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Autore: Lelaiah    05/08/2014    2 recensioni
Da diversi anni il genere umano è entrato in contatto con il mondo soprannaturale e la convivenza, nonostante alcuni alti e bassi, sembra essere tranquilla. L'arrivo del branco MacGregor a New York ha creato un grande scompiglio tra gli altri gruppi di licantropi e stuzzicato la curiosità della stampa.
Tutto quello che vuole Evan, figlio dell'Alfa del clan appena arrivato da oltreoceano, è poter vivere la propria vita in pace. Possibilmente evitando la maggior parte dei contatti col padre e ignorando le richieste egoiste della bella ed algida Crystal, sua moglie.
Nella stessa città vive anche Amanda, giovane assistente che condivide l'appartamento con la sorella Frances e il fidanzato di lei, Andrew. La loro vita scorre tranquilla, lontana da qualsiasi coinvolgimento col soprannaturale... almeno fino a quando tutti loro non si ritroveranno nel bel mezzo di un attacco perpetuato da alcuni licantropi di un clan locale.
L'inaspettata trasformazione di Drew porterà questi due mondi ad entrare in collisione. Far collimare stili di vita dissimili sembrerà ancora più difficile quando la città verrà sconvolta da una serie di omicidi, questa volta ai danni della comunità soprannaturale.
Umani e licantropi riusciranno a collaborare? E magari anche ad innamorarsi?
Buona lettura!
Genere: Azione, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Cap. 16 Un branco atipico
Questa volta l'aggiornamento è arrivato prima del previsto... scusate ancora per i tempi biblici d'aggiornamento :(
Comunque... in questo capitolo troverete piccole rivelazioni che si ricollegano ad indizi sparsi nei precedenti episodi. Abbiamo un possibile sviluppo per il misterioso omicidio ed un salvataggio da programmare. E in fretta, anche!
Non vi dico altro, buona lettura :)





Cap. 16 Un branco atipico


  Si riunirono tutti all’interno dell’appartamento di Amanda, dato che era il più vicino e la ragazza aveva già invitato gli altri ad entrare prima che Evan potesse protestare.
I presenti si raggrupparono al centro della zona giorno, guardandosi l’un l’altro con espressioni totalmente discordanti.
Van fu l’ultimo ad entrare. Chiuse la porta con estrema lentezza, cercando le parole per confrontarsi con i due nuovi acquisti del branco. Purtroppo, però, dentro di sé riusciva a trovare solo improperi, la maggior parte nella sua lingua madre.
David gli si avvicinò, avendo percepito il tumulto che aveva dentro. Si scambiarono una rapida occhiata e l’inglese sgranò leggermente gli occhi, stupito. –Evan…- iniziò, ma l’amico lo zittì con un gesto deciso della mano e lo superò.
Guardò prima Andrew, le cui ferite testimoniavano uno scontro con Stryker, e poi Eric, che probabilmente aveva osato ribellarsi ad Aleksandr.
-Ci troviamo in un momento di grandi cambiamenti, abbiamo un branco intero che vuole farci fuori per non si sa bene quale ragione e voi pensate bene di andare a fare a pugni… ma cosa diavolo vi dice il cervello?! Damnù air*!!- esplose lo scozzese.
  I due giovani abbassarono immediatamente lo sguardo, rifuggendo la rabbia del loro capobranco. Erica sapeva bene a cosa sarebbe andato in contro tenendo il capo sollevato, mentre Drew, pur non essendo a conoscenza di tutte le dinamiche del branco, l’aveva fatto per evitare di provocare ulteriormente Evan.
Nonostante tutto avevano un po’ di sale in zucca.
La più sconvolta da quell’inaspettato scoppio d’ira fu Amanda, che fissò senza parole tutti i presenti. Sin da quando lo conosceva, aveva capito una cosa di quell’uomo: non mostrava mai le proprie emozioni.
Non sapeva perché e non aveva voluto impicciarsi, fatto sta che a malapena l’aveva visto sorridere genuinamente. Ed ora stava imprecando in gaelico e maledicendo la stupidità dei due giovani lupi.
“Meglio non far arrabbiare uno scozzese…”, decise, tenendosi in disparte. “Anzi, meglio non far arrabbiare Evan e basta.”, si corresse.
La collera del diretto interessato fiammeggiò per alcuni minuti, facendo ardere la sua aura come un fuoco alimentato dalla benzina. Si avvolgeva in spirali tutt’attorno a lui, avviluppandosi al suo corpo e materializzando forme diverse ad ogni guizzo.
Dave non l’aveva più visto in quello stato da quando Dearan gli aveva annunciato l’avvento delle sue nozze con Crystal. “Un scoppio degno del vecchio Evan.”, considerò, impressionato. Il suo ringhio aveva riverberato lungo la sua colonna vertebrale come se fosse stato un diapason e non una persona in carne ed ossa. Quella manifestazione di potere eliminava qualsiasi dubbio circa il nuovo ruolo assunto dall’amico: era un Alfa, in tutto e per tutto.
  Alfa che, in quel momento, stava percorrendo il salone a grandi passi. La bestia dentro di lui si era risvegliata con lo stesso fragore di un tuono ed ora premeva per essere lasciata libera.
Digrignò i denti, maledicendo ancora una volta i giovani lupi e poi afferrò con entrambe le mani il davanzale di una finestra, puntando lo sguardo sul bancale di marmo.
Seguì le venature della pietra, le variazioni di colore fino a quando non avvertì il lupo chetarsi e la calma tornare a prendere possesso del suo corpo. Aveva frantumato il proprio guscio emotivo e non sapeva se sarebbe riuscito a ricostruirlo.
La cosa in quel momento non lo preoccupava così tanto, ma dopo l’avrebbe fatto.
Prese un respiro profondo e poi si voltò a fronteggiare il resto del branco. –Andrew, sei andato al Wolf’s Pond per sfidare Stryker?- chiese con voce apparentemente piatta.
-Sì.- fu costretto ad ammettere l’americano.
Van digrignò i denti, sentendo la rabbia rinfocolarsi. –A quanto vedo sei riuscito a mettere in pratica quello che ti ho detto… ma questo non toglie il fatto che il tuo gesto sia stato veramente stupido ed irresponsabile. Per quello che hai fatto dovrei romperti l’altro braccio e mandarti in isolamento.- disse, tenendo lo sguardo fisso sulla nuca del ragazzo.
A quelle parole Andrew deglutì, iniziando a sudare freddo. Non sentiva più nemmeno il dolore causato dalle ferite, c’era solo la paura di vedersi attaccare. –Se… se credi che sia la cosa giusta da fare…- riuscì a dire. Non sapeva come ci si comportava in quelle occasioni e aveva detto la cosa più sensata che gli era venuta in mente.
In più, considerate le sue condizioni non propriamente ottimali, non avrebbe potuto opporsi nemmeno volendo. L’aver dato ascolto alle proprie pulsioni si stava rivelando una cosa veramente idiota.
