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Autore: kbonny    06/08/2014    3 recensioni
A volte nella tua vita accadono cose che non puoi minimamente immaginare o prevedere. Cose che la vita può sconvolgertela, ma anche cambiartela, migliorarla, renderla unica e meravigliosa.
Genere: Romantico, Slice of life | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Kate Beckett, Nuovo personaggio, Quasi tutti, Richard Castle | Coppie: Kate Beckett/Richard Castel
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Più stagioni
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Kate terminò di scrivere il rapporto, prese il capotto e le chiavi dell’auto e uscì dal distretto. Con Emily si era sentita al telefono qualche minuto prima e si erano date appuntamento ad una delle entrate di Central Park. Fu lei la prima ad arrivare,e quando notò da lontano la ragazza avvicinarsi, alzò appena un braccio per attirare la sua attenzione. Emily intercettò la donna e la raggiunse. Aveva un sorriso speranzoso e gli occhi lucidi.
-Buon pomeriggio- la salutò timida Emily.
- Anche a te- ricambiò sincera la detective.
- Le…le va se facciamo due passi?- le chiese la ragazza.
-Certo volentieri-
Emily la condusse all’interno di Central Park e Kate decise di iniziare quella conversazione in modo leggero.
- Quindi, sei un pasticcere?-
-Già- sorrise Emily- Vivo in un mondo dolce e goloso. Credo di non potermi lamentare-
Anche Kate sorrise. – E’ da molto che sei lì?-
-No, poco meno di tre mesi, però mi piace e mi trovo molto bene anche con i colleghi-
Raggiunsero un prato semideserto. Emily si accomodò a gambe incrociate sull’erba vicino il tronco di una grossa quercia imitata poco dopo da Kate.  Nel silenzio che si era venuto a creare, la detective  la fissò qualche istante con un’espressione che diceva “quando te la senti, comincia a raccontare”. Emily sentì quello sguardo magnetico e confortante e iniziò.
-Sono nata a Miami, nel 1991. Non ho mai conosciuto i miei genitori: non ho mai saputo nulla di loro, solo che mia madre mi ha abbandonato dopo avermi messa al mondo. Ho vissuto in una orfanotrofio con molti altri ragazzini. Quando sono diventata un po’ più grande, ho iniziato a bombardare di domande quelli dell’istituto;  volevo sapere chi era mia madre, perché mi aveva abbandonato, se l’avrei mai rivista. Mentre frequentavo il liceo ho capito che avrei dovuto rimboccarmi le maniche e cercarmela da sola mia madre. Purtroppo non avevo i mezzi per poterlo fare, ma ho conosciuto un paio di persone che mi hanno aiutato molto quando ho poi iniziato l’università- Emily si fermò un istante.
- Come hai svolto le tue ricerche?- le domandò Kate .
-Purtroppo, gli istituti non sono autorizzati a dirti le generalità d chi ti ha abbandonato. Oltre a questo sembrava che i miei documenti fossero sparito dal nulla. E su questo non mentivano.-
-Che vuoi dire?-
-Un giorno sono riuscita a sgaiottolare negli archivi ed era così: la mia pratica non c’era.-
Emily si fermò giocherellando con un filo d’erba che aveva tolto dal terreno.
- Quindi cosa hai fatto?- domandò la detective.
-All’università ho conosciuto una ragazza che stava per entrare in polizia e siamo diventate molto amiche. Grazie ad alcuni colleghi del distretto in cui faceva il tirocinio ho saputo qualcosa di più. Il St. Stephen, l’istituto in cui ero cresciuta, in realtà mi aveva accolto alcuni anni dopo la mia nascita. Prima, io e altri ragazzi eravamo in una casa famiglia. Questa era stata distrutta da un incendio e li c’erano rimaste solo le suore che a suo tempo lo gestivano.-
-Immagino tu sia riuscita a parlare con una di loro- commentò Kate con un sorriso.
-Si, ma non è stato semplice. Di quel periodo ne era rimasta solo una che era in Asia per una missione umanitaria. Quindi non avendo i mezzi e la possibilità di parlarci, ho dovuto attendere il suo rientro e organizzare un incontro- concluse Emily.
 
