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Autore: sheishardtohold    03/08/2014    7 recensioni
“Everyone thinks / that I have it all / but it’s so empty / living behind this castle walls” Regina barcolla lungo il cornicione del terrazzino. Un piede dietro l’altro – la testa si muove seguendo il ritmo delle braccia che oscillano nel vento. Non si sporge mai a guardare di sotto – tiene gli occhi chiusi.
Spinge fino all'estremo il suo corpo, sfida la sua magia. Crede che, mettendosi in una situazione di pericolo, tornerà a salvarla.
“Sembra una canzone molto triste” la voce di Robin alle sue spalle.
Genere: Introspettivo, Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Regina Mills, Robin Hood
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Sei mesi dopo.

Quando Roland percorre la scalinata che porta dall’atrio dell’asilo al giardino, si guarda attorno aspettandosi di trovare Marian, Robin o uno dei compagni di suo padre. Davanti a lui, invece, sta una donna gracile nei suoi pantaloni da ginnastica bianchi e il maglioncino grigio accollato. Sorride portandosi dietro alle orecchie i capelli sciolti sulle spalle e lascia che il vento le accarezzi il viso – gli occhi, le labbra, le guance completamente struccate.
“Beh, non mi riconosci più?” Regina si porta le mani ai fianchi e arriccia il naso, fingendosi indispettita.
“Regina!” urla il bambino, attirando l’attenzione dell’intero cortile. La sua bocca si spalanca in un enorme sorriso, mentre lascia cadere lo zainetto a terra e le corre in contro. Regina allarga le braccia pronta per prenderlo al volo. Sa che Roland si lancerà letteralmente addosso a lei e che dovrà essere pronta ad afferrarlo. Appena il bambino le piomba tra le braccia, lo stringe a sé posandogli un soffice bacio sulla fronte. Roland, come sempre, le stringe le guance tra le mani e poi fa strofinare la punta del suo naso contro quella di Regina.
“Corri a prendere lo zaino” lo incita sentendosi osservata da occhi indiscreti. lo lascia scivolare a terra e lo accompagna nel movimento con la mano. Il bambino corre verso l’ingresso e velocemente ritorna da lei, stringendo le sue dita attorno a quelle di Regina.
“Andiamo al parco?” le chiede, saltellando al suo fianco.
“Ti porto in un posto più speciale” gli passa una mano tra i capelli, mentre insieme si avviano verso il mare e il piccolo castello di legno.
 

 
“Dove stiamo andando?” Henry, il bambino di cinque anni che le cammina accanto, fa dondolare avanti e indietro la mano che sta in quella di Regina.
“In un posto speciale” gli bisbiglia all’orecchio, rivolgendogli un sorriso luminoso. Henry ricambia, stringendo con più forza le sue dita attorno a quelle di Regina.
Quando arrivano sulla spiaggia, Henry rivolge un’occhiata confusa a sua madre, chiedendosi come possa esserci di tanto speciale nel mare o nella sabbia. Qui non ci sono bambini con cui giocare, pensa. Qui non c’è proprio niente con cui posso giocare. Regina ride guardando il suo faccino corrucciato e dubbioso. Gli passa una mano tra i capelli e si spinge qualche passo più avanti a lui.
“Vieni qui, amore” Regina si volta verso di lui, continuando a dargli le spalle. “Vieni a fare la magia”.
Henry le corre in contro, mentre lei si china alla sua altezza e prende posto per terra. Lo guida con la mano, facendolo sedere nel suo grembo e gli schiocca un enorme bacio sulla guancia, facendolo rimbombare nelle sue orecchie.
“Apri bene i palmi” gli prende le mani distendendole a mezz’aria. Henry indietreggia col corpo cercando il calore di Regina – il calore della sua pancia che respira attaccata alla sua schiena. Regina gli posa un altro bacio sul collo facendolo ridere per il solletico. “Pensa ad una cosa bella, una cosa bella che vorresti”.
Henry scuote forte la testa facendo segno di essere pronto. Regina posa le  mani sulle sue guidandolo nei movimenti che restano sospesi nel vento. Una nuvola viola lascia le dita di Regina, passando per quelle di Henry, che le ritrae in pugni.
