Fanfic su artisti musicali > Justin Bieber
Segui la storia  |       
Autore: firstmarch    30/07/2014    3 recensioni
In un futuro imprecisato, dove i matrimoni e le nascite sono controllate dalla tecnologia e dalla scienza, come possono due ragazzi sperare di rimanere insieme? Il sistema decide, non il singolo individuo.
Il sistema impone il matrimonio combinato all'età di diciotto anni, un matrimonio tra due persone che non si conoscono e hanno a disposizione solo otto settimane per farlo.
E se è già difficile per due ragazzi normali affrontare tutto ciò, come potrà essere per Justin e Scarlett, innamorati l'uno dell'altro dall'età di quindici anni? Come potranno sposare qualcuno che non amano se il loro cuore è già impegnato?
______________________________________________________________________________
Fanfiction di soli dodici capitoli, prologo ed epilogo inclusi.
TRAILER: https://www.youtube.com/watch?v=Njxc3R-sh5w&feature=youtu.be
Genere: Drammatico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Justin Bieber
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
 <<    >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
Image and video hosting by TinyPic


WEEK 1

parte uno.


TRAILER.


Justin premeva quasi con prepotenza le sue labbra sulle mie, quasi a volerne rivendicare il suo possesso, mentre io inarcavo la schiena portandola inevitabilmente contro il suo petto. Cercavo un contatto che non avrei potuto più avere, lo cercavo disperatamente, cercavo di creare un ricordo indelebile al passare del tempo, un ricordo che avrebbe lasciato una traccia di ciò che eravamo stati l'uno per l'altra, che sancisse gli anni passati insieme. E mentre creavamo quel ricordo, non dovevamo pensare a niente se non al momento che stavamo vivendo. Così feci.
Lasciai che le sue mani percorressero la mia schiena in tutta la sua lunghezza, lasciai che mi togliesse il respiro nella foga del momento. Gli sbottonai velocemente la camicia bianca e, una volta tolta, la scaraventai a terra, contenta di essermi liberata di quell'ostacolo che mi impediva di toccare la sua pelle, calda, quasi rovente, mentre la mia mano toccava i suoi addominali e poi i pettorali, fino a quando non trovò le sue spalle e poi il collo. A quel punto lo spinsi ancor di più contro di me, le gambe si scontravano con le sue, il vestito che avevo indossato quella sera veniva sollevato fino ad essere sfilato completamente.
Sentii i suoi muscoli contrarsi quando gli slacciai la cintura dei pantaloni, una piacevole sensazione che mi fece sorridere maliziosamente, mentre ormai a dividerci restavano pochi indumenti.
Mi staccai da lui per guardarlo negli occhi e per guardare quanto era irrimediabilmente bello, le guance rosse e i capelli scompigliati dalle mie mani, le labbra socchiuse quasi a chiedere più baci, quasi lo gridavano e io non potevo ignorare quella chiamata.
   “Ti amo, Scarlett Moore, adesso e per sempre.”
    
