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Autore: Francine    05/08/2014    2 recensioni
10 Frittate può sembrare il titolo di un libro di cucina, ma non è così.
In
10 Frittate, con il dieci rigorosamente scritto in cifre, vi mostrerò come noi romani facciamo le frittate. Ovviamente in senso metaforico.
Genere: Mistero, Sentimentale, Slice of life | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: Raccolta | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Ciao! Mi chiamo Luigi, ho due anni e un gran paio di occhi verdi, almeno a sentire Mamma.
Mamma è la signora con i capelli rossi e vestita di verde dalla testa ai piedi che sta parlando di me con te, bella signorina in marrone. 
Come? Se vedo i colori? Certo li vedo! Vorrei proprio sapere chi ha messo in giro la voce che vediamo in bianco a nero!
Ce l’avete mai chiesto?
No, cara signorina, altrimenti avremmo risposto con un educato «Sì, vediamo tutti i colori dello spettro solare, anche quelli che voi non riuscite a distinguere».
Cosa sto facendo qui? Di sicuro non un simposio sui colori. Ho avuto un piccolo incidente domenica pomeriggio e adesso Mamma mi sta portando da uno specialista sulla Nomentana. Prima che me lo chiedi: non so né dove sia, né cosa sia la Nomentana. Ho sentito Mamma che ne parlava a Papo, stamattina; poi, verso mezzogiorno, Mamma mi ha messo nella mia culla da viaggio e abbiamo preso il treno.

Treno…
Secondo me assomiglia ad un gigantesco lombrico, come quelli che trovo scavando nel giardino. Faccio certe buche, belle profonde! Il mio posto preferito è l’aiuola con le rose bianche perché il terreno è sempre bagnato, e quindi più facile da scavare. Mamma mi urla dietro ogni volta, ma a me piace tanto scavare.
Si trovano sempre dei tesori: scarafaggi, lombrichi, larve… Poi, vorrei sapere che male faccio; scavo, estraggo le mie prede e ci gioco un po’, ma sul posto, non li porto certo dentro casa! Mamma non capisce, non capisce mai. Ha il bruttissimo vizio di farsi delle storie tutte sue; le basta un indizio e parte per la tangente con ricostruzioni impossibili.
Ad esempio, il mese scorso siamo stati a casa della Zia Lilly, che è identica a Mamma come una goccia d’acqua, solo che Zia Lilly veste sempre di blu. Ora, Zia Lilly aveva un canarino giallo giallo che se ne stava felice e beato nella sua gabbietta dorata. Si chiamava Titty, se non sbaglio… Comunque sia, il mese scorso andiamo a trovare Zia Lilly e dopo pranzo, Mamma, Papo, Zia Lilly e Zio Piero (credo sia il marito di Zia Lilly, ma non ci scommetterei) fanno le loro cose da grandi: si mettono in salotto e giocano con quelle carte strane che a loro piacciono tanto. A me non dicono nulla: sì, è divertente farle volare in aria, lanciarle e riprenderle, ma dopo un po’ mi stufo e lascio perdere. Loro, invece, ci perdono le ore appresso a quelle carte, tra mozziconi di sigarette e quello schifo che chiamano caffè.

All’improvviso, si sente un tonfo nella stanza dove sta Titty, ma un tonfo bello forte, così Zia Lilly e Mamma accorrono come se stesse crollando la casa, e trovano la finestra aperta e la gabbia di Titty rovesciata in un angolo, mezza ammaccata.
«La gabbia deve essere caduta e deve essersi aperta e Titty deve essere volato via per lo spavento!», ha detto Mamma dopo aver studiato la situazione e dato un’occhiata a me, che dormivo beato e pacioso sul divano.
Ora, io mi domando e dico, serve una laurea per capire cosa possa essere successo ad un uccellino lasciato tutto solo in una stanza con un gatto? Quante probabilità ci sono che il gatto si sia pappato il volatile? Dieci su dieci, no? Ebbene, la rossa testolina di Mamma non è stata sfiorata affatto da quest’ipotesi.

