione. I ragazzi di questa storia sono adolescenti normali, come se ne conoscono tanti. Solo un po’ più sfortunati. Tra questi, ci sono io. Sono Bulma Brief e sarò colei che vi narrerà questa storia. La storia di come la mia vita sia cambiata. Perché da ora, cari lettori, vi racconterò di come noi, un gruppo di sfigati del liceo, siamo diventati finalmente qualcuno. E dopo di questo, non posso aggiungere altro. Solo cominciare a raccontarvi questa meravigliosa avventura, chiamata vita.
 
Alla “Orange High School” esistevano tre tipi di ragazzi. Quelli “popolari”, pieni di amici ,ricchi sfondati e stramaledettamente arroganti e presuntuosi. Ah, solitamente i popolari facevano parte della squadra di Football o delle cheerleader della scuola. Ma questo, mi sembra ovvio. Poi c’erano i ragazzi normali, che pur non navigando nell’oro, provenivano da famiglie agiate e potevano dire di condurre una vita tranquilla e serena. E poi, c’eravamo noi. Avrete già capito, no? Noi eravamo gli sfigati. Solitamente noi sfigati ci dividevamo in “asociali” e “disastrati”. Io potevo considerarmi entrambe. E qui forse, dovrei spiegarvi un po’ meglio chi è Bulma Brief. Sono un errore. Si,un errore, uno sbaglio. Non ero stata calcolata. Me lo ha detto mia madre stessa, non so quante volte ormai, tanto da averci fatto l’abitudine. Mia madre faceva la prostituta. Ora, so che la cosa può risultare alquanto improbabile, ma è così. Mia madre ha sempre lavorato sulla strada, sin da prima che io nascessi. Io ero stata solo il frutto di una distrazione durante una notte di “lavoro” di Kim. Dovevo chiamarla così, Kim. Mai mamma. Non sia mai. Una volta, quando ero molto piccola, ci avevo provato a chiamarla mamma. In risposta, ricevetti solo uno schiaffo e un “non chiamarmi così”. A quel tempo, non riuscivo a spiegarmi perché non potevo chiamarla come ciò che era per me. Poi crescendo capii che lei non voleva essere madre. Così io non dovevo chiamarla mamma. Avere una mamma che fa la prostituta non è una gran cosa. Per niente. Sin da piccola, sono sempre stata trattata diversamente dai miei compagni, dagli insegnanti, dal resto del mondo. Ricordo bene il giorno della festa della mamma quando ero alle elementari. Tutti i miei compagni facevano disegni o scrivevano poesie per le loro madri, che una volta a casa li avrebbero abbracciati e appeso i loro auguri al frigorifero o alla parete. Anche io volevo fare qualcosa per la mamma. Anche se sapevo che non le sarebbe piaciuto. Invece quel giorno la maestra mi prendeva per mano e mi portava in un’altra stanza, senza nemmeno lasciarmi il tempo di prendere il quaderno e l’astuccio. Solitamente mi sistemava nella sala tv, dove metteva su un film e mi lasciava davanti allo schermo per il resto della giornata. Puntualmente il film era sempre lo stesso, “La fabbrica di cioccolato”. Ormai lo avevo già visto talmente tante volte da conoscere a memoria le battute dei protagonisti. Fantasticavo guardando tutta quella cioccolata che scendeva come un fiume attraverso le colline di caramelle. Quanto avrei voluto anche io un po’ di quel dolce. La mamma non me lo comprava mai. Diceva che non voleva spendere inutilmente soldi per me. E così io conoscevo a memoria un film sulla cioccolata, senza averne mai provato un pezzo. Alle medie il trattamento era più o meno lo stesso. L’unica differenza era il film. Sono passata da conoscere a memoria “La fabbrica di cioccolato” ad amare “L’attimo fuggente”. Si, alle medie il film del giorno della festa della mamma era diventato quello. Ricordo che da quando lo vidi per la prima volta, desiderai ardentemente avere un insegnante come il Professor Keating. Un docente capace di spronare i suoi alunni a credere in se stessi, nelle loro capacità, a cogliere l’attimo. Non sapevo a quel tempo che anche io un giorno avrei incontrato un insegnante così. Anche se non aveva le sembianze di Robin Williams.

