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Autore: Astrea_    08/08/2014    1 recensioni
[Dal primo capitolo]
Sapevano che erano esattamente come tante piccole mine vaganti, senza passato né futuro, anime che si affannavano per sopravvivere, che si sbracciavano per rimanere a galla nell’oceano increspato della vita. Si sforzavano di cercare contatti, di trovare stabilità, amore ed affetto. Fingevano di comprendersi, di esserci l’uno per l’altro, di essere uniti, ma in realtà sapevano di essere terribilmente soli. Non erano un gruppo, ma solo l’unione di individualità problematiche, di adolescenti troppo presi ad affrontare le difficoltà del piccolo mondo nel quale si rinchiudevano. Erano fragili, talmente tanto che sarebbe bastata una sola folata di vento per raderli al suolo, ridurli a brandelli. Erano forti, tanto forti da mascherare le loro più grandi paure, l’incolmabile vuoto che sentivano nei loro petti e nelle loro menti.
STORIA ISPIRATA ALLA SERIE TELEVISIVA "SKINS".
Genere: Drammatico, Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Nuovo personaggio, Un po' tutti
Note: OOC | Avvertimenti: nessuno
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NIALL

Charlotte si accucciò contro la spalla nuda di Niall, percependone il calore emanato dalla pelle. Adorava quella sensazione di familiarità e sicurezza che l’aveva avvolta non appena Niall aveva circondato la sua schiena con un braccio, per stringerla forte a sé. I capelli biondi della ragazza, colorati da delle accese ciocche rosa, si spargevano sulla federa bianca che copriva il cuscino. Niall sfiorò con un dito la sua guancia e lei, quasi come fosse segretamente collegata a lui, voltò di scatto lo sguardo in direzione di quegli occhi azzurri.
“Sto bene”, ammise in un sussurro, quasi sulla pelle di Niall. “Sto bene con te”, chiarì accennando ad un lieve sorriso, subito ricambiato dal biondo.
“L’avevo capito anche quando hai urlato il mio nome appena cinque minuti fa”, scherzò lui, sfiorando i capelli di Charlie con le labbra.
Lei, in reazione, piantò una leggera gomitata nello stomaco del ragazzo, mentre i suoi lineamenti si piegavano in una smorfia.
“Per una volta che dico qualcosa di carino”, si lamentò, prima che la sua voce fosse sopraffatta dalla risata cristallina e gioiosa di Niall.
“Eri carina quando ti preoccupavi per Louis. Eri carina quando da lontano continuai ad osservarlo per accertarti che stesse bene”, iniziò Niall, giocando con una ciocca dei capelli di Charlie.
Il suo tono basso e roco l’aveva completamente rapita, tanto da renderle impossibile pensare ad altro.
“E sei carina tutte le volte che, quando sei agitata, le tue mani si muovono frenetiche, sei carina quando credi di poter salvare il mondo anche solo con la raccolta differenziata e sei carina quando pensi che la cosa migliore da fare sia anche quella più giusta”, continuò scendendo fino ad accarezzarle il viso.
“Sei sempre carina, lo sei sempre stata. E carina è persino riduttivo, ma so benissimo che se anche usassi un aggettivo più appropriato, tu comunque non mi crederesti”, concluse puntando i suoi grandi e chiari occhi azzurri in quelli di ghiaccio della ragazza.
Charlie tratteneva il respiro, emozionata. Sentiva il cuore battere forte nel petto e la vista farsi sempre meno lucida. La dolcezza di Niall era un qualcosa a cui lei ancora non riusciva a fare l’abitudine. Finiva per sconvolgerla ogni volta come la prima e forse ancora di più. Niall sembrava penetrare in lei, nella sua mente, nel suo cuore, giungendo nella parte più intima della sua anima e probabilmente ancora non ne era neppure del tutto consapevole.
Charlie sorrise ancora una volta, prima di far combaciare le loro labbra in un dolce e sentito bacio.
“Finalmente sei tornato in questo inferno!”, esclamò Louis, accogliendo Zayn all’ingresso del Kensington & Chelsea College.
Erano ormai passati già alcuni giorni da quella notte, il necessario affinché Zayn si rimettesse in forze.