***


La mattina seguente mi svegliai di buon'ora: l'aereo diretto a Londra era alle dieci di mattina, perciò alle sette ero già in piedi, la cartella di William George Lannister sul tavolo della cucina, accanto alla tazza di latte e cereali che mamma mi aveva preparato come colazione.
Il giorno prima eravamo andate alla segreteria dell'Accademia, dove erano state consegnate delle schede personali su ogni futuro partner degli studenti, in modo da poter contattarsi l'un l'altro e avere qualche informazione in più sulla persona. Io non avevo toccato la cartella prima di quel momento, se ne era impossessata mia madre non appena arrivata a casa e aveva subito chiamato i Lannister per organizzare il primo incontro. Stettero al telefono quasi due ore, nella quali mio fratello, dichiaratosi aiutante ufficiale della mamma, cercava su internet offerte last minute per voli diretti a Londra.
Una volta conclusi i preparativi, mia madre aveva chiesto di poter parlare con William, ma in quel momento era fuori casa perché andato a prendere la mia cartella all'Accademia di Londra. Grazie a Dio, se fosse stato disponibile avrei dovuto parlargli al telefono e la cosa non mi allettava particolarmente.
Quella sera stessa avevamo avuto ospiti, con un piccolo inconveniente: nessuno si era preoccupato di dirmi che Justin e la sua famiglia avrebbero cenato da noi. Tutti troppo impegnati nei preparativi per il viaggio, evidentemente.
Mi ero preparata in tutta fretta, cercando di sembrare presentabile dato il così poco preavviso (dieci minuti al massimo). E poi avevo dovuto sopportare le chiacchiere dei genitori per tutta la sera, le impressioni che avevano su Camille e su William, i commenti su quanto fossero felici che non ci fossero capitate persone con delle facce poco raccomandabili. Io avevo fissato Justin tutto il tempo, mangiandomelo con gli occhi per quanto era bello in giacca e cravatta, come un vero uomo e lui aveva fatto altrettanto, solo più esplicitamente. Avevo distolto lo sguardo ogni volta che mi guardava e sorrideva con malizia e avevo pregato mentalmente che non mi si sedesse vicino una volta finita la cena. Sembrava che la Cerimonia del giorno prima fosse solo un brutto ricordo, anziché una condanna a vita. La sua presenza mi rendeva allo stesso tempo leggera e mi tormentava, ricordandomi che non sarebbe mai stato mio.
A fine serata, mentre lui e la sua famiglia si accingevano ad andarsene, mi aveva sussurrato in un orecchio di aspettarlo in camera mia e così avevamo passato la notte a baciarci, strusciarci e anche a parlare, a rassicurarci a vicenda. Stava per sorgere il sole quando Justin mi disse di provare a dormire. Quando quella mattina mi ero svegliata, lui non c'era più.
   “Scarlett, avrai tempo per leggertela da cima a fondo quella scheda, ma adesso fai la tua valigia o arriveremo tardi in aeroporto.”
   “Mh mh”, risposi a mia madre mentre lei viaggiava a tutta velocità da una stanza all'altra, prendendo le ultime cose da infilare in valigia.
Ignorai quello che mia madre mi aveva appena detto e feci colazione sfogliando la cartella di William, anche se in realtà non la stavo leggendo veramente.
   “Che hai da sorridere, Scarlett?”, mi riprese mio padre una volta entrato in cucina, quasi pronto per uscire di casa. Mi accorsi di avere un'espressione da totale ebete stampata in viso, perciò mi affrettai ad assumere un'aria seria, nonostante in quel momento mi si addicesse poco.
   “Qualcosa scritto su William è così divertente da strapparti letteralmente dal fare i bagagli? Tra venti minuti siamo in macchina, datti una mossa.”
   “Sì, papà.”
Chiusi la cartella del ragazzo e smisi di pensare alla serata appena trascorsa. Mi alzai dalla sedia finendo la colazione e in quel momento mi resi conto che le otto settimane erano effettivamente iniziate. L'inizio della fine.


