Anime & Manga > Pokemon
Segui la storia  |       
Autore: Riholu    05/08/2014    3 recensioni
[Storia ambientata prima degli eventi di B2 e N2]
Ad Unima non c'è più tempo di divertirsi, perché i Pokémon stanno soffrendo per mano di un team sconosciuto.
Non c'è più tempo di giocare al novello allenatore, e Touko dovrà impararlo presto, se vorrà aiutare la sua regione a curarsi dalle Ombre.
Tratto dal testo:
I due ragazzi si guardarono per un attimo, per capire chi è che dovesse parlare.
Alla fine prese parola il primo.
«Ciò che stiamo per dirti probabilmente ti scioccherà un po', ma non è il caso di addolcirti la pillola. Hai comunque l'età per capire, quindi cerca di affrontare la verità con diplomazia. Qualunque sia. E di crederci, soprattutto»
[REVISIONE IN CORSO --> Capitolo 13]
Genere: Introspettivo, Malinconico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Crack Pairing | Personaggi: Altri, Touko
Note: What if? | Avvertimenti: Tematiche delicate | Contesto: Videogioco
Capitoli:
 <<    >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
Capitolo 88



Wes si fermò, ormai lontano, soffiando una parola.
-Mamma...-.

Rimase fermo, immobile, a guardarla con gli occhi sgranati.
Non pensava l'avrebbe mai rivista, e se anche fosse stato, di certo non immaginava di incontrarla così, per puro caso...
Perché, si chiedeva. Come poteva essere successo?

Un brivido lo scosse quando lei parlò di nuovo, rendendosi anche conto che non stava nemmeno respirando.
-Wes... s-sei davvero tu? N-non ti sto immaginando...?- disse la donna, provando a riavvicinarsi a lui.

Ma il ragazzo, di riflesso, fece altri passi indietro scuotendo il capo spaventato.
Non era pronto per affrontare il suo passato... non così!
Aveva bisogno di tempo, perché tutto si prendeva gioco di lui?!

Non riuscì a risponderle, non riusciva a parlare.
Deglutì, sentendo la gola arida all'improvviso. Non riusciva a far altro che guardarla, sconvolto, mentre poco a poco ricominciava a sentirne familiare il viso, la voce, lo sguardo... quegli occhi, così simili a quelli di Michael, che lo stavano ora pregando di non andarsene.
Sua madre voleva parlare con lui... ma lui era in grado di parlare con lei?

-Ti prego, rispondimi! Ho bisogno di sapere se tu... sei mio figlio... Wes...- continuò Helen, con gli occhi lucidi.

Lo riconosceva, era lui!
Per quanto cresciuto, maturato e per nulla più bambino, riconosceva i suoi occhi. Q
uegli stessi occhi di miele fuso, che ora la guardavano smarriti.
Attraverso essi poteva vedere la sua anima, e la riconosceva.

-Non avere paura di me, Wes... Sono tua madre, non potrei mai farti del male! Ti prego, non allontanarti così... io...-.
Non sapeva più cosa potergli dire, in quel momento, per riuscire a farlo avvicinare a lei.

Decise allora di fare la prima mossa: corse verso di lui, lasciandolo di stucco, e lo prese per mano con entrambe le sue.
Da così vicino lo guardò di nuovo.
-Non andare via un'altra volta!- esclamò, con gli occhi lucidi.

Wes, ancora incapace di dire nulla, abbassò lo sguardo e osservò con molto interesse il terreno alla loro sinistra.
Sentiva il calore della sua stretta; anzi, gli sembrava quasi che scottasse... era bollente.
Guardò le loro mani congiunte: le mani che tenevano ferma la sua erano così piccole e chiare... non le ricordava così. Le sapeva... più grandi. Non così tanto, certo, era pur sempre una donna... ma quando erano diventate più piccole delle sue?

Timoroso, incapace di spiccicare nessuna parola, alzò lo sguardo sul suo viso, guardandola anche lui negli occhi.
Li trovò umidi, stava per piangere... di nuovo. Si ricordò di quando li vide coperti di lacrime la prima volta. Ma adesso lei stava trattenendo le lacrime, perché desiderava una sua risposta.

Aprì la bocca, cercando di dire qualcosa.
Nulla, allora la richiuse.
Riabbassò lo sguardo. Da quando era così incapace?

Dì qualcosa, brutto idiota, prima che se ne vada via!” gli giunse da Abys.
Ormai gli faceva quasi da coscienza.