 
 
 
Flash back (quattro mesi prima)
 
Emily bussò trepidante alla porta del convento. Venne ad aprirle una giovane suora allegra e pimpante.
-Buonasera, desidera?-
-Salve, ho un appuntamento con suor Agnes.- disse Emily
-Ah, si, prego di accomodi. La sta aspettando alla biblioteca-
Emily si fece condurre attraverso i lunghi corridoi del convento finché si fermarono all’entrata di una stanza tappezzata di scaffali colmi di libri.
-Eccola, è laggiù a quel divanetto- la informò la suona indicando un’anziana signora curva con degli occhiali molto spessi intenta a leggere un grosso volume.
Emily la ringraziò con un sorriso e si avviò verso la sua interlocutrice.
Quando la vecchia suora alzò gli occhi dalla lettura, Emily vide il suo viso illuminarsi.
-Tua madre diceva che un giorno saresti arrivata. Aveva ragione- La sua voce era un po’ stridula ma allo stesso tempo dolce.
Emily sentì un nodo in gola a quelle parole. Si sedette a fianco a lei e cercando di controllare l’emozione disse:- Sono Emily-
-So bene chi sei, cara. Tu probabilmente non sai nemmeno chi sono, ma io non scordo mai i bambini che ho tenuto fra le braccia almeno una volta-
Emily scosse la testa.
-Immagino che tua si qui per un motivo ben preciso, vero?-
Questa volta la ragazza annuì:-Sto cercando la mia famiglia. Dalle ricerche che ho fatto, non sono riuscita a cogliere nulla. Ma ora lei è l’unico spiraglio di luce che mi si è aperto davanti-
-Dimmi, piccola Emily, raccontami quello che sai-
E così Emily raccontò la sua storia, non sapendo che qualche mese più tardi l’avrebbe inaspettatamente ripetuta ad una dolce donna piombata all’improvviso davanti a lei, di nome Kate.
Suor Agnes ascoltò paziente le parole di Emily, e quando la ragazza terminò, diede la sua integrazione dei fatti.
-Vedi Emily, il giorno della tua nascita, tua madre si presentò alla nostra casa famiglia con le doglie. Era notte fonda, fuori c’era un fortissimo temporale, lei era bagnata fradicia, sofferente e coi vestiti impolverati. Ci chiese di aiutarla, che non voleva andare in ospedale, che qualcuna minacciava di farle del male. Così io e una consorella ci siamo improvvisate infermiere e ti abbiamo fatto nascere. Eri uno splendore- Emily sorrise appena imbarazzata –Tua madre disse che non ti poteva tenere. Ne valeva della tua vita. Ci chiese di tenerti con noi, facendo credere di averti trovato abbandonata all’ingresso. Tecnicamente non potevamo farlo, ma tua madre ci supplicò in lacrime mentre ti stringeva al petto. Era disperata, e non ce la siamo sentita di rifiutare. Seguendo la sua volontà ti abbiamo dato il nome Emily.-
La ragazza deglutì con gli occhi lucidi.
- Quando avevi circa due anni la casa famiglia prese fuoco, distruggendo tutti gli archivi e gran parte dello stabile-
-Mi è stato riferito, ma io non ne ho alcun ricordo- la interruppe per un attimo Emily.
- E’comprensibile. Eri molto piccola. Fu un vero miracolo che nessuno rimase ucciso. Noi non avevamo abbastanza risorse per rimettere in piedi la struttura, così tu e gli altri bambini siete stati trasferito al St. Stephen, un istituto per ragazzini orfani.
Io e le altre 4 suore della casa famiglia siamo rimaste nell’unica parte salvata dalle fiamme. Alcuni anni dopo questo fatto però, ricevetti una visita molto particolare. Era tua madre-
-Come mai era tornata da lei?- chiese Emily ansiosa.
-Mi disse che ti aveva seguito da lontano, ti aveva visto crescere osservandoti di nascosto. Disse che in quegli anni aveva cercato in tutti i modi di poterti riaccogliere con lei, ma che si erano presentati numerosi problemi. Non era sicura di riuscire a “controllarti” come prima. Mi lasciò una cosa da consegnarti quando tu fossi giunta da me-
- Come….come sapeva che sarei arrivata qui?-
-Non lo sapeva, ma credeva in te. Ti vuole un mondo di bene, ha un gran cuore, e credimi non avrebbe mai voluto abbandonarti-
- Senta…come…come si chiama mia madre?- balbettò insicura Emily.
Suor Agnes abbassò lo sguardo aspettandosi quella domanda, da un lato anche perplessa che non fosse giunta molto prima.
- Mi dispisce Emily, purtroppo non lo so. L’ho vista solo in quelle due occasioni e non me lo ha mai rivelato. L’unica che potrebbe saperlo è Suor Giselle, la consorella che era con me quella notte.-
Emily la guardò più intensamente non capendo.
- Nei due anni che sei rimasta con noi, Suor Giselle mi riferiva di alcune donazioni che arrivavano da una signora indirizzate a te. Lei gestiva la contabilità, quindi sicuramente conosceva il nome. Con l’incendio però tutti i documenti sono andati in fumo.-
-E non posso parlare con lei?- domando Emily come se fosse un’ovvia richiesta.
-Purtroppo no, è andata alla casa del Signore tre anni dopo quel fatto-
- E lei non le ha mai chiesto il nome di questa donatrice?-
Suor Agnes scosse dispiaciuta la testa: - Sarebbe bastato un’occhiata agli archivi, nel caso. E poi non avrei mai immaginato che tua madre si sarebbe fatta viva un giorno.-
Emily sospirò abbattuta posandosi pesantemente allo schienale del divano. Era giunta ad un altro vicolo cieco? Poi però le si accese una lampadina, e scattò su.
-Cosa le ha lasciato mia madre?-
La suora si allungò appena sul lato sinistro della poltrona; prese una borsa di paglia intrecciata e ne tirò fuori una grossa busta gialla.
-Questa e per te- disse Suor Agnes porgendole il pacco.
Emily la prese con mani tremanti, leggendo le due parole scritte con una bella grafia sopra di essa : “A Jim”
Emily aggrottò la fronte: -Chi è Jim?- chiese dubbiosa.
-Tua madre non l’ha detto apertamente, ma sono abbastanza sicura che sia tuo padre-
-Come fa a dirlo?-
- Mentre parlavamo le è sfuggito il fatto che guardandoti ti riconosceva in un uomo “papà Jim”. Se è stato un modo volontario o meno per farmi tenere a mente questa cosa, non lo so.-
- Le…le ha detto altro, su questo signore?-
La suora alzò le spalle: -Solo che lo aveva conosciuto a New York e che voleva fare l’avvocato-
-Quindi, lui…non sa nulla di me. Oppure non mi ha mai voluto- concluse Emily in un sussurro.
La suora la osservò senza proferir parola.
- Ma se…ma se….se mia madre voleva che in qualche modo tornassi da lei….perchè non mi ha lasciato detto dove la posso trovare? Perché lasciarmi una busta per il mio presunto padre?- sputò fuori Emily esasperata.
-Non so dirti piccola- sospirò suor Agnes –Forse trovando tuo padre, troverai anche lei-
- E come? Come lo trovo un tizio che si chiama così? Chissà quanti ce ne saranno in tutta New York! Sempre se abita ancora li e che effettivamente sia un avvocato!-
-Ricordo di aver visto una foto nel suo taccuino quel giorno.- disse la suora.
- E sarebbe in grado di riconoscerlo?- chiese Emily speranzosa a quella nuova notizia.
-Forse. Tu continua a cercare. Sono sicura che riuscirai a trovarla-
 
