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Autore: Benio Hanamura    02/08/2014    1 recensioni
[Mademoiselle Anne/Haikara-san ga toru]
“Il mio nome è Kichiji Hananoya… o meglio, questo è il mio nome dall’età di 15 anni. Fino ad allora ero Tsukiko, la sesta figlia della famiglia Yamada...”
Nel manga originale della Yamato è detto ben poco del passato della geisha Kichiji, che fa la sua prima comparsa come causa inconsapevole di gelosia della protagonista Benio nei confronti del fidanzato Shinobu, ma che poi si rivelerà essere solo una sua ottima amica e stringerà una sincera amicizia con Benio stessa, per poi segnare anche l’esistenza del padre di lei, vedovo inconsolabile da tanti anni.
Per chiarire l’equivoco e per spiegarle quale rapporto c’è davvero fra lei e Shinobu, Kichiji racconta la sua storia del suo passato a Benio, dei motivi per cui è diventata geisha, abbandonando suo malgrado il suo villaggio quando era ancora una bambina, ma soprattutto del suo unico vero amore, un amore sofferto e tormentato messo a dura prova da uno spietato destino…
Dato che questa storia è solo accennata nel manga, ma mi è piaciuta e mi ha commossa molto, ho deciso di provare ad approfondirla e di proporvela come fanfiction!
Genere: Drammatico, Romantico, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate
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   Fortunatamente Shinobu era arrivato abbastanza presto a salvarmi ed io non avevo perso moltissimo sangue, però ci vollero ancora diversi giorni prima di riuscire a tornare alle mie solite attività.
   Dopo aver saputo la verità sulle motivazioni del mio gesto le anziane furono più comprensive di quanto mi aspettassi. Ovviamente loro non me lo dissero mai, ma ormai lo so bene, ogni geisha nasconde certi segreti nel proprio cuore: anche se il nostro lavoro ci impone di essere sempre gentili e compiacere i nostri clienti, anche se quella pratica terribile a cui siamo sottoposte quando siamo ancora troppo giovani ci impone di unirci a uomini verso cui non proviamo alcun sentimento ed a volte ci suscitano persino ribrezzo, anche se spesso dobbiamo votare la nostra esistenza ad un danna che possa sostenere le nostre enormi spese, troppo spesso siamo in realtà costrette a soffocare le suppliche incessanti del nostro cuore, la sua spinta ad andare in ben altre direzioni, verso altre scelte... e mentre siamo in compagnia di un uomo fingiamo che si tratti solo di un fascio di banconote, oppure, più spesso, fingiamo che sia qualcun altro, colui che in realtà è il principale padrone dei nostri pensieri, dei nostri sentimenti…
   Purtroppo i successi in guerra portarono in quei giorni una serie di ozashiki ai quali avrei dovuto partecipare, ma Kikyo-san mi giustificò con i clienti che chiedevano di me, inventandosi una mia fantomatica malattia, che alla fine non si era rivelata poi così grave, ma che mi avrebbe richiesto un certo periodo di riposo. Miyuki aveva ripreso a prendersi cura di me ed io sentivo sempre più il desiderio di tornare ad aiutare le mie colleghe, ma la mia onee-san continuava a negarmi il permesso per via delle ferite sui miei polsi: sicuramente più avanti avrei potuto nasconderli con il trucco, ma finché fossero state ancora troppo fresche, da rallentarne la guarigione o addirittura da rischiare un peggioramento delle future cicatrici per via di un’eventuale infezione non avrei dovuto farmi vedere da nessuno dei clienti.
   Ovviamente nessuno tranne Shinobu, che veniva a trovarmi spesso, ogni volta che poteva. Un giorno sentii Kikyo-san in corridoio che prima di lasciarlo entrare in camera mia gli raccomandava di mantenere un atteggiamento rispettoso verso la mia posizione di geisha e gli faceva notare che il fatto che mi frequentasse così assiduamente e non in corso di impegni ufficiali con i clienti avrebbe potuto dare adito a sgradevoli chiacchiere sul mio conto. Allora io preoccupata gli chiesi quali fossero le sue intenzioni in merito, se intendeva assecondarla e cessare le sue visite; lui però mi rassicurò: non si sarebbe rimangiato ciò che mi aveva detto quando mi aveva salvata, che mi sarebbe stato vicino per aiutare me ed anche se stesso. Nemmeno eventuali chiacchiere lo avrebbero dissuaso, perché non stavamo facendo niente di male, e mi avrebbe difesa dalle insinuazioni degli altri clienti, se fosse stato necessario.
  Al contrario di Kikyo-san, la okasan fu sempre dalla nostra parte, vedendo l’effetto positivo che Shinobu aveva sul mio umore e credendo alla sincerità delle sue buone intenzioni.  