-I-io...- cominciò.

Dai, così... so che desideri parlarle. Manda a quel paese tutto, hai la possibilità di rimediare ed essere più felice di adesso e tu che cosa fai? Balbetti? Guarda che prima o poi, molto probabilmente, sarà anche mia “madre”, quindi non me la trattare così male” continuò l'Ombra, spronandolo.

“Ti vuoi fare i cazzi tuoi?”.

-Sì, sono Wes- riuscì a dire, finalmente.

Ooooh, c'è voluto tanto?!”.

Dopo quella risposta, Helen cominciò a piangere.
Piccole lacrime che solcarono il viso, mentre su questo si apriva un sorriso commosso.
Lo abbracciò, stretto, lasciandolo anche più di stucco e immobile di prima.

-Sono così felice di rivederti, figlio mio...- disse lei, bagnandogli la canottiera con le sue lacrime.

Sentendola piangere, d'istinto Wes la strinse a sé.
Forte, la teneva vicina a sé, e cominciò a cullarla. Lo faceva sempre, quand'era bambino e lei piangeva, in preda alla depressione.
Sentire di nuovo i suoi singhiozzi lo aveva sconvolto, esattamente come quando accadeva in passato.

-Mamma... ti prego, non piangere, io... s-sono qui, non vado via...- provò a dirle, cercando di calmarla.

-Pensavo di non rivederti più...!- rispose la donna, alzando il viso per guardarlo.
Alzare il viso...
Ancora non si capacitava di quanto fosse cresciuto.

Lo vide sorriderle dolce.
Ne rimase sorpresa, perché non aveva mai visto un sorriso simile sul suo viso, nemmeno da bambino, nemmeno per lei. Lui le sorrideva, sì, ma erano spenti.
Falsi.
Questo no... questo gli veniva dal cuore.

-Io avevo paura... non sapevo cosa dire- rispose lui abbassando lo sguardo, vergognoso.

-E' la prima volta che ti sento dire che hai paura...- constatò lei, continuando a guardarlo, a osservare ogni minimo cambiamento.
Aveva così tanta voglia di parlare con lui...
-Verresti... Torneresti a casa con me? Vivo ancora a Villaggio Toko, non ho mai potuto andarmene di là... Voglio parlare con te-.

-Casa...?-.
Avrebbe di nuovo varcato quella porta?

-Sì, casa... Abbiamo così tante cose da dirci, ma non possiamo parlare in mezzo alla strada- annuì Helen, dolce.
Capiva perché si comportava così, perché si era comportato così.
Lei conosceva suo figlio.

Wes annuì, accettando di andare con lei e di ritornare in quella casa.
Casa... davvero ne aveva ancora una?

All'improvviso si ricordò di Touko.
L'aveva lasciata sulla moto al bivio, per cui si volse di scatto verso di lei – e ridacchiò.
La brunetta era scesa dalla moto e, appoggiatasi, aveva dato loro le spalle e si era messa gli auricolari al massimo volume, per lasciargli la loro privacy.
Avesse conosciuto la regione si sarebbe allontanata, anche, ma non voleva rischiare di perdersi, e dare altre grane al suo amico.

-Mamma, però... io sono in compagnia, non posso lasciarla sola- disse, tornando a guardare sua madre.
Le indicò con lo sguardo la ragazza.

La donna si voltò nella stessa direzione, sorpresa di vedere non solo qualcuno con lui, ma anche che questa fosse una ragazza.
La osservò, ma poteva solo vedere dei lunghi capelli bruni che le arrivavano fino alla schiena, legati in una coda alta.

-Allora verrà anche lei. Questa regione ancora non è sicura, poi per una ragazza... Vai a chiamarla- gli sorrise lei, annuendo e scindendo la presa per permettergli di muoversi.

Il ragazzo annuì, tornando di corsa da Touko, e le sfiorò la spalla con un dito.
La brunetta trasalì e si girò subito, levandosi le cuffiette.
-Wes! E'... tutto okay?- gli chiese, sorpresa.

-Sì... senti, dobbiamo fare una deviazione. Mia madre... vorrebbe che tornassi a casa con lei per parlare. Dovresti venire pure tu, perché da sola non è sicuro per te-.

-E allora andiamo!- gli sorrise lei.
Era contenta che avesse deciso di parlare con sua madre.

