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Autore: Benio Hanamura    05/08/2014    1 recensioni
[Mademoiselle Anne/Haikara-san ga toru]
“Il mio nome è Kichiji Hananoya… o meglio, questo è il mio nome dall’età di 15 anni. Fino ad allora ero Tsukiko, la sesta figlia della famiglia Yamada...”
Nel manga originale della Yamato è detto ben poco del passato della geisha Kichiji, che fa la sua prima comparsa come causa inconsapevole di gelosia della protagonista Benio nei confronti del fidanzato Shinobu, ma che poi si rivelerà essere solo una sua ottima amica e stringerà una sincera amicizia con Benio stessa, per poi segnare anche l’esistenza del padre di lei, vedovo inconsolabile da tanti anni.
Per chiarire l’equivoco e per spiegarle quale rapporto c’è davvero fra lei e Shinobu, Kichiji racconta la sua storia del suo passato a Benio, dei motivi per cui è diventata geisha, abbandonando suo malgrado il suo villaggio quando era ancora una bambina, ma soprattutto del suo unico vero amore, un amore sofferto e tormentato messo a dura prova da uno spietato destino…
Dato che questa storia è solo accennata nel manga, ma mi è piaciuta e mi ha commossa molto, ho deciso di provare ad approfondirla e di proporvela come fanfiction!
Genere: Drammatico, Romantico, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate
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  Ovviamente non riuscii a seguire l’esempio della mia onee-san. Lei non mi aveva mai picchiata, ma era rigida con me; al contrario io non ero mai dura con Shitaji. Kiyoko mi aveva detto che anche senza raggiungere i livelli della geisha-oni occorreva comunque avere un minimo di pugno di ferro con le apprendiste, lo aveva imparato lei a sue spese con Kyu.
   Ma io fui fortunata, perché stabilii presto un’ottima intesa con la mia apprendista. Un giorno la okasan mi confessò che in realtà ci aveva sentite quando la sua prima notte all’okiya io l’avevo riaccompagnata in camera sua. Aveva però deciso di non rimproverarla, ma al contrario era rimasta ad ascoltarci e le era piaciuto il modo in cui le avevo parlato riuscendo a consolarla, ed era stato proprio questo ad indurla a decidere di affidarmi Shitaji, nonostante fossi ancora relativamente molto giovane (quando le fui affidata Kikyo-san aveva superato i trent’anni!), sfidando ancora una volta le antiche tradizioni.
   “Mi hai ricordato me stessa, quando ero più giovane” mi aveva detto tristemente la okasan “Cerca di non cambiare, non diventare anche tu una donna cinica, Kichiji… Non avrei dovuto affidare l’incarico di procurarmi nuove apprendiste al signor Nitta, avrei dovuto almeno preoccuparmi di cercare una persona che avesse un po’ più di tatto con delle bambine, che già sono spaventate per ciò a cui potrebbero andare incontro, per giunta!”
   Il signor Nitta, colui che aveva portato Shitaji all’okiya, svolgeva incarichi simili anche per conto di altre okasan, ed a quanto pare quel suo comportamento insensibile era abituale. Mi riproposi di cercare qualcun altro da proporle, per il futuro. E, pensai, nel caso assurdo in cui mi fossi ritrovata a gestire personalmente il nostro o qualsiasi okiya, non avrei mai assunto persone come lui.
   E’ vero che in quell’occasione ero chissà come riuscita a trovare proprio le parole giuste per Shitaji, ma più che ad una mia particolare capacità persuasiva lo splendido rapporto che si è instaurato fra noi è da attribuire soprattutto al fatto che la mia apprendista fosse molto dolce e sensibile: al contrario di altre ragazzine che in questi anni ho visto arrivare al nostro okiya  non ha mai accusato il padre per ciò che aveva fatto, si era resa perfettamente conto che non si era trattato di un gesto crudele, ma solo di un gesto disperato, compiuto nella sincera speranza di offrire anche a lei una vita almeno più dignitosa, in cui non avrebbe più sofferto il freddo ed avrebbe mangiato riso ripulito tutti i giorni.
   “Al villaggio non ci capitava mai se non di rado, nei giorni di festa!” mi aveva raccontato Shitaji, la cui esistenza passata era stata anche più misera della mia. Suo padre era rimasto vedovo dopo che la madre era morta dando alla luce una coppia di gemelli, un maschio ed una femmina, ed oltre a lei aveva altri tre figli più grandi, di cui una figlia di 16 anni, costretta a fare da madre ai fratelli più piccoli fin da quando ne aveva meno di 13, e due maschi, di cui uno di 15 e l’altro di 12, quest’ultimo ancora troppo giovane per costituire un valido aiuto nei campi. Loro oltre naturalmente ad altri 2 bambini, morti a pochi mesi di vita per via della malnutrizione.
