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Autore: PiccolaNeko    02/08/2014    0 recensioni
Gwendolyn non ha mai avuto l'istinto di andare oltre i confini che sono stati stabiliti ancor prima della sua nascita. Non ha mai creduto, però, che l'Organizzazione le avrebbe teso un colpo così basso. Segnata da uno sbaglio commesso quando era ancora una ragazzina, si ritrova costretta ad accettare una missione che lei definisce suicida. Cosa accadrà? E se, improvvisamente, in lei cambiasse qualcosa? Se si rendesse conto che il mondo da lei conosciuto non era altro che una colossale bugia?
Genere: Avventura, Fantasy, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Capitolo I



"Mi hai fatto paura, prima."
Lanciai un'occhiataccia ad Eve,che immediatamente si zittì. Non amavo parlare delle condizioni in cui versavo quando mi costringevo a prolungate astinenze dal sangue.  Martha camminava ai miei piedi con la tipica eleganza di un gatto e silenziosamente mi dava il suo sostegno.
La sala delle riunioni era gremita di gente e dovetti dare un paio di spallate per poter raggiungere il tavolo dove sedevano i membri dell'Organizzazione. Gli occhi gialli di mio padre mi salutarono affettuosi, nonostante il suo viso serioso, e con un gesto della mano mi invitò ad accomodarmi. La discussione era già iniziata da un bel po' ed ebbi difficoltà a comprendere l'argomento.
"Gli umani non sono delle minacce per noi!" affermò qualcuno. "Non sanno che esistiamo, le loro sono semplicemente stupide supposizioni."
"Anche se fosse, dobbiamo verificare che la nostra razza sia davvero al sicuro."  Gregory sbatté un pugno sul tavolo, con lo sguardo di chi non voleva sentire ragioni.
Improvvisamente il silenzio si propagò nell'intera sala e gli occhi di tutti si spostarono su di me, come se qualcuno avesse inviato alle loro menti l'ordine di fissarmi.
Oh-oh, credo che tu sia nei guai mi suggerì Martha, prendendo posto sul mio ventre.
"Che volete?" sibilai. Mio padre scosse la testa e nascose il viso tra le mani; quel gesto mi rese inquieta e mi agitai sulla sedia.
"Gwendolyn, da quanto tempo non sei in contatto con gli umani?"
Il disagio che già provavo, aumentò.
"L'ultima volta è stata quattro anni fa, ma questo lo sapete" ribattei con cautela. Mi sentivo come un animale in gabbia, pronto per essere mangiato.
"E basta?" insistette.
"Sì" dissi seccata.
"Tu conosci le loro abitudini, vero? Per via di quel ragazzino che..."
"Non ho voglia di discutere di cose che ho già detto." ringhiai. Quella storia mi tormentava, ma avevo soltanto quattordici anni quando lo incontrai.  
Lui era un  cucciolo umano di un anno più grande di me. La prima volta che lo vidi, si era perso nei confini tra il loro ed il mio mondo: era sporco, ferito, infreddolito e debole. Non ebbi cuore di lasciarlo morire lì e mi mostrai a lui. Non ero solita stare in quel territorio, per il semplice fatto che non avevo mai pensato di andare oltre dei limiti che esistevano da sempre. In ogni caso, diventammo amici. Ed io mi innamorai, come una stupida.
Stupida perché cercò poi di penetrare nel nostro territorio con altre persone e a quel punto dovetti avvertire l'Organizzazione. Mi fecero pesare ogni istante di quei due anni e poi mi diedero il compito più orribile del mondo: dovevo ucciderlo.
In realtà, feci molto di più: gli cancellai la memoria. Tolsi dalla sua mente ogni mia immagine, ogni nostro incontro. E chiusi quella parte del mio cuore... ma non della mia vita. L'Organizzazione mi torturò per mesi, per cercare di capire quanto gli avevo raccontanto, se potevano ancora fidarsi di me. Molto probabilmente, se non fosse stato per mio padre, sarei finita a pezzi in mezzo un bel falò.
"Gwendolyn?" mi richiamò Gregory.
"Eh?" mi voltai verso di lui, ridestandomi dai miei pensieri. I suoi occhi gialli luccicarono pericolosamente e la mia gola si fece secca.
"Andrai nel mondo umano. Spierai quella razza riportando tutte le informazioni necessarie."
"Perché?" Gregory parve sorpreso della mia poca sottomissione al suo ordine. Probabilmente si aspettava un 'ma certo, mio signore'.
"Non è una richiesta" puntualizzò, infatti.
Martha si mosse a disagio sul mio grembo e attraverso il legame percepii anche una punta di paura. Con dolcezza le accarezzai il dorso, mentre i miei occhi non si staccavano dall'uomo.
"Ed io sto chiedendo perché devo mettere in pericolo la mia vita."
L'affermazione non parve piacere a nessuno, ed un brusio contrariato si levò dalla folla. Sentivo il disprezzo crescere intorno a me.
"Hai pure il coraggio di chiedere, piccola traditrice?!" ringhiò Gregory, mostrando i canini e mettendosi in posizione di attacco. Stavo per reagire alla provocazione, ma la mano di mio padre mi trattenne.
"Credo che non ci sia bisogno di litigare in questo modo, Greg." La sua voce persuasiva fece immediatamente rilassare Gregory. "Lei farà quello che deve..." si voltò verso di me "...senza chiedere."
Oltraggiata come non mai, mi liberai dalla sua stretta e con passo furioso ritornai in camera mia. Non solo avevo un'intera società di vampiri contro, ma anche mio padre sembrava acconsentire a questo folle piano. Mandare dei vampiri nel mondo umano... erano dei pazzi! Dei fottutissimi pazzi!
Credo che cammianare avanti e indietro non risolverà le cose, mi suggerì Martha.
Ma non capisci?! Io non posso entrare in contatto con loro... e se... mi interruppi. No, non dovevo pensare nulla del genere. Assolutamente.
I suoi occhioni verdi mi scrutarono comprensivi. Ma certo, lei sapeva. Sapeva sempre tutto.
Almeno non hai il problema occhi-gialli ridacchiò. Già. Strano ma vero, ero una dei pochi vampiri che era nata con un colore dell'iride diverso dall'oro. Erano verdi, di un verde chiaro e scuro allo stesso tempo, con delicate pagliuzze gialle.
Beh, non ho problemi fino a quando non inizio ad avere fame. Poi vai a spiegare agli umani che cambio il colore degli occhi quando necessito del sangue.
Martha non rispose, ma potei sentire chiaramente la sensazione che stesse sorridendo bonariamente.