Avevo scelto il posto vicino al finestrino, in modo da poter vedere tutto quello che sorvolavamo. Mia madre era seduta alla mia sinistra e mio padre sedeva un posto più in là, mentre mio fratello era rimasto a casa, dato che aveva preferito rimanere vicino a sua moglie. Per quasi due ore feci finta di ascoltare la musica (anche se in realtà le canzoni sul mio iPod si susseguivano ininterrottamente), alternandola alla lettura, anche se già dopo una decina di minuti avevo la nausea data la frequente sensazione di vuoto che faceva sussultare la maggior parte dei passeggeri, me compresa.
   “Tesoro, vuoi che chiami una hostess?”, mi chiese mia madre quando allungai e poi ritrassi una mano verso il sacchetto davanti a me, nel sedile più avanti.
   “No, sono sicura che mi passerà.”
Detto questo provai ad appisolarmi e, ignorando la brutta sensazione che mi attanagliava lo stomaco, riuscii ad addormentarmi. Non so quanto durò, ma quando mi svegliai, il pranzo era già stato servito e i miei erano palesemente addormentati. Ne approfittai per prendere dalla borsa la cartella di William e darle un'occhiata. Non pensavo avrei trovato qualcosa di interessante, ma dovetti ricredermi. Oltre al suo nome, alla data di nascita e alle sue caratteristiche principali vi era una breve presentazione del ragazzo, scritta da lui in persona. Mi chiesi perché a noi non era stato richiesto fare una cosa simile.
   “Tutto quello che bisogna sapere su di me non può essere scritto su questo foglio. Tutti quelli che mi conoscono mi descrivono in maniera diversa, quindi lascerò che sia la mia futura fidanzata a farsi direttamente un'idea del sottoscritto una volta giunto il momento, senza che io le tracci una mappa invisibile di me stesso che magari non corrisponderà alla sua realtà.
Fine. Tutto qui. Non avrei saputo definire il suo gesto. Era altezzoso oppure enigmatico? Aveva un'alta considerazione di sé o magari gli piaceva far impazzire la gente, chi poteva saperlo.
Caro William Lannister, puoi stare certo che non appena ti vedrò mi farò una chiara idea della persona che sei.


