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Autore: Gens    02/08/2014    2 recensioni
"Si sentiva in apnea. Un’apnea di bugie."
Niente è semplice: la vita non è semplice, la morte non è semplice, l'amore non è semplice.
Dal primo capitolo:
"Harry continuò a fissarlo e la prima cosa che lo colpì furono i suoi occhi: fu come se ci fosse cascato l'oceano seguito dal cielo dentro. Gli occhi brillavano di un azzurro cristallino, erano puri, quasi quanto il cuore del ragazzo. Risplendevano di una luce propria, come le gemme preziose e Harry pensò che fosse sbagliato metterli in mostra in quel modo. Ma poi mosse la testa, come se fosse assurdo pensare a quelle cose."
|| LARRY ||
Genere: Azione, Suspence, Triste | Stato: in corso
Tipo di coppia: Yaoi | Personaggi: Harry Styles, Louis Tomlinson
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate
Capitoli:
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Questa volta voglio fare tutto diverso e metto il mio spazio all'inizio lol.
Innanzi tutto voglio ringraziare gli Union J per avermi aiutata a finire presto il capitolo :') infatti come vedete ho aggiornato prestissimo, dopo solo tre giorni, anche perché essendo oggi il mio onomastico volevo farvi un regalo, anche se voi dovreste farlo a me al massimo hahaha
Comunque, questo capitolo è lungo il doppio rispetto agli altri e quindi vi auguro buona lettura, spero che non sia pesante e niente, spero che mi lasciate una recensione.
Grazie in anticipo :) x




Dangerous.



“Quelle ragazze non fanno altro che guardare nella tua direzione e sghignazzare come delle galline” fece notare Emily, la trentacinquenne che lavorava con Louis in quel bar e che l’aveva praticamente cresciuto.
Louis si voltò nella direzione indicata dalla donna e trovò tre ragazzine che lo fissavano; quando si accorsero di lui che le squadrava, si misero a ridere e iniziarono a sussurrarsi qualcosa posando una mano vicino alla bocca per non permettere che altri capissero.
“E inoltre ordinano biscotti da più di un’ora e chiedono esplicitamente che sia tu a portarli” aggiunse Emily ridendo. Anche Louis rise, divertito da quella situazione.
“Non è che qualcuna di loro ti piace?” continuò ancora la donna, consegnandoli l’ennesimo piatto da portare a quel tavolo. Louis sbuffò, Emily cercava in tutti i modi di trovargli una ragazza, anche se secondo lui lo faceva solo per permettergli di pensare a qualcosa di diverso dalla scuola o dal lavoro.
“Smettila di rifilarmi qualunque ragazza si presenti al locale” le rispose Louis, alzando gli occhi al cielo, e dirigendosi al tavolo delle tre ragazze.
Posò il piatto sorridendo, senza proferire parola, per poi tornare dietro al bancone.
“Oh, insomma Louis!” sbuffò la donna, e il ragazzo sorrise.
Cominciò a sparecchiare i tavoli ormai vuoti, a pulire il bancone, e fare tutto ciò che andava fatto.
“Vai sul retro, sistema gli scatoloni e poi hai finito” gli disse Emily, quando lui tornò con un vassoio pieno di tazze e piatti sporchi. Annuì, posò il vassoio e si recò sul retro.
Odiava quella parte del bar. Era poco illuminata e molto fredda, soprattutto di inverno, e con il tipo di inverno che stava colpendo la nazione, di certo la situazione non diventava più accettabile.
Prese una giacca dall’appendiabiti e si recò verso gli scatoloni, cominciando a svuotarli e a smistare le cose sistemandole nel luogo a cui appartenevano.
Gli sembravano passate ore e ore quando si passò la manica della felpa sulla faccia, dopo aver finalmente finito il suo lavoro. Ripose la giacca dove l’aveva trovata e tornò all’interno del bar.
“Ho fatto, ti serve altro?” chiese Louis a Emily, che stava sistemando le tazze nell’attesa che i pochi clienti ancora rimasti andassero via.
“No no, puoi andare. Ti ho trattenuto anche più del solito” fece notare lei, con un cenno all’orologio alla parete.
Erano le undici e mezza, era davvero tardi.
