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Autore: taisa    08/09/2008    3 recensioni
Saiyan?! Una razza che genera molti interrogativi, soprattutto per chi non la conosce
Genere: Generale, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Altri, Vegeta
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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TAMING THE MONKEY

TAMING THE MONKEY

*

Lo strano bar, sospeso tra le nuvole di uno stravagante color giallo era gremito all’inverosimile, quel giorno. Creature dall’aspetto mostruoso, quasi terrificanti, sorseggiavano le loro bevande, o si cibavano dei loro pasti immersi in conversazioni bizzarre con altri esseri altrettanto strampalati. L’impatto iniziale, d’inquietudine, veniva subito rimpiazzato da un sentimento di curiosità.

Osservare una mummia che, centellinando dal suo bicchiere, era immerso in una conversazione quasi seria con una specie di lupo mannaro, suscitava un leggero divertimento sulle labbra di chi non era abituato a mettere piede in un luogo tanto singolare.

E se vedere un licantropo discorrere con un cadavere imbalsamato suscitava una sonora risata, che dire di quella specie di uomo con due teste che allegramente canticchiava uno strano motivetto? Nel frattempo, uno dei suoi capi era intento a mangiare un boccone appena servitogli da un singolare cameriere fantasma. Suscitando, peraltro, una notevole discussione tra la prima testa e la seconda.

Che dire invece del cassiere? Che di testa ne aveva una sola, ma sembrava spesso sul punto di perderla; e questo non era solo un modo di dire. Il singolare personaggio pareva più interessato a tenere appiccicato il capo sul proprio collo che a occuparsi di restituire il resto corretto ai suoi mostruosi clienti.

Tra i tanti tipi di individui vi erano anche particolari demoni forniti di corna. Per gli Oni(*), infatti, quello era il luogo di svago dopo il lavoro, duro e massacrante, causato dal gravoso compito di tenere a bada l’intero regno dell’aldilà. Anche loro, prima di tornare a casa, si fermavano spesso a chiacchierare con i così detti amici del bar; incontrando, di tanto in tanto, anche qualche anima defunta che giungeva in quei luoghi per avere notizie sul mondo sottostante.

Un posto singolare, questo piccolo locale; nel quale forme di vita, per modo di dire, di ogni specie pervenivano per i più svariati motivi. Oltre a quelli già accennati, di svago e d’informazione, qualcuno sopraggiungeva al semplice scopo di cambiare aria di tanto in tanto. Unicamente con l’intento di non essere disturbati da amicizie o seccatori che interferivano con i proprio pensieri. Peccato, però, che conoscere entrambi i mondi, quello dei vivi e quello dei morti, impediva di raggiungere la quiete in un luogo simile.

Dopo anni, anzi secoli di viavai continuo tra i due mondi le persone conosciute da entrambe le parti erano ormai alla pari. Qualcuno era, a questo punto diventato una garanzia per l’aldilà quanto per il suo pianeta, la Terra.

Era dunque inutile nascondere il capo sotto quel particolare copricapo nero dalla strana forma appuntita. Chi aveva idea dell’identità di quella buffa vecchiettina, dal volto coperto dalle rughe di secoli, non faceva nessuna fatica a riconoscerla in mezzo all’intera cagnara.

L’angolo buio dov’era solita sedersi era sempre il primo punto in cui gli occhi dei viandanti si posavano, specie se in cerca di una veggente dall’esperienza secolare.

La sibilla del mondo terreno, l’anziana Baba, se ne stava per conto suo sorseggiando con la più assoluta tranquillità il suo tè al limone, immersa nei propri pensieri e in cerca di armonia; lontana dai problemi che erano soliti sorgere sul suo pianeta.

Fortunatamente, la Terra era in pace da diversi anni ormai, ma il pericolo viene quando meno te lo aspetti.

Baba non era una sprovveduta, né una stupida. Aveva vissuto per più di cinquecento anni ormai, e di tutti i secoli vissuti l’ultimo era sicuramente stato il più movimentato.

Colpa del popolo animalesco e guerriero che, ormai quarantasette anni fa, aveva messo piede sul pianeta azzurro?

Primo fra tutti quel piccolo bambino, appena nato, di nome Kakaroth.