   “Scarlett, ti prego, fai un bel sorriso e smettila di guardarti le scarpe strisciandoti dietro la valigia.”
Per l'ennesima volta avevo alzato lo sguardo e per l'ennesima volta il panorama era lo stesso: una folla scalpitante di persone ammucchiate che cercavano di farsi spazio in quell'ammasso soffocante di corpi. Forse mia madre notò la mia faccia leggermente schifata alla vista del cartello “Aeroporto di Londra”, perché mi riprese un'altra volta.
   “Dov'è che sono?”, chiesi io di rimando. Mi riferivo ovviamente ai Lannister, i quali ci sarebbero dovuti venire a prendere all'aeroporto per portarci all'hotel e fare il primo incontro.
Mia madre mi lanciò un'occhiata di fuoco.
   “Dovresti essere contenta di essere la futura moglie di un ragazzo di così buona famiglia, Scarlett. Non ti capisco proprio.”
Certo che non capiva, non le era mai stata strappata la possibilità di scegliere, non le era mai stato strappato via il ragazzo che amava. Avevo promesso a Justin di chiamarlo non appena mi sarei sistemata in hotel, anche se in quel momento si fosse dovuto trovare insieme alla famiglia di Camille.
Camille Vérence, amica da più di nove anni che aveva involontariamente attratto su di sé il mio risentimento. Avevo parlato al telefono con Diane, ma avevo evitato di proposito di sentire Camille. Non potevo parlarle da amica, non ancora, nonostante lei non avesse colpa di niente.
   “Comunque sono appena fuori dall'aeroporto...guarda, si vedono già! Scarlett, dritto davanti a te, vedi quel ragazzo alto alto? È lui, tesoro, è lui. Che bel ragazzo, figliola, davvero bello. Hai avuto proprio fortuna.”
Mia madre non stava più in sé dalla gioia, mio padre sorrideva alla vista della sua reazione, mentre io aguzzavo la vista per vedere meglio il famoso William George Lannister.
Una volta più vicina notai che era davvero molto alto, doveva superarmi di qualcosa come venti centimetri, e che era anche più carino di com'era apparso nella foto mostrata alla Cerimonia di Fine Formazione. Non aveva niente che mi ricordasse Justin e non seppi se quello fosse un bene o un male. La prima cosa che notai di lui, però, fu il suo atteggiamento quasi rilassato, in netto contrasto con quelle delle nostre madri, completamente in visibilio nel vederci l'uno davanti all'altra.
Sembrava essere a suo agio persino quando sua madre lo chiamò Willy, come se fosse un pupazzo o un cane.
Quando i suoi occhi incrociarono i miei, dimenticai tutto. Dimenticai i nostri genitori che si stavano presentando a vicenda, dimenticai la valigia che mi stava trascinando lentamente verso il basso da quanto pesava, dimenticai anche Justin per un secondo o poco più, incredibilmente.
   “È un piacere conoscerti, Scarlett. Io sono William.”
Mi riscossi dallo stato di trance momentaneo in cui ero caduta.
   “Il piacere è mio.”
Ricambiai il suo sorriso con più imbarazzo di quanto avessi voluto. Il suo essere così alto, così sicuro di sé e calmo mi faceva sentire piccola, inadeguata e non all'altezza.
Si allungò verso di me abbassandosi e io trattenni istintivamente il respiro per un attimo.
   “Permetti? Deve essere molto pesante.”
Mollai la presa sul trolley, ormai retto da William, che lo stava già caricando su un auto indubbiamente all'avanguardia, ma incapace di contenere sei persone e i bagagli di tre.
   “Grazie mille”, feci appena in tempo a rispondere, prima che la mano libera venisse letteralmente afferrata dalla madre di William, Cassandra disse di chiamarsi, e poi da suo padre, Victor.
Scoprimmo che i Lannister erano venuti con due auto. Evidentemente si erano posti il problema dello spazio. Così dovetti salire sulla macchina in cui William aveva caricato la mia valigia, che scoprii essere la sua di auto, mentre i miei genitori di entrambi salirono sull'altra.
Per un momento mi chiesi se non fosse meglio andare nel sedile posteriore, da sola.
   “Contenta del risultato della Cerimonia?”, mi chiese dopo qualche minuto di viaggio, spiazzandomi.
In realtà avevo in mente di sposare un altro ragazzo, comunque nella sfiga direi che ho avuto fortuna, grazie.
   “Ehm, io non...”
   “Scusami, ci conosciamo da cinque minuti.”
Rilassai le spalle e lasciai sfuggire un sospiro di sollievo.
   “Te lo chiederò domani.”
Mi girai verso di lui e lo vidi accennare un sorrisetto che molte delle mie compagne di scuola avrebbero definito sexy.
   “Perché, cosa abbiamo in programma per domani?”, chiesi senza sembrare rigida e in tensione come in realtà ero.
   “Chiedimelo domani e saprò risponderti.”
   “Vuoi dirmi che tua madre non ha organizzato l'intera giornata? Sprizzava gioia da tutti i pori, quasi quanto la mia! Ne rimarrei sorpresa.”
   “Oh no, lei l'ha fatto e così anche io. Non vorrai mica restare tutto il giorno con i nostri, mi auguro.”
   “Preferirei di no.”
   “Bene, allora forse domani ti dirò qualcosa riguardo ai nostri programmi.”
Da una parte sì, non avrei voluto passare tutto il giorno con i miei con una perenne attenzione alle mie buone maniere, ma dall'altra non credevo sarei stata a mio agio da sola con William, anche se sapevo che il momento sarebbe arrivato.
Ora come ora Justin mi sembrava lontano più che mai, perciò, non appena raggiunsi la mia camera in hotel, dopo aver salutato i Lannister, mi precipitai sul mio cellulare e digitai il numero che ormai sapevo a memoria da anni. Mi mancava e per quanto William potesse rivelarsi fantastico e bellissimo, sapevo che non sarebbe mai stato come Justin.
   “Scarlett!”
Non appena sentii la voce di Justin al telefono, l'ansia che mi attanagliava lo stomaco si sciolse.
   “Puoi parlare?”
   “Posso. Come vanno le cose?”
Il suo tono di voce era spento e malinconico, nonostante avesse avuto una punta di entusiasmo non appena aveva risposto al telefono.
   “Qui tutto bene, ma...che hai, Justin?”
Prima di rispondere lo sentii sospirare.
   “Non mi sono reso conto di quanto sarebbe successo prima di stamattina, quando ho visto Camille e i suoi. E tu sei partita, adesso...mi fa impazzire saperti con un altro, Scarlett, impazzire mi fa.”
Mi lasciai cadere supina sul letto della mia camera, i miei occhi incontrarono il lampadario spento prima di chiudersi.
   “Vale lo stesso per me, non credere. Io...io non credo che tu e Camille possiate andare d'accordo per più di dieci minuti, non capisco come sia potuto accadere...”
   “Ci siamo visti tre volte all'anno per nove anni, credo di non aver avuto molte possibilità di conoscerla, adesso è arrivato il momento. E William? Lui com'è?”
Lo sentii esitare a quella domanda, come se avesse paura che tra noi succedesse qualcosa da un momento all'altro.
   “Ehm...interessante.”
   “Interessante?”
Interessante era l'aggettivo che usavo sempre per definire qualcosa che non sapevo definire; comprendeva in sé un'immensità di altri aggettivi che non avrei saputo affibbiare.
   “Passerò la giornata con lui domani, ti saprò dire.”
   “Da soli?”
Era preoccupato, mi immaginai la sua espressione in quel momento e questo peggiorò solo le cose.
   “Forse.”
Ci fu una pausa di diversi secondi prima che uno dei due parlasse di nuovo.
   “Non vorrei andarci, Justin, lo sai meglio di me...ma non posso farci niente.”
La voce mi tremava, ma sperai che lui non se ne accorgesse.
   “Sì. Sì, lo so.”
Altra pausa, questa volta più straziante.
   “Troveremo un modo, lo abbiamo già fatto.”
   “Un modo per cosa, Justin? Per stare insieme tradendo William e Camille? Ti ricordo che lei è mia amica da nove anni.”
   “Troveremo un modo per infrangere le regole.”