Louis annuì e lasciò il grembiule sotto il bancone. Prese il cappotto dall’armadio dietro alla porta e con un ultimo saluto ad Emily, uscì dal locale, chiudendosi la porta alle spalle.
Tirò fuori le cuffie dalla tasca e dopo averle collegate al telefono, fece partire la riproduzione casuale, posando tutto nella stessa tasca in cui erano stati conservati precedentemente.
“Sarà meglio che prendo la scorciatoia” sussurrò, sfregandosi le mani nel tentativo di riscaldarle.
Iniziò ad incamminarsi sulla strada principale, per poi prenderne una più piccola sulla destra.
Solitamente non la prendeva mai, poiché era una strada poco illuminata e spesso era anche casa di cani randagi pronti a morderti, ma quella sera faceva molto freddo ed era in ritardo: l’unica cosa che voleva era arrivare a casa in fretta e mettersi a dormire.
Louis continuava a percorrere quella strada, quando inciampò in qualcosa. “Cosa diamine…?”
Si sfilò le cuffie dalle orecchie e le tenne in mano. Voltò appena il capo, cercando di mettere a fuoco ciò che aveva preso con il piede e restò di sasso.
Era una pistola.
La gola gli si fece secca, si sentiva terrorizzato, aveva paura di continuare a camminare.
Si guardò intorno.
Poteva tornare indietro, ma la distanza che lo separava da casa sua era davvero minima e davanti a lui non vedeva nessuno.
Non sapeva cosa fare.
Ad un certo punto qualcuno lo prese dalle spalle e lo sbatté al muro, facendolo sussultare. Gli puntò la canna della pistola alla testa e Louis chiuse gli occhi, credendo che di lì a poco sarebbe morto.
“Louis?” disse una voce che conosceva bene.
Aprì gli occhi, e i suoi azzurri si incastrarono nei verdi che stavano di fronte a lui.
“Harry?” disse Louis con voce incrinata. Si era un po’ tranquillizzato, ma la pistola puntata alla tempia gli metteva ancora ansia. La guardò con la coda dell’occhio.
Harry seguì il suo sguardo e notò la pistola. “Oh, giusto” disse sorridendo e abbassandola.
Louis prese un profondo respiro.
“Che diavolo ci fai qui?” dissero all’unisono. “E con una pistola!” aggiunse Louis, urlando un po’.
“Zitto, idiota!” gli rispose Harry, tappandogli la bocca con una mano. Gli prese il braccio e lo trascinò in un vicolo vicino, sbattendolo contro il muro e incitandolo a stare in silenzio. Spostò la mano.
“Senti…” iniziò Louis, ma Harry gli tappò di nuovo la bocca.
“Stai zitto!” gli disse Harry, tendendo l’orecchio.
Passi affrettati, voci, colpi.
Louis strabuzzò gli occhi.
“Di qui!” urlò una voce e Harry imprecò. Spinse Louis più contro il muro e gli si appiattì sopra, sperando che l’oscurità del vicolo li nascondesse abbastanza.
E funzionò.
Non vedendo niente, un gruppo di quattro persone armate continuò per la scorciatoia che Louis aveva preso per tornare a casa.
Harry si staccò poco da Louis e gli sussurrò: “Che diavolo stavi facendo in quella strada?” gli chiese.
Louis cercò di parlare, ma la mano di Harry era ancora sulla sua bocca.
“Oh sì, scusami” aggiunse Harry, allontanando finalmente la mano.
“Per Dio, Harry! Dovrei essere io a chiederti che stavi facendo in quella strada con una pistola!” gli disse Louis, ancora spaventato a morte.
“Se non mi dici che stavi facendo ti lascio qui e non mi importerà se ti uccidano” lo minacciò Harry.
Louis sollevò gli occhi al cielo.
“Dimmelo e basta, maledizione!” disse Harry spingendolo un po’ verso il muro.
“Stavo tornando a casa da lavoro e siccome era tardi ho preso la scorciatoia! Non potevo di certo immaginare che dei pazzi serial killer si nascondessero per le strade” esclamò lui.
Harry sospirò. “Dove abiti?” gli chiese.
“Sulla diciassettesima, proprio qui all’angolo” disse Louis, indicando la strada.