Louis aveva atteso con ansia questo momento. Aveva atteso che si risvegliasse, quella notte, e poi aveva atteso che si sentisse nuovamente bene. Voleva vederlo sorridere beffardo come prima, in piedi o, magari, alla guida della sua adorata auto, ma per il momento si doveva accontentare di un viso sul quale i lividi erano ormai quasi del tutto scomparsi.
“Quasi preferivo restare a casa”, borbottò allontanandosi dall’auto del padre che quella mattina lo aveva accompagnato.
Louis sorrise, prima di fiondarsi a braccia aperte sull’amico, per abbracciarlo. Era bello riaverlo lì, poterlo nuovamente vedere tutti i giorni, sentirlo lamentarsi o imprecare cronicamente. Era talmente abituato a condividere ogni attimo della sua vita con il moro che quell’assenza prolungata di Zayn l’aveva quasi reso più vulnerabile, rendendolo consapevole di quanto lui fosse importante nella sua vita. Era il suo migliore amico, il suo unico appiglio, l’unico sul quale avrebbe potuto fare sempre affidamento, indipendentemente da qualsiasi altro fattore.
“Così mi strangoli. Manteniamo le distanze, se nono vuoi rivedermi in un letto d’ospedale a breve”, bofonchiò l’altro, imbarazzato da quel prolungato contatto che si era stabilito tra i loro corpi proprio davanti all’ingresso principale e che, di certo, non stava passando inosservato.
Louis ridacchiò, poi assecondò la sua richiesta.
“Come ti senti?”, chiese mentre si appropinquavano ad entrare.
“Come uno che è stato menato di brutto”, ironizzò Zayn, frugando nelle tasche del giubbino di pelle alla ricerca del suo pacchetto di sigarette.
Quei giorni a casa erano stati particolarmente difficili per lui. Non era abituato a ricevere tutte quelle attenzioni dai suoi genitori. Sua madre si era premurata di fargli avere sempre uno spuntino accanto, così da non costringerlo ad alzarsi qualora avesse avuto fame. Suo padre gli aveva addirittura proposto una sfida con la playstation per distrarlo. Non era rimasto neppure un attimo da solo. All’inizio pensava che la causa di ciò fosse da ricollegare alle sue precarie condizioni fisiche, ma con il passare dei giorni aveva capito che i suoi genitori erano intimoriti. Avevano paura di colui o coloro che lo avevano ridotto in quelle condizioni, temevano che potesse succedere nuovamente, si incolpavano delle loro eccessive assenze.
“Zayn, credo tu debba sapere una cosa”, sentenziò Louis quando il suo sguardo cadde sulla figura esile, ma sicura di Millie.
Aveva preferito tacere su ciò che era successo quella stessa notte alla ragazza. Sapeva quanto Zayn si sentisse responsabile per quello che stava accadendo a Millie e non voleva ulteriormente aggravare le sue condizioni.
Zayn corrugò la fronte, squadrando Louis con fare interrogativo.
Louis chinò d’istinto la testa, indeciso sulle parole che avrebbe dovuto utilizzare. Sapeva che ne avrebbe sofferto, sapeva che si sarebbe maledetto per non aver provato a darci un taglio prima, sapeva che Zayn era molto meno menefreghista di quello che in realtà appariva.
Tuttavia, non aveva scelta. Ora che Zayn era tornato a frequentare i corsi, era certo che ne sarebbe venuto comunque a conoscenza, magari a causa di quegli odiosi pettegolezzi e chiacchiericci che rumoreggiavano tra i corridoi e le aule.
“La stessa notte in cui tu…”, non riuscì neppure a terminare la frase a quel ricordo.
Zayn non se n’era mai andato, non lo aveva abbandonato, era rimasto sempre al suo fianco e Louis non poteva perderlo, non voleva, non proprio lui.
“Anche Millie si è sentita male”, riprese con voce tremante, quasi temesse una sua reazione.
Il moro si irrigidì all’istante, iniziando già ad intuire cosa quella frase volesse in realtà significare.
“Spiegati bene, Louis”, gli ordinò con voce vitrea, fermandosi di scatto proprio davanti alla bacheca degli avvisi dell’atrio.
Louis sospirò, lanciando una nuova e veloce occhiata a Millie. Lei aveva gli occhi ben saldi su Zayn, ne stava studiando l’espressione ed i tratti e, probabilmente, stava cercando anche di capire su cosa vertesse la conversazione tra i due amici.