Forse era una delle cause, ma sembrava essere diventato solo un lontano ricordo. Non c’era più bisogno di crucciarsi per questi dettagli.

Eppure, qualcuno, sentiva ancora il bisogno di udire la voce dal suo pianeta d’origine al solo scopo di conoscerne le attuali condizioni.

Quando mise piede nella locanda, il misterioso visitatore, volse direttamente lo sguardo verso quell’angolo scuro con la consapevolezza di trovare l’anziana donna armata di sfera di cristallo, grande il doppio di lei. Fu felice nel constatare che, come da programma, Baba era seduta a quel tavolo, reggendo tra le grinzose mani una vecchia tazza.

L’uomo si fece largo tra le varie creature, evitando la discussione animata tra le due teste dello stesso individuo o ignorando la vivace, quanto pacifica conversazione tra il licantropo e la mummia. Si fermò solo ad un passo da quel piccolo tavolino, costringendo la sibilla ad alzare il capo verso di lui. Quel che bastava per mostrare al nuovo venuto il piccolo viso ricoperto dalla vecchiaia.

“Ciao, Baba” la salutò cordiale il viandante, “E’ da anni che non ti vedo” continuò attendendo una risposta dalla singolare vecchietta.

L’anziana sogghignò, riconoscendo l’individuo; i suoi vecchi occhi si posarono sulla sua tazza, “Sì, è da tanto” confermò.

*

“Ancora mamma, ancora!” urlò la bimba dai capelli di un inconsueto colore azzurro, seduta sulle ginocchia materne. “Fallo ancora” esultò agitandosi, affinché la donna continuasse il gioco che stava facendo.

La madre, dopo un sonoro sbuffo, osservò la piccolina negli occhioni dello stesso colore dei capelli. Lo sguardo angelico della bambina sembrò intenerire la madre, che afferrò le piccole e paffute mani della figlia, “Questa è l’ultima volta, Bra” acconsentì infine. Bulma cominciò a dondolare la bimba con un movimento regolare ed oscillatorio delle proprie gambe. Nel frattempo, la piccola Bra, viaggiò con la fantasia, immaginandosi su un meraviglioso cavallo bianco, galoppando sui prati verdi in compagnia di un magnifico principe. Infondo lei era una principessa.

“Più veloce, più veloce” ordinò all’immaginario cavallo che nitrì contrariato.

Bulma, che nella realtà si era limitata a sbuffare esausta, decise d’interrompere definitivamente il gioco. Non aveva più trent’anni, quando questi giochi li faceva con il figlio maggiore, e l’energia di una bambina tutto pepe di soli cinque anni la spossava facilmente.

“Adesso basta, Bra. Sono stanca, inizio a non sentire più le gambe” si lamentò afferrando la figlia per i fianchi, costringendola a scendere. Quando i suoi piedini toccarono il suolo, l’angioletto di casa, assunse un’espressione abbattuta appoggiandosi un dito sulle labbra. Lo sguardo supplichevole che rivolse alla madre divenne in pochi istanti l’ennesima richiesta di gioco.

Bulma le rivolse un’occhiata di sbieco osservando la bimba e il suo sguardo ammaliatore. Sfortunatamente per la bambina, sua madre non era tipo da cadere in simili tranelli.

La fase del “faccio la parte del piccolo agnellino indifeso, ma in realtà sono una iena” l’aveva passato anche lei, quando a suo tempo implorava i genitori con lo stesso metodo. Viso d’angelo, contornato da piccole ciocche di capelli azzurri e occhi color del mare, erano l’arma vincente per ottenere sempre quello che si voleva.

Tuttavia, chi lo stesso metodo l’aveva usato e collaudato a sua volta diversi anni prima non cadeva facilmente nella trappola. “Non insistere tesoro. Sarà per un’altra volta” fu l’inflessibile risposta che la madre diede alla richiesta silenziosa della figlia.

Fu il citofono che impedì l’ennesima replica della piccola; appena aprì bocca, infatti, venne interrotta dal suono sordo del campanello.

Bulma si alzò dal divano, appoggiò una mano sul capo della figlia e si allontanò, lasciando la piccola Bra in preda alle sue lamentele.

