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Autore: Stella cadente    31/07/2014    2 recensioni
"In quell’orfanotrofio degli Stati Uniti, in una piccola stanzetta, giocava una bambina pallida. Era una bambina dal corpo esile parzialmente ricoperto da lunghi capelli corvini, che le ricadevano vaporosi sulla sua schiena magra. Una bambina che si sentiva messa da parte, oppressa, imprigionata tra quelle pareti spoglie, scrostate e di un color bianco sporco, quasi grigio."
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"E non era colpa sua.
E lei avrebbe preferito incastrarsi in una dannazione eterna, piuttosto che vivere una vita vuota."
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La storia di una bambina come tante, eppure così diversa.
La storia di una bambina innocente che voleva solo un po' di affetto.
Lei voleva solo essere ascoltata.
Genere: Drammatico, Horror | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Altri, Samara Morgan
Note: Missing Moments, Movieverse | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'The Ring - Samara Morgan'
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Seconda parte






Capitolo 11
Spettri
 
  
Moesko Island
Novembre 1978
 
 

 
Samara si trovava davanti allo specchio del corridoio e guardava il suo orribile riflesso.
Era da un po’ di tempo, in realtà, che era lì immobile. Richard era appena andato a portare Anna da un medico, il suo stesso medico. La stessa persona da cui era in cura da mesi ormai, ora doveva visitare anche sua madre.
Da quando quel cavallo era morto Anna aveva continuato a stare sempre più male, fino ad impazzire lentamente.
La bambina si guardò: dalla superficie riflettente, una figura magra, pallida e dai lunghi capelli scuri e scarmigliati la guardava vacua.
Sembrava un fantasma, una cosa senza consistenza.
Abbassò lo sguardo: non voleva vedersi.
Samara.
La bambina alzò la testa di scatto e non riuscì più a voltarsi. Era come se lo specchio la attirasse.
Aveva sentito una voce. Una voce che non poteva essere sua.
Guardò lo specchio.
Il suo riflesso era scomparso.
 
 
 
 
 
– Non è possibile – disse Anna, con la voce intrisa di panico.
– Che cosa, Anna?
Ellie Grasnik cercò di capire che cosa stesse succedendo. Non aveva mai visto Anna in quello stato.
– Non può essere lei... non può essere lei...
Da quando era arrivata nello studio, si era precipitata addosso al medico dicendo frasi senza senso.
– Anna, calmati, d’accordo? – fece la dottoressa, alzando la voce.
La donna la guardò con quei suoi grandi occhi nocciola. Si potevano vedere tante cose, in quegli occhi, ed Ellie ne rimase spiazzata: non sapeva come decifrare l’espressione di Anna.
Sapeva solo che il sentimento dominante, in quello sguardo, era la paura.
E lei non riusciva a capire di che cosa la sua amica avesse così paura.
– Anna...
Aveva lo sguardo perso, vacuo.
Era orribile vederla così.
– Lei ha bisogno di me – disse, con una voce che sembrava non appartenerle.
La osservò con più attenzione. Piangeva.
– Io non posso darle più niente – continuò.
– Parli di Samara?
Anna non rispose.
 
 
 
 
 
Samara era inchiodata al pavimento. Non riusciva a staccarsi da lì; provava a muovere qualche passo ma era impossibile. Sembrava averla catturata e trattenerla con tenacia.
Non poteva muoversi.
Era come trattenuta da funi invisibili.
Samara...
Qualcuno la stava chiamando di nuovo.
E lei sapeva di chi si trattasse.
Aveva voglia di urlare. Non potevano averla lasciata di nuovo sola. Non potevano non aver visto il Buio. Suo padre doveva salvarla. Avrebbe dovuto salvarla. E invece no. L’aveva lasciata lì, ad annegare nella sua paura e nel suo dolore.
L’aveva lasciata sola.
Lasciata sola.
Sola.
Sola.
Sola.
Il suo riflesso nello specchio le fece un cenno con la mano, sorridendo malefico.
 