-No! Sei pazzo?- Amanda si mise in mezzo, senza riuscire a trattenersi dal farlo. Evan voltò di scatto la testa e la fulminò coi suoi occhi, il cui colore in quel momento era molto simile all’acciaio. –Non puoi spezzargli l’altro braccio…- aggiunse, con meno convinzione. Un brivido freddo la scosse, obbligandola ad avvolgersi il corpo con le braccia. Andrew la ringraziò mentalmente, grato per il suo costante supporto.
-Non lo farò. Non seguo le regole di mio padre e non ritengo necessario versare altro sangue.- le disse, tornando poi a guardare il diretto interessato. –Nonostante io ora sia il tuo Alfa, non ti punirò.- concluse, addolcendo impercettibilmente il tono della voce.
A quelle parole Drew sollevò la testa, smettendo di fissare Amanda. –Come fai a sapere che non faccio più parte del branco di tuo padre?- chiese, stupito.
-Non lo senti anche tu?- replicò l’altro. –E’ come essere legati a doppio filo.
-Non… non volevo causare tutti questi problemi. Io…- iniziò. Il senso di colpa stava iniziando a farsi sentire, prepotentemente.
David si fece avanti. –Stai avendo problemi a controllarti con l’approssimarsi della luna piena. È normale, ma non devi assecondare la bestia, devi trovare un equilibrio tra le due metà della tua persona. A meno che tu non voglia fare una carneficina… o farti ammazzare.- disse l’inglese.
Pur se con un profondo senso di vergogna, Andrew dovette accettare le sue parole. –Potrei fare del male a qualcuno?- chiese.
-In particolare a te stesso. Ma sia io che David ti sorveglieremo, domani notte.- rispose Evan.
Senza dire una parola, Drew si limitò ad annuire e a lasciarsi cadere lentamente a terra, indebolito dalla fuoriuscita di sangue. Amanda gli si avvicinò, chiedendogli come si sentisse.
Vedendolo indebolito e rendendosi conto che quello era il suo primo intervento in qualità di Beta, David si sfilò la maglia che indossava e la usò per tamponare la ferita del nuovo membro del branco.
Nel mentre Van stava rimettendo lentamente sotto controllo la propria bestia, ma si stava anche preparando per affrontare l’altro nuovo affiliato, sul punto di esplodere.
-Io non volevo far parte di questo branco!- sbottò infatti Eric. Dopo aver assistito allo sfoggio di potere dell’Alfa, aveva deciso comunque di opporsi a tutta quella situazione. –Non capisco perché mio zio mi abbia allontanato…- aggiunse, arrivando a mettere il broncio.
-Perché devi imparare a rispettare gli altri, il loro ruolo e le loro decisioni.- gli fece notare Evan. Incrociò le braccia davanti al petto e gli dedicò una lunga occhiata, prima di aggiungere:–A quanto pare non sai stare al tuo posto.
Il ragazzo s’indispose ancora di più. –Conosco il mio posto!- abbaiò.
Van scattò a sua volta, facendo schioccare la mascella e mostrando le zanne con fare minaccioso. –A quanto pare no.- ringhiò con voce metallica.
I due si fronteggiarono in silenzio, occhi negli occhi. David poteva sentire il battito sordo del cuore di entrambi e la frustrazione del giovane americano. Mentre Evan… Evan era un miscuglio di emozioni non ben definite. Un gemito di Andrew lo costrinse a distogliere lo sguardo e ad aumentare la pressione sulla spalla, la quale stava iniziando a perdere molto meno sangue.
Passarono diversi minuti e, con suo grande disappunto, Eric fu costretto a dichiararsi sconfitto. –Cosa vuoi che faccia…?- domandò, remissivo.
-Aiuta Amanda a pulire e poi vai a sistemare le tue cose nel nostro appartamento. Si trova dall’altra parte del pianerottolo.- ordinò, perentorio.
Sottomesso, l’europeo fece come gli era stato ordinato e si avvicinò a Mandy, pronto a dare una mano.
La ragazza, ancora disorientata, guardò prima Drew e poi Dave. –Vi serve una mano..?- si premurò di chiedere.
-No, ce la caveremo.- le sorrise gentilmente l’inglese, togliendo il tampone ed osservando la ferita con aria soddisfatta. Lei allora fece un cenno col capo e si rialzò lentamente in piedi. Le fasciature che aveva attorno al busto e alla gamba le davano parecchio fastidio ma, in confronto alle condizioni di Andrew, non erano nulla di grave.
Si diresse verso il bagno ed andò a recuperare secchio e straccio, assieme ad un paio di guanti.

  Quando tornò nella zona principale della casa, ritrovò Andrew premuto contro la parte bassa del divano. Aveva la fronte madida di sudore ed un panno stretto saldamente tra i denti. Solo in quel momento si rese conto che, dopo essersi ritrasformato, nessuno gli aveva offerto dei vestiti ed aveva solamente un cuscino a coprire l’indispensabile. Il sangue si era praticamente fermato e la maglia di David giaceva abbandonata sul pavimento, completamente chiazzata di rosso.
Evan si era tolto la giacca e le scarpe ed era inginocchiato davanti a lui. –Dovrò romperti le ossa del braccio perché si stanno rinsaldando male e poi sistemarti la lussazione. Sarà doloroso.- lo avvertì, fissandolo dritto negli occhi.
A quelle parole la ragazza impallidì, dimenticandosi del sangue per terra e delle fitte che ogni tanto le arrivavano dalla gamba. –C-cosa…?- gracchiò.
David si voltò a guardarla. –Dobbiamo sistemargli il braccio, se no non guarirà nel modo corretto.- le spiegò, cercando di non suonare allarmante. –Il sangue si sta già fermando e la ferita si rimarginerà da sola.
Lei fece per protestare, ma si trattenne e si morse il labbro inferiore. Prese un respiro profondo ed annuì, dando segno d’aver capito. Drew le dedicò uno sguardo spaventato, prima di voltarsi e focalizzarsi sulle parole di Evan.
-Se vuoi puoi anche non guardare…- le suggerì il nuovo arrivato. Mandy scosse la testa, sistemando l’occorrente per pulire sul tavolo. Si appoggiò alla superficie liscia del mobile ed attese.
Quando Van ruppe l’ulna, Drew soffocò l’urlo che voleva uscirgli di bocca solo grazie al panno. Le successive due manovre gli ruppero anche il radio ed il polso e ad ogni sonoro crack il ragazzo affondò i denti nella stoffa, sperando che finisse presto.
-Ok, questa è fatta. Ora la lussazione.- annunciò il giovane MacGregor. Attese che il suo paziente prendesse fiato e poi gli appoggiò il piede vicino all’articolazione, afferrando saldamente il braccio all’altezza del gomito e del polso. –Sarà doloroso, ma rapido.- promise, prima di tirare e far rientrare la spalla.
