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Autore: Laleith    06/08/2014    2 recensioni
Trovò la coperta di lana rossa pronta ad avvolgerla, le pagine sparse di un libro da finire a reclamarla.
Tante piccole note ai margini dei fogli creavano un arcobaleno di errori e dolori. Guardò la pila di pagine. Un istintivo moto di rabbia e il fuoco già aveva divorato almeno tre capitoli.

Emozioni che sbloccano.
Genere: Introspettivo, Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna, Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
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Petrichor.


 A V.

L’odore del camino riempiva l’aria dell’atmosfera giusta. Sembrava quasi incenso, quel profumo di legno che ardeva. Il crepitio delle fiamme si incastrava armonicamente con la pioggia all’esterno, come a creare una musica universale che tutto il mondo avrebbe potuto capire. E amare.
Aprì leggermente la finestra, quel tanto che bastava per far entrare l’odore di terra bagnata. Era sempre tutto perfetto quando pioveva. Il cielo del primo pomeriggio assumeva una sfumatura argentata, l’aria si infrizzantiva e le gocce lavavano via qualsiasi brutto pensiero.
Mentre si sedeva sulla scrivania per avvicinarsi ancora di più a quello spiraglio di aria fredda, le venne in mente che esisteva un nome per definire quella meraviglia. Petrichor. Odore di pioggia sulla terra asciutta.
Sembrava così…ridicolo. Con la schiena appoggiata al muro e la testa rivolta alla finestra, cercava di capacitarsene.
Era possibile dare un nome a qualcosa di così bello? Chiunque avesse inventato quel termine doveva essere biasimato. Non si poteva rinchiudere così la magia.
Appoggiò le dita sul vetro. Il calore delle sue mani lasciò subito l’alone. L’indomani avrebbe pulito.
Seguì la traiettoria delle gocce che scivolavano verso il vuoto. Le venne un brivido lungo la schiena.
Richiuse in silenzio la finestra, scivolando giù dalla scrivania e raggiungendo a piedi scalzi il divano.
Erano movimenti così abitudinari che aveva imparato a scorrere sul tappeto senza far rumore.
Trovò la coperta di lana rossa pronta ad avvolgerla, le pagine sparse di un libro da finire a reclamarla.
Tante piccole note ai margini dei fogli creavano un arcobaleno di errori e dolori. Guardò la pila di pagine. Un istintivo moto di rabbia e il fuoco già aveva divorato almeno tre capitoli.
Aveva provato a riscrivere la storia almeno dieci volte. Si era sempre persa dentro ai dettagli di un mondo che non la convinceva. E non perché non avesse idee. Perché ne aveva troppe.
Non riusciva a contenere tutto quel caos, lei che aveva sempre sognato di arrivare all’ordine.
Un ordine che probabilmente l’avrebbe uccisa.

Per evitare di perdersi nel suo disastroso disordine, all’interno di quella nuova casa, aveva fatto una scelta saggia: comprare tutto il campionario così come lo aveva trovato nel negozio e farselo montare senza partecipare.
Era sembrata una cosa sensata ai suoi occhi. Se non avesse avuto lo stimolo di mettere mano dove poteva, avrebbe accettato la casa così fatta e finita senza intervenire, e si sarebbe adeguata. Aveva avuto l’occasione di iniziare daccapo, di ottenere la vita che aveva sempre voluto, senza obblighi o restrizioni.
Quel villino di un solo piano rialzato e immerso in un giardino che sembrava più un bosco, era stata la sua piccola fuga dalla realtà. Gli abeti che aveva fatto piantare creavano uno scudo perfetto dal mondo esterno. Era come vivere in montagna, con la comodità di avere il supermercato alla via accanto. E persone a meno di 100 metri. Perché in effetti l’idea di restare del tutto sola la terrorizzava.
All’inizio aveva trovato eccitante l’idea di vivere in una riproduzione esatta dell’Ikea. Credeva fosse stupendo invitare gli amici, farli entrare nel suo piccolo ordinato mondo e poi rimandarli nel loro disordine, oltre il cancello e la strada. Per tutti era diventata una piccola baita. Carina, diversa, ma solo per le vacanze. Perché, infondo, era tutto così freddo.
Non c’era una sola cosa che indicasse che quella fosse casa sua. Non un quadro, non una foto.
Ironicamente l’unica zona vissuta era la scrivania, con un vaso di fiori da buttare, un computer sempre acceso su una pagina bianca e quella coperta rossa.
C’era tutta se stessa davanti a quella finestra, su quella scrivania, dentro quel computer.