Harry annuì. “D’accordo, ti accompagno. Però devi starmi vicino, è pericoloso” disse.
Harry era spaventato, perché non doveva pensare a difendere solo la sua vita, ma anche quella di Louis. E se avesse potuto, si sarebbe scollato quell’obbligo.
“Mi hai capito?” chiese a Louis, che annuì.
Harry si sporse sulla strada, vedendo se fosse libera. Una volta che se ne accertò fece segno a Louis ed entrambi cominciarono a correre per la strada.
Louis sentì un rumore e si fermò. “Hai sentito?” chiese ad Harry che lo guardava con aria interrogativa.
“Lì!” urlò un uomo sporgendosi da uno dei vicoli della strada.
“Ora sì. Corri!” urlò Harry, prendendo Louis per mano e trascinandoselo dietro.
Sentivano i proiettili sfiorare le loro teste, le loro braccia.
Harry prese una strada a destra, poi una a sinistra, continuando a cambiare, tanto che Louis perse il conto delle volte in cui erano andati a destra o a sinistra.
“Harry” sussurrò Louis, fermandosi. Posò le mani sulle ginocchia e cominciò a respirare pesantemente.
“Dai Louis, ce l’abbiamo fatta, ho solo cambiato le strade per evitare che ci seguissero. Siamo quasi arrivati” disse prendendogli il braccio e incamminandosi di nuovo.
“Harry” disse ancora Louis, sollevando lo sguardo. “Non ce la faccio – disse deglutendo – mi sento male, sul serio” disse ancora, mettendo le ginocchia per terra e tenendosi lo stomaco.
Harry ricordò che lui era stato allenato per correre tanto, mentre Louis no. Il ragazzo aveva resistito fin quando aveva potuto, ma non poteva spingere lo sforzo fisico ad un livello così alto come Harry.
Il riccio si accovacciò vicino a Louis e massaggiandogli la schiena con una mano, per tranquillizzarlo, gli sussurrò: “Scusami. Prendi un po’ di fiato e poi andiamo”.
Louis annuì, con gli occhi chiusi, e a quella poca luce Harry capì che si stava sforzando di non vomitare.
Estrasse la pistola dalla fibbia dove l’aveva precedentemente riposta e si guardò intorno, attento anche al più piccolo movimento o al suono più sottile.
Quando gli sembrò passato abbastanza tempo si avvicinò di nuovo a Louis, che adesso era steso su un fianco, con le mani serrate ancora sullo stomaco.
“Louis, dobbiamo andare” lui annuì e si mise in piedi a fatica, ed Harry fu costretto a sorreggerlo.
Con una mano stretta intorno al polso, Harry si incamminò, con la pistola nell’altra mano pronta a sparare se ce ne fosse stato bisogno.
Louis si sentiva davvero male. La corsa lo aveva messo K.O., respirava ancora a fatica.
All’inizio, quando si era fermato, credeva che avrebbe perso i sensi proprio lì, in quel vicolo. Non vedeva più niente e sembrava che qualcuno gli stesse stringendo il torace così forte da impedire ai polmoni di compiere il proprio lavoro.
All’inizio si era seduto semplicemente, non voleva mostrarsi debole.
Cercò di costringersi a riprendere fiato al più presto, ma per il forte malessere alla fine si era completamente steso, abbandonandosi sul quel terreno liscio e freddo.
Adesso guardava Harry che lo trascinava per le strade e quasi stentava a riconoscerlo. Non era lo stesso ragazzo che non gli aveva risposto in classe, o quello che si era preso gioco di lui fuori dalla scuola.
Non sembrava neanche Harry, sembrava… un uomo.
Un uomo che fa qualcosa di importante, che conosce il rischio e che è pronto a tutto.
E aveva visto la preoccupazione nei suoi occhi, quando si erano incamminati la prima volta per sfuggire a quegli uomini; aveva visto la sua paura quando quelli li avevano trovati; e aveva visto ancora preoccupazione, quando lui si era accasciato a terra, troppo stanco per la corsa affrontata.
E quando si voltava a vedere che Louis ci fosse ancora, vedeva nei suoi occhi la determinazione e la temperanza di un uomo adulto, che si stava preoccupando di portarlo in salvo, un uomo pronto a sparare pur di salvare la sua vita.