-E’ fatta!- lo rassicurò David, dandogli una pacca leggera sulla spalla sana. Andrew lasciò la presa sul panno e si concesse un sorriso, sollevato.
Anche Amanda sorrise, grata che fosse andato tutto per il meglio.
Per la seconda volta.
“Dovrò abituarmi a vedere scene del genere.”, si disse. Ora che i lupi si erano trasferiti nel suo stesso palazzo li avrebbe avuti in giro per casa molto spesso. Sperava solo di riuscire a conciliare tutto quanto: lavoro, problemi sovrannaturali e vita di tutti i giorni.
-E’ stato bravo, considerato che è un licantropo da poco tempo.- il commento di Eric la distolse dai suoi pensieri. Vedendo la sua espressione confusa, il ragazzo si affrettò ad allungare la mano e dire:-Eric Camden, piacere.
-Oh… Amanda Miller, piacere mio.- la strinse, sorridente. –Vuoi… vuoi che ti disinfetti le ferite?- chiese dopo un po’, indicando con circospezione il taglio che aveva sul sopracciglio destro.
-Come? Oh, no, non c’è bisogno… le porterò con orgoglio.- le rispose, sfoggiando un sorriso un po’ strafottente. Lei mormorò qualcosa, per poi prendere il secchio e metterlo sotto il rubinetto del lavello. –Cosa devo fare…?- le chiese dopo un po’.
Mandy irrigidì le spalle senza volerlo. “Ecco la mia proverbiale timidezza verso gli sconosciuti che fa capolino quando non deve.”, pensò, infastidita. –Ehm… nulla… posso farcela.- rispose, tenendo d’occhio il livello dell’acqua ed aggiungendo il detersivo. A quanto pareva solo Evan era riuscito a tirarla fuori dal guscio in tempi record. Ovviamente farla arrabbiare era stato sicuramente d’aiuto.
-Sì, ma il capitano mi ha detto di aiutare.- insistette il ragazzo.
Vedendosi sotto pressione, Amanda annuì qualche volta e gli allungò uno straccio, dopo averlo strizzato energicamente nel lavello. –Inizia dalla porta… io pulisco in sala.- disse, allungandogli anche lo spazzolone.
Eric fece un cenno d’assenso ed iniziò a pulire, nonostante non fosse esattamente nelle sue corde. L’esser stato strigliato a dovere dal suo nuovo Alfa era, però, un grosso incentivo a non combinare altri casini. Almeno per un po’ di tempo.
  Lentamente e con circospezione, Mandy si avvicinò al divano. L’aria, lì attorno, era ancora elettrica a causa della presenza di Evan. Quando si avvicinò ai tre lupi poté sentire i peli delle braccia rizzarsi e un brivido scorrerle lungo la spina dorsale.
Si fece educatamente spazio e lanciò un’occhiata ad Andrew, ancora pesantemente appoggiato al divano. –Drew, vuoi salire a riposarti?- gli chiese, solerte.
Il ragazzo aprì un occhio e poi, a fatica, annuì. Doveva essere sicuramente spossato dall’intervento di Evan, il quale non sembrava aver avuto la mano leggera.
-L’appartamento è di sopra, vero?- s’informò David, già pronto a sollevarlo. Amanda annuì, affrettandosi a recuperare la copia delle sue chiavi ed allungandogliela. –Grazie. Forza Drew, andiamo.- lo afferrò saldamente per i fianchi e poi lo tirò in piedi.
-Posso camminare…- tentò di protestare il giovane, arrossendo visibilmente. La bestia dentro di lui dissentì a gran voce, ringhiando il proprio disappunto.
Al che Evan emise un ringhio talmente basso da esser quasi inudibile, ma abbastanza potente da rimetter al suo posto il lupo. -Vedi se riesci a dormire: la prossima notte non sarà una passeggiata.- gli consigliò il giovane MacGregor. –Ah, Dave, aiutalo a pulire la ferita alla spalla, così non sporcherà mezza casa cercando di farlo da solo.
I due annuirono e si avviarono lentamente, superando Eric nei pressi della cucina. Il poliziotto li guardò uscire, ma non disse nulla.
Comprendeva appieno quello che stava passando Andrew: anche lui aveva faticato parecchio prima di arrivare ad avere un buon controllo sulla propria bestia.
Ed era nato licantropo. A volte essere una creatura soprannaturale faceva proprio schifo.
Mentre rimaneva ad ascoltare i due lupi salire le scale, Evan lo fece riemergere bruscamente dai suoi pensieri. –Hai qualcosa di rotto…?- chiese. La sua voce era ancora ruvida per la rabbia, ma non era riuscito a mascherare la propria preoccupazione.
-No, solo l’orgoglio.- rispose l’altro, scuotendo lentamente il capo.
-Quello prenderà altre batoste, non ti preoccupare.- assicurò, suonando abbastanza pungente. Eric rispose con una smorfia, poi tornò al proprio lavoro.
Amanda, invece, era impegnata a rimuovere la fodera del divano, dato che buona parte si era sporcata di sangue. Avrebbe tanto voluto protestare, ma cos’era un mobile in confronto alla vita di Andrew?
Gli oggetti si possono ricomprare, le persone non si possono rimpiazzare così facilmente.
Con un sospiro terminò di sfoderare il divano, raccolse tutto ciò che si era sporcato con un’unica mossa e poi si diresse rapidamente verso il bagno.
Si chinò davanti alla lavatrice ed iniziò a stipare i panni al suo interno, cercando di ignorare il forte odore di sangue. Mentre caricava il cestello, non poté fare a meno di reprimere un brivido. Si fermò qualche istante, giusto il tempo per rendersi conto che aveva iniziato a piangere.
-Ma cosa…?- stupita, si deterse le lacrime dal viso. A quanto pareva, dopo tutte le stranezze delle ultime settimane, i suoi nervi avevano ceduto, dando libero sfogo al suo stress sotto forma di pianto.
Respirò lentamente, accettando la reazione del proprio corpo e cercando di non farsi sentire da Eric o da Evan. Chissà cos’avrebbero pensato di lei se l’avessero vista piangere.
Si concesse qualche altro istante di autocommiserazione e poi terminò di caricare la lavatrice, avviando subito dopo il programma di lavaggio.
Quando si rialzò, pronta a tornare in sala, si ritrovò la strada sbarrata da Eric. Per poco non cacciò uno strillo, rivelandosi più isterica di quanto non fosse.
-Ho finito.- annunciò il ragazzo, ancora un po’ scocciato. Poi, avvertendo un sentore salato nell’aria, aggiunse:-Tutto ok?
-Sì… ho solo avuto un cedimento momentaneo.- sdrammatizzò lei. L’altro fece per aggiungere qualcosa, ma lei non glielo permise, superandolo ed uscendo dalla stanza.
