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Autore: Gemini_no_Aki    04/08/2014    1 recensioni
La stanza era silenziosa, vuota, illuminata dall’insegna di un hotel di fronte alla sua finestra.
Chiuse gli occhi, con le mani posate sulle gambe, inspirò, poi espirò lentamente tirando indietro la testa come se stesse buttando fuori il fumo, il pacchetto di sigarette era accartocciato sul tavolo, vuoto, accanto ad un bicchiere ed una bottiglia, vuoti anch’essi.
Portò la testa avanti, premette le mani sugli occhi e li aprì, aveva bisogno di qualcosa.

[La raccolta comprende storie basate sulla serie della BBC e diverse AU, alcuni capitoli potrebbero essere collegati, altri a sè stante e senza un ordine cronologico. In ogni caso saranno tutte MorMor.]
Genere: Generale, Slice of life | Stato: in corso
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Jim, Moriarty, Sebastian, Moran, Sebastian, Moran
Note: AU, Raccolta | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'King and Tiger'
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La prima settimana era passata bene.
Nel momento in cui si era trovato Jim davanti, dopo 3 anni, non l’aveva preso a pugni come aveva immaginato di fare.
A dire il vero Sebastian non ricorda molto di quell’esatto momento, non l’ha comunque preso a pugni.
Per la maggior parte della settimana aveva quasi fatto finta di non vederlo, non sapeva nemmeno lui se volontariamente o meno.
Jim era come un fantasma, un fantasma che si stendeva a letto di sera accanto a lui sfiorandogli la mano e baciandogli le labbra con una dolcezza che il vecchio Jim non aveva mai avuto.
Sì, doveva per forza essere un fantasma.
Dopotutto aveva passato mesi con la convinzione che Jim potesse essere vivo, che si sarebbe presentato alla porta, magari chiedendogli anche scusa.
Ma Jim, il Jim che aveva sempre conosciuto, il Jim che aveva amato, il Jim che ancora amava, non avrebbe mai chiesto scusa.
Era un’allucinazione, o un sogno davvero molto lungo.

La seconda settimana fu più difficile.
Quel fantasma, quell’allucinazione, quel sogno, qualunque cosa fosse sembrava avere una consistenza.
Consistenza che colpì il cecchino, e nemmeno troppo gentilmente, no, più una cosa da Jim.
“Sei impazzito?!”
Sbottò afferrandogli le mani e portandole sotto il getto d’acqua fredda del lavandino.
Sebastian deglutì un paio di volte cacciando indietro quella punta di dolore che l’acqua a contatto con la pelle tagliata provocava, ma non si lamentò.
Perché mai un fantasma si preoccupa così tanto?
Fissò l’acqua rossa nel lavabo finchè Jim non chiuse l’acqua e gli avvolse le mani in un asciugamano prima di spingerlo sulla sedia.
Non riusciva davvero a capire il comportamento di Sebastian, prima si comportava come se non fosse mai tornato, poi finiva col ferirsi, volontariamente, giocando con un coltello.
Lo fasciò gentilmente baciandogli poi il palmo di entrambe le mani; non erano ferite profonde da aver bisogno di punti, fortunatamente, non era mai stato bravo con gli aghi, ma per una settimana almeno non avrebbe potuto stringere qualcosa o impugnare facilmente una pistola.
Lo guardò, accucciato davanti a lui, sospirando tristemente, quella situazione non poteva andare avanti così.