Louis non si era mai sentito così.
Non aveva mai provato la sensazione che qualcuno lo stesse proteggendo, che si stese prendendo cura di lui, che fosse pronto a tutto.
Era sempre stato lui quello a prendersi cura di sua sorella, a provare quei sentimenti, ma mai per lui qualcuno si era rivolto in quel modo.
“Adesso? ” chiese Harry.
Senza che Louis se ne accorgesse, avevano raggiunto la strada di casa sua sani e salvi, e da lontano riusciva a vedere la casa, che aveva tutte le luci spente.
Tutte le case lì intorno avevano le luci spente, tutti ignari di ciò che stava accadendo fuori dai loro portoni, fuori dalle loro finestre.
“È quella lì, non ricordi?” chiese Louis, indicando la casa con la mano che Harry non teneva.
Harry voltò lo sguardo e lo posizionò sulla casa indicata da Louis.
Il ragazzo si chiese se Harry davvero non ricordasse quella casa, quando lui e suo padre gli avevano dato il passaggio. È vero, c’era stato una volta sola, però Louis non aveva dimenticato quel giorno, quell’incontro, era stato troppo strano. Però magari lo era solo per lui.
 
“Buonasera” sussurrò Louis a disagio su quel sedile troppo pregiato e costoso per i suoi gusti.
“Ciao Louis - ricambiò il saluto - Dove ti portiamo?”, aggiunse, continuando a sorridergli.
“Subito dopo il pub Blue” gli rispose il ragazzo, guardandolo negli occhi.
Sembrò che l'uomo fosse attraversato da un lampo nero, una nuvola, sembrava che fosse diventato di cattivo umore all'improvviso, quasi come se quel sorriso di prima non fosse mai esistito.
L'uomo annuì e si voltò, accendendo il motore, senza proferire parola. L'unico rumore che si sentiva era quello dei pneumatici sull'asfalto.
“Allora Louis – ruppe il silenzio il padre di Harry, sotto gli occhi attenti di suo figlio – il tuo cognome è Tomlinson?”
Louis rimase sorpreso. Come faceva a conoscere il suo cognome?
“Sì... Sì, signore” gli rispose, ancora timido e sorpreso dal fatto che sapesse chi fosse.
Stava per fare una nuova domanda, ma suo figlio lo precedette: “Papà, non devi fare il terzo grado a tutti i miei amici, tanto meno a Louis”.
Il padre sorrise e non fece nessun'altra domanda.
“Signore... Come fa a sapere il mio cognome?” chiese un Louis troppo curioso di sapere, dopo pochissimi minuti. Lui non era nessuno, e a meno che il padre di Harry non avesse studiato tutti i ragazzi nella scuola del figlio, cosa che non lo avrebbe stupito per niente, non riusciva proprio a capire come facesse a sapere di lui.
L'uomo sembrò combattuto dal rivelargli o meno la verità, ma alla fine sputò il rospo: “Conoscevo tuo padre” ammise.
A Louis sembrò quasi di ricevere uno schiaffo. Non parlava mai di suo padre.
Non rispose.
Harry si voltò nella sua direzione, e quando vide Louis con il volto rivolto verso il finestrino, si chiese cosa fosse successo.
Un attimo dopo arrivarono di fronte una casa, la sua casa, quasi come se sapesse dove abitasse.
“Grazie mille per il passaggio, signore. Ci si vede, Harry” salutò Louis prima di scendere e incamminarsi, senza voltarsi indietro.
 
Harry lo scortò – perché sì, un ragazzo che ti tiene il braccio con mano salda, che impugna la pistola con l’altra e che si guarda intorno sempre pronto e attento a qualunque movimento, ti sta scortando – fino all’inizio del vialetto di casa.
“Mi devi delle spiegazioni, Harry” disse lui, continuando a sentire la tensione di entrambi.
Harry lo guardò sollevando le sopracciglia. “Assolutamente no, non ti devo proprio niente. Al massimo sei tu che mi devi la vita” aggiunse, con fare ovvio.
“Se non fosse stato per te – Louis lo indicò – nessuno mi avrebbe sparato addosso!” disse, esasperato.