 
***


Quel mercoledì mattina avevamo fatto colazione in un bar nel centro di Londra insieme ai Lannister, seguita da una passeggiata nei dintorni. Mi ero sempre tenuta vicina a papà, sperando di non dover rimanere in disparte con William, ma il più delle volte fui costretta a restare accanto a lui mentre passeggiavamo per le vie di Londra. Quando non gli ero vicino, camminavo a fianco di sua madre, così interessata alla mia vita da essere quasi esasperante, ma aveva così buone intenzioni nei miei confronti che mi era impossibile non risponderle senza sorridere.
Dopo aver pranzato in hotel, potei scoprire cos'aveva in mente William per il nostro pomeriggio.
   “Non dirmi che ci saliremo davvero, William”, dissi non appena vidi l'enorme ruota panoramica che si innalzava davanti a noi in tutti e suoi centottantacinque metri.
Stavamo camminando da poco più di dieci minuti, nei quali mi ero tenuta a debita distanza da lui e non avevo quasi proferito parola. Ma davanti alla London Eye, io, che mi cagavo addosso per salire al sesto piano di un edificio, non riuscii a stare zitta.
   “Regola numero uno: non mi chiamare William. Questo è il genere di cose che fanno i genitori. Regola numero due: fidati di me.”
Mi girai verso di lui visibilmente preoccupata, ma lui non dava il minimo segno di essere in ansia, anzi, sorrideva. Sobbalzai quando mi ritrovai il braccio di William attorno alle spalle e desiderai che quel brivido che mi aveva scossa all'istante fosse solo di fastidio. Sapevo che non era così.
Non replicai a ciò che mi disse, aspettai solo di avere il mio biglietto per salire -mio malgrado- sulla ruota. Quel giorno vi era assai poca fila per la London Eye, troppo poca, perché il tempo passato ad annuire e a scuotere la testa per dire “sì” e “no” senza dover innescare involontariamente una conversazione era passato troppo in fretta. Avevo non solo paura di salire su quella stramaledetta ruota panoramica, ma avevo paura di rimanere da sola con lui, in una cabina a troppi metri da terra.
Le probabilità che fossimo da soli, comunque, erano molto basse, non eravamo gli unici a fare la fila.
Difatti non fummo soli, ma c'erano comunque poche persone per i miei gusti, anche se da una parte ne ero contenta, perché meno si era in una cabina, meno peso doveva sostenere quest'ultima e quindi non sarebbe di sicuro caduta. Proprio così, questi erano i ragionamenti che la mia mente concepiva una volta alimentata dal panico.
Fui l'unica a non stare appiccicata alle pareti della cabina, nonostante fosse quasi impossibile, dato che era tutta di vetro. William mi stette accanto non appena capì che avevo realmente una gran paura delle altezze.
   “Bisogna affrontare le proprie paure, Scarlett, o si sarà sempre terrorizzati da esse”, mi disse dopo pochi attimi. Era ovvio che si riferisse all'altezza, ma non era solo quella paura ad attanagliarmi lo stomaco in una morsa d'acciaio. Avevo paura di averlo così vicino, avevo paura di conoscerlo.
E se non mi fosse piaciuto? O addirittura, se mi fosse piaciuto, come lo avrei detto a Justin? E soprattutto, come sarei riuscita a mascherare il mio evidente disagio di fronte alle sue attenzioni?
Dovrai sposarlo, Scarlett, che tu lo voglia o no, quindi forse sarà meglio che tu te lo faccia piacere, mi disse la parte più razionale di me.
   “Spiegami una cosa.”
Mi accorsi di non aver detto neanche una parola da quando eravamo in fila e questo non andava assolutamente bene. Non potevo, aldilà delle mie paure e di tutto, farci la figura della ragazza scortese e menefreghista. Non potevo perché William sembrava un ragazzo fantastico e non potevo perché io non ero così.
“Spiegami perché sei così restia a parlarmi”, continuò lui. Ecco, se n'era accorto. Gran bel lavoro, Scarlett, gran bel lavoro. Mi voltai repentinamente verso di lui, temendo di vedere sul suo viso un'espressione arrabbiata. Ma la cosa che mi fece sobbalzare non appena mi girai fu la sua vicinanza, non la sua espressione, che sembrava più che altro confusa.
“Io...è tutto così veloce e così definitivo”, dissi cercando di essere il più credibile possibile.