   Finché era rimasta con la sua famiglia, Shitaji era ancora troppo piccola per dare concretamente una mano in casa, ma non appena aveva raggiunto l’età giusta il suo aspetto grazioso non era sfuggito all’occhio esperto del signor Nitta, che non aveva faticato molto a convincere quell’uomo, ancora più disperato per via delle ultime due pessime annate del raccolto, ad accettare quell’affare tanto fruttuoso quanto terribile. Sapevo che Shitaji aveva bisogno di parlare della sua famiglia, anche perché lei aveva dovuto lasciare tutti, non aveva avuto la mia fortuna di avere accanto una cugina e persino una sorella, perciò durante le pause spesso ero io stessa ad incoraggiarla a raccontarmi di loro, così come io le parlavo della mamma, del papà e dei miei fratelli. Inutile dire che appena si rese conto della situazione anche Kikyo-san mi espresse perplessità sui miei metodi ispiratimi a suo avviso dalla mia età un po’ troppo giovane per sapere esattamente come dovesse comportarsi una buona onee-san, che avrebbe dovuto essere buona non tanto nel senso di buona amica e complice quanto nel senso di buona guida per la futura attività, buona insegnante e maestra di vita. Ma ovviamente ormai non dovevo dare più conto a lei, nemmeno per come educavo la mia apprendista, così potei limitarmi a ringraziarla garbatamente per il consiglio senza necessariamente doverlo seguire, ed infatti continuai a mantenere con Shitaji un rapporto schietto e sincero, di reciproco rispetto.
    A parte che con me Shitaji era rimasta una bambina un po’ timida, così le proposi di specializzarsi per diventare una jikata, piuttosto che una tachikata. Lei ne fu entusiasta, promettendomi che avrebbe studiato sodo per poter essere al più presto in grado di potersi esibire insieme a me. Ne fui felice, mi affezionavo a lei sempre di più, quasi come alla sorella minore che non ero riuscita ad avere quando, dopo aver saputo che la mamma era in attesa di Toshiro e Sanzo e non conoscendo le reali priorità di una famiglia di contadini (ovvero di braccia forti che dessero una mano nei campi!), le avevo chiesto ingenuamente di regalarmi un’altra sorellina. Ma soprattutto, pensai una volta, se Koji ed io fossimo riusciti a diventare genitori come avevamo sognato, se fosse nata una femmina l’avrei voluta esattamente come lei.
   Insomma, le cose erano decisamente migliorate per me. Un bel giorno del marzo successivo ebbi poi una meravigliosa sorpresa in occasione di una delle tante visite di mio zio a Kiyoko, che si era presentato all’okiya con un giovane che non ricordavo di non avere mai visto… Un bellissimo ragazzo, alto e slanciato, che però mostrava di essere abituato al lavoro duro dei campi: mai, se non me lo avesse detto esplicitamente, avrei potuto riconoscere in lui il mio fratellino Toshiro, che ormai si era fatto quasi un uomo!   
   Toshiro mi spiegò che lo zio gli aveva proposto di vendere alcuni nostri prodotti in città, approfittando anche dell’occasione per incontrare le sue sorelle lontane. Ovviamente Sanzo era rimasto al villaggio per restare ad aiutare nostro padre nei campi, ma prima o poi sarebbe venuto lui al suo posto! Ovviamente gli chiesi di raccontarmi cosa avevano fatto negli ultimi tempi, in cui soprattutto per via della guerra anche i collegamenti postali erano stati un po’ meno agevoli. Mi raccontò che il papà e la mamma stavano abbastanza bene nonostante il trascorrere degli anni, Yuriko e Nobuyuki avevano ormai tre bambini: oltre ad Aiko avevano avuto un maschio, Toru, e solo pochi mesi prima un’altra bimba che avevano chiamato Airi (il che aveva reso particolarmente felice la signora Kimura, che nonostante il passare del tempo non aveva mai realmente smesso di rimpiangere la sua bimba perduta). Keita ovviamente era quasi sempre in casa, ma spesso era impegnato a fare lo zio, perché Aiko e Toru adoravano venire a casa nostra. Mentre lui e Sanzo erano spesso impegnati nel lavoro dei campi, anche se, mi confessò, lui era anche un po’ tentato dalle attività commerciali dello zio, pur non condividendo il suo coinvolgimento nelle vendite delle bambine agli okiya, pratica verso la quale iniziava a tirare aria di protesta, essendo considerata sempre più una pratica aberrante e crudele.