Il mulatto annuì, grato, e prese la moto per il manubrio spingendola verso la strada che portava al Monte Lotta.
Insieme raggiunsero la madre, intenta a riprendere -per l'ennesima volta- i sacchi della spesa abbandonati a terra. Quando lei si alzò, Wes le si mise affianco e camminarono tutti e tre verso Villaggio Toko, in silenzio.



Quando Wes le aveva parlato di “casa”, Touko si era aspettata di trovarsi davanti un'abitazione normale, con un piccolo piano superiore -come la sua- e al massimo un giardinetto davanti la porta d'entrata.
Ma certo non si sarebbe aspettata una piccola villetta!

Il giardino era modesto, semplice, e vi si accedeva da un cancelletto nero, incastrato tra due alti muri bianchi che non lasciavano intravedere nulla di ciò che accadeva all'interno.
Un vialetto, fatto di pallidi mattoni incassati nel terreno, si faceva strada nell'erba -malandata per la poca cura-, che formava piccoli ciuffetti di mille verdi diversi tra le mattonelle di quest'ultimo. Portava direttamente alla casa, partendo dal cancelletto fino ad aprirsi in una grande zona piastrellata davanti a quest'ultima: questa zona era impreziosita e decorata da cinque grandi vasi con diversi tipi di piante, posizionati due agli angoli inferiori e tre sul lato anteriore adiacente alla casa. Davano colore e vivacità
, ma anche queste erano poco curate. Un'altra zona piastrellata stava al fianco sinistro della villetta, in cui un grande albero aghifoglie, piantato in un'aiuola delimitata da un muretto finemente cesellato, faceva la sua figura: la sua cima superava abbondantemente il tetto del secondo piano.
Nel giardino c'era anche un piccolo pozzetto per l'acqua piovana, sempre composto da mattoni e pietre incassate tra loro e sovrapposte, e un piccolo tavolo di legno stagionato affiancato da due panche dello stesso materiale.

La casa, dalle pareti giallo chiaro e il tetto color noce, era di due piani.
Lievemente rialzata dal terreno prima da una base, su cui poggiavano i vasi sopra citati, e poi da un'altra, su cui poggiava l'abitazione, presentava un portico sulla facciata anteriore: il tetto spiovente che copriva la zona davanti all'entrata principale era retto da tre pilastri di cemento quadrati, in corrispondenza alle quali erano state messi i tre vasi. Il portico ospitava due piccoli tavoli di plastica bianca rosata con altrettante sedie, posizionati agli estremi, e un vaso con dei piccoli girasoli piantati dentro.
Il secondo piano riguardava solo la parte destra della casa, anche esso protetto da un tetto spiovente color noce; due finestre aperte portavano la luce in quella stanza.

Quando Touko oltrepassò il cancelletto, rimase semplicemente a bocca aperta: come detto prima, non pensava mica di trovarsi un posto simile davanti.

Wes si guardava attorno, riconoscendo ogni cosa per come la ricordava anni fa, salvo piccole differenze, e sentendo la nostalgia tornare.
Nonostante non avesse dei bei ricordi della sua infanzia lì, più o meno, sapeva che quella sarebbe sempre stata casa sua: altrove non si sarebbe mai sentito come in quel momento.

Percorse il viale, sempre portando la moto con sé.
Riguardo a ciò, chiese alla donna dove potesse “posteggiarla”: non era mai stato costruito un garage, visto che da sempre la famiglia si spostava a piedi.

-Mettila pure davanti casa, tanto non entra ness... oh? - stava per dire, mentre chiudeva il cancelletto, quando il viso della sua amica Mandy le sbucò davanti attraverso le sbarre.

-Dimmi che non è lui e ti entro in casa con irruenza- la minacciò la donna, guardandola con tanto d'occhi.
La signora Butler, infatti, era conosciuta anche per la sua spiccata abitudine a spettegolare di qualunque cosa – difatti Villaggio Toko, per quanto più grande di Sofo, sapeva molte cose degli altri grazie al suo famoso “passa parola”.

Sapendo che dalla cancellata non era possibile vedere bene la casa, soprattutto perché c'era lei davanti a Mandy, Helen guardò verso suo figlio come a chiedergli cosa dovesse risponderle.
Il ragazzo conosceva la signora Butler, visto che anche anni fa le due donne erano amiche.

