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Autore: The Writer Of The Stars    31/07/2014    4 recensioni
Questa è una storia come tante. é una storia che parla di adolescenti,come se ne conoscono tanti. Loro però sono solo un po' più sfortunati. Ma questo non significhi che non abbiano voglia di vivere al meglio. Comincia tutto così. In un aula canto di un liceo come tanti, dove un gruppo di ragazzi si incontrano, si conoscono e capiscono di avere in comune molto più di ciò che pensano. Sarà un professore un po' fuori dal comune a spingere i ragazzi a vivere la loro vita al meglio, a non farsi sconfiggere dalle avversità, ad unirli sotto un'unica passione. La musica. Bulma è cresciuta da sola, con una madre che non la vuole e non l'ha mai voluta.Vegeta è stato abbandonato dalla madre e non ha più tracce del padre. Goku vive in un orfanotrofio e Chichi vive in precarie condizioni economiche con suo padre. Sarà la forza dell'amore, dell'amicizia e la voglia di farsi valere che spingerà un gruppo di sfigati canterini a mostrare il loro vero valore. E a farli diventare qualcuno.
Questa è la mia prima long, ambientata in un universo alternativo. Spero che vi piaccia e conto di aggiornare regolarmente. Buona lettura!
Genere: Romantico, Sentimentale, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Bulma, Chichi, Goku, Vegeta | Coppie: Bulma/Vegeta
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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I corsi scolastici sarebbero cominciati subito dopo la fine delle lezioni, nell’immediato dopo pranzo. Alla Orange High School si poteva pranzare in due modi: mangiare il cibo della mensa, seduti ai tavoli insieme al proprio gruppo di amici, chiacchierando di tutto senza in realtà dire nulla di importante. Oppure portarsi un panino da casa e rifugiarsi da soli nel cortile della scuola, crogiolandosi nella tranquillità del momento. Erano pochi infatti gli studenti che sceglievano questa opzione, perciò la maggior parte dei ragazzi si trovava nella mensa, lasciando il cortile vuoto o quasi. Io ovviamente sceglievo la seconda opzione, da sempre. C’era un qualcosa di impagabile e assolutamente imparagonabile alla tranquillità del consumare il proprio pranzo in silenzio, accompagnati solo dallo sporadico canto di qualche uccellino. Le chiacchiere provenienti dalla mensa arrivavano lontane, mano a mano che mi avventuravo nel grande giardino del cortile. Negli anni avevo sperimentato diversi luoghi per consumare il mio pranzo, e durante una delle mie spedizioni alla ricerca del posto perfetto, avevo finalmente trovato il luogo adatto. Continuai a camminare con passo lento e tranquillo, non avevo fretta. Il mio posto tanto non sarebbe scappato. Mentre proseguivo facendomi largo tra le piante, iniziai a pensare. Quella mattinata era passata in modo stranamente tranquillo. Niente incontri spiacevoli, nessun insulto, nessuno mi aveva rivolto la parola. Perfetto. L’anno non poteva cominciare in maniera migliore. Inevitabilmente la mente vagò a quegli occhi scuri incrociati nella palestra. Quello sguardo, mi aveva in qualche modo scosso. Non sapevo spiegare che cosa mi aveva fatto. Posso solo dire che mi aveva colpita. “Chissà chi è quel ragazzo …” mi ritrovai a pensare, proprio un attimo prima di scorgere finalmente il grande albero. Eccola là,la mia quercia. Affrettai il passo non appena vidi la corteccia del mio angolo di paradiso. Pregustavo già la pace e la tranquillità di quei quaranta minuti che la pausa pranzo concedeva, quando mi accorsi di non essere sola. Vicino all’albero infatti, scorsi uno zaino nero, malamente abbandonato al suolo, la cerniera lampo aperta e alcuni libri velocemente riposti al suo interno. Incuriosita e forse un po’ arrabbiata nel constatare che qualcun altro si era impossessato del mio angolo, mi avvicinai al albero. Stavo già preparando un discorsetto nella mia mente, da rifilare all’intruso. Sicura di