Quando andai alle superiori, le cose cambiarono radicalmente. Il giorno della mamma era un giorno come tanti a scuola, e questo era forse un bene per me. I ragazzi però parlavano. I ragazzi sapevano. Ricordo ancora alla perfezione l’accoglienza che mi fu riservata appena varcata la soglia dell’istituto, quel giorno di maggio di due anni fa. Appena entrai uno dei giocatori di football mi si parò davanti. Era un energumeno pelato, grosso e dall’ aria per nulla amichevole. Dire che quel tipo mi spaventava, sarebbe un eufemismo.  Intanto anche altri ragazzi, amici di quel colosso, si erano avvicinati, incuriositi dalla scena. “Ehi, fata turchina, hai fatto gli auguri a tua madre oggi? Aspetta, probabilmente non sarà in casa ,  avrà lavorato ieri sera, quella puttana!” Io non sapevo che dire. Aveva ragione. Lei non c’era. Era a “lavoro”, non la vedevo da un giorno circa. Che potevo dire? E quel soprannome, dovuto al colore assurdo dei miei capelli e dei miei occhi poi … accidenti, non poteva essere più azzeccato. Avevo lo sguardo basso, piantato sul pavimento, intorno a me sentivo solo le risate sguaiate degli amici di quel tipo. Si stavano prendendo gioco di me, era palese. Ora, io ero una tipa un po’ strana, lo ammetto. Nonostante fossi una sfigata emarginata, il carattere non mi mancava. Avevo una lingua tagliente,ero determinata e sapevo rispondere a tono agli insulti. Almeno prima di quel giorno. Ciò che avevano detto era completamente vero, che avrei potuto dire?  I ragazzi continuarono a prendermi in giro e cominciarono anche a darmi degli spintoni, scaraventandomi per terra. Per fortuna, la campanella mi salvò da quello che presto sarebbe diventato un pestaggio. Mi lasciarono lì, stesa a terra, in silenzio e con lo sguardo basso. Se ne andarono con un “Salutaci tua madre!” e altri commenti che preferii rimuovere dalla mia mente. Da quel giorno, parlai molto meno. E cominciai a non andare a scuola durante la festa della mamma.