“Credo abbia di nuovo esagerato. Suo padre l’ha portata in una clinica privata. Ha ripreso a frequentare i corsi solo l’altro ieri. Stanno girando parecchie voci sul suo conto, pare suo padre la voglia far seguire da qualche specialista”, spiegò, intrecciando le dita della mano destra tra i capelli.
Zayn fece vagare lo sguardo, sconcertato da quella notizia, fino a quando le sue iridi ambrate incontrarono il viso crucciato e sovrappensiero di Millie.
Era lì, con il volto scavato, gli occhi persi, l’aria fintamente altezzosa e un vestito d’alta moda indosso. Perfettamente truccata, agghindata come per una grande occasione, tanto bella da poter far invidia a qualsiasi altra ragazza. Zayn strinse forte la mano in un pugno. Millie stava distruggendo ciò che le restava della sua vita. Aveva avuto una bella famiglia, una casa ampia e spaziosa e tanti soldi da poter realizzare con essi tutti i suoi più assurdi capricci. Il destino le aveva portato via una parte, forse la più importate, delle sue ricchezze. Sua madre e suo fratello non c’erano più e con essi neppure la gioia, l’amore e la serenità. Pezzo dopo pezzo, il suo fantastico, grandioso mondo si stava sgretolando e lei, anziché combattere, non faceva altro che velocizzare quella distruzione.
 Di scatto, senza neppure pensare alle conseguenze a cui le sue azioni avrebbero irrimediabilmente condotto, si avviò con passo deciso in direzione di Millie.
“Dove vai?”, domandò Louis, preoccupato da quel repentino gesto. “Zayn, andiamo, non fare cazzate!”, lo richiamò ancora, cercando di trattenerlo.
Tuttavia quelle parole giunsero all’orecchio del moro come un sottofondo ovattato a cui, ne era sicuro, non era affatto intenzionato a dare ascolto.
“Ciao”, salutò quando fu a pochi centimetri da Millie.
La ragazza sobbalzò quasi, sorpresa da quel gesto. Non era per nulla abituata ad essere avvicinata da Zayn, non nel bel mezzo del corridoio in un orario tanto affollato quale quello dell’inizio delle lezioni. Solitamente era lei a cercarlo, era sempre stata lei a cercarlo.
“Non ho bisogno di nulla, grazie”, lo liquidò con un sorriso maligno sulle labbra, alludendo chiaramente alle sostanze che abitualmente comprava proprio dal ragazzo.
Zayn ridusse gli occhi a due fessure per la rabbia, poi non riuscì a trattenere un pugno scagliato contro l’armadietto in metallo, ad appena una spanna dalla superficie sulla quale era appoggiata Millie.
La ragazza sussultò per lo spavento. Mai lo aveva visto tanto arrabbiato, Zayn era quel tipo di persona capace di controllarsi, di reprimere gli istinti, di autoregolarsi.
“Sei egoista”, esordì Zayn, inchiodandola con il suo corpo per evitare che si allontanasse. “Sei tanto egoista da non riuscire a vedere quanto tua sorella stia soffrendo, quanto tutti siano preoccupati, quanto male tu stia procurando alla tua famiglia”, l’accusò ad un soffio dal suo viso.
Millie deglutì. Sentiva le gambe tremare ad ogni lettera, il suo cuore scalpitava impazzito. Non voleva ascoltarlo, non voleva sentire quelle vane insinuazioni sul suo conto.
“Non ho tempo per chiacchierare con te”, provò a dire, nel tentativo di liberarsi dalla soffocante compagnia di Zayn.
“E sei menefreghista, tanto che non t’importa nulla, tanto che non vuoi parlarne, che vuoi far finta di nulla, ignorare”, riprese lui, deciso a non dargliela vinta. “Come se ciò fosse sufficiente a cancellare tutto!”, sbottò poi, facendo rabbrividire Millie per il tono adirato e perentorio della sua voce.
“Va’ via, Zayn. Non voglio sentire le tue cazzate”, riprovò allora, fingendosi calma ed impassibile.
Il moro ghignò, quasi rassegnato dal comportamento ostentato dalla ragazza.
Poteva distintamente vedere i suoi occhi sbattere frenetici nel tentativo di impedire alle lacrime di rigarle il viso, ma le sue labbra erano ancora piegate in un sorriso spavaldo e sicuro, la testa era alta ed il portamento deciso.