   Fui commossa dalla sua visita e dalla sua apprensione nei miei confronti, da come mi parlava dei vari problemi, in tono così maturo, mi resi davvero conto di quanto fossero cresciute quelle piccole pesti che io ricordavo esclusivamente nell’atto di correre qua e là e di combinare disastri! A Miyuki fu concesso qualche giorno di vacanza per tornare al nostro villaggio, così quella sera ripartì con lui, mentre io dopo averli salutati fui occupatissima a leggere le lettere di mio padre, di Yuriko e di Keita che mi aveva portato.
   Quella sera mi sentivo particolarmente serena: ero soddisfatta dei miei risultati come geisha, avevo un’apprendista che aveva piena fiducia in me, la mia famiglia stava bene e poi l’indomani avrei rivisto Shinobu, in occasione di un ozashiki. Dopo aver finito di leggere le mie lettere non avevo ancora sonno. Fino a poco tempo fa avrei approfittato di ciò per iniziare subito a scrivere loro delle risposte, da affidare allo zio alla prima occasione, ma trovai altro a cui dare la precedenza, infatti decisi di dare un’occhiata ai miei kimono ed ai miei accessori, per scegliere cosa fosse più adatto indossare per l’ozashiki. Volevo essere bellissima, ma non per i clienti, no: mentre passavo attentamente in rassegna tutti i miei kimono, selezionandoli in base ai colori ed alle fantasie mi ritrovai a pensare solo a Shinobu, a cosa sarebbe stato meglio indossare per piacere di più a lui… Anche se di lì a poco sarebbero iniziati nuovamente le Miyako Odori, ed allora sì che avrei dovuto risplendere per tutti, mi ritrovai a considerare quell’occasione assai più banale molto più importante. Non riuscivo a spiegarmelo, ma sempre di più l’immagine di Koji e quella del suo giovane amico presero a sovrapporsi nella mia testa. Fisicamente erano così diversi, il mio amato così tipicamente giapponese, mentre lui con quei capelli biondi, gli occhi nocciola e le gote morbide che tradivano anche allo sguardo più sfuggente le sue vere origini… Ma per il resto li trovavo sempre più simili: entrambi militari, entrambi onesti, altruisti, gentili e così pieni di riguardi per me! Nel preciso istante in cui quel terribile giorno d’inverno avevo scorto il suo nome nella lista dei caduti nella battaglia di Quing-dao avevo perso ogni desiderio di vivere perché avevo realizzato che non avrei mai più rivisto Koji e giammai qualcun altro avrebbe potuto prendere il suo posto, nemmeno a distanza di cinquanta e più anni, fino alla mia morte; per questo ciò che mi stava accadendo, e dopo così poco tempo, mi parve ancora più difficile da comprendere. Inizialmente comunque non mi posi troppe domande: dopo aver finalmente trovato un kimono che mi soddisfaceva lo misi da parte e passai in rassegna gli accessori per i capelli,  e questo mi occupò per un’altra mezz’ora buona.
   Quando finalmente mi addormentai, in sogno rivissi il momento in cui mi aveva presa fra le braccia, dopo avermi strappata alla morte. E l’indomani nonostante le poche ore di sonno mi risvegliai del tutto rinfrancata e di buonumore, ancora di più che negli ultimi tempi.




 
Note:
Jikata:
una geisha che si specializza in canto e suonare strumenti musicali. Il nome significa "persona terra" si riferisce alla loro posizione seduta.
Tachikata: è l’artista principale, conosce la danza ed un altro strumento musicale oltre allo shamisen, come il flauto o il tamburello.
Le geishe jikata tachikata e geisha sono i due tipi fondamentali di mondo geisha. Sono uguali in tutto, tranne che nelle artidurante il potenziamento di ozashiki e banchetti. Ed è in tali strutture, ci sarà sempre maiko o ballare geisha e cantare o suonare altri strumenti.
Mentre tachikata stanno ballando al tradizionale mai danza giapponese, il jikata più impegnati a cantare o suonare vari strumenti tradizionali come lo shamisen.
  
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