Prossima alle lacrime osservò la figura della madre allontanarsi, lasciandola quindi da sola in balia dei suoi isterismi. Inservibili, peraltro, data l’assenza della persona con la quale si sarebbe dovuta lamentare.

Quando si convinse di non avere più alcuna possibilità di gioco, le sue orecchie captarono il suono della televisione, acceso a pochi passi da lei. Si voltò con lentezza, scrutando l’enorme schermo al plasma che imperava sull’intero salotto. I suoi occhi color del cielo si scostarono sulla figura accomodata sul divano, accanto alla tv. Lo sguardo decisamente annoiato e il telecomando saldamente tra le dita, mentre con gesta quasi automatiche si accingeva a cambiare canale a intervalli all'incirca regolari. Tempo di conoscere la natura dell’immondizia televisiva prima di passare ad un nuovo programma.

Bra saltellò allegramente, avendo appena trovato una nuova preda da addestrare per i suoi giochi. Le sue scarpette picchiettarono il parquet, mentre la piccola si avvicinò con aria innocente verso l’inconsapevole famigliare che stava per andare in pasto all’agnellino meno incolpevole di tutto il pianeta Terra.

Si fermò a pochi passi dal sofà, giunse le manine dietro la schiena ed osservò l’uomo che, a sua volta, le rivolse l’attenzione focalizzandosi sul suo atteggiamento. Che il piccolo diavolo avesse in mente qualcosa gli giunse fin troppo chiaro alla prima occhiata, pertanto un secco “No” giunse ancor prima che la piccola potesse porre la sua richiesta.

“Ma, papà!” si lagnò il cucciolo osservando il leone immobile nella sua indolenza. Vegeta rivolse la sua attenzione allo schermo televisivo, totalmente disinteressato alle suppliche che la figlia gli avrebbe ben presto rivolto. Si limitò a cambiare canale con la stessa noncuranza di un predatore sazio ed appagato che guarda una preda già martoriata, “Certi giochetti puoi farli con tua madre, non con me” si premurò di ricordarle.

La iena osservò per alcuni istanti la sua preda, e benché il re della giungla le incutesse un po’ di timore non poté fare a meno di attuare il suo piano. Così come una belva ride di fronte al suo avversario, Bra recitò la parte dell’agnellino di fronte ad un felino che non riusciva comunque a sottrarsi da un lauto pasto.

La manina si posò supplichevole sulle sue piccole labbra, mentre i suoi occhi fissarono il genitore con l’espressione di chi sta per versare un fiume di lacrime da un momento all’altro. Il guaio di Vegeta era, fondamentalmente, il non essere abituato ad affrontare certi sguardi.

Al contrario della compagna, uno sguardo supplichevole non era mai stato il suo forte. Lui che di espressioni ne aveva lanciate solo cariche d’odio, cadde come preda dell’incantesimo ammaliatore della figlia, che come sempre conosceva il punto debole del grande predatore.

“Vegeta, c’è una visita per te” proclamò Bulma salvando il consorte da una personale disfatta.

Vegeta alzò lo sguardo sulla donna, ringraziandola mentalmente per averlo sottratto da un crudele destino. Non si pose domande, riguardo al misterioso visitatore, ringraziò solo di essere riuscito a non soccombere sotto gli attacchi di un animale meno fiero ed imperiale, ma ugualmente molto pericoloso.

*

Vegeta si guardò attorno osservando l’ambiente circostante nel quale non aveva mai messo piede. I suoi occhi si scostarono da una parte all’altra, scrutando il singolare luogo.

La persona che lo precedeva, sospesa sulla sua sfera di cristallo, gli fece strada portandolo ad oltrepassare uno strano campo di battaglia costruito su una specie di lago. Baba continuò il suo percorso, mentre il Saiyan fu investito da una sequela di strane sensazioni appena sfiorò quel piccolo ring.

Estremamente misero e dall’aspetto logoro e vecchio, come se mille battaglie si fossero svolte proprio su quella piattaforma dalla forma sferica. In realtà, Vegeta ne aveva visti di campi di battaglia e mai aveva esitato, ma questo sembrò trasmettergli uno strano senso di nostalgia che non riusciva a spiegarsi. Si costrinse dunque a fermarsi al centro di esso osservando le mattonelle, colto da qualche strano pensiero che nemmeno lui era in grado di percepire.