“Non ti spaventare, va tutto bene” gli sussurra piano per tranquillizzarlo. Mantiene sempre uno splendido sorriso e gli parla continuamente come se gli stesse cantando una ninna nanna. Henry, dopo un attimo di incertezza, ritorna nella posizione iniziale, fidandosi di Regina.
“Chiudi gli occhi” dice piano, mentre lui esegue l’ordine. Regina muove le braccia di Henry come se stessero dirigendo un’orchestra. Nonostante i gesti lenti e delicati, sente il bambino fremere dalla voglia di vedere la realizzazione concreta del suo pensiero – Regina stessa freme nel conoscere il pensiero del figlio.
Resta immobile quando vede apparire davanti ai suoi occhi una piccola struttura di legno a forma di castello. Henry riapre gli occhi quando sente la madre cessare il movimento delle braccia. Lo fissa – fissa il castello e poi il volto di Regina. L’abbraccia forte e poi corre, lanciandosi a perdifiato sulla spiaggia. Corre in tondo al castello agitando la braccia. Regina si avvicina a lui chinandosi alla sua altezza.
Perché, si chiede. Tra tutte le cose che poteva desiderare ha scelto un castello. Qualcosa che la riporta al mondo in cui viveva – qualcosa che la riporta al mondo in cui era cattiva. Ancora.
“È bellissimo” esclama Henry posandole una mano sulla guancia per asciugare quella lacrima solitaria che le era sfuggita dall’angolo degli occhi, senza che se ne rendesse conto. Non le chiede perché è triste – se è triste. Regina sente una connessione speciale con quel piccolino che la fissa con quegli occhi grandi, che la fissa sempre da quando è nella sua vita. Sa che non deve spiegare, sa che prima o poi lui dirà la cosa giusta. Ed è così. “Adesso non devi più essere triste, mamma” sorride, accarezzandole i capelli. “Il castello ti proteggerà”. Henry le mostra il bastone che ha in mano e che finge sia una spada. “Io ti proteggerò, come il Principe Azzurro”.
“Oh, Henry” Regina si porta al petto il piccolo stringendolo in un abbraccio caloroso – una mano tra i capelli ed una sulla schiena per spingerlo sempre più vicino al suo petto. “Il mio piccolo principe” bisbiglia, più a se stessa che ad Henry.
 

 
Roland sgrana gli occhi e spalanca la bocca – il viso pieno di stupore. Si stacca da Regina abbandonando lei ed il suo zaino su una panchina. Corre verso il castello tentando di arrampicarsi sopra. Regina lo guarda giocare da lontano godendosi quel momento – quel ricordo. Respira a pieni polmoni l’odore salmastre e si lascia cullare da un leggero vento caldo. Solo quando Roland le fa un cenno da lontano, la sua attenzione torna alla realtà.
“Regina, vieni a giocare con me” le urla dallo scivolo. Mentre lei si alza dalla panchina, lui già le corre in contro per prenderla per mano e trascinarla al castello.
“A cosa vuoi giocare?” china la testa di lato ed ora la bambina sembra lei.
“Tu sei una principessa ed io..” lascia la frase a metà guardandosi attorno. Cerca qualcosa che Regina crede di sapere bene cos’è.
“Un principe” esclama lei, porgendogli un ramo da usare come spada.
 “No” Roland scoppia in una risata, come se la risposta di Regina non fosse la più ovvia. “Io sono un fuorilegge, come il mio papà”. Regina resta in silenzio, sconcertata, finché Roland non decide di lasciar perdere arco e frecce e accetta comunque la “spada” offertagli da lei. Con le sue manine la spinge fin sopra al castello. Mentre si va a sedere sul ponte, l’unico posto in cui non è costretta a rimanere con la testa china, guarda come Roland si dimena fingendo di battersi ora con una guardia oscura,  ora con un enorme drago sputa fuoco, avanzando man mano verso di lei. Regina sorride quando un paio di volte inciampa nei suoi stessi lacci e lancia finte esclamazioni di richiesta di aiuto.