“Ti capisco, Scarlett, ma se non ne approfittiamo adesso di queste otto settimane per conoscerci, poi ci ritroveremo sposati senza sapere nulla sull'altro.”
“In un modo o nell'altro dovremo sposarci, quindi credo avremo tempo a disposizione per conoscerci, all'incirca la nostra intera vita.”
Sputai letteralmente quelle parole, pentendomi della mia maleducazione pochi secondi dopo.
“Senti, scusami, ma...”
“Ami già qualcuno, non è vero?”, disse sospirando.
Ringraziai il cielo che gli altri tre turisti presenti fossero lontani da noi per non sentire la nostra conversazione.
“Cosa...come puoi pensare una cosa simile?”, finsi di essere indignata, ma in realtà ero terrorizzata. Non conoscevo William, avrebbe potuto farmela pagare per sempre, avrebbe potuto sbandierarlo ai quattro venti: io non avrei mai più rivisto Justin e sarei stata la vergogna della famiglia. Dovevo fingere e mentirgli, per il bene di tutti.
   “Non c'è bisogno che tu finga con me. Lo vedo dai tuoi occhi. Riconosco quello sguardo, credo di averlo avuto anche io quando la ragazza per cui stravedevo mi disse che era meglio non vedersi più durante gli eventi in cui gli studenti delle Accademie si riunivano.”
Ero a bocca aperta. Stupita da come mi rivelava di aver infranto a sua volta le regole, stupita della facilità con cui mi diceva di averlo fatto. In realtà non aveva propriamente infranto le regole, quello lo avevamo fatto io e Justin, ma comunque non si sarebbe dovuto innamorare di nessuno prima dei diciotto anni, punto e basta.
Dovevo negare o dovevo confessare? Tenermi tutto dentro e fingere o rischiare e parlargliene?
   “D'accordo, hai ragione. Ma ti chiedo di non dirlo a nessuno.”
   “Ti ho appena detto che mi è capitata la stessa cosa, secondo te avrei la faccia tosta di metterti nei casini?”
William mi sorrise e per la prima volta non distolsi lo sguardo. Rimasi lì, a vederlo sorridere, ricambiando timidamente quel suo gesto di confidenza.
   “Se ne avrai voglia, più avanti me ne parlerai”, continuò lui, tornando a guardare il panorama che l'altezza a cui eravamo ci offriva. Io annuii, sapendo che avrebbe notato il movimento.
Ansiosa di cambiare argomento e di non dover parlare di cose serie o anche solo pensarci, gli feci la mia prima domanda.
   “Mi stavo chiedendo...se non vuoi essere chiamato William, come dovrei chiamarti?”
Mi voltai verso di lui e mentre si accingeva a rispondere, ebbi la prontezza di osservare attentamente il suo viso senza che lui se ne accorgesse. Non era sicuramente il ragazzo più bello che avessi mai visto, ma dal suo sguardo, dai suoi movimenti e dal suo sorriso si poteva constatare una qualità ben più apprezzabile della sola pura bellezza. Aveva fascino, fascino nel parlare, con quel suo irresistibile accento inglese, e fascino nei movimenti, nel modo in cui ti guardava. Quel giorno era vestito come ogni ragazzo di diciotto anni, non come il giorno prima, quando si era presentato in giacca e cravatta (e io non avevo potuto fare a meno di squadrarlo dalla testa ai piedi, assumendo di certo un'aria alquanto ebete). William mi rispose, ma io ero intenta a guardare come la manica corta della t-shirt gli fasciasse le braccia, evidenziandone i muscoli perfettamente...
   “Scarlett?”
   “Come, scusa?”
   “Cosa stavi guardando?”
   “La tua maglia. Mi piace, è proprio figa.”
William spostò lo sguardo sulla sua maglia e io potei riprendere a respirare. Sperai di non avere le guance troppo rosse.
   “Domani ti porto in giro per i negozi e te ne compro una uguale, allora.”
   “Oh, va bene.”
Notai che mi stava di nuovo guardando e stava ancora sorridendo. Scosse la testa divertito.
   “Puoi chiamarmi Will, comunque.”
   “Will? Ah. Solo Will, sicuro? Mh, come vuoi.”
Ci stavamo avvicinando a terra, e io ero più che impaziente di uscire da lì, dove la situazione mi stava sfuggendo di mano.
   “Ti ci vorrà del tempo, ma sono sicuro che col mio aiuto te ne servirà meno di quanto tu immagini.”
Ci misi un secondo di troppo a capire a cosa si stava riferendo, ma una volta fatto eravamo già fuori dalla cabina e io non mi sentii costretta a rispondere.
Per ora un sorriso era abbastanza.