Come Sherlock Holmes non vale una cicca. Come cuoca, invece, è ottima: mi prepara certi pranzetti da leccarsi i baffi. Niente cibi preconfezionati, zuppette strane e intrugli vari: Mamma va al mercato e mi compra il petto di pollo, le uova fresche fresche, il merluzzetto buono buono e cucina al momento, mentre io aspetto paziente che lei abbia finito e che il pranzo non sia più rovente. Non amo i cibi caldi, odio scottarmi la lingua. A te non capita mai? È davvero fastidioso, poi la lingua resta indolenzita un sacco di tempo e non sentite più i sapori.
Che stavo dicendo?
Ah, sì,ti parlavo un po’ di me e di Mamma che mi sta portando sulla Nomentana, che non so cosa sia, né dove sia. Io conosco poco del mondo esterno. Conoscevo benissimo la Casa a Monteverde, che stava al pian terreno, con una cucina piccola piccola e un grande stanzone centrale dove Mamma e Papo facevano tutto: mangiavano, dormivano, ricevevano gli amici e i parenti, litigavano. C’era un lettone grande, appoggiato alla parete e coperto da una serie di tende e tendine colorate; quanto mi piacevano! Mi divertivo a nascondermi lì dietro e a saltar fuori all’improvviso, oppure mi ci nascondevo aspettando che Mamma mi trovasse. Era simpatica quella casa, specie per i piccioni, grossi grossi, che camminavano sul davanzale della cucina. 
Anche il quartiere era tranquillo, e io e Mamma ci facevamo delle lunghe passeggiate per strada: quando non faceva troppo freddo o troppo caldo, mi metteva la pettorina e via! Devo ammettere che quell’arnese mi ha sempre disgustato. Sempre. Mi sento ridicolo, senza dignità. 
Non usarlo mai, capito Signorina Marrone che mi stai guardando da mezz’ora?
 
Mi sei piaciuta subito. C’è qualcosa, in te, che mi attira. Come ti muovi? I capelli lunghi? O il fatto che come i nostri occhi si sono incrociati è scattato un feeling?
«Posso vederlo?», chiedi a Mamma e lei, che non aspettava altro, ti invita a sederti accanto a lei. Ad essere sinceri, è da quando siamo saliti a Manziana che non fa che parlare di me e del mio incidente a tutti quelli che incontra e che mi guardano curiosi. Che avranno da guardare, poi? Neanche fossi una bestia rara, avessi tre teste o sputassi fuoco dal sedere. Come sei gentile, Signorina Marrone; Mamma ti parla, ti dice tutta la mia storia e vedo che t’interessi sul serio a me.
Peccato non esserci conosciuti prima! Capiamoci, voglio bene a questi due pazzi di Mamma e Papo, e non li cambierei con nessuno al mondo; solo che, a volte, sanno essere veramente pesanti. Io sono uno spirito libero, un curiosone, uno che va alla scoperta di tutto e di tutti. Se adesso mi vedi così è perché sono ancora mezzo rincoglionito dall’operazione. Sì, mi hanno dato un paio di punti qui, all’occhio destro. Niente di che, è solo Mamma che è ansiosa da morire e ha stressato a morte i medici perché non restasse nessun segno.

Ma come?, ho pensato, Se non resta il segno, come potrò fare il figo da grande?

Mamma non è stata sfiorata dall’idea, come al solito.
Però, cara la mia Signorina Marrone, devo ammettere che sono stati molto buoni con me: siccome la casa a Monteverde era troppo piccola, ne hanno comperata una sul Lago di Bracciano, a più piani – e io mi diverto come un pazzo a correre su e giù per le scale, anche se Mamma ha paura, tanto per cambiare! – e con un gran bel giardino. C’è sempre il lettone di Mamma e Papo, ma non ci sono più le tende e mi dispiace, poi c’è la cucina con la porticina che dà sul giardino, la piscinetta colorata, la palestra, il bagno tutto per me con le mie cose e la cesta con i miei giocattoli preferiti.
Il giardino è separato da una siepe di alloro – così lo chiama Mamma, io lo chiamo Puzzone – da quello dei vicini dove vive Lola.