Eric si grattò una guancia, per nulla convinto. Il suo istinto animale gli diceva che c’era qualcosa che non andava in quella ragazza, ma non voleva risultare molesto già dal primo giorno per cui si sarebbe trattenuto.
Dato che il grande capo era sceso di sotto per recuperare gli altri scatoloni del trasloco, ne approfittò per darsi un’occhiata allo specchio e controllare che aspetto avesse.
“Cavoli, mamma farebbe fatica a riconoscermi.”, considerò, facendo una smorfia e tastando con attenzione lo zigomo sinistro, visibilmente gonfio. A parte il viso, c’erano molte altre parti che gli dolevano, ma suo zio non c’era andato giù pesante (non più del solito, almeno) e non aveva nessuna emorragia interna o ferite gravi.
Appoggiò le mani ai lati del lavabo e restò a fissare la propria immagine riflessa per qualche istante. Poi si guardò intorno ed ispezionò coi sensi l’appartamento in cui si trovava.
Non sapeva esattamente chi fosse Amanda, ma una cosa era certa: era coinvolta fino al collo in tutta quell’assurda faccenda.
Inoltre era quasi certo che mancasse un membro del branco, ossia la persona appartenente al gruppo dei Blacks che aveva obbligato Evan a trasferirsi nei territori di Aleksandr.
“Benvenuto nella tua nuova e stramba famiglia, Eric.”, si disse.


***

  Aveva appena finito il turno in ufficio e stava rientrando a casa, nonostante non desiderasse altro che scappare lontano, da tutto e da tutti.
Da quando suo fratello era morto si era sentito devastato e a nulla erano valsi i tentativi di sua moglie per aiutarlo. Si era semplicemente chiuso in se stesso, avviluppandosi nel dolore.
Dopo il dolore, però, la notizia terribile: era stato accusato dell’omicidio di William e il suo Alfa aveva richiesto un’ammenda di sangue.
Ancora non si capacitava della cosa e il suo cervello si rifiutava di elaborare il fatto che, da lì a poche ore, avrebbe dovuto scontrarsi col Campione per espiare la propria colpa.
  Colpa di cui non si era macchiato.
Non avrebbe mai osato torcere un solo pelo della gorgiera di William, figurarsi ucciderlo a sangue freddo. E poi, come avrebbe potuto mettere in atto l’omicidio se, al momento del fatto, si trovava dall’altra parte del mondo?
Nonostante l’assurdità delle circostanze, Ethon non aveva voluto sentire ragioni e l’aveva condannato fino a prova contraria.
Ma considerata la sua spiccata inabilità al combattimento (era il contabile del branco per un motivo), lo scontro che doveva decidere le sue sorti di sarebbe risolto nella sua morte. Certa, definitiva, senza possibilità d’appello.
“Io non so chi sia il bastardo che ti ha ucciso, Will, ma cercherò di scoprirlo.”, promise.
Senza rendersene conto era già arrivato nell’atrio dell’edificio. Estrasse il badge e lo passò davanti allo scanner, rendendo nota la fine del suo turno.
Determinato a non soccombere, ma con la morte nel cuore al solo pensiero di non poter più vedere il fratello, Conrad raggiunse la propria macchina. Vi salì con gesti meccanici e poi partì alla volta di casa, ossia del quartiere che condivideva col resto del branco.
Una volta arrivato trovò sua moglie ad attenderlo sulla soglia di casa, gli occhi lucidi e il viso sofferente. Lei era l’unica ad avergli creduto, l’unica a schierarsi dalla sua parte.
  Nonostante fosse un membro stimato all’interno del gruppo, nessuno dei suoi amici aveva fatto lo stesso. Avevano tutti detto che non si poteva negare la verità e la verità era che lui aveva ucciso William.
-Conrad, non puoi sottostare a questa decisione. Andiamocene!- Rachel si aggrappò con forza alle sue spalle, implorandolo di trovare un’altra soluzione. Sapevano tutti e due che le sue chances erano molto vicine allo zero.
-Non posso fuggire. Devo dimostrare la mia innocenza.- replicò lui, la voce resa roca dall’ansia e dal dolore. Al di là della morte, ciò che lo faceva stare male era sentirsi accusare di aver potuto meditare un atto tanto atroce come il fratricidio.
Sua moglie scosse ostinatamente la testa. –Non devi dimostrare niente a nessuno!- ribattè, le lacrime ormai pronte a sgorgare.
Conrad la guardò con amore, grato di avere il suo sostegno in quell’ora buia. –Ti amo, Rach.- sussurrò, chinandosi per darle un bacio. Forse l’ultimo.
Lei tentò di trattenerlo, ma lui la staccò gentilmente da sé e si avviò lungo la strada, verso il recinto sacro dove era stato allestito il Ring.
Avrebbe combattuto e avrebbe cercato di sopravvivere per far sì che il vero assassino di Will fosse consegnato alla giustizia del branco.
“Non puoi farcela…”, gli disse una voce malevola dentro di lui. Probabilmente era vero, ma sperare in una riduzione della pena era inutile.
Nonostante al lupo imputato venisse data la possibilità dello scontro, l’Ammenda per un omicidio era la morte dell’uccisore stesso.
  A meno di un miracolo.
Conrad aveva smesso da tempo di credere nei miracoli, ma quella sera si ritrovò a pregare con tutte le sue forze, nella vana speranza di ottenere un aiuto dall’alto.
L’ultima cosa che vide, prima di entrare nel recinto, fu lo sguardo devastato di Rachel.

***


  Dopo aver sistemato tutte le loro cose ed essersi assicurati che Andrew stesse bene, Evan, David ed Eric si erano ritirati nel loro appartamento, lasciando ad Amanda un po’ di privacy.
La ragazza si era fatta visitare da MacGregor, che le aveva cambiato la medicazione con una meno invasiva.
  Ora Evan se ne stava in salotto, appollaiato sul davanzale della finestra. David, al suo fianco, stava lavorando ad un progetto che avrebbe dovuto consegnare da lì a tre giorni. Fortunatamente, nonostante tutto quello che era successo, i suoi clienti non si erano fatti indietro e le commissioni avevano continuato ad arrivare.
-Dannata tecnologia!- sbottò ad un certo punto l’inglese. Mollò con poca grazia il mouse ed ingiuriò il pc, apparentemente bloccato da un’operazione troppo complessa.
Van gli lanciò un’occhiata da sopra la spalla, prima di chiedere:-Cos’è successo?
Dopo la sfuriata di poche ore prima si sentiva stranamente molto più calmo, soprattutto perché la sua parte animale sembrava essersi assopita per un po’. Nonostante lui e Dave appartenessero all’ultimo ceppo genetico, questo non voleva dire che la vicinanza al plenilunio non facesse risvegliare in loro istinti primordiali.
Spesso erano semplicemente più facili da canalizzare e sfruttare nel combattimento. Ma non sempre.