  Ma dopo quell’episodio nemmeno la mia onee-san tornò sull’argomento, perché le mie cicatrici ormai si vedevano appena e presto avrei potuto tornare agli ozashiki e soprattutto perché il problema su cosa avrebbe potuto pensare il mio aspirante danna se avesse saputo la verità non si pose più, perché di lì ad un paio di giorni infatti ricevemmo la notizia dell’improvvisa morte di Hasegawa-san: non aveva retto alla notizia della tragica fine di entrambi i suoi figli in battaglia ed era stato stroncato da un infarto. Quando, la mattina dopo la cerimonia del mio mizuage, mi ero ritrovata da sola a piangere nella mia stanza per la frustrazione e per il disgusto per il fatto di sentire ancora il suo odore addosso nonostante il bagno profumato che mi aveva preparato Miyuki, avevo desiderato fortemente di non rivederlo mai più, anzi, ero arrivata a pensare che se mai fosse sparito dalla faccia della terra avrei provato tale sollievo da provare gioia; invece, con mia enorme sorpresa, quando mi riferirono della sua morte provai una certa tristezza. Sì, Hasegawa-san era un uomo disgustoso, anche perché io non ero certo stata la prima ad usufruire di quel suo trattamento, e mi aveva fatta rabbrividire ancora di più l’idea di averlo come danna, il che avrebbe significato averlo sempre intorno, dedicargli la maggior parte del mio tempo e ripetere spesso quell’orribile esperienza, ma in qualche modo aveva avuto un ruolo importante nella mia vita, era di casa all’okiya e senza di lui gli ozashiki sarebbero stati diversi. E soprattutto, potevo comprendere troppo bene quanto dolore doveva aver provato. Un dolore che non avrei augurato nemmeno al mio peggior nemico, un dolore tale che il suo corpo, ormai già malandato per via dell’età e del sovrappeso, non era riuscito a sopportare. Quella notte, nel corso della mia quotidiana preghiera per il mio povero Koji, non potetti non rivolgere un pensiero anche per lui.
   Il tempo guarì le mie ferite, quelle del fisico ma anche quelle della mia anima. La vita all’okiya continuò come prima della tragedia, fra esercitazioni, lezioni alle apprendiste, ozashiki, impegni vari. Dopo Hasegawa-san non vi furono altri aspiranti danna; chissà, forse per via della guerra tutti avevano ben altro a cui pensare, e si limitavano alla compagnia delle geishe per poche ore, da condividere con gli amici più cari. Quando veniva a trovarmi Shinobu fra le altre cose mi raccontava anche di Koji, della loro amicizia e delle loro esperienze all’accademia, e mi resi conto che man mano il ricordo di lui mi pareva sempre meno doloroso e sempre più dolce. Ed ogni tanto io lo incoraggiavo a parlarmi anche di se stesso, della storia d’amore di sua nonna e delle sue giornate. 
   Una mattina, pochi giorni dopo la conclusione delle Miyako Odori, Miyuki mi disse che la lezione per quel giorno poteva aspettare: la okasan mi convocava nella sua stanza. Un po’ in apprensione per questa urgenza, mi affrettai a seguirla, temendo di aver contrariato in qualche modo lei o Kikyo-san, magari il mio periodo di inattività aveva pesato troppo sull’okiya e dopo ero rimasta troppo al di sotto dei miei soliti livelli, o chissà che altro avrebbero potuto rimproverarmi del genere… Invece con mio enorme sollievo e sorpresa, entrambe mi accolsero con un grande sorriso, e la bambina che si trovava sul tatami fra loro mi fece un profondo inchino: era Shitaji, una bambina giunta da noi qualche mese prima, in un giorno nevoso di dicembre. Come tutte le nuove arrivate, era stata inizialmente destinata solo ai lavori domestici e perciò non avevo avuto modo di parlare prima con lei, se non in un’occasione, esattamente la sua prima notte all’okiya, quando l’avevo sentita piangere in corridoio. Non avrebbe dovuto trovarsi lì, ma nella stanza a lei destinata con le altre bambine nella sua condizione e se l’avesse vista qualcuna delle anziane sarebbe stata sicuramente rimproverata per essersi avvicinata senza permesso alle nostre stanze, così l’avevo immediatamente raggiunta per riaccompagnarla personalmente senza che ci sentissero, ed avevo avuto modo di consolarla un po’. In quell’occasione avevo avuto modo di chiederle di raccontarmi la sua storia, anche se in realtà le nostre storie si somigliano un po’ tutte, con famiglie povere che non riuscivano più ad andare avanti e perciò erano indotte a vendere le bambine più carine agli okiya per tirare almeno per un po’ un sospiro di sollievo ed avere anche qualche bocca in meno da sfamare: Shitaji proveniva da un villaggio del distretto del nord-est, dove il gelo dell’inverno spesso era tale da compromettere i raccolti, rendendo particolarmente dura la vita dei contadini; anche lei proveniva da una famiglia numerosa, così suo padre, dopo due pessime annate, non aveva avuto altra scelta che vendere lei, l’unica femmina dell’età adatta, affinché fosse portata nel nostro okiya. A differenza che nel caso delle mie sorelle, la okasan aveva da un po’ di tempo smesso di andare personalmente nei villaggi per trovare nuove apprendiste ed aveva iniziato a seguire l’esempio delle altre okasan ed a servirsi come loro di un intermediario, in quanto iniziava a sentire il peso dell’età; colui che aveva scelto era una persona che aveva dimostrato un certo “occhio per gli affari” (per usare la fredda terminologia spesso usata nel nostro ambiente) ma purtroppo andava anche abbastanza per le spicce, infatti  Shitaji mi aveva confidato che lui non le aveva nemmeno dato il tempo di salutare per bene suo padre per l’ultima volta, perché l’aveva letteralmente strappata dalle sue braccia.   