Wes la guardò e annuì, mentre lasciava il veicolo ormai parcheggiato.
-Sì, è Wes- le rispose allora, con un piccolo sorriso di speranza.

L'altra esplose in un verso non meglio identificato di felicità.
-Allora è tornato a casa?! Ooooh, deve saperlo tutta Toko!! Il piccolo Wes ritorna a casa dopo anni di lontananza, oddio, sono così curiosa di rivederlo!! Weees, cuccioletto!! Ti ricordi di me?! Sono zietta Mandy!!- continuò a gridare.

Dopo questo, non sarebbe più servito dirlo in giro: ormai lo sapevano tutti, che lui era lì.
Era impossibile che non l'avessero sentita.

Il ragazzo, sentendola gridare in quel modo, sgranò gli occhi con un gocciolone sulla tempia e, d'istinto, si accucciò dietro alla moto.
Sì, la conosceva, ma ciò non doveva imporgli di non scappare ogni qual volta la vedeva! Da bambino, quando quella donna lo chiamava in quel modo, ricordava che scompariva dalla circolazione in due secondi, e anche meno.
Tutto, pur di sfuggirle.

La signora Mandy Butler era una donnetta un po' bassa, grassoccia, che adorava poltrire e, ovviamente, spettegolare.
Aveva corti capelli rossicci, labbra sempre rosse di trucco e costanti orecchini pendenti ai lobi.
Non aveva lavoro, quindi passava le sue giornate a fare un salto dalle sue “amiche di quartiere”, inclusa Helen. Conosceva benissimo, dunque, anche i piccoli Mokura e da loro voleva sempre essere chiamata “zietta Mandy”.

Ma la cosa che più odiava di lei era il suo essere appiccicosa.
Una volta preso... era la fine.

Ricordando quanto fosse restio suo figlio a farsi avvicinare dalla sua amica, la bionda scosse vigorosamente il capo alla vicina.
-Non è il caso di gridare così! E comunque è qui solo per parlare con me, non si fermerà a lungo-.

-Ooh, iniziano i negoziamenti? D'accordo, vi lascio soli. Ma mi raccomando, digli di passare da me quando se ne va! Voglio assolutamente salutarlo anch'io. Ciaoo!!- disse la donna, sventolando la mano e -finalmente- andandosene.

Helen la osservò allontanarsi un po', poi tornò dal ragazzo, che nel frattempo si era rialzato sconvolto.
-Ma è sempre stata così la signora Butler? O è peggiorata?- chiese lui, grattandosi la guancia perplesso.

-Non è cambiato nulla da prima, Wes. Né questo posto, né questa casa, né tutte le persone del villaggio. Comunque, entriamo? Ho così tante cose da chiederti... - rispose la donna, prendendolo per mano di nuovo con le sue.

Il ragazzo annuì, salendo i gradini con lei.
Portò la mano alla maniglia e fece per girarla, quando un brivido freddo gli percorse la schiena: rivide nella sua mente il ricordo di suo padre che si metteva il cappello e oltrepassava quella soglia per l'ultima volta, e voltò la testa di scatto.
Per un attimo gli parve di vedere la figura imponente di Tsutai accanto a sé, in impermeabile beije lungo e cappello da cowboy calcato in testa, con l'espressione grave e rabbuiata... poi questa scomparve, e lui proseguì per il viale e uscì dal cancello, scomparendo dietro l'angolo.

Scosse il capo, abbassandolo: che stupido era stato.
Non aveva pensato che tornare in quella casa lo avrebbe portato a dover affrontare altri tipi di ricordi, forse i più dolorosi. In quelle stanze erano rinchiuse diverse scene della sua infanzia, belle e brutte, insanguinate o meno, che lui aveva rinchiuso in un angolino della sua mente per non ricordare.
Poteva davvero farlo?...

“Ho ancora paura di Tsutai” constatò, triste.
Come poteva affrontare quell'uomo se non aveva nemmeno il coraggio di oltrepassare quella soglia? Erano passati degli anni, ma l'effetto era sempre lo stesso...

Puoi farcela, Wes. Ricordati che questa volta non sei solo... ci sono io, ricordi? Affronteremo queste tue paure insieme. Affronteremo il tuo passato e lo capiremo... mi capirai. Se vuoi la giro io per te, quella maniglia. Io sono la tua paura, sì, ma è dal controllo di questa che nasce il coraggio. Quindi controlla i tuoi ricordi” gli arrivò da Abys, che lo incitò con calma.