non trovarmi davanti uno dei soliti bulli, mi ritrovai armata di un insolito coraggio che credevo non mi appartenesse più ormai. Presi un respiro profondo e mi parai di fronte all’ intruso. Avevo chiuso gli occhi ripassando mentalmente il mio discorso, e una volta sicura di me, cominciai decisa: “Senti, posso sapere chi sei e cosa ci fai …” le parole mi morirono in gola. Avevo appena iniziato il mio monologo , ma mentre parlavo, aprii gli occhi, trovandomi davanti il misterioso intruso. Non potevo crederci. Era lui. Se ne stava seduto per terra, la schiena appoggiata alla corteccia, la testa leggermente reclinata all’indietro e gli occhi chiusi. Sembrava così calmo e rilassato. Si accorse della presenza di qualcuno quando mi misi davanti a lui, facendogli ombra. Nonostante ciò non aveva accennato ad aprire gli occhi. Solo quando iniziai a parlare, aprì gli occhi scocciato e infastidito per l’interruzione del suo momento di relax. Si rese conto però che mi ero fermata nel bel mezzo del mio discorso, così mi guardò accigliato e leggermente confuso. “Allora? Si può sapere cosa vuoi? Sei venuta qui a rompere, finisci almeno di lamentarti e poi lasciami in pace!” mi si rivolse scontroso. Ora,se in un primo momento ero rimasta sorpresa a guardarlo, dopo aver ascoltato questa sua affermazione, mi risvegliai di colpo. Se fino a quel tempo ero sempre rimasta zitta di fronte a tutto, reprimendo la lingua tagliente e il carattere deciso dentro di me, in quel momento decisi che era ora di far vedere un po’ di luce a quella Bulma nascosta da troppo tempo. I miei occhi limpidi si infuocarono immediatamente. Posso giurarvi che se fossimo stati in un cartone animato, avreste visto un paio di fiammelle al posto delle mie iridi azzurre. Strinsi i pugni con decisione e, una volta preso fiato, iniziai a sbraitare furiosa: “Ma come ti permetti di parlarmi così?! Se vuoi saperlo sono venuta qui a lamentarmi, perché questo è il MIO posto! Sei tu quello che non dovrebbe essere qui, perciò ti invito calorosamente ad andartene, lasciando libero il mio posto!” non appena finii di pronunciare ciò, mi sentii molto meglio, quasi liberata. Era da tempo che la vera Bulma non si faceva sentire. In un primo momento mi sentii leggermente in colpa. Forse avevo esagerato. Dopotutto, come poteva quel poverino sapere che quel posto era stato il frutto di tante ricerche e che era il luogo dove mi rifugiavo per trovare un po’ di pace in quella vita burrascosa che mi trovavo a vivere? Ma i sensi di colpa vennero subito repressi dal suono della risata di lui. Stava ridendo. Era una risata derisoria, questo è vero, ma non potei fare a meno di ammettere che era una delle risate più belle che avessi mai sentito. Era profonda, un po’ roca, come la sua voce. Mi riscossi velocemente da quei pensieri. E ora perché diavolo stava ridendo?! Esposi questo mio interrogativo indignata e lui finalmente mi guardò negli occhi. Aveva smesso di ridere, anche se non riusciva a trattenere un ghigno divertito su quel viso perfetto … un momento, ma che stavo pensando? Io ero arrabbiata con lui accidenti! Fu proprio il soggetto dei miei pensieri ad interrompere il conflitto interiore che stava avvenendo all’interno della mia mente. “Il tuo posto? Questo sarebbe il tuo posto?! Sbaglio o non vedo targhette con scritto “Donna petulante” qui intorno?! No perché se è così allora illuminami, non vedo l’ora!” ecco mi aveva colpita. Colpita e affondata. Aveva ragione, il mio nome non era scritto da nessuna parte. Nonostante ciò non potei fare a meno di ribattere più inviperita che mai: “ Razza di scimmione, come osi?! Non mi chiamo donna, ho un nome sai?! Mi chiamo Bulma, hai capito? B-U-L-M-A! BULMA! “ . La sua risposta, ovviamente, non tardò ad arrivare. “Tsk, non mi interessa affatto come ti chiami! Per me sei solo una donna rompiscatole! E comunque ti ripeto che non vedo il tuo nome scritto da nessuna parte, perciò questo posto è tanto tuo quanto