(Fine Flash Back)
 
 
 
 
Kate aveva ascoltato il racconto in religioso silenzio. Ma ora veniva forse la parte più importante.
-E così ho iniziato nuovamente le ricerche e sono venuta qui a New York.- continuò Emily- Ho controllato tutti gli studi legali in cerca di qualche Jim-
- Devi averne trovati parecchi!- commentò Kate.
Emily annuì:- Più di 50. Ho scemato la lista in base all’età, agli anni di servizio, al luogo in cui hanno esercitato, alla carriera che hanno avuto, e sono arrivata a 5. Sono tornata da suor Agnes con le foto di queste persone per vedere se ne riconosceva qualcuna. E’ stato abbastanza difficile, anche perché erano passati quasi vent’anni, sia per lei, sia per questo Jim. All’inizio non riconosceva nessuno di loro, ma poi grazie ad un amico ho modificato i volti delle persone con il programma sul PC che ringiovanisce le foto. E così in Jim Beckett ha riconosciuto la foto vista nel taccuino di mia madre. Ed eccomi qui.-
Kate aveva ancora la mente che elaborava tutti quei fatti, ma voleva comunque sapere qualcosa di più di quella ragazza.
- Emily, tu, hai sempre vissuto in orfanotrofio? Voglio dire, non sei mai stata affidata a qualche famiglia?-
-No, anche se ce n’è stata l’occasione-
-Che vuoi dire?-
Emily indugiò : -Mi scusi…è che… è una cosa un po’…personale, e al momento non sono pronta per parlarne con qualcuno-
Kate annuì comprensiva, in fondo anche lei era così.
- So che può essere una domanda un po’ forte, ma secondo te, perché tua madre ti ha abbandonato?-
Emily abbassò lo sguardo. Lo rialzò poco dopo fissando Kate:- Anche la mi risposta è un po’ forte…. Ecco…io…credo che abbia avuto una storia con tuo padre. Probabilmente non poteva mantenermi. Penso però che sia una persona sensibile ed abbastanza umile tanto da non presentarsi con questo, diciamo, problema, da un uomo sposato, rischiando di mandare allo sfascio una famiglia.-
Kate apprezzò la sua sincerità, anche se quelle parole doveva ammetterlo, una pugnalata al petto gliela avevano data.
-Emily….cosa c’era dentro alla busta?-
- Non lo so, per questo ho bisogno di parlare con tuo padre- sussurrò la ragazza.
Kate la guardò stupita e un po’ confusa, sicura di aver perso qualche passaggio.
-Cioè, fammi capire: tu non l’hai aperta???-
-No, perché non era indirizzata a me e poi…-
-E poi?-
-Ho paura di sapere cosa contiene- ammise Emily con un filo di voce.
-Senta….-proseguì un istante dopo –Suo padre mi ha dato bene da intendere che non mi vuole ne vedere ne parlare….se…se dessi a lei quella busta, gliela potrebbe consegnare da parte mia?-
Kate aprì e chiuse la bocca come a cercare una risposta a quella richiesta che certamente non si aspettava.
-Quando l’ho incontrato non ho avuto la forza di lasciargliela, non dopo la reazione che ha avuto. E in questo momento non ce la faccio a ripresentarmi da lui. Però mi creda quella busta sopra il comodino diventa ogni giorno un macigno sempre più pesante da sostenere.  Forse a lei darebbe ascolto-
Kate meditò ancora qualche istante. Voleva anche lei delle risposte, così cedette : -D’accordo, gliela farò avere. Però, per il tuo bene, non farti troppe illusioni. Almeno finché non sarà tutto chiarito- Il suo tono però non era di rimprovero, voleva solo evitare a quella ragazzina l’ennesima delusione.
Emily la ringraziò annuendo con un timido sorriso: - Grazie. Venga, andiamo-
 