È bella Lola, sai Signorina Marrone? Simpatica, le piace stare allo scherzo e conosce un sacco di giochi divertenti. Mi piace stare con Lola e spesso è lei che viene a chiamare me. Allora Mamma mi fa uscire e magari ci prepara anche la merenda. Poi il giardino mi piace anche perché adesso che è estate ci sono i sicomori – così li chiama Mamma, per me sono solo alberi – che fanno ombra e tira un bel venticello verso le due del pomeriggio. Allora io mi sdraio pacifico sulle sedie verdi e mi faccio un bel sonnellino, cullato dal vento. A volte Papo mi imita e finiamo per dormire vicini, mentre Mamma lava i piatti, o scrive le sue cose.
Quello che fanno Mamma e Papo per campare?
Papo fa il fotografo per un giornale, e sono state parecchie le volte che mi si è messo davanti con quell’aggeggio che chiama macchinetta e ha fatto non so che. Prima la odiavo, adesso mi lascia indifferente. Non capisco che divertimento ci sia nel mettersi dietro quell’aggeggio e chiamarmi, dirmi «Luigi, guarda qui!».
 
La prima volta che mi sono avvicinato a quell’attrezzo è esplosa una lucetta bianca che mi ha accecato per un bel pezzo!
E loro due ridevano, capisci, Signorina Marrone? Ridevano!
Tu non avresti riso, vero? 
E non avresti fatto esplodere la lucetta bianca davanti ai miei occhi, vero?
E non mi romperesti le balle con la storia che a noi piace il verde, vero? Tutte le mie cose sono verdi. Ora, capiamoci: è un bel colore, rilassante, simpatico, pacato. Ma questo vale se hai una cosa verde, due cose verdi, tre cose verdi… quando hai tutto verde, diventi un pazzo omicida! Grazie al cielo, sono un tipo equilibrato, io, altrimenti, non so che…

Ma sto divagando! Scusami, Signorina Marrone, non riesco ad interessarmi ad una cosa per troppo tempo. Dicevamo? Ah, sì. Mamma.
Mamma lavora come scrittrice: ha vinto un paio di premi amatoriali – me lo ha spiegato lei – e adesso scrive degli articoli – pezzi – per dei giornali sugli animali. Ha in mente di scrivere un romanzo incentrato su di me e su di lei, ma da quando è uscito il libro di Sor Coso Rosa credo abbia cambiato idea.
Fai anche tu lo stesso lavoro, vero Signorina Marrone? Lo capisco dai fogli e dalla penna che tieni in mano, e che metti via non appena Mamma inizia a spiegarti la mia disavventura. O meglio: la sua versione dei fatti circa la mia disavventura.

«Deve essere successo domenica, verso le due», dice Mamma con la stessa faccia di quella tizia che appare in tv e che incontra solo morti ammazzati. Lo so perché Mamma guarda sempre la Signora Gialla mentre stira e io le faccio compagnia seduto in poltrona. «Stavo lavando i piatti, quando me lo vedo tornare tutto sporco e con l’occhio insanguinato, tumefatto. Ho pensato che deve essere stata Lola, magari giocando, ma quando sono uscita, lei non c’era.»
«Ma… l’occhio è salvo?», chiedi tu, e capisco che hai conosciuto gente rimasta orba. Dalla tua faccia intuisco che non deve essere divertente, vero Signorina?
«Sì, sì, tutto a posto! Per fortuna si è bucata solo la cornea, il cristallino è rimasto sano e salvo. Solo che, a vedermelo rientrare tutto sporco e con l’occhio pieno di sangue, mi è preso un colpo!»