Harry lo fissò, sapeva che aveva ragione. Era colpa sua, solo colpa sua.
Ed era proprio quella la ragione per cui doveva evitare chiunque, per non permettere che si facessero del male standogli vicino.
Annuì e si voltò di spalle, lasciando un Louis sorpreso infondo al vialetto.
 

Harry doveva ritornare nella strada dove Niall lo stava aspettando in macchina.
Ora che aveva visto che gli uomini armati erano quattro e dopo aver capito che sarebbe stato un suicidio affrontarli da solo, decise di fare il giro lungo, evitando la strada che aveva precedente percorso.
Era stata una serata completamente sprecata.
Guardò l’orologio al polso e si accorse di quanto si era fatto tardi, doveva impiegarci la metà del tempo che era passato.
Si mise a correre, doveva arrivare al più presto.
Quando vide l'automobile nera coi finestrini oscurati tirò un sospiro di sollievo. Era troppo per una sera, voleva solo tornare a casa.
Bussò al finestrino e la portella si spalancò, lasciando che Harry vi entrasse.
“Cavolo amico, credevo fossi morto!” sospirò Niall, guardandolo dalla testa ai piedi, per accertarsi che stesse bene.
“Ci mancava poco” sospirò Harry, lasciando la pistola sul cruscotto e stendendosi meglio sul sedile, voltando il capo verso il tetto dell’auto.
“Cosa è successo?” chiese Niall, vedendo Harry più stanco e teso del solito.
Nell’ultimo periodo era capitato spesso di fare uscite di quel genere, ed Harry non si era mai presentato come in quel momento.
Harry si voltò verso il biondo, decidendo o meno se dirgli di Louis, di tutto quello che era successo.
Vide negli occhi di Niall la preoccupazione, si stava davvero interessando a cosa gli era successo, a ciò che aveva provato.
Guardò ancora il tettuccio dell’auto e chiuse gli occhi. Prese un bel respiro e sospirò: “Louis”.
Niall spalancò gli occhi, di certo non poteva aspettarsi una risposta del genere. “Louis?” chiese incerto, magari aveva capito male.
“Già” rispose Harry, facendo spallucce.
“Che significa Louis?” chiese Niall, che di un nome come risposta non se ne faceva niente.
Harry sospirò. “Significa che mentre correvo per le strade con una pistola in mano pronto a uccidere chiunque, ho incontrato Louis, ed è stato un miracolo se non gli ho sparato da lontano” affermò, storcendo le labbra in segno di disapprovazione.
 
Harry si trovava in uno dei vicoli laterali alla strada e spiava da lontano il gruppo di quattro uomini armati che lo stavano cercando. Li vide camminare per poi prendere una strada laterale che portava chissà dove. Si mosse dalla sua posizione per seguirli, ma vide l’ombra di un ragazzo e ritornò nel posto che stava occupando prima. Non sembrava un membro di quel gruppo, né il tipo di persona che impugna una pistola, e decise di raggiungerlo alle spalle. Lo prese e lo sbatté al muro, sentendolo sussultare. Puntò la canna della pistola alla tempia e il ragazzo chiuse gli occhi. Lo guardò bene e lo riconobbe, l’avrebbe riconosciuto ovunque.
“Louis?”
 
Niall annuì, anche se Harry non poteva vederlo. “E dopo?” chiese, capendo che non era finita lì la storia.
Harry si prese un lungo periodo di pausa, pensando a tutto quello che era successo.
“E dopo di certo non lo potevo lasciar andare via con quattro uomini armati che mi cercavano e stavano per uccidermi, così l’ho accompagnato a casa, perché era lì che stava andando. E ci hanno anche trovati. Abbiamo corso come dei pazzi fino a quando lui quasi non mi moriva davanti agli occhi perché non aveva più aria nei polmoni” disse Harry ridacchiando, anche se non c’era proprio niente da ridere.
Si era spaventato a morte quando aveva visto Louis in quello stato, e la cosa peggiore era che non sapeva che fare, non sapeva come aiutarlo.
“Di certo non poteva stare al tuo passo” commentò Niall, evidenziando l’ovvio.
Vedendo che Harry non parlava, Niall pose un’altra domanda: “e poi?”