Era il primo giorno del terzo anno di superiori. Avevo sedici anni compiuti e un’autostima a dir poco inesistente.  Mi svegliai molto presto, come mio solito, pronta alla carica di insulti a me riservati anche per quell’anno. Iniziai a vestirmi con tutta la calma e tranquillità di chi è intenzionato ad arrivare in ritardo. Non volevo incontrare i soliti bulli, e quei pochi minuti di ritardo che mi stavo procurando, mi avrebbero permesso di raggirarli più o meno tranquillamente. Prima di uscire di casa diedi una veloce occhiata alla stanza di mia madre. Non c’era. Beh, che mi aspettavo? Scossi leggermente la testa,scuotendo i miei capelli turchini,lunghi fino alle spalle. Mi decisi finalmente ad uscire, e afferrate le chiavi di casa, mi chiusi la porta alle spalle, pronta ad andare. La scuola non distava molto dalla mia casa. A piedi impiegavo circa cinque minuti ad arrivare, otto se camminavo lentamente. Così, esattamente sette minuti e cinquantanove secondi dopo, mi trovai davanti all’edificio scolastico. Feci un profondo respiro e mi incamminai su per le scale che mi separavano dall’ingresso.
Come ogni anno, il preside della nostra scuola riuniva tutti gli alunni nella grande palestra, per il discorso di inizio anno. Discorso sempre uguale, fatta eccezione per l’uso di alcuni sinonimi a sostituire le parole utilizzate l’anno precedente. Entrai nella grande palestra, guardandomi intorno in cerca di un posto marginale da cui poter ascoltare le originali parole del preside, senza essere disturbata. Mi sedetti sull’ultima panca a sinistra, vicino all’uscita della palestra. Gli altri studenti erano concentrati nella parte centrale della palestra, proprio di fronte al palco allestito per la cerimonia, così tirai un sospiro di sollievo, constatando di essere sola in quel angolino.  Iniziai a guardare l’ambiente intorno, spinta da una lieve curiosità di sapere quante delle facce viste della scuola erano riuscite ad essere promosse, e quante invece erano state bocciate. Certo che c’erano proprio un sacco di studenti, in quell’istituto. Stavo ancora vagando con lo sguardo tra i vari ragazzi, quando mi accorsi che qualcuno era appena entrato in palestra. Volsi lo sguardo verso l’ingresso, e mi imbattei in un paio di iridi d’antracite che mi fecero sobbalzare. Era un ragazzo, uno nuovo probabilmente. L’altezza non troppo elevata, i capelli scuri e rivolti verso l’alto, come a ricordare una fiamma, e il corpo muscoloso gli conferivano l’aspetto di un normale sedicenne, come me. Il suo sguardo invece, era molto serio, profondo, maturo. Lo faceva sembrare adulto. Ero rimasta così, a fissare quegli occhi  scuri, quando mi resi conto che il preside aveva appena fatto il suo ingresso. I falsi applausi degli studenti, rivolti al preside Muten mi risvegliarono da quello che sembrava uno stato di coma apparente. Solo in quel momento mi accorsi che i suoi occhi non erano più su di me. Se ne era andato. Ancora un po’ scossa, sospirai e decisi di rivolgere tutta la mia attenzione al vecchietto con la barba bianca e gli occhiali da sole che aveva iniziato a parlare. Pensai un’ultima volta a quegli occhi color  notte, poi iniziai ad ascoltare seriamente il discorso del preside, anche  se ormai lo conoscevo a memoria.
Quello era il mio terzo anno delle superiori. E di regola, alla Orange High School, all’inizio del terzo anno bisognava scegliere uno dei club scolastici, iscriversi ed essere costretto a frequentarlo per il resto del liceo. Non era male come idea. Non lo era affatto. Si poteva scegliere tra diversi corsi: c’erano il corso di cucito,il corso di lingue, il laboratorio di scienze e così via. L’elenco era piuttosto lungo, e ci voleva un po’ per studiarlo tutto. Così decisi di attendere che tutti avessero scelto il loro club, per potermi poi dedicare all’ardua scelta di qualcosa che facesse per me. Una volta che la folla accalcata attorno al foglio delle iscrizioni fu scomparsa, mi avvicinai all’elenco. Scorsi con gli occhi le varie opzioni, stando attenta anche a coloro che avevano scelto il laboratorio a cui ero interessata. Sia chiaro, non avevo alcuna voglia di ritrovarmi a passare i restanti anni del liceo in compagnia dei bulli della squadra di football, o con le galline delle loro fidanzate. Fortunatamente questi facevano già parte di un club scolastico, visto che la squadra di football e il gruppo di cheerleader erano considerati così. Perciò io non correvo grossi rischi. Nonostante ciò, dopo un’attenta osservazione, non avevo ancora deciso quale laboratorio frequentare. Fu in quel istante che l’occhio mi cadde sulla casella : “Glee Club”. Il Glee Club era un laboratorio dove i ragazzi che sapevano cantare,suonare uno strumento e ballare, potevano sentirsi a casa. Ecco, un’altra cosa che non vi ho detto, è che io amo la musica. Una volta da piccola avevo trovato una chitarra nella soffitta di casa. Era piuttosto vecchia e impolverata. Probabilmente era appartenuta al precedente inquilino del nostro piccolo appartamento, magari l’aveva dimenticata per sbaglio e non era più venuto a riprenderla. Sta di fatto che quello strano oggetto attirò talmente tanto la mia attenzione che decisi che avrei imparato ad usarlo. Iniziai a cercare tutorial su internet, per poter così imparare da autodidatta. Ovviamente tutto ciò avveniva quando mia madre non c’era. Ma d’altronde, non c’era mai, perciò in poco tempo imparai a suonare la chitarra. Ero così fiera di me, ma non lo dissi a nessuno. Continuavo a suonare e cantare di nascosto, quando ero sola in casa. Certe notti, quando mia madre era fuori ed io mi sentivo sola, afferravo la chitarra nascosta sotto il letto ed iniziavo a strimpellare,  componendo qualche canzone. Così ero arrivata a sedici anni con una chitarra nascosta sotto il letto, insieme ad un quaderno pieno zeppo di canzoni scritte da me in quelle notti di solitudine. E inoltre, non per vantarmi, non cantavo neanche tanto male. Anzi avevo una bella voce, che però non usavo molto. Guardai per un attimo la casella con su scritto i nomi dei partecipanti al laboratorio e l’insegnante che avrebbe seguito il corso.  Erano in pochi e non conoscevo nessuno di loro, tantomeno il professore. Un certo Gohan Dawson. Probabilmente uno nuovo. Riflettei per un altro secondo, poi afferrai decisa la penna appoggiata lì vicino e scrissi il mio nome sull’apposita casella. Guardai soddisfatta il foglio:
Glee Club
- Chichi Del Toro
-Goku Son
-Crillin Head
- Yamcha Wolf
- C18 Android
-Tensing Eye
- Riff Eye
-Bulma Brief

Sorrisi soddisfatta, guardando il mio nome insieme a quello degli altri componenti del Glee Club. Con una firma. Fu così, che tutto cominciò. Nota Autrice: Salve a tutti! Sono tornata! Stavolta ho deciso di cominciare una long ambientata, in un universo alternativo, con i nostri immancabili protagonisti! Era da un po' di tempo che quest'idea mi frullava in testa, così oggi ho deciso di metterla per iscritto e ho scritto il primo capitolo! Spero di poter aggiornare regolarmente, anche se non posso darmi un termine, dato che devo ancora scrivere gli altri capitoli! Vedrò cosa posso fare! Intanto vi lascio questo primo capitolo. Non è molto lungo, è una sorta di introduzione alla storia vera e propria. Non so dirvi quanto saranno lunghi i successivi capitoli, nè quanti saranno, ma ho già in mente un'idea di come continuare la storia... comunque ci tenevo a precisare che l'idea generale è leggermente ispirata alla serie televisiva Glee, ma posso assicurarvi che tolta la presenza di alcune canzoni e altri elementi, la storia si svolgerà in modo diverso! Ora vado davvero, altrimenti rischio di scrivere una nota più lunga del capitolo stesso... :) Grazie come sempre a coloro che leggeranno questa storia e a chi recensirà! A presto! TWOTS
   
 
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