NIALL
Charlotte
si accucciò contro la spalla nuda di
Niall, percependone il calore emanato dalla pelle. Adorava quella
sensazione di
familiarità e sicurezza che l’aveva avvolta non
appena Niall aveva circondato
la sua schiena con un braccio, per stringerla forte a sé. I
capelli biondi
della ragazza, colorati da delle accese ciocche rosa, si spargevano
sulla
federa bianca che copriva il cuscino. Niall sfiorò con un
dito la sua guancia e
lei, quasi come fosse segretamente collegata a lui, voltò di
scatto lo sguardo
in direzione di quegli occhi azzurri.
“Sto
bene”, ammise in un sussurro, quasi sulla
pelle di Niall. “Sto bene con te”,
chiarì accennando ad un lieve sorriso,
subito ricambiato dal biondo.
“L’avevo
capito anche quando hai urlato il mio
nome appena cinque minuti fa”, scherzò lui,
sfiorando i capelli di Charlie con
le labbra.
Lei,
in reazione, piantò una leggera gomitata
nello stomaco del ragazzo, mentre i suoi lineamenti si piegavano in una
smorfia.
“Per
una volta che dico qualcosa di carino”,
si lamentò, prima che la sua voce fosse sopraffatta dalla
risata cristallina e
gioiosa di Niall.
“Eri
carina quando ti preoccupavi per Louis.
Eri carina quando da lontano continuai ad osservarlo per accertarti che
stesse
bene”, iniziò Niall, giocando con una ciocca dei
capelli di Charlie.
Il
suo tono basso e roco l’aveva completamente
rapita, tanto da renderle impossibile pensare ad altro.
“E
sei carina tutte le volte che, quando sei
agitata, le tue mani si muovono frenetiche, sei carina quando credi di
poter
salvare il mondo anche solo con la raccolta differenziata e sei carina
quando
pensi che la cosa migliore da fare sia anche quella più
giusta”, continuò
scendendo fino ad accarezzarle il viso.
“Sei
sempre carina, lo sei sempre stata. E
carina è persino riduttivo, ma so benissimo che se anche
usassi un aggettivo
più appropriato, tu comunque non mi crederesti”,
concluse puntando i suoi
grandi e chiari occhi azzurri in quelli di ghiaccio della ragazza.
Charlie
tratteneva il respiro, emozionata.
Sentiva il cuore battere forte nel petto e la vista farsi sempre meno
lucida.
La dolcezza di Niall era un qualcosa a cui lei ancora non riusciva a
fare
l’abitudine. Finiva per sconvolgerla ogni volta come la prima
e forse ancora di
più. Niall sembrava penetrare in lei, nella sua mente, nel
suo cuore, giungendo
nella parte più intima della sua anima e probabilmente
ancora non ne era
neppure del tutto consapevole.
Charlie
sorrise ancora una volta, prima di far
combaciare le loro labbra in un dolce e sentito bacio.
“Finalmente
sei tornato in questo inferno!”,
esclamò Louis, accogliendo Zayn all’ingresso del Kensington
&
Chelsea College.
Erano
ormai passati già alcuni giorni da
quella notte, il necessario affinché Zayn si rimettesse in
forze.
Louis
aveva atteso con ansia questo momento.
Aveva atteso che si risvegliasse, quella notte, e poi aveva atteso che
si sentisse
nuovamente bene. Voleva vederlo sorridere beffardo come prima, in piedi
o,
magari, alla guida della sua adorata auto, ma per il momento si doveva
accontentare di un viso sul quale i lividi erano ormai quasi del tutto
scomparsi.
“Quasi
preferivo restare a casa”, borbottò
allontanandosi dall’auto del padre che quella mattina lo
aveva accompagnato.
Louis
sorrise, prima di fiondarsi a braccia
aperte sull’amico, per abbracciarlo. Era bello riaverlo
lì, poterlo nuovamente vedere
tutti i giorni, sentirlo lamentarsi o imprecare cronicamente. Era
talmente
abituato a condividere ogni attimo della sua vita con il moro che
quell’assenza
prolungata di Zayn l’aveva quasi reso più
vulnerabile, rendendolo consapevole
di quanto lui fosse importante nella sua vita. Era il suo migliore
amico, il
suo unico appiglio, l’unico sul quale avrebbe potuto fare
sempre affidamento,
indipendentemente da qualsiasi altro fattore.
“Così
mi strangoli. Manteniamo le distanze, se
nono vuoi rivedermi in un letto d’ospedale a
breve”, bofonchiò l’altro,
imbarazzato da quel prolungato contatto che si era stabilito tra i loro
corpi
proprio davanti all’ingresso principale e che, di certo, non
stava passando
inosservato.
Louis
ridacchiò, poi assecondò la sua
richiesta.
“Come
ti senti?”, chiese mentre si
appropinquavano ad entrare.
“Come
uno che è stato menato di brutto”,
ironizzò Zayn, frugando nelle tasche del giubbino di pelle
alla ricerca del suo
pacchetto di sigarette.
Quei
giorni a casa erano stati particolarmente
difficili per lui. Non era abituato a ricevere tutte quelle attenzioni
dai suoi
genitori. Sua madre si era premurata di fargli avere sempre uno
spuntino
accanto, così da non costringerlo ad alzarsi qualora avesse
avuto fame. Suo
padre gli aveva addirittura proposto una sfida con la playstation per
distrarlo. Non era rimasto neppure un attimo da solo.
All’inizio pensava che la
causa di ciò fosse da ricollegare alle sue precarie
condizioni fisiche, ma con
il passare dei giorni aveva capito che i suoi genitori erano
intimoriti. Avevano
paura di colui o coloro che lo avevano ridotto in quelle condizioni,
temevano
che potesse succedere nuovamente, si incolpavano delle loro eccessive
assenze.
