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Autore: Artemisia_Amore    04/08/2014    4 recensioni
La trama di questa storia si svolge su due piani temporali.
{I fili del presente si intrecciano continuamente con il passato dove è ambientata la maggior parte della narrazione.}
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Break riapre gli occhi dopo una sanguinosa battaglia. Ha da tempo perso l’uso della vista, e il suo cuore stanco vortica inesorabilmente intorno a quel ricordo che lo ha a lungo perseguitato. Nel frattempo, Reim ripercorre i passi che lo hanno portato alla scoperta di un sentimento inconfessabile, mentre Sharon rivive il giorno in cui cessò per sempre di essere una bambina.
Genere: Drammatico, Introspettivo, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Shonen-ai | Personaggi: Nuovo personaggio, Reim Lunettes, Sharon Ransworth, Xerxes Break
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Il vascello del commodoro


 
 
“Era una nuvola di taffettà, non trovi?”
“Di certo non avrà avuto problemi a trovare un marito”


Limoge, madreperla e finissimo chiacchierino. E dipinti alle pareti risalenti a due secoli fa. Il calore di questa sala da the è senza dubbio un pregio.
 
“Non lo sapevi? Il giorno dopo il Commandeur Visser si è presentato all’alba da lei e le ha chiesto la mano!”
“E lei? Non dirmi che…?”


Chiudere gli occhi qui, seduta sulla mia poltrona fin troppo barocca, e dimenticare ogni preoccupazione.
 
“Macché! Certo che ha accettato! Si sposeranno in primavera, subito dopo la fioritura dei ciliegi!”
 
La voce chiara delle due cameriere che non smettono di chiacchierare mi piace. Probabilmente si sono trasferite a Reveille quando erano due bambine, e per questo sono così pratiche nell’uso di parole assolutamente inutili e leziose, ma non è servito a togliere loro quella leggera inflessione morbida e vagamente nordica delle loro terre d’origine. Mi ricorda qualcosa di antico, di piacevole e rassicurante.
 
Darjeeling…? Sei sicura? Non sarebbe stato meglio un Earl Grey, a quest’ora?”
“Non dirlo a me, ma miss Rainsworth ha insistito perché le fosse servito questo, anche se le avevo cons—“

Una cosa che non smette mai di farmi sorridere è lo sguardo colpevole che hanno quando si rendono conto che le sto ascoltando. Sono giorni che si sorprendono e si scusano, inchinandosi, e giorni che non smetto di trovarlo divertente. Non credevo che sarebbe stato tanto facile trovare qualcosa di esilarante da fare. Sul tavolino ricoperto di centrini preziosi c’è l’ultimo romanzo che ho preso dalla biblioteca. Un’avventura lunga quasi novecento pagine, in cui lei, la figlia illegittima di un principe decaduto, diventerà la concubina del Sultano dei Deserti ma, sterile, fuggirà alla sua condanna a morte trovando riparo tra le braccia di lui, il più temibile dei predoni d’Oriente. Ho appena scoperto che sotto il suo turbante si nasconde l’erede al trono, e sono in trepidante attesa di scoprire se si innamoreranno. Lo spero.
Le pagine erano piene di polvere, e sembrava trovarsi lì da chissà quanto, dimenticato su uno scaffale troppo in basso perché la normale curiosità e la ragionevole statura gli dessero una possibilità d’esser visto.
Essere bassi deve avere i suoi vantaggi.
 
Se Megan, la più piccola delle due cameriere che si prende cura di me, e certamente la meno disinibita, non avesse nominato il Commandeur, probabilmente adesso non starei pensando a flotte regie impegnate in battaglie epiche e mortali. Non mi sono mai piaciute le battaglie navali, somigliano a una danza dal macabro epilogo. “Prego, miss Rainsworth” la voce dell’altra giovane domestica mi distoglie proprio un attimo prima che la Garland affondasse nella mia mente, portandosi dietro il commodoro e tutto il suo equipaggio. L’aroma del the caldo e floreale allevia decisamente ogni dispiacere per la perdita. “Gradisce anche dei fiori freschi nella stanza, miss?”
Gradisco dei fiori freschi? Chissà che stagione è, adesso, per i fiori freschi… Chissà se è ancora tempo per dei… “Gelsomini, Anna…?”
“Oh, miss, mi dispiace, ma di recente ha grandinato, e… Gran parte dei gelsomini sono andati distrutti. Le porterò delle belle campanule, miss!”