“Anche Goku ha combattuto su quel ring” spiegò la vecchia Baba all’indirizzo del suo ospite che sembrava rapito da quelle comunissime piastrelle. Vegeta alzò gli occhi verso l’anziana, in attesa di altri dettagli che, visto il suo sguardo, la vecchia non tardò a rivelare, “Doveva avere sì e no tredici anni, quando si è battuto contro i miei cinque guerrieri” aggiunse ridendo sotto i baffi al ricordo di quel buffo ragazzino con la coda.

Il Principe dei Saiyan tornò, per un attimo, a volgere la sua attenzione alle mattonelle; poi riprese il cammino, anticipato dalla vecchia sibilla, senza aggiungere nulla.

Baba condusse l’uomo tra le stanze della sua dimora, fino a quando, superato anche il Water Diabolico, si trovò in un’ampia stanza. Spoglia di tutto, tranne che di un’enorme sfera, simile a quella sulla quale l’anziana viaggiava. Essa dominava la camera immersa nel buio delle tenebre.

Vegeta varcò la soglia guardandosi nuovamente attorno, intersecò le braccia ed osservò l’anziana con la coda dell’occhio, “Ehi, vecchia strega, si può sapere perché diavolo mi hai portato fino a qui?” brontolò innervosito. Non gli piaceva non sapere le cose, e soprattutto non amava essere tenuto all’oscuro.

La sfera sulla quale la sibilla era seduta fluttuò fino a raggiungere la sommità dalla palla più grossa, “Un attimo di pazienza, ora lo scoprirai” annunciò agitando le sue grinzose mani. I movimenti concentrici che la donna stava compiendo furono accompagnati da una specie di formula magica pronunciata dall’anziana allo scopo di utilizzare quell’enorme palla di vetro.

“Questa sfera mi permette di comunicare direttamente con il regno dell’aldilà” spiegò una volta compiuto il rito e tornando a volteggiare all’altezza dell’ospite. Un’immagine comparve sulla sfera, facendosi via via sempre più nitida e chiara.

Vegeta restò a fissare una sagoma che, lentamente, comparve dinnanzi a lui. Un anziano uomo dai lunghi baffi bianchi comparve riflesso sulla superficie.

L’uomo dal sorriso cordiale, e dallo stravagante vestito arancione e giallo, s’inchinò appena vide l’immagine del Principe. L’aureola sopra la sua testa era chiaramente indice che, il misterioso individuo, era già passato a miglior vita.

“Il mio nome è Son Gohan…” si presentò l’anziano, sorridendo bonariamente all’indirizzo del Saiyan che, nell’udire quel nome, inarcò perplesso un sopracciglio, “…sono il nonno adottivo di Son Goku” spiegò.

Lo sguardo di Vegeta divenne ancor più impensierito. Scrutò con attenzione l’anziano domandandosi se incolparlo di aver tramutato un guerriero Saiyan in una scimmia ammaestrata o se ringrazialo per averlo cresciuto come un terrestre che, le scimmie, era in grado di domarle.

*

“E così il mio nipotino viene da un altro pianeta” bofonchiò l’anziano Son Gohan osservando la donna seduta davanti a sé. Baba sorseggiò la sua bevanda scrutando l’altro da sotto il suo buffo copricapo a punta, “Non dirmi che la cosa ti stupisce?” mormorò, ricordandogli le peculiarità del piccolo selvaggio addestrato dal vecchio amico.

Gohan rise sotto i lunghi baffi, “No di certo, Goku è sempre stato un bambino molto stravagante” rammentò. Osservando, mentalmente il sorriso genuino di quel bimbo che aveva lasciato in una notte di luna piena. “Molto stravagante? Più che altro direi, piuttosto singolare” lo corresse l’anziana sibilla tornando a occuparsi del suo tè.

“Hai ragione” confermò in un secondo momento l’uomo, “Ammetto che Goku è assolutamente unico” concordò ridendo.