    “Ti ho convocata qui, Kichiji, innanzitutto perché non mi sono ancora complimentata per bene con te per il tuo determinante contributo alla riuscita degli spettacoli!”esordì la okasan “Hai davvero soddisfatto le mie aspettative, sei diventata la geisha che ero certa saresti diventata, anche superando brillantemente un periodo anche troppo difficile per te… Sono molto orgogliosa, ed ho consegnato a tuo zio una lettera da consegnare alla tua famiglia perché ho voluto rendere partecipi anche loro!”
    Emozionata, subito feci per inchinarmi per ringraziare, ma lei mi fece cenno di lasciarla continuare.
   “Ma soprattutto, mia cara, ti ho convocata per un’altra cosa, ancora più importante: ormai è giunto il tempo che anche tu, come le tue colleghe più anziane, ti assuma la responsabilità dell’educazione di una giovane apprendista!”
    “Okasan?!?”
    Kikyo-san non si fece sfuggire la mia espressione sgomenta a quella proposta: l’addestramento di una giovane era davvero una grossa responsabilità, ed io ero ancora troppo giovane ed inesperta, come avrei potuto esserne all’altezza?
   “Ormai dovresti conoscere la okasan… Anche se io o altre avessimo disapprovato la sua decisione non si sarebbe certo lasciata influenzare, ma il problema non si pone nemmeno, perché io sono perfettamente d’accordo con lei: sei stata un’ottima allieva, hai appreso splendidamente le varie arti che deve conoscere ogni brava geisha, e sicuramente sarai altrettanto valida come insegnante nonostante la tua giovane età… Ancora una volta l’intuito della okasan si è rivelato esatto, sono fiera di te!”
  Una volta tanto la mia rigida onee-san dimenticò le formalità e venne ad abbracciarmi. Raramente l’avevo vista così, era felice quasi quanto me, anche se si ricompose quasi subito, invitandomi a non dare subito un cattivo esempio alla mia protetta.

 
 
 
Note:
Miyako Odori:
danze di primavera, fissate dal 1° al 30 aprile.  
Questo spettacolo ebbe origine negli ultimi anni dell’ ‘800 per promuovere l’arte, la cultura, l’industria di Kyoto caduta in declino dopo il trasferimento della capitale a Tokyo nel 1869.
Jiroemon Sugiura, proprietario della casa Mantei (oggi ancora esistente col nome di “Ichiriki”) popolarissima ed esclusiva casa dove si esibivano (e si esibiscono) in forma privata  maiko e geiko, ricevette l’incarico di ospitare nella sua casa una esibizione pubblica di danze eseguite dalle più famose geisha dell’epoca. Collaborò all’evento Yachiyo Inoue III maestro e capo della scuola di danza Kyomai ideando una coreografia precisa e fortemente stilizzata. A questa, nel 1872, venne aggiunto un coro e un’ orchestra. La performance fu eseguita questa volta, nella casa Matsunoya, e costituisce il prototipo dell’odierna Miyako Odori rimasta immutata da allora.
Ancora oggi come a fine ‘800 si occupano dell’evento i discendenti della famiglia Inoue. Le danze,  dall’edizione del 1873 si svolgono presso il teatro Kaburenjo. Qui hanno luogo 4 performance al giorno della durata di 60 minuti. E’ possibile prenotare posti più economici dove si siede sui tatami oppure posti più costosi, riservati e che prevedono una piccola cerimonia del tè prima dello spettacolo.
  
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