E tu, Signorina Marrone, mi rivolgi un sorriso dolce.
«Posso accarezzarlo?» chiedi a Mamma, ma guardandomi dritto nell’occhio aperto. Ma sai che quasi non ci credo? È la prima volta che qualcuno non solo chiede il permesso di potermisi avvicinare di più, ma lo chiede direttamente al sottoscritto! 
«Ma sì, certo! Vai pure, tanto lui è un tipo socievole!», ti dice Mamma, e tu, Signorina Marrone, ti comporti da ragazza ben educata: allunghi un solo dito e aspetti che sia io ad accettare te.
Il mio istinto non sbagliava: c’è qualcosa in te che mi piace, Signorina Marrone. Il tuo sguardo, forse. Che è come il nostro. Agata screziata dalle sabbie del tempo, come dice spesso Papo. E che resti tra noi, le tue carezze farebbero resuscitare i morti.
«Certo che è proprio bello…E com’è morbido! Luigi, che bel nome!»

Oh, ma grazie mille, Signorina Marrone!

«Vero? Quando è arrivato, l’ho guardato in faccia e gli ho detto Sì, tu hai proprio la faccia di uno che si chiama Luigi e così l’abbiamo battezzato. Speriamo non si veda troppo la cicatrice…»
«Non credo… Oggi si applicano dei punti così leggeri che è quasi impossibile si veda qualcosa. E poi, mal che vada, potrà andarsene in giro bullandosi della sua cicatrice. Fa sempre molto figo, no?»

Ecco, io lo sapevo che tu, Signorina Marrone, mi avresti capito! L’ho saputo dal primo momento che sei salita su questo assurdo lombrico di metallo. E a te voglio dire cosa è successo, dato che né Mamma, né Papo – notoriamente più razionale – hanno chiesto a me cosa mi fosse accaduto prima di caricarmi in macchina e correre al più vicino Pronto Soccorso.
È vero, quando ho avuto l’incidente stavo sulle sedie verdi, ma non perché mi piaccia il verde, quanto perché soffiava un bel venticello dal lago. Ad un certo punto mi è entrato un granello di sabbia in un occhio e ho provato a togliermelo, solo che mi sono grattato e mi sono ferito da solo. Povera Lola! Lei se ne sta in vacanza al mare con i padroni, come poteva?
Anche io andrò in vacanza, sai Signorina Marrone? A Lampedusa. Mamma vuole scrivere la storia di una ragazzina che dice di capire i gatti perché la sua Mamma, quando era incinta di lei, faceva il sonnellino con il suo gatto sulla pancia. Tu hai la faccia di una che dormiva cullata dalle fusa, vero, Signorina Marrone? Vorrei provare a fartene un po’, anche per ringraziarti delle tue carezze sull’orecchio – ma come fai? Sono… divine! – ma non mi viene. Scusami, sono troppo assonnato, confuso e scojonato. Questo trasportino sembra una valigia, sarà pure comodo ma fa un caldo qui dentro…

Prossima fermata, Stazione Trastevere.

Che fai Signorina Marrone? Perché hai tolto la mano?
«Io scendo alla prossima. Allora, in bocca al lupo, Luigi!»

No, aspetta… Resta con noi, Signorina Marrone! E tu, Mamma, dalle il numero del cellulare! Lo dai a cani e porci, e a una che sembra un gatto umano no? Ma sei strana forte, eh?

«Ci vediamo!», dici stringendo forte la mano di Mamma, che non ti da il numero del cellulare. E scendi, non senza avermi dato un ultimo sguardo fugace. Io mi giro, col mio collare elisabettiano che m’impedisce i movimenti, e ti seguo, seguo i tuoi capelli marroni e grano, così simile al pelo di Lola, e la tua gonna larga che sparisce nel sottopassaggio, tra altre persone che non sono come te.
Tu brilli, Signorina Marrone, di quella luce così forte ed intensa che solo chi ama noi gatti può emanare. Oh, anche Mamma e Papo risplendono, ma in confronto a te sono spenti. E io, adesso solamente, capisco.
Addio, Signorina Marrone. 
Dirò a Lola che ti ho incontrata e che esisti davvero. Che non sei solo una leggenda. 
Addio Signorina Marrone.
Notti stellate e cacce proficue sul tuo cammino, fino a quando non ci rincontreremo.
«Ti piaceva quella signorina, eh, Luigi?»
Sì, Mamma, mi piace. Ma non era una Signorina come le altre, quella.
Quella era la dea Bastet.
 
 
  Novembre 2006

   
 
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