Il loro rapporto era profondamente cambiato, ormai, per cui non se la prese quando si offrì lui di aprire la maniglia.
Sapeva che l'avrebbe fatto prendendo il controllo del suo corpo, ma di ciò non aveva più paura: aveva ormai realizzato che loro due erano la stessa cosa, due facce della stessa medaglia. Come tali, avevano imparato a collaborare.

“Non preoccuparti. Non sono più un bambino” gli rispose Wes.
E, deglutendo, afferrò saldamente la maniglia e la girò, tirandola a sé per aprire la porta.

Nell'istante in cui vide il corridoio principale il suo fiato si mozzò, mentre una valanga di ricordi e sensazioni come quella precedente si riversavano nella sua testa, come se avesse aperto il lucchetto che li teneva rinchiusi.

Mollò la mano di sua madre e avanzò lungo il parquet, guardandosi attorno.
Non vedeva nulla di quello che probabilmente Touko e Helen avrebbero visto: al posto di un quadro ne vedeva un altro, guardava un graffio nel muro avendo l'illusione di vedere anche la stessa mano che l'aveva fatto, sentiva voci che non c'erano e presenze intangibili che si muovevano attorno e attraverso lui.

Ad un certo punto si vide correre il se stesso da piccolo incontro, in lacrime, inseguito da uno Tsutai infuriato con la mano levata, pronto a picchiarlo.
Venne attraversato da entrambi, e quando si girò per vederli loro non c'erano più.
Gli tornò in mente il ricordo di quel momento.

-Torna subito qua, incidente di percorso!!- sbraitò Tsutai, inseguendo il ragazzino che continuava a sgusciargli di mano.
-Ma che cos'ho fatto!! Aiuto, aiuto!!- urlò Wes, spaventato dalle percosse che presto sapeva sarebbero arrivate.
Non riuscì a sfuggirgli a lungo e l'uomo lo afferrò per il cappuccio della felpetta, attirandolo a sé e cominciando a menarlo. Senza motivo. Mentre il piccolo bambino continuava a piangere e gridare, in cerca di soccorso.
Soccorso che non era arrivato fino al ritorno della madre e del fratellino.


“Questa.. questa è la prima volta che mi fece del male!” constatò Wes, mentre continuava a camminare e a ricordare, guardandosi attorno.
Portò lo sguardo sul salotto, giuntovi in seguito al continuo vagare per la casa, e un altro ricordo sovrastò gli altri che gli affollavano la testa.

Wes stava in camera sua quando sentì un tonfo al piano di sotto: stava cercando di fare i compiti di scuola, complicati e macchinosi, ma al suono di qualcosa che cadeva si alzò immediatamente dalla sedia e corse fuori.
“Sarà di nuovo Tsutai...?” si chiese, facendosi improvvisamente più cauto.
Non voleva incorrere nuovamente nell'ira ingiustificata di quell'uomo... ma già che era arrivato, poteva anche dare un'occhiata, no?
Entrò nel salotto, la stanza da cui aveva sentito provenire il tonfo, e fu allora che lo vide: Michael, il suo fratellino, era caduto a terra. Lontano dal divano su cui era stato lasciato, probabilmente, dalla madre.
-Michael?!- esclamò il ragazzino, correndo subito verso di lui e tirandolo su.
Il bambino alzò lo sguardo limpido verso di lui e lo chiamò, emettendo il solito verso che, ormai, si era capito essere l'appellativo con cui si riferiva al fratello maggiore. Ancora Michael non aveva detto una singola parola, il che preoccupava Helen e Wes: di solito chiamava la madre emettendo una lunga A e il fratello con un E.
-Stai bene? Non ti sei fatto nulla, vero?- gli chiese il mulatto, prendendolo in braccio e riportandolo sul divano con lui, controllandolo.
Ma il piccoletto sfuggì dalla sua presa scuotendo il capo, per la prima volta, e ricadde giù dal divano di sedere. L'altro fece per riprenderlo, perplesso dal suo modo di fare, ma rimase scioccato quando il rosso si rialzò da solo e cominciò a
camminare.
Stava quasi per raggiungere il tavolino, ma cadde di nuovo. E di nuovo si rialzò.
Wes era semplicemente scioccato, rimasto con le mani tese e la bocca spalancata.
-Mi-Michael?! Oddio, tu cammini!!- esclamò, sconvolto, scendendo dal divano quando il piccoletto raggiunse il tavolo.
In preda all'euforia lo incitò allora a rifare il percorso inverso.
Il bambino così fece, sempre chiamandolo con quello strano verso, e lo raggiunse senza cadere una volta. Il maggiore lo prese in braccio, alzandosi, e lo fece girare felicissimo.
-Oh, Michy!! Sei bravissimo, fratellino!- si complimentò, completamente estasiato.
Ma quel giorno, il piccoletto gli fece un altro regalo.
Michael lo guardò, aprì la boccuccia e...
-Ees... Pa.. Papà?-.
Wes rimase immobile. Aveva... davvero parlato?
-Papà!! Eee, papà!! W-Wes, papà!!-.
-Io... io non sono tuo padre, Michael!- lo smentì lui, troppo sconvolto per essere felice di quella seconda novità.
Ma lui continuò a chiamarlo così, felice, sorridendogli gioioso. E allora lui lo strinse a sé, dolce, emozionato.
“D'accordo, fratellino... sarò io il tuo papà”.