Come se fossero la stessa cosa. Almeno il the è delizioso, e i biscotti all’anisetta sono così lontani da ciò a cui sono abituata da farmi dimenticare il motivo per cui mi ero indispettita… Ah, già, i gelsomini. Nemmeno cinque minuti più tardi - il grande pendolo Luigi XVI appeso alla parete potrà confermarlo - Abigail, di certo un nuovo acquisto data l’incertezza con cui si muove tra la mobilia, entra con uno splendido vaso di campanule. I decori sono in oro zecchino, come quelli della tazzina che mi riempie le mani. Arabeschi senza il minimo senso, così ipnotici da far correre l’occhio lungo tutta la superficie vellutata della porcellana. Il profumo delle campanule non mi piace, ma non è la prima cosa a cui mi abituo senza troppe remore. L’anisetta sul tavolino me lo ricorda a ogni respiro.
 
“Domani pomeriggio Lady Morris darà un tea-party nella sua residenza estiva, l’ho sentito dire da Abigail, perché sua sorella Adeline è a servizio da Lady Morris!”
“Che notizia fantastica! Credi che dovremmo proporre a miss Rainsworth…?”
 
Oh no, non dovreste disturbarvi a chiedermi se desidero partecipare a un the delle cinque in mezzo all’alta società. Potreste preoccuparvi di abbassare la voce, mi sembrerebbe di essere da sola. Da quando la servitù è così disinvolta?
 
“Sono giorni che è lì seduta ogni pomeriggio…” Questo perché questa sala mi dà sollievo, è una delle mie preferite, e gli arazzi alle pareti non sono invadenti come quelli della sala da lettura. In cuor mio mi chiedo come sia possibile rimanere concentrati su un romanzo con due enormi occhi intessuti nel damasco che ti guardano. Ma avrei dovuto cogliere segni di stravaganza già nelle uniformi piene di merletti delle domestiche. Troppi merletti. Qualcuno li troverebbe addirittura ridicoli…
 
“C-credo che andrò a fare una passeggiata in giardino!”
“Ma miss… Aspettate, vengo con voi!”
“No, Megan, so passeggiare da sola. Grazie”
 
Sarà meglio andare a sgranchirsi le gambe senza la compagnia di nessuno. I miei pensieri incessanti sono già abbastanza fastidiosi senza che altre voci contribuiscano a farmi perdere la rotta. Mentre chiudo la grande vetrata che mi separa dalle tre ragazze dalla pelle troppo chiara per essere del luogo e dalla lingua troppo sciolta per essere state bene istruite a servire, mi rendo conto di aver fatto male i miei calcoli: il giardino - una sconfinata distesa di pruni della varietà più tipica e dai toni così profondi - mi ricorda esattamente dove sono, e il perché.
 
Ho ripreso una frivola abitudine abbandonata da bambina, e ho ricominciato a scrivere il mio diario. Pagine pregiate, scritte con il migliore inchiostro di Reveille, su cui appaiono parole che non devono essere lette. Per questo le brucio, subito dopo averle scritte, prima ancora che l’inchiostro sia asciutto. Per questo chiedo sempre ad Anna che le mie stanze siano le ultime a essere riordinate. Ho bisogno che l’odore della carta bruciata si perda nell’aria, e non insospettisca nessuno. Non c’è spazio per domande alle quali non sarei in grado di rispondere senza creare altri sospetti. Mi piace, stare qui.
 
A occhio e croce dovrei aver raggiunto l’ingresso principale attraverso il giardino. Da una rapida occhiata alle ampie finestre che trovo alla mia sinistra, i visi familiari delle mie tre cameriere personali. Mi hanno seguita dall’interno, probabilmente, e restituiscono un sorriso che a me pare fin troppo pronto. Forse devo aver lasciato trasparire qualcosa dalla piega neutra che le mie labbra avrebbero dovuto avere. Forse si sono accorte che le ho scoperte proprio mentre parlavano di me, ancora una volta. Una folata di vento ha portato a me un aroma flebile, ma caldo e familiare. Gelsomini, quei pochi che il tempo non ha distrutto, probabilmente. Mi sento come loro. Incapace di raggiungere chiunque, troppo debole per oltrepassare i confini.
 