Cadde il silenzio, nel quale le due anziane figure s’immersero in profondi pensieri legati al soggetto della loro conversazione. E se Son Gohan immaginò quel ragazzino vestito con una tutta arancione e dalla coda scimmiesca, sulla strada per diventare un grande guerriero. Baba non poté fare a meno di pensare all’uomo che con un coraggio da leone aveva affrontato e sconfitto uno dopo l’altro tutti gli avversari che si erano trovati sulla sua strada salvando, di fatto, più volte l’intero globo terrestre.

“Cosa si sa di questi Saiyan?” volle sapere il defunto, accarezzandosi la punta dei baffi con due dita. La vecchia sembrò riflettere sulla domanda, l’effettiva risposta risultò più difficile del previsto. “Sappiamo che erano dei guerrieri spietati. Con ogni probabilità non ne troverai nessuno in Paradiso, se è ciò che stai pensando” si premurò di specificare subito, precedendo la prossima domanda del suo interlocutore.

Son Gohan sembrò visibilmente dispiaciuto dall’ultima notizia. Pensieroso chinò il capo intento a porsi svariati interrogativi. “Quindi non c’è nessuna possibilità di conoscere la cultura del suo popolo. Dico bene?” s’informò l’anima tornando a volgere i piccoli occhi verso la sibilla. Ancora una volta, Baba, sembrò immersa in riflessioni causate da una risposta piuttosto complicata.

“A dire la verità c’è una probabilità…” annunciò, suscitando il vivo interesse dell’uomo, “Oltre a Goku esiste solo un altro Saiyan nato sul loro pianeta d’origine. E vive ormai da anni sulla Terra” spiegò, forse un po’ a disagio.

Gli occhi di Gohan s’illuminarono di speranza, attendendo di conoscere altri particolari.

*

Baba osservò lo sguardo del Principe, nel tentativo d’individuare in lui una qualsiasi emozione; ma Vegeta, imperturbabile come sempre, restò a fissare l’anziano al di là della sfera senza permettere a nessuno di contemplare i suoi pensieri. Gli occhi dal Saiyan, infatti, restarono immobili scrutando con attenzione la figura del defunto che aveva davanti.

Agli occhi del predatore, quel piccolo uomo, parve come una vecchia scimmia che si crogiolava nella consapevolezza, forse errata, di essere al sicuro sulle fronde del suo albero. Il leone esaminò con attenzione la sua inconsapevole preda, attendendo il momento adatto per attaccare.

“Tu sei il terrestre che ha reso Kakaroth un essere umano, dunque” proclamò il guerriero senza muovere un solo muscolo. “Kakaroth? E così è questo il suo nome alieno?” domandò l’anziano Gohan nella speranza di conoscere le origini del suo amato nipotino.

Vegeta ringhiò, mostrando al defunto un pugno ben serrato, “Le domande le faccio io, vecchio!” dichiarò inferocito, senza una reale ragione. Il felino ruggì mostrando gli artigli.

La mente di Gohan gli ricordò, razionalmente, di essere al sicuro dietro il vetro, per non dire in un altro mondo. Nonostante ciò, l’improvvisa reazione dell’uomo lo colse alla sprovvista, facendolo sussultare. Baba lo aveva avvertito, che il guerriero in questione era un tipo altamente iracondo.

“Che cosa vuoi da me?” tornò a tranquillizzarsi il Saiyan, intersecando le braccia. Riacquistando compostezza dopo la sua sfuriata di pochi istanti prima.

Son Gohan riuscì, finalmente, ad osservare con attenzione l’uomo che aveva di fronte. Come per istinto i suoi occhi andarono a ricercare qualcosa che, per anni, aveva ritenuto solo una peculiarità del suo nipotino. Restò un po’ deluso nel constatare che, ciò che cercava, non era presente sull’altro individuo. “Chiedo scusa…” s’impose di chiedere, “…per quale ragione non hai la coda? È forse solo una caratteristica di Goku?” chiese, peccando forse d’ingenuità.

Vegeta, che della sua preziosa estremità non si era mai dimenticato, osservò il vecchietto con una notevole ostilità. Non voleva che questo particolare gli venisse ricordato.