“Oh, il mio eroe” dice alla fine, quando Roland le lascia un bacio umido sulla guancia. Lei lo afferra, facendogli il solletico sulla pancia, mentre lui ride in modo sguaiato, cercando di slegarsi dalla morsa di Regina. Quando entrambi restano senza fiato, lo avvolge in un caldo abbraccio, perdendosi nel suo respiro e nel suo battito accelerato. “Il mio piccolo fuorilegge” sussurra al suo orecchio, mentre Roland si stringe con tutta la forza che ha al corpo di Regina.
 
Mentre si incamminano verso casa, Regina e Roland passano davanti ad una gelateria – Roland, in spalle a Regina.
“Regina, posso?” indica il bambino con l’indice la vetrina.
“Sei stato così bravo a salvarmi, che un gelato te lo meriti proprio” esclama lei, sentendo il piccolo dimenarsi per scendere ed irrompere nella gelateria. “Che gusti vuoi, amore?”
“Quello con i biscotti” appoggia i palmi delle mani sulla vetrina dei gelati e si alza in punta di piedi per cercare con gli occhi il suo gusto. Quando la ragazza porge il gelato a Regina, Roland la tira per la manica del maglione per farsi prendere in braccio ed afferrarlo. Bofonchia un grazie un po’ impacciato alla ragazza che di rimando gli risponde un “di niente”, sorridendo.
“È molto dolce suo figlio” la sconosciuta si rivolge a Regina che, senza nemmeno riflettere, la ringrazia con gli occhi che brillano. È fiera di Roland – di quel bambino che per lei è come un figlio. Quel piccolino che la cerca in modo ossessivo – col suo sguardo, con le sue manine sempre strette alle sue gambe, alle sue braccia, al suo corpo. Regina crede che anche Roland sia fiero di lei. Forse perché ha perso la madre quando era piccolo ed ora vede in lei un rimpiazzo, forse perché non l’ha mai conosciuta come la Regina Cattiva, ma solo come Regina che ha salvato Storybrooke dall’ultima minaccia. Ad ogni modo, il bambino non replica, non protesta. Sorride solo un po’ imbarazzato nascondendosi dietro alle gambe di Regina che lo prende in braccio, portandolo a casa.
 
Roland varca la soglia d’ingresso – lo zaino e la giacca a terra, per poi correre in esplorazione. Lo sguardo di Regina segue curioso il piccolo che, reggendosi sulle mani, resta appeso alla porta di ogni camera prima di entrarci.
“Vieni qui” Regina lo blocca per la vita, lo prende in braccio. Sorride, avviandosi verso il bagno – dietro di loro, una scia di sabbia. Regina aiuta Roland a svestirsi e ad entrare nella vasca colma d’acqua calda e bolle di sapone. Prende il soffione della doccia, bagnando il viso del bambino che, per vendicarsi, schizza l’acqua addosso a Regina. Roland ride nel vederla in difficoltà. Lei fa un passo indietro nel tentativo di sfuggire alla nuova ondata d’acqua, mettendo il piede in una delle tante pozze che si erano formate in bagno. Scivola, cadendo a peso morto nella vasca.
“Regina!” esclama Roland, mentre lei torna a galla. Il bambino smette di ridere e, preoccupato, si getta su di lei. Regina, tra un colpo di tosse e l’altro, accenna ad un “tutto bene”, massaggiandosi la nuca. Rallentata nei movimenti, si sfila il maglione, lasciandolo cadere a terra in un sonoro splash e sistema la schiena contro il bordo della vasca. Roland si siede sulle sue gambe. Regina gli cinge la vita e appoggia il mento sulla spalla del piccolo. Lo osserva giocare, gli insapona il corpo e poi i capelli.
“Tira la testa indietro” lo ammonisce, prima di far scorrere l’acqua tra i suoi riccioli. Roland strizza gli occhi, tenendosi stretto al corpo di Regina. Restano a mollo nell’acqua finché non compaiono le prime piaghette sulle mani di entrambi. Regina avvolge Roland in un enorme asciugamano, posandolo sul letto.