-Già, è vero... i primi suoi passi e le prime parole... sono state il mio nome e “papà”. Credeva che fossi suo padre...- ridacchiò Wes, abbassandosi vicino al tavolino, là dove ricordava di essere stato tanto, tanto tempo fa.
Si sedette per terra, appoggiandosi al divano, sfregandosi gli occhi lucidi.

-Wes?- venne richiamato da Helen, che l'aveva seguito mentre errava per il primo piano della villetta.

Il ragazzo si girò, guardandola con un piccolo sorriso indecifrabile, tra il felice, il nostalgico e il triste.
-Sono a casa... sono a casa- le rispose lui, ripetendosi, tornando a guardarsi attorno, mentre i ricordi che aveva da tempo dimenticato tornavano nella sua mente più vividi che mai.

E questa volta, non li avrebbe dimenticati per nulla al mondo.
Perché quello era il suo passato, e cancellarlo non avrebbe mai debellato anche il dolore. Lo avrebbe anzi reso una persona con origini confuse, senza una casa...
Quella era casa sua; come anche quel rudere che c'era a Sulfuria lo era.

Da lì lui proveniva... 

La donna rimase a guardarlo un attimo, troppo stupita di vederlo così, mentre il ragazzo si guardava attorno ritrovando parte di sé ovunque posasse lo sguardo.
Sorrise, intenerita e felice, e andò a sederglisi accanto per abbracciarlo stretto al suo cuore, mentre gli accarezzava i capelli e lui ricambiava la stretta. Come soleva fare un tempo, quando suo marito lo picchiava e lei lo trovava in bagno, solo, mentre cercava di curarsi da solo delle ferite che non avevano nemmeno senso di esistere.

Allora, lì, correva da lui e lo stringeva forte a sé, piangendo anche per lui.
Perché da tempo Wes aveva smesso di piangere per il dolore, e aveva assunto quell'espressione vuota e matura... quella era ormai un'abitudine, e non aveva senso piangerci sopra.


Rimasero stretti ancora un po', poi si lasciarono.
Dopodiché, fu il momento di parlare, di raccontare...

Madre e figlio parlarono lì, in quel salotto, seduti per terra come lui, a parlare e parlare di quello che era accaduto in tutti quegli anni.

Il ragazzo le raccontò la sua fuga, i suoi primi giorni da allenatore, il rapimento e gli esperimenti condotti su di lui -che fecero inorridire la povera donna-, le parlò anche di Abys e di come fosse finito sotto il controllo suo e dei Clepto, dei tre mesi passati con loro e della loro distruzione da lui pianificata; del viaggio che condusse per tutta la regione, passando da un capo all'altro dell'isola per inseguire ogni tipo di informazione circolasse sui Cripto... delle lotte, del sudore e delle fatiche, i ritmi disumani che si era imposto e della sgarbatezza con cui si rivolgeva a Rui, sua compagna di viaggio, della sconfitta di Malerio e di Ho-Oh, che in seguito l'aveva scelto.
Le raccontò dei suoi viaggi nelle altre regioni, delle palestre e degli altri allenatori, delle Leghe che aveva vinto e dei Campioni, ormai suoi colleghi, che aveva sconfitto; dei tanti team che si era trovato contro, e che aveva dovuto distruggere per il bene di quelle regioni.
Le parlò anche di Unima, del suo incarico attuale e dei pericoli, le parlò di come avesse incontrato Touko e dei suoi sentimenti per lei, del rinnovato Team Cripto e dei nuovi compagni di viaggio con cui aveva fatto amicizia e con cui stava nuovamente imparando a giocare.
Le raccontò tutto, dal principio alla fine, senza mai stancarsi di parlare.