Harry si raddrizzò sul sedile e guardò Niall. “E poi siamo arrivati a casa sua sani e salvi. Ha chiesto spiegazioni, ma di certo non posso dargliele. E ho dovuto fare un giro lunghissimo per raggiungerti, ecco perché ho fatto tanto ritardo” spiegò Harry, e Niall annuì.
Il biondo non aveva più niente da chiedere, e vide che Harry non aveva altro da aggiungere, così si girò verso il volante per mettere in moto.
Ma sorprendendolo, Harry parlò di nuovo: “Niall” lo chiamò, e il biondo si girò, sentendo l’urgenza della sua voce.
“Sì, Harry?” chiese lui, guardandolo negli occhi.
Harry cominciò a giocare con le sue mani, completamente nervoso, e prima di parlare prese un bel respiro.
“Niall, io… io l’ho messo in pericolo stanotte. Sai cosa mi ha detto?” gli chiese.
Niall fece segno di no con la testa.
“‘Se non fosse stato per te, nessuno mi avrebbe sparato addosso!’ e aveva ragione. Adesso potrebbero prenderlo di mira, l’hanno visto bene, l'hanno visto con me. Sono un pericolo per chiunque mi stia intorno. E io mi ero sforzato tanto, mi sono allontanato da tutti, e dopo? Niall io…” Harry parlava velocemente, e Niall doveva prestare il massimo dell’attenzione per capire ciò che diceva.
Il riccio abbassò la testa, scuotendola avanti e dietro, prendendosela tra le mani.
“Ehi Harry – disse Niall poggiandogli una mano sulla spalla – stai tranquillo. Sai cosa penso?” disse Niall.
Harry scosse la testa, tenendola ancora bassa.
“Io penso che non puoi decidere tu per gli altri, mi spiego” aggiunse, quando vide lo sguardo confuso di Harry. “Non puoi decidere per gli altri se è sicuro o meno per loro. Non puoi impedire loro di volerti bene, credo che abbiano tutti il diritto di scegliere. Se una volta saputa la verità decideranno di allontanarsi è okay, ma se invece sceglieranno di starti vicino, nonostante tutti i rischi, nonostante tutto, non puoi dire loro di no. Perché se ti vogliono bene, troveranno sempre un modo per starti vicino, per ritornare con te” concluse, guardando Harry negli occhi.
Le parole di Niall erano state belle, ma Harry non ne era ancora convinto. E il biondo lo capì.
“Oh, insomma Harry! Pensa a tuo cugino Zayn! Cosa sta facendo dal momento in cui sei tornato?” disse, sollevando le braccia al cielo per disperazione.
Harry pensò a Zayn, a quante volte gli si era avvicinato a scuola, a quante volte si era presentato a casa sua, alle sue chiamate e ai messaggi.
“Hai ragione Niall” disse alla fine e lui sorrise. “Ma tu capisci che non posso permettere che si facciano del male?” continuò.
Niall sollevò gli occhi al cielo e dopo un urlo pieno di impazienza, fece partire il motore, guidando verso casa.
 
Harry si chiuse la porta alle spalle, attento a non fare troppo rumore.
Non appena mise piede in cucina, le luci si accesero e rivelarono suo padre che lo aspettava su una delle sedie in cucina. “Allora?” chiese.
Harry si diresse verso il frigo, prendendo una lattina di Coca Cola, aprendola e bevendone un po’.
“Missione fallita, ho avuto un intoppo ed erano in quattro” riassunse Harry, sedendosi su una sedia poco distante da quella di suo padre.
Il signor Styles annuì: “Non importa” disse, sollevando le spalle e prendendo la lattina dalle mani di Harry.
Il ragazzo mugolò in segno di protesta, ma il padre, sorridendo, continuò a bere.
“Senti…” cominciò Harry, catturando la sua attenzione. “Posso parlarne con Zayn, proporgli di… si insomma” disse, gesticolando.
Il padre lo fissò per pochi minuti che sembrarono ore e disse: “Okay, mi raccomando” gli rispose.
Si diresse verso le scale e le salì, senza aggiungere altro.
Harry rimase seduto, terminò la sua Coca Cola e sussurrò: “Ho bisogno di tempo, però”

 
  
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