“Resta qui, fermo” esclama, mentre lascia la stanza. Corre prima in bagno, per asciugarsi, poi in camera sua  per cambiarsi. Quando torna nella stanza di Henry trova Roland, a pancia in su, ad aspettarla – immobile, come quando l’aveva lasciato. Regina gli schiocca un bacio sulla fronte, mentre lui si alza sul letto e si mette a sedere. Osserva Regina, che si muove velocemente da un armadio all’altro alla ricerca di un pigiama delle sue dimensioni. Regina parla tra sé e sé. “Eppure l’avevo messo qui” dice, mentre Roland sorride a guardarla mentre impazzisce.
“Trovato!” alla fine esclama, mostrandogli una magliettina e un paio di pantaloncini azzurri con le macchinine. Roland la lascia fare, mentre lo aiuta ad asciugarsi e a vestirsi. Quando alla fine Roland si mette in piedi, tenendosi con una mano l’elastico dei pantaloni per non farli cadere a terra, Regina scoppia a ridere. Non si ricordava quel pigiama fosse così grande. Roland non sembra indispettito dal modo in cui lei si prende gioco di lui, anzi, va dietro alla sua risata, spostandosi maldestramente un ciuffo di capelli ancora umidi all’indietro. Corre verso Regina e le stampa un bacio a fior di labbra, mentre lei lo afferra al volo. Poggia lentamente un piede dopo l’altro sulle scale, attenta a non inciampare – Roland in braccio a lei. Nessuno dei due sembra essere minimamente turbato da quel gesto così intimo, così quotidiano. Un bacio a fior di labbra, proprio come dovrebbe essere tra madre e figlio.
 
“Mi aiuti a preparare la pizza?” gli chiede Regina, allungandogli un po’ di lievito e di farina. Roland annuisce e si dimena sulla sedia. Non sta più nella pelle. Impasta accanto a Regina che, di tanto in tanto, gli rivolge una dolce occhiata. Gli passa le mani sporche di farina sul viso, lasciandogli due strisce sulle guance, come gli indiani. Roland la imita – sfrega il naso contro il suo e ride a pochi centimetri dal suo viso. Regina si perde in quel suo modo di sorridere così puro, così innocente – la teglia in mano e Roland che litiga con l’impasto che non riesce più a scollarsi dalle dita. Scuote la testa, ridendo tra sé e sé e poi, con cura, gli sciacqua mani e viso. Roland resta in grembo a Regina a colorare, mentre aspettano. Regina non fa nulla – tiene solo le braccia attorno al bambino e riposa la testa sulla sua schiena, ascoltando come respira piano.
Quando il timer suona, interrompe quel contatto contro voglia, incitando Roland a correre sul divano. A chiunque sembrerebbe strano che Regina, la patita per l’ordine, permetta al suo figliastro di mangiare sul divano, mentre guarda la tv. È assurdo. Lei, che era visibilmente disturbata da qualsiasi cosa fuori posto, non l’aveva mai permesso neanche ad Henry.
Regina pensa spesso al suo comportamento quando Roland le sta attorno – ai suoi modi di fare che cambiano, ai suoi schemi mentali che rompe. Regina pensa spesso al suo comportamento, ma mai quando sta con lui. È tutto così quotidiano – normale. E anche lei si sente così – normale. Per Roland lei non è cattiva, non è un mostro, non ha passato – è la sua mamma. È normale.
Regina gli lega al collo un fazzoletto e poi lo osserva mentre divora la pizza. “È buona?” il bambino annuisce, mentre lei lo posiziona tra le sue gambe. Regina non mangia poi tanto – si perde a guardare Roland e le sta bene. Non ha fame, non ha sonno – non ha niente. Sta bene quando il piccolo le sta attorno e la guarda – e la chiama e la ama.
“Li vuoi vedere i cartoni?” gli posa l’ennesimo bacio sulla testa e lo accarezza, prima di sfilargli il piatto vuoto dalle mani. Roland annuisce, scrutando uno ad uno i dvd.
“Cos’è questo?” a Regina viene da ridere. Non perché effettivamente la cosa la faccia ridere o perché sia necessario, solo interpreta quel gesto come qualcosa di molto ironico.