Sono ancora lì. Tutte e tre, in fila, a guardarmi da una finestra. Megan mi ha addirittura salutato con la mano come se fossimo grandi amiche. Quel gesto, nella sua inopportuna semplicità, mi fa quasi male, mi fa… Pensare. E non posso permettermi di pensare. Non davanti alle mie dame da compagnia e mie carceriere. Da giorni mi torna in mente una frase letta in una favola, tanti anni fa. Una storia totalmente assurda di una principessa vittima di un maleficio, costretta a vivere ogni giorno all’interno di un sogno, senza saperlo. Una di quelle storie che qualcuno troverebbe troppo assurda per poterla rapportare alla vita reale. «Ogni grado di libertà a me concessa era stato accuratamente pianificato da degli occhi nell’ombra, e mani silenziose avevano preparato per me ognuna delle possibilità che credevo di aver scelto. Avevo imparato ad accettare la realtà del mondo così come si presentava»
Qualcuno si stupirebbe di quanto queste parole mi sembrino adatte, adesso.
 
Dopo il secondo giro intorno al pruneto, direi che questo pomeriggio può concludersi così, accompagnato da un assolato tramonto che non fa che enfatizzare i colori che mi circondano. Il fato non mi ha assistito, e nessuna carrozza a me familiare ha battuto il selciato del viale principale. Non potrò fare le mie domande. Che non avrebbero comunque avuto risposta.
 
Sembrano leggere i miei pensieri, o forse sono solo così attente ai miei passi da prevedere le mie mosse, ma le mie tre cameriere sono già lì, una per ognuno dei tre gradini del portone principale, ad accogliermi con quel sorriso che… Inizio a detestare. Mi ricorda la compassione con cui mi guardano le signore al the delle cinque. La distanza che hanno quando si sforzano di conversare. Mi fa tornare in mente a quanto sia unica, e per questo sola, in una società che ha capito come andare avanti, e non ha intenzione di guardare cosa è disposta a lasciare indietro.
Cielo, se osassi dire a voce alta anche uno solo di questi pensieri, qualcuno riderebbe senza riserve. Ma se osassi farlo, accanto al mio Earl Grey avrei anche il mio solito éclair al cioccolato, e non dei biscotti all’anisetta.
 
“Vi siete riposata, miss?”
“Anne e io vi abbiamo preparato un bel bagno, miss, con i petali di rosa come piace a voi!”
 
Essenza e petali di rosa canina versati appena l’acqua raggiunge la sua massima temperatura, prima che si raffreddi, così che possa sprigionare il suo profumo e mantenerlo costante durante il bagno. Rimane sulla pelle, che profuma e somiglia a un petalo di rosa. È inebriante e persistente, come un roseto dietro casa… È mia nonna che ama il bagno con i petali di rosa, non io. Sorrido, oltrepassando il loro sguardo sorpreso nel vedermi un sorriso così imprevisto. Nessuno potrebbe comprenderne il motivo, in questo momento, ma l’incanto si è rotto. Mentre Megan riprende la sua posizione a guida di quella che sembra una processione verso la sala da bagno, vedo molto più chiaramente cosa mi circonda. Ognuno dei pizzi nelle mie stanze, dei piatti prelibati e delle decorazioni floreali più stravaganti, non sono per me. Non devono colpire me. Le vedo crollare davanti ai miei occhi come i piccoli frammenti di uno specchio.
L’aria di cui si riempiono i miei polmoni, d’un tratto è più pulita, mentre le cameriere iniziano a slacciarmi il corsetto. E se… “Potreste andare a prendere dei dolcetti? O anche… Beh, potreste far preparare una crème anglaise? La gradirei con dei lamponi sopra!” Quanta fatica nel fingere che mi importi qualcosa di ciò che chiedo mi venga servito. Vedo il disappunto sulle labbra di Abigail. So bene che non ci sono lamponi a meno di qualche paese di distanza da Reveille. Ho casualmente sentito delle voci risalire dallo scantinato, giusto stamani, parlare di disagi nel trasporto della frutta. Un Chain ha devastato le strade di collegamento e quindi niente merci fresche per qualche giorno. La ricerca di un lampone in lungo e in largo le terrà impegnate almeno un po’.
 