-Farò causa alla ditta produttrice: non è possibile che il programma si blocchi per colpa di un’operazione booleana.- brontolò in risposta l’amico.
Van sollevò un angolo della bocca, divertito dal tono di David. C’erano delle volte, soprattutto mentre lavorava, in cui finiva a lamentarsi come un bambino. Poi, subito dopo, tornava ad entusiasmarsi e dimenticava persino perché stava brontolando.
A meno che tutto ciò non accadesse di mattina: allora ricordava benissimo il motivo delle sue lamentele e sapeva ricordarlo anche agli altri, il più fisicamente possibile.
-Lascia perdere il progetto per un po’…- gli suggerì.
Il riccio allora aggirò il tavolo e lo raggiunse, appoggiandosi con la schiena al muro ed incrociando le braccia al petto. –Allora, grande capo, qual è il bilancio per il primo giorno?- chiese, con finto tono militare.
Evan si lasciò sfuggire una smorfia. –Poteva andare peggio… ma poteva anche andare meglio. Proprio non capisco perché i giovani lupi debbano comportarsi come idioti.- commentò.
-Ah, be’, non sono sicuramente la persona giusta a cui chiedere, non trovi?- replicò divertito l’inglese.
L’altro lo guardò confuso, poi capì l’allusione ed annuì con un sorrisetto. –Già… siamo stati due idioti anche noi.- dovette ammettere.
-Be’, almeno ora sappiamo cosa fare per aiutare i cuccioli.- disse Dave, accennando col mento verso la camera di Eric. –Fortunatamente stanno dormendo della grossa tutti e due. Questa cosa mi fa dubitare che siano licantropi.- aggiunse.
-Le hanno prese tutti e due, oggi: il loro corpo deve rigenerarsi.- replicò lo scozzese.
Restarono in silenzio per un po’, osservando pensierosi la luna alta nel cielo, in tutto il suo rilucente splendore. –Credi che riusciremo a tener a bada Andrew?- chiese dopo un po’ Evan.
David cambiò leggermente posizione. –Penso di sì. Dobbiamo aiutarlo ad allontanare le emozioni negative e a trattenere quelle che gli sono utili.- disse, sicuro.
-Non voglio dovermi imporre su di lui come faceva mio padre…- ammise l’altro. Abbassò il capo e lasciò che i capelli gli coprissero il viso. –Non voglio diventare quel tipo di Alfa.
Capendo le sue paure, l’amico gli strinse con forza una spalla. –Andrai alla grande, ne sono sicuro. Devi solo imparare a comunicare con gli altri… insomma, ultimamente non sei molto aperto al dialogo e alla socializzazione.- quello che era iniziato come un incoraggiamento finì in una battuta.
-Tu sì che sai rassicurare le persone.- commentò senza nessuna ironia.
David si concesse una breve risata, ma poi si fece serio. –Tu sei diverso da Dearan: hai una testa che ragiona e non hai bisogno di amputare dita delle mani o dei piedi per farti obbedire.- gli disse, alludendo ad un vecchio episodio risalente alla loro vita in Scozia.
-Non è questione di obbedienza…- protestò l’altro, puntellando il braccio su un ginocchio ed appoggiandovisi sopra. –Ma di saper essere un punto di riferimento per gli altri. Non è una cosa che ti insegnano alla scuola per licantropi.- si passò una mano tra i capelli, sospirando.
-E’ normale avere paura, Van.- mormorò l’inglese, comprensivo. Non sapeva bene perché, ma Evan stava cercando di mettersi a nudo e lui voleva aiutarlo. Era tantissimo tempo che non gli confidava i propri pensieri più profondi e la cosa l’aveva fatto sentire inaffidabile.
-Non è paura, solo… ho già stravolto le vite di molte persone, come posso prendermene cura?- chiese, guardando intensamente fuori dalla finestra. Non voleva incrociare lo sguardo di Dave per evitare che vedesse la confusione nei suoi occhi.
-Il solo fatto che tu ti stia preoccupando di non essere all’altezza indica quanto tu sia diverso da Dearan. Non sei diventato Alfa per diritto di sangue, ma grazie alle tue qualità di essere umano.- insistette il riccio. –Ma se non sei convinto dovresti chiamare Alst e parlare con lui.- aggiunse dopo un po’, facendo spallucce.
Non avrebbe voluto esser surclassato dal loro mentore, ma sapeva che Alastair sarebbe stato in grado di rassicurare Evan in modo molto più efficace. Avrebbe voluto essere in grado di farlo lui stesso, ma aveva ancora troppa poca esperienza alle spalle.
A quelle parole lo scozzese rialzò la testa. –Come ho fatto a dimenticarmene? L’omicidio!- si alzò con un movimento fluido ed andò a recuperare il cellulare.
-L’omicidio?- ripetè David, perplesso. Osservò l’amico muoversi per la stanza, recuperare il telefono dal tavolino da caffè in sala e tornare verso la finestra.
-Salgo sul tetto. Non dovrei metterci tanto.- lo avvertì.
-Sì, ma stavamo avendo una conversazione…- cercò di protestare Dave.
Van esitò un attimo, poi scivolò fuori. –La continueremo più tardi.- disse, prima di sparire sulla scala antincendio.
L’inglese rimase a fissare gli scalini di lamiera per qualche istante ancora, poi scosse la testa e tornò al proprio lavoro.
Se Evan aveva così tanti pensieri per la testa da diventare sbadato, la cosa iniziava a farsi veramente seria.


  Avviò la chiamata e si issò sulla cabina dell’ascensore, com’era solito fare nel vecchio palazzo. I tetti degli edifici di New York tendevano ad assomigliarsi tra di loro, a quanto pareva. A parte il fatto che questo aveva uno spazio adibito a patio, con piante e un porticato.
Osservò incuriosito l’intera sistemazione, chiedendosi chi l’avesse realizzata. “Potrebbe essere stata Amanda…”, considerò, ricordando i vasi contenenti gli odori più usati in cucina.
Seguì i propri pensieri mentre questi vagabondavano tra argomenti poco impegnativi, fino a quando Alastair non rispose. –Evan! Sai quanto tempo è passato dall’ultima volta che ti sei fatto vivo?- lo rimproverò lo scozzese.
Il giovane MacGregor fece alcuni rapidi conti. –Parecchio. Mi dispiace, ho avuto da fare.- si discolpò.
-Ho saputo che c’è stato un trasferimento di branco.- buttò lì l’altro.
-Esatto. A quanto pare i Blacks hanno un conto in sospeso con me senza che io lo sapessi.- confermò, strofinandosi il mento. Aveva lasciato crescere la barba ed iniziava a dargli fastidio.
-Un branco non porta rancore senza un motivo.- gli fece presente l’amico.
Van annuì tra sé, ben conscio della cosa. –Sì… ma a quanto pare un nuovo membro del gruppo sembra aver qualcosa contro di me. L’unica cosa che so è che ha un accento europeo ed è abbastanza antico da avere un’aura particolarmente forte.- rispose. –C’è qualcosa che mi sfugge e che tu mi vuoi aiutare a ricordare? Perché proprio non riesco a venirne a capo.