 
 
 
 
– Non può essere lei...
– Anna, mi vuoi dire che succede?
– Lei è innocente, è innocente...
– Samara?
– Sì! È innocente!
Anna aveva urlato talmente forte che sembrava non aver più fiato. Ansimava furiosamente, come se la stesse attanagliando un terrore insopportabile.
– Non può essere lei...
– A fare cosa?
– A fare questo. A farmi questo. Richard dice che è così, ma io lo so che non è vero... non è vero... lo so che non è vero...
Linda guardò l’amica, sinceramente preoccupata.
Anna non sembrava neanche più in sé.
Sembrava che qualcosa l’avesse fatta andare fuori di senno.
– Ellie, io vedo delle cose.
La donna si sentì mancare.
– Che genere di cose?
– Vedo delle cose brutte. Ho delle visioni. Vedo cose orribili, immagini che scorrono...
Sembrava scossa. Tremava incontrollatamente.
Il medico non sapeva che fare. Aveva delle basi professionali e poteva, doveva basarsi su quelle, ma davanti alla sua amica in quello stato la sua professionalità lasciava inevitabilmente il posto ai sentimenti. Le faceva un certo effetto vedere Anna ridotta in quel modo; la donna luminosa e fiera che conosceva si era trasformata improvvisamente in un pallido spettro di dolore e paura, un fantasma.
Un fantasma che mai era emerso.
Un fantasma che mai aveva fatto parte di lei.
Chi era stato a portarlo? Chi l’aveva ridotta così?
Non era possibile che fosse la bambina. Eppure... Eppure c’era qualcosa che non tornava. Da quando i Morgan avevano adottato Samara, le cose sembravano essere andate sempre peggio. Prima l’improvvisa tristezza di Anna, e adesso... quello.
La tristezza della sua amica, ciò che normalmente sarebbe potuto essere ricondotto a depressione, sembrava essersi tramutato in qualcos’altro, qualcosa che non le apparteneva, qualcosa che non apparteneva alla natura di Anna.
Sembrava quasi sconfinare nella follia.
Per un attimo, nel vedere la faccia scioccata di Anna, pensò che Richard avesse ragione, che fosse stata la bambina.
Scosse la testa. Che idiozia.
 
 
 
 
 
Samara cercava disperatamente di fuggire.
Voleva fuggire, doveva fuggire. Ma lui era più veloce, e la raggiungeva sempre.
Samara...
Samara...
Vieni qui...
Le voci le affollavano la testa come tanti, piccoli, fastidiosi insetti.
Non c’era nessuno a proteggerla.
Samara si raggomitolò per terra e pianse, singhiozzando rumorosamente. Un’ombra attraversò il suo campo visivo. Era passata in fretta, attraversando il vetro della finestra.
Sembrava l’ombra di sua madre.
E la stava chiamando. Le stava dicendo di andare alla stalla, dove c’erano i cavalli.
Dove avrebbero potuto cavalcare insieme.
Samara sorrise. Doveva andare.
 
 
 