 
***


Montréal, prima settimana, giovedì.


   “So che in quelle poche volte in cui abbiamo avuto l'occasione di parlare, non siamo andati molto d'accordo, ma voglio sperare in uno sforzo da parte tua per conoscermi.”
Camille giaceva ad occhi chiusi sul dondolo della veranda di casa Vérence, accanto a me. Stavo aspettando impaziente una chiamata da parte di Ryan, mio amico di vecchia data, più grande di me di un paio d'anni. Tormentavo penosamente il cellulare, lo rigiravo tra le mani quasi come bruciasse, ma la telefonata non arrivava.
   “Tu lo farai?”, le chiesi.
   “Certo che lo farò, Justin, non arriverò al giorno del mio matrimonio senza neanche conoscere il mio futuro marito.”
Ora Camille mi fissava intensamente, con una luce diversa negli occhi che la faceva apparire più determinata che mai. Sospirai.
   “Non credo che questa faccenda delle otto settimane serva a qualcosa, in realtà.”
   “Cosa stai dicendo?”
   “Pensaci, Camille, a cosa servono se non ai preparativi per le nozze? Se fossero davvero state pensate per favorire una conoscenza tra i due ragazzi, alla fine delle otto settimane si potrebbe scegliere. Scegliere se sposarsi o no. Invece tutto è già stato scritto, quindi non credo mi cambierà molto conoscerti prima o dopo il matrimonio.”
   “Non mi importa cosa sono queste otto settimane per tutti. A me servono per conoscerti, io non voglio arrivare in chiesa e presentarmi davanti ad uno sconosciuto. Quindi tu, per la miseria, farai lo sforzo di sopportarmi, dato che ti costa tanto, e io farò lo stesso. Cercherai di trovare i miei pregi a te invisibili e farai finta di affezionarti a me, anche se non dovesse accadere. Voglio un futuro normale, non un marito che neanche sopporta il parlare con me.”
Ora eravamo uno davanti all'altro, io leggermente più alto di lei anche da seduto, lo sguardo fisso negli occhi di lei. Non avrei ceduto e lei lo avrebbe dovuto capire.
   “O se no, Camille? Non pretendere di cambiarmi, perché per te non lo farò.”
Lei distolse lo sguardo e si coprì il viso con le mani, i gomiti appoggiati sulle ginocchia.
   “Te lo chiedo per favore, ho bisogno di sapere con chi dovrò sposarmi.”
   “E se non ti piacerà quello che hai davanti cosa farai?”
   “Niente, Justin, niente! Ma tu promettimi che non darai per scontato che io e te non possiamo andare d'accordo, promettimelo.”
Sospirai di nuovo e mi appoggiai stancamente allo schienale del dondolo. Mentre pronunciai quelle parole, il viso di Scarlett fece capolino nella mia mente, facendomi sentire uno schifo, quasi un traditore.
   “D'accordo. Se questo ti farà stare meglio, ci proverò. Saremo sposati, dopotutto.”
Lei si voltò verso di me e mi parlò con una nota di speranza nella voce.
   “Mi fido di te, non farmi rimpiangere questa scelta.”