  Alastair chiuse il libro che stava leggendo e si affacciò alla vetrata che dava sul grande parco esterno. Da che ricordasse, Evan aveva sempre sistemato tutte le situazioni rimaste in sospeso prima della loro partenza dalla Scozia. Chi diavolo poteva essere?
-Mi cogli di sorpresa: non mi viene in mente niente.- dovette ammettere. –Dammi del tempo per pensarci su.
-D’accordo, grazie.- mormorò.
-Non mi hai ancora detto dove vi siete trasferiti.- gli fece notare dopo un po’.
-Nel palazzo dove abita Andrew.- rivelò.
Al che Alst si fece perplesso. –Ma… mi avevi detto che lì c’è un altro branco…- osservò, confuso dalla notizia. C’era qualcosa che non quadrava.
-Infatti. Ho chiesto il permesso di insediarmi.- confermò con un cenno del capo che il suo interlocutore, però, non vide. –Il nostro ospite è un tipo particolare.
-E chi sarebbe?- chiese lo scozzese, facendosi sospettoso.
-Un membro della malavita russa… ricicla denaro per vivere.- rispose con nonchalance Evan. Non gli interessava cosa facesse Aleksandr per vivere, l’importante era che non gli creasse problemi. Vivi e lascia vivere, soprattutto quando l’aiuto arriva da fonti inaspettate. –Prima che tu possa iniziare a dirmi quanto sia pericoloso e via dicendo, ti ricordo che sei stato tu a farmi da precettore e quindi so cavarmela.- aggiunse, precedendo la sua predica.
-A quanto pare ti ho istruito anche troppo bene…- brontolò Alastair.
Van si concesse una mezza risata, prima di ricordarsi del vero motivo per cui aveva chiamato. –Alst… devo chiederti una cosa.- esordì con voce ferma.
L’altro si fece attento. –Dimmi.
-Come può un licantropo ucciderne un altro se non è presente al momento dell’aggressione?- domandò. Da quando Rogers gli aveva parlato dell’omicidio la sua mente aveva iniziato ad elaborare le ipotesi più fantasiose, passando dall’alibi perfettamente costruito a qualche maledizione. Nulla sembrava avere un senso.
-Sei sicuro che non fosse presente?- indagò lo scozzese.
Van si alzò e balzò giù, prendendo a misurare a grandi passi la terrazza. –Assolutamente certo. Ma i segni d’artiglio lasciati sul corpo della vittima corrispondono a quelli dell’indagato.- rispose.
-Mhm… i casi potrebbero essere tre: l’uomo sta mentendo e ha veramente commesso l’omicidio; qualcuno ha raccolto i suoi vecchi artigli oppure è coinvolto uno skinwalker.- elencò dopo un po’ l’uomo.
-Uno skinwalker… credevo fossero solamente leggende!- fece stupito. Aveva bellamente ignorato le altre opzioni perché stava cercando di escludere la prima e la seconda necessitava giorni e giorni di appostamento e il licantropo se ne sarebbe reso conto.
-Anche tu dovresti esserlo, invece eccoti qui, intento ad usare un cellulare.- lo prese in giro l’amico.
-Sì, ma è una leggenda persino tra di noi!- fece notare Evan, testardo.
-Durante il Medioevo ce n’erano diversi in Gran Bretagna e nel resto dell’Europa e prima ancora erano molto diffusi. Poi sono stati sterminati durante la caccia alle streghe, come parecchi di noi.- spiegò. –Nell’Ottocento ce n’erano pochi esemplari, ma nulla vieta ad uno di essi di trovarsi in America.
-Se si tratta veramente di questo… dovrò fare delle ricerche.- mormorò, stupefatto. Mai avrebbe creduto ad una possibilità del genere.
-Ne farò anche io, così potremo confrontare i risultati.- gli disse Alastair.
-Bene, grazie…- fece per aggiungere altro, ma ricevette un avviso di chiamata. –Scusa un attimo.- disse, prima di controllare chi fosse. Alla vista del nome sul display si accigliò. –Alst, ho una chiamata in attesa e devo assolutamente rispondere. Ci sentiamo tra qualche giorno, va bene? Grazie per la chiacchierata.
-Va bene, Van. Non cacciarti nei guai, mi raccomando.- e con questo si congedò.
Evan smise di camminare e fissò per un istante lo schermo, prima di prendere un respiro profondo e premere il tasto verde. –Pronto.- disse solamente.
-MacGregor, lieto che tu abbia risposto.- la voce fortemente accentata di Aleksandr non gli fece presagire nulla di buono.
-C’è qualche problema?- domandò lo scozzese, cercando di rimanere sul chi vive.
-No… o meglio, credo di avere qui un membro del tuo branco.- disse. Accigliato, Van buttò lì il nome di Emily. –Esatto. Quindi è veramente con te?- domandò a quel punto il russo.
-Sì, è con me. Era occupata in una missione.- spiegò brevemente. –Ha combinato qualche guaio?
-No, solo sconfinato senza permesso. Ovviamente, ora che so che è un membro del tuo branco è tutto risolto.- lo sentì sorridere, probabilmente divertito da tutta la faccenda o da qualcosa che solo lui riusciva a cogliere.
Il suo tono di voce innervosì Evan, che però cercò di non darlo a vedere. –Devo raggiungerti e garantire personalmente per lei?- volle sapere.
Dall’altro capo ci fu silenzio per un po’. –No… la mia piccolina ha controllato la sua versione della storia. È pulita.- lo rassicurò.
-Bene, allora…- iniziò Van, ma l’altro lo interruppe.
-Se fossi in te andrei a recuperare il cucciolo oppure il padre potrebbe decidere di ucciderlo.- gli consigliò. -Spakòynay nòci*, Evan MacGregor.
Il giovane restò col telefono in mano, assolutamente confuso da quella telefonata. Come mai Emily si trovava con Aleksandr? Li stava per caso tenendo d’occhio o era stata lei a raggiungerlo, magari per presentarsi ufficialmente?
Non gli restava altro che attendere il ritorno della lupa e l’avrebbe scoperto.


  Aveva appena ricevuto un messaggio con le coordinate da raggiungere e si era messa immediatamente a correre verso casa. La sua nuova casa.
Fortunatamente era riuscita ad entrare nei territori dei russi sana e salva, scampando per un pelo ai tirapiedi di Jared, che l’avevano scoperta una volta ritornata sulla sponda di Manhattan.    Dato che conosceva bene le sentinelle che le stavano dando la caccia era riuscita a mantenersi fuori portata per gran parte dell’inseguimento, anche se ad un certo punto aveva rischiato di rimanere bloccata nei tunnel della metropolitana.