Ellie decise di mettere da parte lo shock e capire cos’avesse la sua amica utilizzando i suoi studi di psicologia.
– Anna, cosa credi che faccia Samara? – chiese, sforzandosi di mantenere un tono razionale.
– Non lo so – sussurrò Anna. – Richard dice che vuole farci del male... che non è normale... che non è umana...
La donna rifletté. Certo, Samara era una ragazzina molto particolare, ma da qui a dire che non fosse umana...
Non voleva ammetterlo neanche a se stessa, non voleva credere che la sua amica fosse in quello stato, eppure doveva essere psicosi. Anna era mentalmente instabile, aveva una percezione errata della realtà che la circondava. Com’era possibile che una bambina facesse impazzire la gente? Era una follia, una cosa senza senso.
Quell’alibi non stava né in cielo né in terra.
– In che senso non è umana?
– Non lo so... so solo che mi fa vedere delle cose. Tutto questo succede solo quando c’è lei.
La bambina le faceva vedere delle cose?
La psichiatra continuava a capirci sempre meno. Non riusciva a comprendere come, così di botto, in Anna vi fosse uno stato di psicosi così avanzato.
Decise di continuare comunque con le domande.
– Che genere di cose?
– Mi appaiono delle ragazze, in sogno... delle ragazze perseguitate da lei... e poi c’è lei... e...
Si interruppe, come se non sapesse più che cosa dire. Sembrava intrappolata in una gabbia invisibile in cui tutti i suoi spettri le giravano attorno.
– Cosa? Cosa c’è?
Anna la guardò intensamente.
– Mi sento solo minacciata. Ho paura. E poi non c’è più nulla.
Linda ebbe un tuffo al cuore.
Il Buio si prende i miei ricordi, e poi non c’è più nulla.
– Nulla? – chiese, dopo qualche secondo. La voce le tremava impercettibilmente.
Anna stette un po’ in silenzio.
Poi lo disse. Quella frase che fece correre un brivido freddo lungo la schiena di Ellie Grasnik.
– Niente. È tutto nero.
 
 
 
 
 
I cavalli si agitavano spaventati. Non appena lei si era avvicinata, avevano subito cominciato a scalciare e a nitrire disperati.
– Non voglio vedervi così – sussurrò Samara, mentre accarezzava John, il grande cavallo di Richard.
Lo stallone si era fermato sotto il suo tocco. Tremava, ma era fermo, come immobilizzato da una forza invisibile e spaventosamente potente.
– Io non voglio farvi del male – continuò, dolce.
Poi sciolse il cavallo dal recinto e continuò ad accarezzarlo. Intorno, gli altri cavalli scalpitavano.
John sembrò calmarsi del tutto, poi lanciò di botto un nitrito assordante. Il grosso muso allungato oscillò di qua e di là in maniera convulsa, come se volesse scacciare qualcosa di estremamente doloroso.
E poi corse via.
Samara, presa da un moto di allegria, liberò tutti i cavalli, che seguirono John.
Era felice.
Chiunque sarebbe passato di lì avrebbe visto uno scenario insolito e terribile. Cavalli, tanti cavalli che urlavano la loro paura, e nel mezzo, una bambina, che danzava armoniosa  ridendo.
– Siete liberi! – gridò Samara agli animali urlanti.
E continuò a correre con il vento e con i cavalli.
 
 
****
 
 
Richard Morgan non pensava ad altro che a Samara ormai.
John era morto. Lui aveva chiamato degli ispettori, per capire che cosa fosse successo.
Anche se lo sapeva già. Era stata Anna a voler chiamare quel numero. Di nuovo.
Lui sapeva che cos’era stato. Sapeva chi era stato. Sapeva qual era la causa, sebbene Anna si ostinasse a non credergli.
Era stata Samara.
Era stata lei a farlo.
John era morto... il suo cavallo gli era stato portato via da quella bambina.
Richard non riusciva a guardare il corpo inerme dell’animale, sdraiato sulla spiaggia e completamente privo di vita. Anna stava male, non poteva più contare su di lei. Era diversa, assente, sembrava non rendersi neanche più conto di cosa le accadeva intorno ormai.
Samara stava distruggendo tutto quanto.
E ora Richard aveva capito: doveva fermarla, prima che potesse completare l’opera.
Un brivido di paura gli serpeggiò lungo la schiena al pensiero; per la prima volta in vita sua, Richard Morgan aveva paura.
Aveva paura di una ritorsione da parte della bambina, di una ribellione – non sarebbe stato difficile per lei, dal momento che era in grado di scatenare morti e cataclismi.
Ma di certo non era uno che si arrende.
Sarebbe morto piuttosto che lasciare quella bambina ancora in circolazione sull’isola.
 