“Robin Hood” lo sa bene che sta parlando di uno stupido cartone animato, ma il suono di quel nome pronunciato da lei la disturba.
“Come il mio papà!” Roland è eccitato, Regina cerca di restare calma. Accenna un leggero “sì” con la testa e, insieme al bambino, ne studia la custodia. “E questa chi è?”
“Lady Marian” trattiene il fiato. “La tua mamma” Regina sente che la frase le resta in gola. Alza gli occhi verso il cielo nel tentativo di non piangere, man mano che Roland aumenta le domande.
“E tu dove sei?” è l’ultima cosa che Roland le chiede quando lei gli risponde che non è il suo cartone – non è la sua storia, non è il suo lieto fine. “Non mi piace” dice Roland con un tono così risoluto da chiudere per sempre l’argomento cartoni animati. “Raccontamela tu una storia” bisbiglia piano, girandosi verso di lei. Fa scivolare le gambe attorno alla vita di Regina, la stringe tra le sue braccia e appoggia la testa al suo petto.
Regina resta un attimo a pensarci e poi, facendo scorrere le dita tra i ricci del piccolo, comincia a parlare.
“C’era una volta una regina. E la regina lanciò un grande sortilegio che le diede tutto ciò che desiderava – o almeno, così credeva. Si disperò quando alla fine si rese conto che la vendetta non era abbastanza. Si sentiva sola e così cercò per tutto il reame un bel bambino che diventasse il suo fuorilegge. E poi, lo trovò” Roland alza gli occhi verso Regina. Le sorride, mentre lei lo stringe più forte a sé.
“Anche se vissero felici, non fu per sempre. C’era ancora del male là fuori, in agguato, e la regina era preoccupata per il suo fuorilegge. Lei sapeva di poter sconfiggere chiunque avesse minacciato il piccolo, ma sapeva anche di non poterlo crescere nell’ansia” le parole escono dalla bocca di Regina senza che lei nemmeno si fermi a pensarle. Ricorda di averle già raccontate ad Henry, una volta. Nonostante fossero passati più di dieci anni se le ricordava perfettamente – sintomo di quanto la sua vita fosse stata ripetutamente ingiusta con lei.
“No” bisbiglia piano, più per interrompere il suo flusso di pensieri, che per marcare un cambiamento nella storia. “Doveva mettere da parte qualsiasi apprensione e mettere suo figlio al primo posto. Così la regina si procurò un’antica pozione d’amnesia” Roland alza nuovamente gli occhi su Regina, smarrito.
“Non temere” gli accarezza la testa, posandola nuovamente sul suo petto. “Nonostante la pozione, non dimenticherà suo figlio - dimenticherà solo le sue preoccupazioni, i suoi problemi, le sue paure. E sparite quelle lei e il suo giovane fuorilegge potranno finalmente vivere felici e contenti. Per sempre”.
Quando Regina mormora le ultime parole, Roland è già crollato nel mondo dei sogni – i pugni ancora stretti attorno alla sua maglietta. Regina si alza e, facendo attenzione a non svegliarlo, percorre la scalinata fino ad arrivare in camera. Quando prova a staccargli le mani, Roland apre gli occhi, intontito.
“Regina” biascica, strusciando la testa contro al suo petto. Lei lo culla tra le sue braccia, ripetendogli di dormire e poi si sdraia sul letto – Roland accucciato su di lei. Regina sorride e chiude gli occhi, riaprendoli solo quando, al posto dei ricci di Roland, si ritrova tra le mani paglia dorata.
“La Regina Cattiva” una voce esclama alle sue spalle e cattura la sua attenzione. Regina si accorge di essere sdraiata a terra, catturata in una una prigione. La riconosce – riconosce le segrete del suo castello, solo che lei è sempre stata dall’altra parte delle sbarre, mai prigioniera nel suo stesso regno.
“Marian?” la figura della donna si fa sempre più distinta, mentre Marian esce fuori dalla penombra. Cammina verso di lei – le sue gambe slanciate in un paio di scarpe col tacco, si nascondono dietro alla stoffa di un vestito rosso in raso. Il mio vestito, pensa Regina, facendo scivolare lo sguardo prima su Marian e poi su se stessa. Lei, vestita come una contadina. Marian, vestita come la regina. Porta i suoi abiti, le sue acconciature – “la mia magia”, si lascia sfuggire a fior di labbra Regina, mentre l’altra giocherella con le dita col fumo viola che esce a soffi dalle sue mani.
