Alla fine li hai ingoiati tutti d'un fiato, i tentacoli di piovra che tenevi in mano. Aspetti solo che ti spuntino fuori per il buco del culo.
Che strano, no? Tu che solitamente la roba l'hai sempre e solo presa, su per lo sfintere.
“E ridi”.
Ché il ladro è tornato mentre il Re se la (s)filava correndo, s'è accoccolato ai piedi del letto in un unico gesto fluido, lasciandoti a mendicare aria col volto schiacciato sulla pelliccia lorda d'un lupo;
l'intreccio sensuale delle sue ciglia scure a disegnarti in testa uno sprazzo di delirio muto.
Cupo.
Non ti ha rubato niente, il ladro, niente. Ché il ladro non vede.
E lì dove la vista inciampa, neanche l'olfatto supplisce.
Ché lui pretende le tue dita e le tue labbra. Su di lui.
Ché la tua, di pelle, se l'è già presa senza sfiorarti nemmeno.
Com'era? Eh? Com'era, bambina?
“E dimmelo”, ché i dettagli son mosche e cicale grasse in quello schifo di ragnatela che c'hai in testa.
“E dillo. E ridi. E esci.”
Ché il ladro è tornato mentre il Re se la (s)filava ridendo.
Ché il ladro è tornato mentre il Re se la (s)filava ridendo.
Stanotte l'hai accordato il Re ammantato d'argento e il ladro t'ha sorriso svendendoti un indesiderato battito prematuro.
“E dillo. E ridi. E esci.”
'Fanculo.