 
****
 
 
Quando Samara rientrò in casa sentì uno scalpiccio convulso lungo le scale e un respiro affannoso che sembrava essere di sua madre.
Poi una voce familiare.
– Su, Anna, devi andare a riposarti. No, ci sono io. Tranquilla. Sì, lei sta bene, ma ora va’ a dormire.
Trattenne il respiro.
– Papà? – mormorò.
Silenzio.
Ancora passi lungo le scale.
– Papà – chiamò a voce più alta.
La sagoma di Richard cominciò a scendere le scale, raggiungendola in breve tempo. D’un tratto, non le appariva più come la figura rassicurante del suo papà. Torreggiava su di lei in maniera minacciosa, immerso in un silenzio inquietante.
La bambina iniziò a tormentarsi nervosamente una pellicina.
– La mamma sta bene?
– Samara, è meglio se per un po’ stai lontana dalla mamma – rispose lui, tagliente.
La voce di suo padre sembrò arrivarle alle orecchie e poi pesarle sullo stomaco come un gelido blocco di marmo. Deglutì, come se così facendo avesse mandato via quel peso.
– Perché devo starle lontana?
– Non fare domande.
– Che le è successo? Io devo saperlo, voglio farle compagnia!
La sua voce aveva assunto un tono disperato; era sull’orlo delle lacrime.
– Non puoi! Non puoi Samara, va bene? Stalle lontana!
– Ma che cosa le ho fatto? Perché mi mandi via?
Per un po’ non sentì altro che il respiro di Richard.
– Che cosa hai fatto al mio cavallo? – sussurrò l’uomo in risposta, con la voce talmente roca e profonda da far rabbrividire la bambina di paura.
– Non lo so – riuscì a mormorare lei. Ormai le lacrime le cadevano copiose sul visino tondo.
– Lo sai benissimo invece.
– Io non lo so. Io volevo solo liberarlo, lui sarebbe stato felice...
– Ah, sì? – esplose Richard. – E come lo sai?
Samara smise di piangere e i suoi graziosi lineamenti si fecero improvvisamente seri, cupi.
La sua espressione aveva assunto un aspetto terribilmente maturo, che poco aveva a che fare con la natura di un bambino.
Sembrava che fosse perfettamente consapevole di ciò che stava per dire.
– Perché me lo ha detto lui.
Richard arretrò.
– Che cosa sei tu?
Samara sentì che qualcosa nel suo petto si era rotto, nell’istante in cui suo padre pronunciò quelle parole.
Che cosa sei tu?
Cosa.
Cosa...
– Papà, ti prego non... – disse, avvicinandosi piano.
– Vattene.
Samara si ritirò indietro bruscamente.
– Ma io non...
– Vattene, ho detto. Qualunque cosa tu sia, stai lontana da me e da mia moglie.
Samara sentì il suo viso contrarsi nello sforzo di non scoppiare in lacrime, prima di correre verso la porta di casa e sparire alla vista di Richard.
Nello specchio, una piccola, infantile sagoma, stava svanendo nell’oscurità.
 
 

 
Salve, persone :)
Sorpresi di vedermi, eh?
L'aggiornamento in effetti è un po' anticipato, ma non credo che sia una cosa brutta :3
Parlando di Samara. La bambina si sente sempre più arrabbiata verso il mondo, triste, vuota, infelice. Purtroppo queste emozioni negative seminano cataclismi e anche Anna non se la sta passando per niente bene come avete visto.
Non so perché, ma questa storia mi appassiona insolitamente. Dico insolitamente perché in genere non scrivo storie horror e non credevo che scriverne una mi coinvolgesse così tanto, anche se fosse stata su The Ring.
Invece mi sono legata tantissimo al personaggio di Samara ed è bellissimo scrivere questa Fic.
Le vostre recensioni poi sono meravigliose, penso che senza di voi Samara non sarebbe arrivata fino a qui.
Quindi grazie per le vostre recensioni. Sono fantastiche e mi spronano a continuare.
Spero che questo capitolo vi sia piaciuto.
Alla prossima,

Stella cadente
  
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