“E sei superficiale, tanto da tenere al tuo aspetto più che di ogni altra cosa”, inveì ancora contro di lei. “Ma dimmi, Millie, credi davvero che sia tutto qui?”, le chiese, sfidandola con lo sguardo. “Credi che sia tutto riconducibile ad una borsa firmata e un bel vestito?”, la schernì.
“Smettila, ho detto smettila”, ripeté Millie, annaspando quasi. “Sta’ zitto, diamine”, gli ordinò, ormai al limite del suo autocontrollo.
“Tu hai continuato a farti e, mentre tu ti facevi, io ero lì fuori perché, cazzo, mi sentivo in colpa!”, quasi urlò in un sussurro.
I lineamenti di Zayn erano duri, la sua mascella tesa, gli occhi ambrati fissi sul viso disorientato di Millie. Aveva il respiro corto, come se non alzare la voce gli avesse richiesto uno sforzo fuori dal comune.
Millie voltò il viso, cercando un qualcosa che catturasse la sua attenzione per distrarla da quegli opprimenti pensieri. Sapeva cosa era successo a Zayn, lo aveva saputo sin dal mattino successivo a quella notte. Si vergognava profondamente di ciò. Lui era riuscito a dire basta, a cercare di cambiare, mentre lei era ancora eccessivamente legata a quella vita che la stava distruggendo, che l’avrebbe condotta alla morte.
“E sei viziata, perché non conosci limiti, perché soddisfare i tuoi subdoli desideri viene prima di ogni cosa, qualsiasi cosa”, continuò Zayn, questa volta con voce più cauta, quasi ferita. “Non credo tua madre e tuo fratello sarebbero orgogliosi di vederti così”, terminò un attimo prima che un sonoro schiaffò risuonò per il corridoio.
In un attimo il palmo della mano destra di Millie era finito sulla guancia di Zayn, colpendola quasi inconsapevolmente, con il fiato sospeso.
La ragazza ritirò la mano, imbarazzata. Aveva esagerato, aveva nuovamente sbagliato. Zayn aveva ragione, era solo una stupida ragazzina egoista, menefreghista, superficiale e viziata di cui nessuno, benché minimo la sua famiglia, sarebbe stato orgoglioso. E lei si era ancora una volta dimostrata immatura. Aveva reagito a quelle parole come un automa, non riuscendo a tollerare quanta verità contenessero. Non avrebbe dovuto mai permettersi di pronunciare quella frase, mai, nonostante fosse intrisa di sincerità.
Zayn boccheggiò, senza tuttavia riuscire a dire nulla. Si era pentito all’istante di ciò che aveva detto, dell’ultima frase con la quale aveva inveito contro Millie. Non aveva il diritto di rinfacciarle una cosa simile, soprattutto viste le circostanze.
Le lanciò un ultimo sguardo. Millie aveva la testa bassa e le mani nascoste dietro la schiena. Si mordicchiava il labbro inferiore, riflettendo su chissà cosa.
Zayn tirò un lungo sospirò, poi si voltò e velocemente andò via, dirigendosi verso l’aula.
“Ehi, Margaret!”, la salutò Bree, avvicinandosi alla ragazza durante la pausa.
Margaret perlustrò velocemente la zona con gli occhi, accorgendosi che era ormai troppo tardi per fingere di non aver notato la rossa che a passo deciso avanzava verso di lei con un ampio sorriso sulle labbra.
“Ciao”, ricambiò tentennante.
“Che fine hai fatto?”, chiese quando finalmente l’ebbe raggiunta. “È da troppo che non ti si vede in giro”, commentò affiancandola sul muretto sul quale era appoggiata.
Margaret forzò un’espressione divertita, che tuttavia somigliava molto più ad una smorfia infastidita.
Era ormai da tre giorni che non si presentava a scuola, ancora sconvolta per ciò che era successo a suo padre. Non ne aveva parlato con nessuno. Sua madre aveva chiesto la massima riservatezza sugli atti e sulle indagini, almeno fino a quando tutto non fosse stato appurato con delle prove tangibili, ma le voci erano già iniziate a correre nel quartiere.
“Ho avuto un po’ di febbre”, mentì. “Mia madre ha preferito tenermi con lei al caldo, a casa”, inventò allora, per dar maggiore credibilità a quella banale scusa.