* * *


"Preso tutto?" mio padre non si disturbò a bussare ed entrò nella mia stanza.
"Non è che abbia chissà che cosa." replicai, scuotendo il capo. "Mi dispiace solo dover lasciare Martha qui."
In realtà, non era totalmente vero. La sera precedente ci eravamo messe d'accordo che lei sarebbe rimasta alla base per poter tenere sotto controllo ogni decisione. Per la distanza non c'erano problemi: il nostro legame avrebbe funzionato anche se l'una o l'altra fosse stata dall'altra parte del mondo.
"Vuoi che insista per fartela portare?" chiese premuroso. Senza volerlo, gli lanciai un'occhiataccia."Gwendolyn.. lo so che non ti piace questa missione..."
"Non mi piace?!" ribattei "Santo cielo! Mi volete morta!"
Gli occhi di mio padre si incupirono di rabbia. "Non è vero, Gwendolyn. Mandiamo te perché sei l'unica che ha avuto rapporti diversi da quello predatore-preda. Gli umani, non so perché, ma si fidano di te."
"Il problema è.. riuscirò a non saltare al collo non appena ho un po' di fame?"  Ero sinceramente preoccupata. Un conto era mettersi di proposito in astinenza senza avere, però, alcun tipo di distrazione; un conto era, invece, gettarsi in un ammasso di cibo e tentare di controllarsi.
Le mani di mio padre si posarono sulle mie spalle.
"Andrà tutto bene, Gwen. Sei forte. Io mi fido di te." Mi attirò in un abbraccio ed io mi lasciai stringere. "Ti voglio bene, piccola mia."
"Anche io, papà. Anche io."
Restammo in quel modo per qualche minuto, poi Eve bussò alla mia porta, informandomi che la macchina era pronta. Con un cenno del capo lo salutai e mi chinai a stringere la piccola Martha, che miagolò come se volesse dirmi 'stai attenta'.
Fidati solo di te stessa, Gwen mi ricordò. Annuii e finalmente uscii dall'edificio.
La macchina che l'Organizzazione mi aveva procurato era nientepopodimeno che un Audi bianca. Il mio sogno. Mi fiondai nell'abitacolo e presi posto alla guida. Gregory mi osservava pensieroso e prima di partire gli feci un cenno, che ricambiò con un sorriso forzato.
Ingranai la marcia e mi allontanai. La strada percorreva tutto il bosco di limite e sapevo che, come minimo, sarei arrivata dall'altra parte tra un giorno.
Sentii dentro di me le sensazione che una volta giunta, molte cose sarebbero cambiate. Ed improvvisamente, andare oltre i confini non mi faceva poi così paura.
  
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