Il Principe dei Saiyan senza la sua coda era come un leone senza criniera.

La particolare cicatrice concentrica, situata appena sopra le sue natiche sembrò avvampare per diversi istanti. Come se quelle parole avessero rievocato diverse bruciature.

“Mi è stata tagliata” si limitò a dire il guerriero, apparentemente impassibile. L’anziano scimmiotto sembrò valutare attentamente la risposta del predatore, mentre nella sua testa riemersero le raccomandazioni fatte dall’anziano gufo. Non innervosire mai un giovane leone ferito.

Son Gohan stabilì che potesse essere più prudente non porre troppe domande su quello che sembrava un profondo sfregio. “Il motivo per il quale ti ho chiesto di venire è perché vorrei apprendere qualcosa su voi… Saiyan” spiegò l’attempato defunto, nel tentativo di placare gli animi di quello che sembrava un felino pronto a lacerare la carne della sua preda.

Vegeta, infatti, parve tranquillizzarsi leggermente assumendo una postura più rilassata. Intersecò le braccia ed attese, in silenzio, di conoscere gli ulteriori quesiti che la vecchia scimmia gli avrebbe riservato. “Due domande” deliberò il re della giungla riponendo momentaneamente gli artigli.

Gohan annuì, concorde con il compromesso concessogli, “Prima domanda, perché avete mandato Goku sulla Terra?” fu la prima questione posta dopo attente valutazioni mentali.

Lo sguardo del Principe subì, per la prima volta, un cambiamento sostanziale. Dall’imperturbabilità che lo aveva contraddistinto fino a quel momento, Vegeta, passò a un’espressione maligna e divertita, “Per sterminare la vostra razza” ruggì, come un leone che deve ricordare agli altri animali, e a se stesso, il proprio ruolo.

Son Gohan avrebbe preferito porre ulteriori domande al suo singolare interlocutore, ma la consapevolezza di non avere più molte altre possibilità gli impedì di sprecare preziosi interrogativi. Dovette valutare bene prima di scegliere il secondo quesito. Fu solo dopo attente riflessioni che decise a porre la domanda che, forse più di qualunque altra, lo aveva impensierito fin da quella notte. “Perdete sempre il controllo una volta trasformati in gigantesche scimmie?” domandò, facendo ben attenzione a formulare la frase.

Vegeta sembrò riflettere attentamente alla sua risposta, osservò il vetro per qualche secondo, socchiuse gli occhi. Sorrise ai suoi stessi pensieri, “Succede solo alle scimmie addestrate male” stabilì enigmatico.

Per la prima volta il leone sembrò quasi un gatto dal portamento regale.

I suoi occhi tornarono a scrutare l’anziana figura oltre il vetro. Lasciò cadere le braccia sui fianchi e, con notevole calma, roteò su se stesso in direzione della porta.

Gohan osservò la sua figura allontanarsi, ma prima che il Principe potesse sparire completamente non riuscì a trattenere l’ennesima domanda. “Se odi così tanto i terrestri, perché vivi sulla Terra?” si ritrovò a chiedere piuttosto incuriosito.

Contrariamente alle aspettative, Vegeta ascoltò la domanda. Tuttavia non rivolse la sua attenzione al vecchietto, si limitò a fermarsi sul posto. Restò immobile per diversi secondi, immerso in chissà quali riflessioni. Sorrise nuovamente, senza essere visto e riprese il suo intercedere, “Il tempo delle domande è finito” stabilì misterioso. Mentre, nei suoi pensieri, si ricordò che il re della giungla aveva il compito di difendere il proprio branco.

Quando l’immagine del Principe svanì degli occhi dei due anziani, Baba fluttuò sulla sua sfera, accostandosi al vecchio amico. “Allora, Son Gohan, come ti sembra?” s’informò la sibilla, guardando con la coda dell’occhio l’uomo dai lunghi baffi bianchi.

Gohan rise divertito, “Mi sento come… un domatore di scimmie” costatò enigmatico.

*

FINE

*

*

(*) Demoni delle leggende giapponesi, in Dragon Ball sono gli assistenti di Re Enma (Re Yammer)

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Un ringraziamento particolare alla sibilla che mi ha proposto questa storia XD

  
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