L’appartamento di Emily era piuttosto piccolo: un semplice trilocale ben sistemato e molto illuminato.
-Non è un gran che, ma ci sto bene, e per il momento non posso permettermi di più- disse Emily notando l’espressione un po’ meravigliata della detective. – Arrivo tra un istante- aggiunse dirigendosi in camera.
Kate osservò il piccolo soggiorno, e la cosa che più la incuriosì fu quella di non vedere alcuna fotografia appesa o appoggiata su qualche ripiano.
-Le posso offrire un caffè?- chiese la ragazza giungendo alle sue spalle-
-Ti ringrazio, ma sono a posto così. Anzi si è fatto tardi e dovrei andare- dichiarò la detective.
-Ok. Ecco tenga-  Emily le porse la busta.
Nel momento in cui la prese fra le mani e puntò l’occhio sulla scritta, Kate si sentì gelare il sangue. Un capogiro la invase; sentiva che sarebbe svenuta da un momento all’altro. Stava per crollare, aveva bisogno di prendere una boccata d’aria. Cercò di ricomposi per non dare a vedere la sua preoccupazione:- Emily, ti farò sapere.- la informò con voce leggermente tremante.
-Va bene. Grazie mille-
La detective uscì dalla casa dopo una breve stretta di mano, sentendo alle spalle il leggero tonfo della porta che si chiudeva.
 
Kate fece appena in tempo ad entrare in auto che scoppiò in un pianto straziante. Non poteva essere. Non voleva crederci. Questo stravolgeva tutto. Tutto ciò che aveva pensato era sbagliato. Ma allora, suo padre sapeva? Perché non le aveva detto niente? Com’era possibile tutto quello?
Respirò a fondo tentando di calmarsi. Dopo più di mezz’ora trovò la forza e la lucidità di partire e dirigersi alla casa di suo padre.
Quando le aprì, Jim fu abbastanza sorpreso di vedere la figlia.
- Katie…che succede?- la accolse preoccupato notando il volto scioccato della donna.
-Dobbiamo parlare!- disse secca entrando a lunghe falcate.
Jim la seguì basito. Senza giro di parole Kate arrivò subito al dunque.
- Sono appena stata a parlare con Emily- iniziò decisa.
-Cosa hai fatto?- domandò suo padre con un tono di disappunto. –Ti avevo chie…-
-Lasciamo finire!- la interruppe la donna. Jim si zittì. –Ho detto, sono andata a parlare con Emily, e sai, penso proprio che abbia ragione! Penso sia tua figlia!-
Jim la guardò con occhi duri:- Katie, come ti ho detto è impossibile! Ti giuro che non ho mai tradito Johanna!-
-Io non ho detto questo!- continuò Kate reggendo il suo sguardo.
Jim sembrò vacillare e il suo viso si dipinse di stupore -Ma..ma…hai detto che..- balbettò senza capire.
- Papà- lo interrupe nuovamente la detective con voce un po’ traballante – Io penso che lei sia figlia tua…e della mamma-

 
  
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