mio! E ora sparisci, ho di meglio da fare che perdere tempo con una gallina isterica come te!” Ok, quello era il colmo. Stavo per ribattere infuriata quando un sinistro borbottio proveniente dal mio stomaco, mi ricordo ciò per cui mi ero addentrata nel giardino. Stavo morendo di fame, e inoltre non avevo ancora molto tempo per mangiare. La pausa pranzo sarebbe finita a breve e io non avevo ancora messo nulla sotto i denti. Non avevo assolutamente intenzione di arrendermi, ma di mangiare vicino a quel troglodita maleducato proprio non ci pensavo. In più il tempo stringeva e dopo pranzo sarebbe cominciato il laboratorio di musica. Non avevo altra scelta. Più irritata che mai, presi il mio zaino e mi allontanai, cercando un altro posto dove mangiare, il più lontano possibile da quello scimmione. Mentre mi allontanavo sbuffando, non potei fare a meno di segnare nella mia mente il disastroso esito della lite appena avvenuta. Scimmione 1, Bulma 0. Argg, che rabbia! Quello scimmione mi aveva fatta infuriare! Già, scimmione! Come altro potevo chiamarlo? Non conoscevo il suo nome e sinceramente non mi sembrava esistesse soprannome più adatto di quello. Nonostante ciò, dovetti ammettere che grazie a quel maleducato, sembrava avessi riacquistato un po’ del coraggio e carattere che credevo perso. “Bè, almeno quello”, pensai. Dopo un po’ di cammino trovai una panchina gialla. Mi sedetti distrattamente, iniziando a mangiare con voracità il panino che avevo preparato per pranzo. Dovevo sbrigarmi. Tra non molto il club di musica sarebbe cominciato. Chissà, magari quello mi avrebbe permesso di distrarmi e farmi passare l’arrabbiatura. Già, magari … Erano le 14.07 minuti. Sette minuti di ritardo. Non erano nemmeno tanti, ma nonostante ciò dovetti correre come una matta per raggiungere la classe dove si sarebbe tenuto il laboratorio. Non potevo arrivare in ritardo il primo giorno. Arrivai trafelata di fronte all’alula 7. La porta era leggermente socchiusa, perciò in un moto di coraggio la aprii timidamente. Davanti a me si materializzarono un paio di occhi neri, incuriositi. Indietreggiai improvvisamente, presa alla sprovvista da quel ragazzo che mi stava fissando. Probabilmente sarebbe stato uno dei miei compagni di corso. Lo guardai anche io per un attimo. Oltre agli occhi neri puntati su di me, notai che era un ragazzo piuttosto alto e muscoloso. Sul suo capo faceva bella mostra di sé una strana capigliatura a forma di palma e a completare il quadro un enorme sorriso,probabilmente rivolto a me. Era un ragazzo che ispirava subito simpatia, senza alcun dubbio. “Ciao! Io sono Goku! Tu come ti chiami? Frequenti anche tu questo club?” mi chiese con quel sorriso ancora stampato in viso. Ero ancora un po’ sconvolta da quel ragazzo così solare, che impiegai un attimo prima di rispondere. “ Ehm, ciao, sono Bulma e credo che frequenteremo questo corso insieme …” risposi timidamente. Un’altra ragazza mi si avvicinò, guardando per un attimo Goku e prendendolo per un orecchio. “Non stare così addosso ad ogni persona che arriva, Goku! Come devo dirtelo?!” lo rimproverò con una punta di divertimento. “Ahh, va bene Chichi, però ora potresti lasciarmi l’orecchio per favore? Mi stai facendo un pochino male …” rispose Goku, implorando la ragazza di lasciarlo. Sorrisi, divertita da quella scenetta,e solo allora la ragazza che aveva ripreso Goku, mi rivolse la sua attenzione. Aveva gli occhi scuri come quelli del ragazzo appena conosciuto, e i capelli del medesimo colore. Mi sorrise cordialmente, presentandosi. “Ciao! Io sono Chichi! Scusa se Goku è venuto subito ad assillarti, ma lui è fatto così!” mi disse, rivolgendo un’occhiata di rimprovero al poveretto vicino a lei. Quest’ultimo intanto continuava a sorridere imbarazzato, grattandosi la nuca con una mano, in un gesto impacciato. Sorrisi cordialmente alla ragazza, presentandomi anche io. “Tranquilla, non fa niente, anzi Goku sembra molto simpatico! Comunque io sono