“No, non dovrebbe essere così” Regina afferra le sbarre con tutta la forza che ha cercando di scardinarle. Marian ride di lei, della sua debolezza. “Non sei più tanto potente ora, vero?” prende con forza il viso di Regina tra le sue mani e lo fa sbattere contro le sbarre, portandolo a pochi centimetri dal suo. Sibila, più che bisbigliare all’orecchio di Regina. Le lancia uno sguardo di fuoco – uno sguardo di sfida.
Regina sente le unghie di Marian conficcarsi nella sua pelle. Brucia – i tagli sul volto, il palmo della sua mano contro la sua pelle.
“Lasciami, ti prego” e intanto inizia a piangere. “Non ti ho fatto niente” Regina si accascia a terra. In un angolo. Impaurita.
“Niente?” urla. Regina strizza gli occhi e stringe le gambe al petto, mentre tra le mani di Marian fluttuano fiamme di fuoco. “Tu mi hai uccisa, Regina. Tu mi hai uccisa e poi ti sei presa il mio uomo e mio figlio”.
Con un cenno della mano, scardina le sbarre scaraventandole con forza dalla parte opposta della stanza. Regina si tappa le orecchie con le mani e nasconde il volto tra le gambe. “Ma tu sei qui, ora. E Robin è tornato da te, insieme a Roland. Io non ho più niente” resta appiccicata al muro e mugugna come una bambina che piange spaventata a morte.
“Stai zitta” urla, ancora, afferrandola per i capelli dietro alla nuca. Regina vorrebbe urlare, ma quegli occhi pieni di rabbia le fanno morire in gola qualsiasi suono. Soffoca, mentre Marian le sbatte la faccia contro al muro. Il colpo si amplifica nella testa di Regina. Il dolore lancinante la costringe a strizzare nuovamente gli occhi – il sangue caldo le cola sulle guance. “Non sono più riuscita ad avvicinarmi a Roland, da quando sono tornata” Marian tira su col naso, pulendosi col dorso della mano le lacrime che si è lasciata sfuggire. Poi torna a guardare Regina. “È colpa tua” sul suo volto compare un’espressione schifata.
“Lui ha sostituito la figura materna con la tua”.
Mentre Marian stringe una mano attorno alla gola di Regina, l’altra la fa penetrare con un gesto rapido nel suo corpo. Regina spalanca gli occhi – il respiro completamente bloccato. Marian sente il suo cuore pulsarle tra le dita. Regina sente una morsa terribile attorno al suo cuore. Un dolore acuto le esplode nella testa e nello stomaco.
“Non te lo porterei mai via Roland” dice in un sussurro, mentre Marian estrae lentamente la mano dal corpo di Regina per provocarle un dolore maggiore. “So cosa vuol dire perdere un figlio. Non te lo porterei mai via, Marian” lo ripete in modo ossessivo. Ha smesso di piangere – non ne ha più la forza. Vuole solo che, come le sue lacrime, anche quell’agonia smetta di assillarla.
“Non potrai farlo” è l’ultima cosa che dice Marian, col tono pacato, mentre sbriciola tra le mani il cuore di Regina.
 
Regina si sveglia di soprassalto – il corpo imperlato di sudore. Si passa una mano sul collo, sentendo ancora le mani di Marian stringerle il collo. Respira in modo affannato, le viene da piangere.
“Regina” la scuote piano Roland che, sentendola chiamare aiuto nel sonno, si è svegliato. Regina si volta verso di lui – sul volto, ancora un’espressione confusa. “Va tutto bene” le risponde, probabilmente imitando suo padre quando cerca di calmarlo dopo un incubo. Le accarezza dolcemente il viso, mentre lei scoppia in lacrime. Roland le si arrampica sul corpo, arrivando alle sue spalle dove poggia la testa e la stringe, tenendo le mani tra i suoi capelli.
  
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