Mossa astuta, ojou-samaE se ripiegassero su qualcosaltro?
Mi par di sentirne la voce, mentre mi perdo a osservare il cancello al limitare dell’immenso giardino ormai imbrunito. Il ferro battuto è lavorato con attenzione, chissà da quanti secoli è lì, incurante del tempo, delle epoche e dei padroni che ha protetto, immutabile e pronto ad accogliere ospiti e carrozze come adesso, grandi e illuminate da tante luci quanti sono gli angoli impunturati di metallo… Ma due soli cavalli, segno che, in questo caso, non si tratta certo di nobiltà. Odio il buio di cui si è tinto il panorama oltre la finestra, mi impedisce di avere una visuale completa, ma sono quasi certa di sapere a chi appartiene quella tipica sfumatura di capelli, anche se alterata dalla luce delle lampade a petrolio. Se le finestre fossero aperte, potrei quasi sentirne l’odore pungente, ma non mi distoglierebbe da ciò che ho visto. Mi guardo intorno e sono compiaciuta nel constatare che nessuna crème anglaise è apparsa sul tavolino di fine ciliegio. Molto bene, farò in tempo a rivestirmi. E guadagnerò minuti preziosi se eviterò di indossare il corsetto. Nessuno lo nota mai, e di certo è un vezzo che non mi gioverebbe, adesso.
 

~~~


 
Se non fossi impegnata nel non far sapere a nessuno che non sono nella stanza da bagno insieme a dei petali di rosa che non ho chiesto, probabilmente mi soffermerei su quanto sono stata brava nell’evitare quelle due grandi statue di bronzo cesellato alla fine delle scale. Solo una persona dal pessimo senso dell’umorismo avrebbe potuto scegliere due mostri come quegli uccelli stravaganti come guardiani dei piani superiori.
 
Mi aspettavo di trovare tutto buio, e invece le luci della sala da lettura sono accese, un bagliore fioco arriva fin nel corridoio. Non posso rischiare di non raggiungere la mia destinazione, avrei dovuto già esserle di fronte, se non fosse stato per quello stupido tappeto di velluto che chissà chi ha deciso di togliere proprio questa sera: spero che i miei passi non abbiano risuonato troppo lontano per le stanze.
 
Evitare la luce della sala da lettura e procedere oltre. Questo mi ripeto mentre avanzo tastando con la mano destra il muro. Se le luci fossero accese sembrerei una sciocca, ma è l’unico modo che ho per evitare di inciampare. Evitare la luce della sala da lettura. Eppure dovrei sincerarmi che nessuno sia in ascolto, e che tutto sia come dovrebbe essere. Come se miss Rainsworth stesse facendo il bagno immersa in meravigliosi petali di rosa canina che mia nonna avrebbe apprezzato senza dubbio… Eccolo. Concentrato su un volume grande il doppio del suo avambraccio, rannicchiato in un modo poco consueto per lui, col viso adombrato dalle stesse pagine che legge. Troppo concentrato per accorgersi di me, una figura che passerà oltre la porta in fretta. Penserà a uno scherzo dei suoi occhi, quando noterà in ritardo un’ombra che infrangerà il fascio di luce appena percepibile oltre la porta. E procedere oltre. Se il tappeto - un altro - fosse ancora qui il mio stupido tacco non avrebbe prodotto nessun suono. Nessuno. E invece adesso temo sia tutto perduto. Dovrei correre. Potrei togliermi le scarpe e scappare verso la fine del corridoio. Potrei metterci non più di tre minuti, per percorrere quelli che potrebbero essere meno di quattro metri.
 
E se foste stata scoperta, ojou-sama?
Se fossi stata scoperta dovrei giustificare la mia presenza al piano terra, in direzione dell’uscita. E non mi viene in mente niente che suoni anche solo intelligente. La mia crème anglaise dovrebbe essere dalla parte opposta. Sarà meglio controllare di non aver dato nell’occhio. Anche se adesso… Ora si che, se le luci fossero accese, sembrerei una sciocca, accovacciata in un angolo, a sbirciare dalla porta che tutto sia come prima del mio passaggio. Chissà se i battiti del mio cuore si sentono così forte anche da fuori il mio petto…
 