“Ah, mi dispiace. Però ora stai meglio, vero?”, riprese poco dopo Bree, squadrando con attenzione il viso della ragazza.
Aveva delle occhiaie marcate, gli occhi vuoti ed arrossati, lo sguardo spaurito e spiazzato. Persino il suo aspetto non era dei migliori. Indossava dei semplici jeans ed un maglioncino azzurro, un look troppo semplice per quelli che le piaceva sfoggiare abitualmente.
“Benissimo”, dichiarò provando a sorridere, senza tuttavia riuscire a convincere la rossa, ormai sempre più scettica.
“Bree!”, la voce di Liam giunse all’orecchio della ragazza come un richiamo che non avrebbe mai potuto ignorare.
Si voltò di scatto, alla ricerca del castano che aveva prontamente riconosciuto.
“Non dovevi passare a restituirmi i miei vecchi appunti di francese?”, chiese con tono ilare, palesando il suo buon umore.
Bree sorrise, sventolando il quadernetto che teneva tra le mani per farglielo notare. Stava per raggiungerlo, quando si ricordò di Margaret. Voltò il viso in sua direzione, rimanendo completamente sorpresa nel non ritrovarla più al suo fianco. In appena un attimo di distrazione Margaret era sparita, andata via, scappata.
“Arrivo”, borbottò solo, rimuginando su cosa stesse turbando la ragazza.
“Tutto bene?”, le domandò Liam, avendo notato lo sguardo affranto della ragazza.
“Credo che Margaret stia passando un brutto momento”, confessò in un sussurro, sospirando.
“Beh, lo è per molti, in realtà”, replicò lui, ripensando a tutti quegli eventi che stavano stravolgendo la routine in quell’ultimo periodo.
Il cortile era parecchio affollato, tanto che un chiacchiericcio generale si alzava da quella massa di studenti. Non faceva freddo quel giorno, ragion per cui quasi tutti ne avevano approfittato per trascorrere all’aria aperta quei minuti di intervallo.
“Posso abbracciarti?”, chiese d’un tratto Bree, con un filo di voce e lo sguardo basso, mentre il rossore imporporava le sue guance.
Se ci fosse stato Louis al posto di Liam, non avrebbe neppure fatto quell’assurda domanda. Avrebbe agito senza porsi eccessivi problemi. Ma con Liam era tutto diverso. Bisognava fare i conti con la sua personalità piuttosto articolata, con la sua smania di apparire sempre perfetto, con l’aria altezzosa ed il contegno che si imponeva di rispettare.
Già una volta lo aveva visto preferire ignorarla, piuttosto che avvicinarla, e temeva terribilmente che quel giorno avrebbe fatto la stessa ed identica scelta.
Non sapeva quanto ed in che misura Liam fosse disposto a mettersi in gioco davanti agli altri.
“Vieni qui”, mormorò soltanto lui, prima di avvolgere la rossa tra le sue braccia.
Non gli importava di quello che la gente avrebbe detto, degli snervanti e continui cambi di programma a cui Bree lo costringeva, seppur inconsapevolmente.
Voleva solo alleviare quella sensazione di angoscia che si era impossessata della ragazza dagli occhi verdi, il resto, almeno per quel momento, avrebbe potuto tranquillamente tralasciarlo.
“Volevo parlarti”, la voce sicura di Audrey quasi fece sobbalzare Harry per lo spavento, intento com’era a sistemare i libri nel suo armadietto.
La giornata era trascorsa piuttosto velocemente. Aveva intravisto Audrey più volte per i corridoi, in cortile o nelle varie aule, ma mai una volta era riuscito a trovare il coraggio necessario per salutarla. Era stufo, stufo di doverla aspettare, di doverla comprendere. Ci aveva provato, aveva provato a mettere da parte la sua timidezza e la sua incertezza, aveva persino tentato di andare oltre le barriere di cui Audrey si circondava, ma ciò che aveva ricevuto era solo una serie di no. Era scappata quando lui le aveva chiesto di uscire e lo aveva quasi ignorato quando si era presentato in ospedale.
“Dimmi”, la incitò, mentre poggiava l’ultimo volume sul ripiano.
“Volevo chiederti scusa”, ammise mormorando, quasi quelle parole le costassero troppo.
Harry aggrottò la fronte, spiazzato, poi si voltò finalmente in sua direzione, volgendole lo sguardo.