  Per pura fortuna (oppure no), uno dei lupi di Aleksandr l’aveva individuata durante il suo giro di ronda e lei gli era balzata addosso, dicendo di far parte del branco MacGregor. L’uomo l’aveva fissata con confusione, ma poi l’aveva portata dal suo Alfa.
Dopo una conversazione molto più simile ad un interrogatorio, il licantropo aveva contattato Evan e poi l’aveva lasciata libera d’andare.
Ora stava correndo lungo la St. Nicholas Terrace, diretta verso Amsterdam Avenue. Non era molto lontana dalla destinazione, almeno a quanto diceva il suo naso: stava seguendo l’odore del nipote di Aleksandr, dopo che lui le aveva dato modo di annusarlo da un vecchio cappotto del giovane.
Doveva sbrigarsi se voleva arrivare prima che la città riprendesse i suoi soliti ritmi frenetici ed evitare che la vista di una persona in grado di correre molto più veloce di qualsiasi Bolt del mondo mandasse qualcuno fuori di testa.
Inspirò a fondo ed accelerò ulteriormente il ritmo della corsa, scartando agilmente le poche persone in giro a quell’ora.
  Dopo appena cinque minuti eccola davanti all’edificio che, da in quel momento in avanti, avrebbe chiamato casa. Decelerò con calma e sollevò il capo, cercando un modo per salire che non la obbligasse a suonare il campanello e disturbare qualcuno.
Balzò in avanti, afferrando la scala antincendio. Si issò con innata grazia e si mise a salire rapidamente gli scalini, conscia del fatto che David ed Evan erano svegli e consapevoli del suo arrivo. Quando raggiunse l’appartamento giusto scivolò rapidamente sullo sbalzo di arrivo della scala e poi sgusciò all’interno passando per la finestra aperta.
-Bentornata.- si sentì dire una volta dentro. I due lupi erano in piedi l’uno accanto all’altro, illuminati dalla luce soffusa di una piantana posta tra i due divani.
-Grazie…- mormorò, concedendosi finalmente un sospiro di sollievo. Si guardò attorno con calma, assaporando l’atmosfera accogliente che si respirava in quella parte della casa. –E’ un bell’appartamento.- commentò.
Dave sorrise, lieto che qualcuno apprezzasse i suoi sforzi.
-E’ andato tutto bene?- domandò allora Evan. Emily si tolse lentamente la giacca e poi si sedette sul davanzale della finestra, esausta.
-Io sto bene, non hanno scoperto il mio nascondiglio. Ma Blake… ho sentito alcuni lupi parlare e pare che Jared lo abbia rinchiuso in una delle gabbie di contenimento e lo stia facendo digiunare.- disse, stringendo con rabbia i pugni. La sola idea di quello che stava passando il piccolo la mandava fuori di testa.
-Sta facendo patire la fame a suo figlio?! Emily, perdonami, ma l’uomo che ti sei scelta è proprio un cretino!- s’infervorò Dave.
A quelle parole lei abbassò lo sguardo. Evan fece per fulminare l’amico, ma lei li precedette dicendo:-Non è il mio uomo.
-Cioè…? Ti hanno obbligata a stare con lui?- cercò di capire l’inglese.
L’americana scosse la testa. –Non proprio. Come vi ho detto io sono la sostituta della precedente femmina Alfa.- spiegò. –Si chiamava Evelyn. Era la mia gemella.
I due rimasero a fissarla ammutoliti mentre la notizia veniva elaborata dai loro cervelli. Il primo a riprendersi fu Evan che mormorò le proprie condoglianze.
-Grazie… ormai è quasi un anno che è mancata.- rivelò.
-Blake sa che non sei sua madre?
Annuì. –Sì, io e lei abbiamo due odori diversi. Però mi chiama comunque mamma.- spiegò.
-Nonostante quello che ci hai appena detto e nonostante il fatto che tu abbia cercato di venderci al nemico, ti aiuteremo a riavere il piccolo.- sentenziò Evan. –Ma poi dovrai lavorare per riguadagnare la nostra fiducia.- le fece presente.
-Sì, lo so.- rispose lei, fissandolo dritto negli occhi. Non lo stava facendo per sfidarlo, ma per mostrargli le sue buone intenzioni.
-Bene… domani ti presenteremo al nuovo membro del branco. Ora puoi andare di sopra, la tua camera è l’ultima a sinistra.- la congedò Van. Senza dire niente Emily fece un cenno col capo e si allontanò.


  La mattina arrivò anche troppo in fretta e Amanda mancò addirittura il suo appuntamento giornaliero, ossia un’oretta di corsa in uno dei parchi della zona.
Si svegliò un po’ stordita e con un principio di mal di testa che non presagiva nulla di buono. Sbadigliando uscì da sotto le lenzuola e si avviò in cucina, in tempo per veder entrare Andrew, ancora più caracollante di lei.
-Oh, buongiorno… come stai? A me sembra di esser stata colpita da un bus in piena faccia. Ieri sono successe troppe cose.- brontolò la ragazza.
-Il mio era un autotreno.- commentò l’amico, scivolando a sedere su uno degli sgabelli della cucina. –Mi serve della Nutella…- aggiunse subito dopo, iniziando ad annusare l’aria.
Mandy ridacchiò per quel suo comportamento lupino e recuperò il vasetto dalla credenza. –Vuoi del caffè?
Drew scosse la testa. –No… non serve. Non ho lezione fino al pomeriggio. Mi sono alzato presto perché non voglio essere ripreso il primo giorno di scuola.- commentò, indicando col capo il piano di sopra.
-Non credo che possa lamentarsi… in fondo i licantropi sono creature notturne, no?- replicò lei, mettendo sul fornello la macchinetta del caffè. Fatto ciò recuperò un bauletto di pane bianco e lo mise al centro del ripiano della cucina che, all’occasione, diventava tavolo della colazione.
-Comunque, Mandy, credo dovresti vestirti, sai?- le fece presente Andrew, iniziando a spalmare la cioccolata su una fetta. Aveva sentito dei rumori provenire dall’appartamento accanto e non voleva succedesse qualcosa di imbarazzante.
La morettina gli lanciò un’occhiata, divertita. –Drew, sai come sono fatta. Non ho problemi con te. E poi, anche tu sei mezzo svestito.- gli fece notare.
-Sì, ma…
-Caffè!- la porta, lasciata accostata, si spalancò di colpo, rivelando un alquanto esuberante Eric. Amanda per poco non rovesciò la macchinetta nel tentativo di coprirsi con qualcosa. –Oddio, mi dispiace!- esclamò il ragazzo, notando il suo abbigliamento.
La giovane si spostò rapidamente, cercando di raggiungere la camera da letto prima che arrivasse qualcun altro e la vedesse col suo pigiama, ossia culottes e canotta di raso. Purtroppo, mentre si rifugiava nel corridoio che portava alla zona notte, David ed Evan entrarono nell’appartamento, richiamati dal trambusto.