Un ricco rivestimento di damasco, da questa prospettiva, mi si mostra in tutto il suo splendore. Rosso e oro, così carico da ricordare il Natale, e così soffocante da desiderare di essere altrove. Poco più in là, altro rosso ingombra il tavolino - di ciliegio anch’esso - disegnando ricami di pizzo all’uncinetto. Odio l’uncinetto quasi quanto odio ricamare, ma non ho tempo per crogiolarmi nel suo disprezzo, ora. Una poltroncina identica a quella su cui ho passato giorni interi, foderata di pesante velluto cremisi, piena solo di un ventaglio a me familiare, sta di fronte alla sua gemella, occupata da lui. Deve aver alzato lo sguardo sulla porta quando ho fatto rumore, perché le due ciocche rosse sulla sua spalla sono diventate una sola, e quell’antenna è appena scivolata verso il basso. Va bene così, finché rimane concentrato sul suo… Trattato damor cortese. Dovrò ricordarmi di questa scena per quando dovrò riferirla. So che lo farò, e so che questa immagine sarà motivo d’ilarità per settimane. O forse mesi. O magari… No.
 
Il mio cuore esploderà, me lo sento, ma sono costretta a correre più in fretta e a percorrere il corridoio in meno, molto meno dei tre minuti che mi ero data, con le scarpe in una mano e l’eccesso di gonna nell’altra. Spero che non mi abbia vista, spero che i suoi occhi grigi non abbiano davvero guardato me quando si sono sollevati all’improvviso da quelle pagine. Spero che non abbia capito e che sia tornato alla sua lettura, rannicchiato in quel modo strano sulla sua poltroncina, dondolando un piede che sbuca da chissà che groviglio di stoffa e carne. Spero che non abbia deciso di seguirmi, perché nessuna persona che adora stare lì fuggirebbe sgattaiolando al buio per i corridoi, cercando chissà cosa. Ho paura che lo direbbe alla nonna - lo farebbe senza dubbio - e lei saprebbe perché l’ho fatto. Anche senza conoscere i dettagli, saprebbe per chi l’ho fatto.
 
Le luci della carrozza sono ancora accese, ma è stata spostata verso le stalle, per dare ai cavalli il giusto ristoro. Potrei raggiungerla, e sperare che sia ancora lì… Sull’erba fresca il suono delle mie scarpe non sarà un problema, per cui posso anche rimetterle senza problemi.
 
“Miss Rainsworth…?”
Un colpo al cuore. E scenari impressionanti in cui accampo scuse poco plausibili si fanno strada nella mia mente, annebbiando ogni ragionevole capacità di giudizio. Persino la mia capacità di riconoscere le voci, persino la mia volontà nel voltarmi e guardare in volto chi ha rovinato così il mio piano perfe—tu.
 
Evito di sollevare lo sguardo, ma in un momento non molto preciso devo aver trovato il coraggio per voltarmi, e in quel momento ho riconosciuto i bottoni troppo lucidi della divisa della Pandora. In tutta l’organizzazione, soltanto una persona riesce a mantenerli lucidi come specchi.
 
“Reim-san!”
“Cosa ci fate qui fuori…?”
 
Lo vedo arrossire al buio, rischiarato appena dalle luci del patio dell’immensa Villa Barma alle sue spalle. Sento una parte del mio cervello chiedersi il perché, ma tutto il resto è concentrato nel dare una buona risposta.
 
“Dov’è?”
“Chi, miss Rainsworth…?”
Smettila. Sai benissimo chi. “Dov’è? Come sta, almeno…?”

Sento il mio cuore battere così forte che spero solo di aver pronunciato bene le mie parole, il suono dei miei battiti sovrasta ogni cosa.
 
“B-bene, sta… Bene”
 