“Come?”, chiese, per nulla sicuro di ciò che aveva appena udito.
“Volevo chiederti scusa”, ripeté Audrey, cercando di dare un tono dignitoso alla sua voce.
“Scusa per cosa di preciso?”, domandò con un filo di ironia di cui non si credeva neppure capace.
Audrey sbuffò, leggermente seccata dal comportamento del riccio. Se non avesse avuto la più assoluta certezza di essere nel torto e, soprattutto, di essergli riconoscente per ciò che aveva fatto non si sarebbe mai cimentata in una cosa del genere.
“Scusa per come mi sono comportata, sono stata piuttosto stronza”, chiarì allora, con lo sguardo basso e le labbra incurvate in un accenno di un sorriso imbarazzato.
Harry schiuse le labbra per la sorpresa, sgranando leggermente gli occhi. Delle scuse tanto esplicite da parte di Audrey era davvero l’ultima cosa che pensava di poter sentire. Era già piuttosto difficile intercettare delle parole gentili fuoriuscire dalla sua bocca, delle scuse, poi, erano del tutto improbabili.
Ma in quel momento Audrey era lì, a pochi centimetri da lui, che, con lo sguardo incerto ed il viso imbarazzato, chiedeva il suo perdono.
“E grazie”, aggiunse subito dopo, non lasciandogli neppure il tempo di replicare.
Gli occhi verdi, ora nuovamente confusi, di Harry la costrinsero a specificare anche quella volta ciò a cui si stesse riferendo, così si affrettò a parlare prima che fosse il riccio a chiederle spiegazioni. Sapeva che una sola parola di Harry sarebbe stata in grado di interromperla, di farle perdere il filo del discorso e lei non voleva assolutamente rischiare di non dirgli ciò che da troppo rimuginava nella sua testa.
“Grazie per non essertene andato, per essere rimasto”, sussurrò con voce tremante, quasi pronunciare quelle parole ad alta voce richiedesse per lei uno sforzo non indifferente.
“Grazie per non avermi dato ascolto”, terminò riuscendo finalmente ad alzare il volto, per poi incontrare immediatamente il viso di Harry.
Aveva un sorriso rassicurante disegnato sulle sottili labbra e i suoi occhi la fissavano come a cercare di metterla a suo agio, come fremesse per fare qualcosa. Ma tutto ciò che Harry fece fu portare una mano tra i suoi ricci ed indomabili capelli.
“In effetti non sei stata particolarmente convincente”, scherzò allora, per alleggerire quella piega seriosa che aveva preso la loro conversazione.
Audrey soffocò una risata, mordendo con i denti il labbro inferiore.
Forse, si trovò a pensare Harry, non era tutto perduto. Forse Audrey aveva solo bisogno di più tempo, persino più di lui, prima di potersi abituare alla presenza di un’altra persona nella sua vita.
E, forse, quel momento era finalmente arrivato.

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Angolo Autrice
Buongiorno a tutti!:D Stavolta mi sono decisa ad aggiornare di mattina, cosa piuttosto rara,
ma visto che ormai mi sono alzata a causa di un disperato tentativo di studio, almeno ne ho aprofittato per concludere qualcosa.
Comunque, quetsa volta non c'è nessun motivo sul perché il capitlo porti il nome di Niall,
forse l'unica ragione sta nel fatto che ho iniziato a parlare di lui e non sono riuscita proprio a prendere in considerazione gli altri.
Charlie e Niall sono sempre più dolci e teneri e il loro rapporto comincia a solidificarsi.
Zayn torna a scuola ed ad attenderlo c'é Louis con una notizia alla quale Zayn non reagisce affatto bene.
E così eccolo nuovamente a battibeccare con Millie.
Un passo avanti per Liam e Bree, che sembrano decisamente più tranquilli nel gestire il loro rapporto,
ed un passo avanti anche per Audrey ed Harry. Lei finalmente si rende conto del suo comportamento e chiede scusa al riccio.
Infine, Margaret continua ad essere sempre più distante ed assente.
Bene bene, questo è quanto. Ringrazio chi segue, ricorda, preferisce e legge!:D
Se vi va, lasciate pure un commento o un consiglio, ve ne sarei grata!;)
Alla prossima,
                                                                                     
 Astrea_

  
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