   “Ryan, dimmi che questa è una cosa fattibile.”
Avevo appena raccontato brevemente al mio amico ciò che avevo in mente, un piano di fuga da Camille, William Lannister e chiunque altro impedisse a me e a Scarlett di stare insieme.
   “Amico, io i documenti falsi posso anche procurarveli, ma ci metteranno poco a rintracciarvi, non so se ce la farete, sinceramente.”
Ryan sembrava scettico, ma a me interessava il giusto. Poteva procurarmi dei documenti falsi, questo era già abbastanza.
   “Sai benissimo anche tu che in Australia non ci daranno mai la caccia, lì le regole sono diverse. Quello è un mondo a parte, Ryan, non sono obbligati a sposarsi con chi viene loro assegnato. Possono decidere cosa fare alla fine del tempo stabilito. Loro possono, noi no, ma se io e Scarlett andassimo là...be', sono più che sicuro che nessuno verrebbe a dirci qualcosa se stessimo insieme.”
   “Sei così sicuro che non vi daranno la caccia? Sai che potrebbero ipotizzare che tu hai rapito Scarlett e che quindi non sia una cosa consensuale? Justin, non fare pazzie.”
   “È un rischio che devo correre, Ryan. Devo farlo per lei.”
Ci fu qualche secondo di silenzio, poi la conversazione riprese.
   “Va bene, quando vuoi partire?”
   “Poco prima dei matrimoni, quando tutti saranno impegnati coi preparativi.”
   “Vedrò che posso fare, Justin. Se riuscirai in questa impresa, mandami una cartolina, mi raccomando.”
   “Puoi contarci, amico. Grazie per tutto.”
Lo avevo promesso a Scarlett e a me stesso, avrei trovato un modo. Ora avevo un piano e qualcosa per cui lottare.

 
SPAZIO AUTRICE
 
Buonasera signore! Scusate il ritardo mostruoso, ma come vi avevo detto
nell'altro spazio autrice, sono stata in vacanza dieci giorni e poi è anche 
stato il mio compleanno...e insomma, un capitolo così lungo richiedeva del
tempo, capitemi:( Cercherò di aggiornare tutte le settimane, non vorrei fini-
re la fanfiction a dicembre, lol. Credo che dovrò allungarla di un paio di 
capitoli, da arrivare quindi a 12-13. Grazie mille a tutte quelle che leggono,
recensiscono e mettono tra le seguite/preferite! Un bacio a tutte e scusate 
per eventuali errori, non ho riletto.
   
 
Leggi le 3 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Fanfic su artisti musicali > Justin Bieber / Vai alla pagina dell'autore: firstmarch