Bene? Significa che sono l’unica a pensarci notte e giorno, e a illudermi che stupidi pruni troppo rossi e sciocche cameriere troppo allegre possano distrarmi? Sta bene, Reim-san? Devo aver chiuso gli occhi, e probabilmente ho anche tremato, perché ho sentito la sua giacca sulle mie spalle. Non ho mosso un dito per aggiustarmela addosso, ho solo sperato che continuasse a parlarmi. “Dov’è? Ti avevo implorato di lasciarmelo vedere, e avevi detto che avresti fatto il possibile per… Credevo fossi sincero. Da quando sei diventato come tutti gli altri, Reim-san…?”
 
Ottima mossa, ojou-sama. Reim-sensibile-Lunettes è un morbidone che soffre di sensi di colpa
Spero di non aver sorriso troppo vistosamente. Non so dove ho trovato il coraggio per guardarlo negli occhi, non so come ho potuto immaginare di averti al mio fianco, e imitare la posa perfetta di una principessa disperata. Hai sempre detto che non sono una brava attrice. Beh, Reim-san mi ha fatto credere il contrario, proprio in questo momento, mentre i suoi occhi si sono spalancati e le sue mani strette a pugno.
 
“È… In missione, miss Rainsworth. Non… Con Oz-sama e Raven. Anche Alice-san è con loro, e… Non torneranno prima di qualche settimana. Un Chain, molto pericol—No, non molto a dire il vero, è… Apparso al confine con il vecchio centro di Lebleux, dopo la ferrovia, e…”
 
Oh, Reim-san mente, ojou-sama. Sentite come gli trema la voce mentre parla? Emily lo riconosce, lei è la sua fidanzata, sa bene quando mente!
Come dare torto a Emily, in fondo. “Reim-san, so che probabilmente hai inventato tutto. In questo momento” Decido di essere temeraria, e mentre stai per interrompermi, scuoto la testa. “La tua voce, trema. Stai mentendo. Sei l’unica persona che conosco, qui, che può darmi sue notizie…”
 
“Ma qui avete tutto ciò che vi occorre, miss. Ho anche chiesto che vi fossero portati i migliori romanzi della biblioteca direttamente in camera, e non… Vi prego, cercate di ragionare, non dipende da me…”
 
I migliori libri in camera…? Mi stai dicendo che il romanzo che ho iniziato non ha un finale degno di un buon romanzo…? Questo non migliora il mio umore, di certo.
 
“Non mi importano i romanzi, e nemmeno tutto ciò che mi occorre, Reim-san. L’unica cosa che voglio non è con me, dove dovrebbe essere. Due giorni, Reim-san” Vedo una luce diversa nei suoi occhi. Terrore, o forse solo le poche nuvole che hanno scoperto la luna. “Se non avrò notizie di Xerxes entro due giorni… Potrei raccontare al Duca Barma quanto odiavi portare lettere a villa Rainsworth, quando eravamo bambini…” Chissà da dove mi è venuta, questa minaccia senza il minimo senso… Se non altro, per me, visto che di fronte ai miei occhi, sembra essere caduto un pezzo della sua armatura di finto coraggio.
 
“Al più presto” e “vi accompagno” sono le uniche cose chiare che sento nel balbettio che segue in risposta, e forse il sorriso sulle mie labbra è appena più pieno, e più vero. Mi sento più leggera, tanto da dimenticare il mio bagno - ma non i petali di rosa - e la crème anglaise e lamponi che probabilmente non arriverà mai, e decido di seguirlo mentre mi riporta al piano di sopra. Sembra un calore reale, quello che mi scalda il cuore in un attimo quando, con la sua giacca addosso, riesco a sentire il tuo profumo su quella stoffa. Fingerò di averne ancora bisogno, e non gliela restituirò quando sarà sulla porta. Voglio portarti con me, voglio sognarti ancora…
 
Quando mi saluta, con quell’inchino composto che mi ha sempre fatto ridere da bambina, provo compassione per lui. Sono tentata di sorridergli, ma non posso lasciare che pensi che ho cambiato idea…
 
“Buonanotte, miss Rainsworth…”
“… Due giorni, Reim-san”
 
Richiudo la porta poco alla volta, vedendolo scomparire dietro il primo snodo del lungo corridoio del primo piano.
 
Che colpo basso, ojou-sama
Sorrido ancora, tra me, sperando di poter cantare vittoria al più presto.




   
 
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