Bulma, molto piacere.” Feci cordialmente, tendendole la mano. Chichi mi guardò un attimo e poi mi saltò addosso, abbracciandomi come se non ci vedessimo da una vita. Ok rimproverare il ragazzo forse un po’ troppo allegro, ma lei sembrava non essere da meno, anzi … più imbarazzata che mai risposi timidamente all’abbraccio, e dopo poco tempo la ragazza si staccò, ancora sorridendo. Ok, forse quei due avevano qualche rotella fuori posto. Ma forse fu proprio per questo che risultarono subito simpatici. Ero felice di frequentare il laboratorio insieme a loro. Saremmo sicuramente diventati amici. Nel frattempo iniziai a guardarmi intorno, passando in rassegna i volti degli altri ragazzi lì presenti. Il primo a colpire la mia attenzione fu un ragazzino basso, pelato e con un naso praticamente inesistente. Si guardava intorno intimorito, probabilmente era un ragazzo molto timido. Poco più in là scorsi un ragazzo con una strana cicatrice sul volto. Stava in piedi, sorrideva e scherzava con altri due ragazzi lì vicino, scuotendo i lunghi capelli scuri raccolti frettolosamente in una specie di coda. Non era male, sembrava un bravo ragazzo. Insieme a lui, altri due individui catturarono la mia attenzione. Uno di loro era piuttosto alto, anche lui senza capelli, ma con uno strano tatuaggio a forma di occhio in fronte. Un tipo un po’ strano, senza dubbio. Vicino a lui invece, stava un altro ragazzino, molto più basso e con le sembianze piuttosto infantili. Sorrideva impacciato in mezzo a quei due tipi che per lui erano colossi. In fondo alla stanza, appoggiata ad un angolo, scorsi la figura di una ragazza. Era alta, bionda e molto bella. Gli occhi di ghiaccio scrutavano tutto l’ambiente intorno, con fare misterioso. Non sembrava una tipa di molte parole. Feci ricorso alla mia memoria fotografica, ricordando il numero di iscritti a quel laboratorio segnati sul foglio delle iscrizioni. Otto, con me. Iniziai a contare mentalmente, portando lo sguardo ora su uno ora sull’altro, per accertarmi che fossimo tutti. Otto, si c’eravamo tutti. Stavo ancora riflettendo quando la porta dell’ aula si spalancò di botto. Le chiacchiere furono sostituiti dai silenzi e dagli sguardi di tutti puntati verso l’individuo appena entrato. Era un tipo alto, moro e dagli occhi del medesimo colore. Una grossa montatura nera risaltava ancora di più i suoi occhi scuri. Sotto il braccio reggeva alcuni libri e non appena si accorse dei nostri sguardi puntati su di lui, sorrise imbarazzato. “Buongiorno ragazzi! Sono il professor Dawson!” proclamò infine. Seguì un silenzio imbarazzante. Sono sicura che il mio pensiero fu lo stesso di quello degli altri ragazzi presenti nell’aula. Quel tipo sarebbe stato il nostro professore?! Non sapevamo che dire. Non perché sembrasse antipatico, anzi. Sembrava solo un po’ troppo giovane e inesperto. Il silenzio venne finalmente smorzato dal bussare della porta. Il professor Dawson volse lo sguardo verso la fonte del rumore e proclamò un incerto: “Avanti!”. La porta si aprì leggermente. Lo sguardo di tutti ora era puntato verso l’ingresso. Non fece in tempo ad aprire completamente la porta, che mi sentii mancare. Quegli occhi. Scorsi solo quei due pozzi neri. Non era possibile. Non potevo crederci. Ma era così. Era lui. Nota Autrice: Ed eccomi quà con il secondo capitolo della long! Mi rendo conto che non è molto lungo, ma questo è un capitolo diciamo di collegamento, anche se molto importante! Qui infatti assistiamo al primo incontro (litigio) tra Bulma e Vegeta! Inoltre inizia la prima lezione del laboratorio... il prossimo capitolo parlerà infatti della prima lezione con il professore un po' impacciato del Glee Club! Ringrazio come sempre coloro che leggeranno, recensiranno e anche chi metterà la storia tra le seguite (magari..) comunque vi saluto e vi ringrazio come sempre per l'attenzione! Un bacio e al prossimo capitolo! A presto! 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