La terza settimana fu anche peggio, un disastro.
Jim aveva passato l’intera giornata fuori casa, Sebastian non se ne era nemmeno accorto, non se ne accorgeva mai, ignorava quasi la sua presenza.
Sospirò, entrando, e si diresse in cucina a preparare qualcosa per la cena, un tempo, tre anni prima, era il contrario, Sebastian gli preparava tutto, ogni cosa che volesse, a volte anche all’ultimo momento.
Jim non sapeva più cosa fare per attirare la sua attenzione, per farlo reagire a tutto quello.
“Sono stato io a fare questo.”
Quella consapevolezza lo colpiva ogni volta che posava lo sguardo sul biondo.
Mai prima l’aveva visto così, così fragile, non ci aveva pensato quando aveva messo a punto il suo piano, non aveva pensato alle conseguenze quando aveva finto di spararsi in testa ed era sparito per tre anni.
Era andato spesso a trovarlo, di notte, mentre Sebastian dormiva, controllava da lontano che stesse bene, come aveva fatto a non notarlo?
Certo era stato lontano da Londra per tre mesi prima di presentarsi davanti alla loro porta, ma aveva un lavora da fare e in tre mesi non poteva succedere il finimondo.
E invece era successo.
Si svegliava spesso durante la notte, per le cose più stupide a volte, per bere, o andare in bagno o per una luce di troppo filtrata tra le tende.
Quella notte, voltandosi dal lato occupato dal compagno, lo trovò vuoto.
Si mise a sedere di scatto guardandosi intorno per poi notare la luce sotto la porta del bagno.
Si alzò piano raddrizzandosi la maglia di Sebastian che aveva adottato come pigiama e che gli stava davvero troppo grande.
“Sebastian? Tutto bene?”
Domandò con un tono quasi urgente che l’altro avrebbe potuto scambiare non per preoccupazione quanto, piuttosto, di dover entrare, bussò un paio di volte prima di aprire leggermente la porta.
Sebastian, il suo Sebby, era rannicchiato contro la vasca con la testa tra le gambe e le braccia a coprirla, come per proteggersi da qualcosa.
Jim rimase un attimo immobile davanti alla porta prima di avvicinarsi e chinarsi davanti a lui.
“Sebby...”
Lo chiamò, con voce più strozzata di quanto non volesse, no, non andava bene, almeno lui doveva essere forte, per una volta doveva essere lui quello forte.
E doveva assumersi le sue responsabilità.
Gli spostò delicatamente le braccia prima di prendergli il viso e alzarlo verso di lui asciugandogli le lacrime.
“Seb... Sebby, Sebby caro, guardami.”
Mormorò piano cercando di attirare l’attenzione del cecchino, lui mosse le mani mettendole sulle braccia di Jim e stringendole, come se cercasse di convincersi che quello che vedeva era reale, ancora più reale di quanto non sembrasse.
“Sono qui. Sono tornato Sebby, sono a casa.”
Continuò con lo stesso tono che si userebbe con un bambino spaventato dal temporale.
Sebastian spostò le mani portandole dietro al suo collo attirandolo contro di sé e nascondendo il volto nell’incavo del collo, piangendo.
“Shhh, non fare così Tigre... Sono qui.”
Sorrise accarezzandogli piano i capelli, che si arricciavano leggermente tra le sue dita, e il collo, sapeva che gli piaceva, sapeva che, solitamente, lo aiutava a rilassarsi, Jim giurava di averlo quasi sentito fare un verso incredibilmente simile alle fusa di un gatto, cosa che Sebastian aveva istantaneamente negato.
“Non vado più via, non ti lascio più da solo Tigre. Lo giuro.”
Si alzò, tirandoselo dietro perché, in quel momento, aggrappato in quel modo a lui, lo avrebbe seguito ovunque, e tornò in camera stendendolo a letto e mettendosi accanto a lui.
Sebastian lo guardò con un’espressione che Jim di rado gli aveva visto fare, non appena il Consulting Criminal si mise sotto le coperte lui si avvicinò avvolgendolo con le braccia e tirandolo contro di sé appoggiando la testa contro il suo petto.
Riusciva a sentire il battito regolare e tranquillo del suo cuore, così vicino, così vivo.
“J... Jim...”
Le lacrime ripresero a scendere, o forse non avevano mai smesso, e si trasformarono in singhiozzi mentre la presa si faceva più solida, quasi disperata, e il cecchino continuava a ripetere il suo nome, come a convincersi che era tutto vero.
Convincersi che finalmente il suo Jim era tornato, sul serio, che non era più solo.

La quarta settimana era ormai la normalità.
Sebastian aprì il mobile della cucina e rimase interdetto a fissarlo prima di voltarsi verso l’uomo in salotto.
“Jim, ho comprato ieri il pane, perché è già finito?”
“Avevo fame.”
Sebastian chiuse gli occhi ed espirò lentamente.
“Era il pano per minimo quattro giorni e tu l’hai finito?”
Il “Mhmh” che ricevette di risposta lo fece sospirare, arreso.
“Niente pane stasera, dunque.”
Concluse.
“Vai a comprarlo, Sebby.”
“Sono le 9, la panetteria è chiusa.”
“C’è quel minimarket aperto 24/24 h.”
“Non mi piace quel pane, è vecchio, e fuori c’è freddo.”
“Sebby~.”
Alla fine vinceva sempre Jim e lui si infilava il giubbotto e andava a comprare il pane, e magari anche qualche dolce, sapeva che a Jim piacevano, e a lui piaceva vederlo felice.
Gli bastava.
La notte però era ancora difficile, Sebastian aveva finito con l’odiare la notte, il momento di andare a dormire, le luci che si spengono.
Si svegliava spesso da incubi assurdi e terribili, più spesso di quando era tornato dalla guerra, si svegliava in lacrime e tremante, indifeso come odiava farsi vedere, anche da Jim.
Perché lui era quello forte, lui era quello che doveva proteggere il suo capo, il suo compagno, non era il contrario, non doveva essere il contrario.
E tutte le notti Jim era ancora lì, a stringerlo tra le braccia, a confortarlo, a dirgli che andava tutto bene, che lui era lì e lì sarebbe rimasto.
E Sebastian ci credeva, come ci aveva creduto la prima volta.



Angolino dell'autrice: Al diavolo l'idea di fare qualcosa in ordine cronologico, questo capitolo era lì che premeva per essere scritto e l'ho accontentato.
Seb indifeso è qualcosa di assolutamente dolce (e anche OOC, ma fa lo stesso, vero?), adoro vederlo così, adoro metterlo nei guai e farlo soffrire...  sono una cattiva persona per questo?

Bye Bye~
Aki
   
 
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