E la donna stette ad ascoltare per tutto il tempo, senza mai smettere di essere attenta ad ogni sua parola e domandando qualcosa quando non capiva.
Era la prima volta che suo figlio le parlava di tutto ciò che aveva vissuto, e che lo facesse in quel modo aperto... Decisamente era cambiato da quando l'aveva visto l'ultima volta.
Era più allegro, rideva e scherzava, aveva degli amici e tanta gente che ora gli voleva bene: era felice, in poche parole.

Andandosene, aveva ottenuto tutto quello che non avrebbe mai avuto se fosse rimasto lì, con lei.

Il racconto si concluse a serata ormai tarda, la cena era passata da un pezzo, ma non per questo Helen non cucinò.
Anzi, dopo che Wes l'ebbe aiutata ad alzarsi da terra, dopo ore passate a parlare e parlare, andò subito in cucina per mettersi ai fornelli. Il ragazzo andò invece a recuperare Touko, rimasta fino ad allora fuori, che sonnecchiava in preda alla noia e alla stanchezza della giornata con Haku accanto a tenerla d'occhio.
L'aveva svegliata, dolce, e l'aveva portata dentro, scusandosi con lei per averla lasciata sola per tutto il tempo.

Avevano cenato in salotto: la donna sapeva benissimo cosa era successo in cucina, tanti anni fa, e dopo come aveva fatto suo figlio dopo essere entrato, non l'avrebbe mai fatto entrare lì.
Per quel ricordo, uno dei più brutti del bambino che era in lui, c'era ancora tempo.

E per loro c'era ancora una possibilità.

Per il momento, Wes non voleva pensare a nulla.
I Cripto, i Pokémon Ombra, suo padre... tutto era stato accantonato.
Per ora, voleva solo sentirsi a casa, al sicuro, per la prima volta dopo troppo tempo.

                                                                                                       *
Ritardo. L'ennesimo.
Ma va beh, ormai s'è capito...

Coooomunque, per chi volesse saperlo: ancora non è finito. Tornando in quel luogo, parlando con lei, Wes sta piano piano affrontando la sua paura più grande; ma questo è solo l'inizio... perché come ha ricordato alcune cose, altri ricordi lo aspettano.
Come quello in cucina, che ormai avrete capito qual è.
Decisamente Wes non ha avuto un'infanzia facile...

Faccio una precisazione, sulla parte scritta: avrete notato che ho ripetuto spesso la parola "casa" nella parte iniziale, no? Dopo tutto questo tempo, continuando a seguirmi, avrete ormai capito che sono una "scrittrice" che sta attenta alle ripetizioni.
E' quindi fatto apposta: sta a significare quanto il "tornare a casa" sia importante per lui, e quanto sia un fattore che lo tormenti. Non avere un luogo in cui tornare è come cancellare parte di sé - ed effettivamente è questo che lui ha fatto. Ha provato a riscrivere il suo passato eliminandolo, senza pensarci, visto che non avrebbe mai potuto dimenticare. Ma tornandovi, quel che aveva così volentieri cancellato è tornato a lui.
Proprio come se avesse aperto il lucchetto che rinchiudeva il suo vero Io.

Ringrazio per le recensioni:
Noel Le Blanc, con cui ho testé formulato un'alleanza a mano armata contro i Cripto. Chi si unisce a noi? u.u;
Little Crew, che mi fa sempre ridere e sì, lo riconfermo: sono cattiiiiiva~;
Rihanna_Love, a cui do anche il benvenuto in questa immensa fiction! Benvenuta :D

Ora vi saluto.
Ciaoo!! :D

PS: Ottantotto capitoli e quasi trecento commenti.
Se mi avessero chiesto se avrei mai pensato di raggiungere questi traguardi quando cominciai a postarla, avrei risposto no. Perché davvero... è incredibile!!
Non ho parole per ringraziarvi, tutti quanti. Questa popolarità è solo grazie a voi, anche a chi legge, per cui... grazie <3

 
   
 
Leggi le 3 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Anime & Manga > Pokemon / Vai alla pagina dell'autore: Riholu