Il suono delle chiavi nella porta la riscosse.
Non sapeva quanto fosse rimasta ferma in quella posizione. Le gambe le dolevano e il fuoco si era lentamente trasformato in brace.
La luce debole di quel pomeriggio di pioggia si era spenta per far spazio a un tramonto di lampi e tuoni.
Si alzò, prima per reagire a chissà quale attentatore, poi per sentirsi una stupida.
Gli aveva regalato le chiavi. Era talmente irrazionale, che lo dimenticava ogni volta.
Entrò dentro casa assieme a litri di acqua fredda e due enormi scatole.
La guardò con il suo miglior sogghigno, un sopracciglio alzato e la barba incolta.
Sentì subito le gambe tremare. E il sorriso incontrollabile spuntarle sul viso.
«Sorpresa! Contenta?» le mostrò con ironia le due scatole impilate prima di appoggiarle per terra.
Tolse velocemente la giacca zuppa e tornò a guardarla. Poi allargò le braccia e lei era già lì, a farsi donare un po’ delle gocce di pioggia incastratesi nella sua barba.
Nascose il naso sotto il suo collo, beandosi del calore del corpo in contrasto con il freddo delle sue dita sul viso.
«Profumi di pioggia»
Lo sentì stringerla maggiormente e ringraziarla col sorriso.
Se quelle scatole per terra non avessero avuto quell’aspetto così invitante, probabilmente sarebbero rimasti in quel modo per ore.
Sciolse leggermente l’abbraccio, fingendo una smorfia contrariata.
«Cosa c’è lì dentro?»
Scoppiò a ridere, smascherando immediatamente la sua finta.
«La tua cura»
Le si ghiacciò il sangue, mentre lui si chinava a raccogliere la prima scatola.
I suoi occhi corsero immediatamente al computer. E al fuoco.
«Pensi si possa guarire?»
Si avvicinò di nuovo al divano per prendere la coperta e trascinarsela addosso sul tappeto.
Gli occhi fissi sull’unico pezzo di carta sopravvissuto al fuoco. Accanto all’inchiostro blu, la scritta al computer recitava “…vrebbe lottat…”.
Sospirò, e poggiò la testa sulla seduta del sofà, aspettando i passi che sapeva lo avrebbero portato da lei.
Aprì un occhio e incontrò il suo sguardo caldo e serio. Era un rimprovero pieno di amore. Si chinò all’altezza di lei, senza sedersi.
Le scatole a separarla dal camino.
Lentamente estrasse ogni oggetto contenuto in quei pezzi di cartone.
Il suo cuore si ricomponeva pezzo per pezzo ogni volta che la mano riemergeva.
Carta straccia con scarabocchi di una libellula.
Un pupazzo a forma di panda.
Delle stampe di una città.
Libri.
Oggetti vari che non aveva mai visto, ma che sapeva appartenerle.
«Si può guarire, perché te lo sei fatto da sola.»
Allungò le dita verso quel pupazzo. Era nuovo, il cartellino ancora attaccato. Senza farglielo notare, nascose il prezzo e strappò l’ancora di plastica. Ci sarebbe rimasto malissimo, altrimenti.

«Non scrivi più perché ti sei nascosta in un ordine che non ti appartiene. In queste scatole ci trovi te stessa.»
Sentiva le lacrime premerle sugli occhi.
Ogni volta che le ricordava quanto la conoscesse, lei si sentiva scoppiare, andare a pezzi e ritornare intera come ricomposta da Picasso. Era una sensazione…bella.
E iniziavano a pruderle le dita. Perché quel caos che riusciva a farle nascere dentro doveva essere per forza ciò che aveva sempre voluto scrivere.
Le diede un bacio leggerissimo sulle labbra, si allontanò e si alzò.
Il vuoto improvviso si trasformò in un puro terrore.
«Dove vai?» Le mani fredde di lei a trattenere le sue.
«Vado a preparare il tè.»
Gli sorrise imbarazzata, ritirando lentamente le mani e incrociandole sul petto.
Sentì un verso contrariato.
Dopo qualche secondo, il computer giaceva con il ronzio lieve delle ventole sulle sue gambe incrociate.
«Le tue dita dovrebbero essere lì sopra. Op. Op.»
Lo guardò con il broncio.
«Non so da dove iniziare…»
«Per questo ci sono io.»
Voltò di scatto la testa, temendo di aver letto un sottotesto che forse aveva solo sperato di scorgervi.
«Quindi…» un colpo di tosse per schiarirsi la voce «Quindi… significa che resti?»
Le sorrise.


Note

Questa storia risale a gennaio di questo anno. Se spiegassi tutti i retroscena dietro queste poche righe, probabilmente mi metterei a piangere o non so. Tengo davvero tanto allo stato d'animo in cui l'ho scritta. Adesso la rileggo con un po' di nostalgia, ma per esorcizzarla, è giunto il momento di condividerla. Fatemi sapere cosa ne pensate ;)

 

 
   
 
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