Con un gemito strozzato, Mandy incespicò nel tappeto e si rinchiuse in camera, rossa in viso come un pomodoro maturo.
-Ehm… credo di aver visto qualcosa che non dovevo…- fece David, perplesso. Evan non disse nulla, limitandosi a dare un’occhiata in giro con fare indagatore. –Stavate facendo colazione?- domandò poi l’inglese, notando la tavola apparecchiata.
Andrew lanciò un’occhiata distratta verso la camera da letto e poi annuì. –Sì, volete favorire?
Mentre loro parlavano, Mandy indossò una maglietta ed un paio di leggins in fretta e furia. Stava cercando in tutti i modi di dimenticare la figuraccia che aveva appena fatto, ma quella continuava a ripetersi in loop nella sua testa.
“Oddio! Cosa devo fare? Cosa devo dire?!”, pensò, agitata oltre ogni dire. Fece un giro su se stessa e poi si controllò allo specchio, giusto per vedere se aveva dimenticato di indossare qualcosa.
Mentre si lambiccava sull’espressione da assumere, nella zona giorno la cucina si stava animando. Andrew spostò le cose per la colazione nel tavolo accanto alla finestra, in modo che potessero stare più comodi e poi andò a spegnere la macchinetta, dando il tempo al caffè di diffondere il proprio aroma nella stanza.
-Che cosa vi preparo? Il caffè va bene per tutti?- Drew stava cercando di fare gli onori di casa meglio che poteva, nell’attesa che Amanda tornasse e riprendesse in mano lo scettro.
-Vorrei tanto una colazione all’inglese.- sospirò David. –Ma mi accontenterò di quello che c’è.
-Mi dispiace, non è particolarmente apprezzata dalla padrona di casa.- si scusò.
-Cosa non è molto apprezzata?- domandò Mandy, riemergendo in quel momento dalla sua isola di salvezza.
-David si chiedeva se fosse possibile avere una colazione all’inglese…- spiegò il ragazzo.
Al che lei fece una smorfia. –No, mi dispiace. Potrei rischiare di rotolare giù per le scale se mangiassi una cosa del genere.- commentò. –Però c’è tutto quello che volete per farne una all’italiana: succo, croissant, cereali, frutta… ah! Nutella e paste varie.- elencò.
-E da dove viene tutta questa roba?- domandò Eric, curioso.
Mandy arrossì. –Le ho fatte io… mi piace cucinare…- mormorò, dirigendosi verso la cucina per tirar fuori altre tazze e posate.
-Wow! Oltre ad avere un corpo da favola sai anche cucinare! Ti prego, fammi tuo schiavo!- commentò il ragazzo, addentando un dolce alla crema.
Tutti i presenti lo guardarono male, cercando di fargli capire che doveva moderare le parole. Soprattutto perché la diretta interessata era arrossita ancora di più, imbarazzata.
Ultimamente non faceva altro che arrossire e fare strafalcioni: suo padre le avrebbe detto che assomigliava molto ad un puledro appena nato, traballante e ancora inesperto del mondo.
Rendendosi conto della reazione che aveva scatenato, l’europeo si scusò ed abbassò il capo dopo aver colto l’occhiata di rimprovero del suo Alfa.
-Scusa l’intromissione. Abbiamo sentito Eric scendere le scale e volevamo fermarlo prima che combinasse guai.- disse Evan.
-Oh, non è un problema… cioè… sì, mi avete vista mezza svestita, ma a parte quello… credevo che voi licantropi dormiste fino a tardi…- farfugliò. –Cioè… che non vi piacessero le mattine…- tentò di correggersi, finendo per far ancora più confusione.
-A me non piacciono proprio, le mattine. Ma stanotte sono riuscito a finire una parte del mio lavoro, quindi stamattina sono particolarmente di buon’umore.- rivelò David, versandosi un po’ di cereali nella tazza.
Mandy ridacchiò, contagiata dalla sua allegria. L’inglese le aveva fatto una buona impressione sin da subito, ma ora che lo osservava ancor più da vicino si sentì in un certo qual modo ravvivata dalla sua presenza. Non sapeva se fosse una sua capacità personale o di derivazione soprannaturale, fatto sta che le sarebbe piaciuto averlo intorno.
  Eric, invece… stava mangiando con gusto il secondo dolcetto, ma ogni tanto le lanciava delle occhiate maliziose. Probabilmente stava sondando il terreno, ma non capiva se lo faceva per provocarla o se fosse veramente fatto così. Sembrava uno spaccone nel corpo di un bambino.
Evan, d’altro canto, rimaneva sempre sulle sue, sempre pronto a reagire a qualsiasi possibile minaccia. Ponderava ogni cosa ed aveva un’aura attorno a sé che tendeva ad allontanare le persone o ad incutere loro soggezione.
  Averli lì, tutti riuniti attorno ad una tavola imbandita le stava dando modo di sbirciare nel loro mondo personale. Voleva capirli e sopportare un po’ di imbarazzo era un giusto prezzo per poter entrare a far parte di quella nuova, strana e ancora molto precaria famiglia.
Lo scozzese sembrò rendersi conto dei suoi pensieri perché smise di osservare i suoi lupi e puntò lo sguardo nel suo. Quei suoi occhi cangianti avrebbero dovuto esser banditi perché avevano un magnetismo tale da essere pericolosi.
Talmente pericolosi che Mandy non sentì la domanda che le era stata fatta. –Come…?
-Potrei avere una tazza di caffè nero, per favore?- ripetè lui.
-S-sì… arrivo.- disse lei, dirigendosi nuovamente verso la cucina e riempiendo la macchinetta. Mentre aspettava che il caffè salisse, si ricordò di aver un vassoio di muffin salati a riposare nel forno. Li estrasse e li mise in un cestino. Poi recuperò del burro e un po’ di marmellata e li portò a tavola. –Questi sono muffin salati… è l’unica cosa che possa ricordare la colazione inglese… e quella scozzese.- disse, soffermandosi a guardare prima Dave poi Evan.
Andrew sorrise da dietro la sua tazza e poi lanciò un’occhiata agli altri. Il primo a servirsi fu proprio l’inglese poi, con suo stupore, anche Van prese un assaggio.
L’espressione di Amanda fu impagabile e strappò un sorrisetto anche allo scozzese.
Mentre si godevano quella inaspettata colazione in compagnia, Emily irruppe nell’appartamento come un furia, il telefono stretto tra le mani. –Blake!- esclamò.
Tutti i presenti si voltarono, stupiti. –Cosa succede?- chiese il capobranco, avendo percepito il battito accelerato del suo cuore.
-Jared… Jared è impazzito: ha detto che, se non mi consegno entro oggi, ucciderà Blake!- spiegò, stringendo febbrilmente il telefono in una mano.
I visi di tutti passarono dalla confusione ad una maschera di puro terrore.

*Dannazione, in gaelico
*Buonanotte, in russo
  
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