“Zayn,
credo tu debba sapere una cosa”,
sentenziò Louis quando il suo sguardo cadde sulla figura
esile, ma sicura di
Millie.
Aveva
preferito tacere su ciò che era successo
quella stessa notte alla ragazza. Sapeva quanto Zayn si sentisse
responsabile
per quello che stava accadendo a Millie e non voleva ulteriormente
aggravare le
sue condizioni.
Zayn
corrugò la fronte, squadrando Louis con
fare interrogativo.
Louis
chinò d’istinto la testa, indeciso sulle
parole che avrebbe dovuto utilizzare. Sapeva che ne avrebbe sofferto,
sapeva
che si sarebbe maledetto per non aver provato a darci un taglio prima,
sapeva
che Zayn era molto meno menefreghista di quello che in
realtà appariva.
Tuttavia,
non aveva scelta. Ora che Zayn era
tornato a frequentare i corsi, era certo che ne sarebbe venuto comunque
a
conoscenza, magari a causa di quegli odiosi pettegolezzi e
chiacchiericci che
rumoreggiavano tra i corridoi e le aule.
“La
stessa notte in cui tu…”, non riuscì
neppure a terminare la frase a quel ricordo.
Zayn
non se n’era mai andato, non lo aveva
abbandonato, era rimasto sempre al suo fianco e Louis non poteva
perderlo, non
voleva, non proprio lui.
“Anche
Millie si è sentita male”, riprese con
voce tremante, quasi temesse una sua reazione.
Il
moro si irrigidì all’istante, iniziando
già
ad intuire cosa quella frase volesse in realtà significare.
“Spiegati
bene, Louis”, gli ordinò con voce
vitrea, fermandosi di scatto proprio davanti alla bacheca degli avvisi
dell’atrio.
Louis
sospirò, lanciando una nuova e veloce
occhiata a Millie. Lei aveva gli occhi ben saldi su Zayn, ne stava
studiando
l’espressione ed i tratti e, probabilmente, stava cercando
anche di capire su
cosa vertesse la conversazione tra i due amici.
“Credo
abbia di nuovo esagerato. Suo padre
l’ha portata in una clinica privata. Ha ripreso a frequentare
i corsi solo
l’altro ieri. Stanno girando parecchie voci sul suo conto,
pare suo padre la
voglia far seguire da qualche specialista”,
spiegò, intrecciando le dita della
mano destra tra i capelli.
Zayn
fece vagare lo sguardo, sconcertato da
quella notizia, fino a quando le sue iridi ambrate incontrarono il viso
crucciato e sovrappensiero di Millie.
Era
lì, con il volto scavato, gli occhi persi,
l’aria fintamente altezzosa e un vestito d’alta
moda indosso. Perfettamente
truccata, agghindata come per una grande occasione, tanto bella da
poter far
invidia a qualsiasi altra ragazza. Zayn strinse forte la mano in un
pugno.
Millie stava distruggendo ciò che le restava della sua vita.
Aveva avuto una
bella famiglia, una casa ampia e spaziosa e tanti soldi da poter
realizzare con
essi tutti i suoi più assurdi capricci. Il destino le aveva
portato via una
parte, forse la più importate, delle sue ricchezze. Sua
madre e suo fratello
non c’erano più e con essi neppure la gioia,
l’amore e la serenità. Pezzo dopo
pezzo, il suo fantastico, grandioso mondo si stava sgretolando e lei,
anziché
combattere, non faceva altro che velocizzare quella distruzione.
Di
scatto, senza neppure pensare alle conseguenze a cui le sue azioni
avrebbero
irrimediabilmente condotto, si avviò con passo deciso in
direzione di Millie.
“Dove
vai?”, domandò Louis, preoccupato da
quel repentino gesto. “Zayn, andiamo, non fare
cazzate!”, lo richiamò ancora,
cercando di trattenerlo.
Tuttavia
quelle parole giunsero all’orecchio
del moro come un sottofondo ovattato a cui, ne era sicuro, non era
affatto intenzionato
a dare ascolto.
“Ciao”,
salutò quando fu a pochi centimetri da
Millie.
La
ragazza sobbalzò quasi, sorpresa da quel
gesto. Non era per nulla abituata ad essere avvicinata da Zayn, non nel
bel
mezzo del corridoio in un orario tanto affollato quale quello
dell’inizio delle
lezioni. Solitamente era lei a cercarlo, era sempre stata lei a
cercarlo.
“Non
ho bisogno di nulla, grazie”, lo liquidò
con un sorriso maligno sulle labbra, alludendo chiaramente alle
sostanze che
abitualmente comprava proprio dal ragazzo.
Zayn
ridusse gli occhi a due fessure per la
rabbia, poi non riuscì a trattenere un pugno scagliato
contro l’armadietto in
metallo, ad appena una spanna dalla superficie sulla quale era
appoggiata
Millie.
La
ragazza sussultò per lo spavento. Mai lo
aveva visto tanto arrabbiato, Zayn era quel tipo di persona capace di
controllarsi, di reprimere gli istinti, di autoregolarsi.
“Sei
egoista”, esordì Zayn, inchiodandola con
il suo corpo per evitare che si allontanasse. “Sei tanto
egoista da non
riuscire a vedere quanto tua sorella stia soffrendo, quanto tutti siano
preoccupati, quanto male tu stia procurando alla tua
famiglia”, l’accusò ad un
soffio dal suo viso.
Millie
deglutì. Sentiva le gambe tremare ad
ogni lettera, il suo cuore scalpitava impazzito. Non voleva ascoltarlo,
non
voleva sentire quelle vane insinuazioni sul suo conto.
“Non
ho tempo per chiacchierare con te”, provò
a dire, nel tentativo di liberarsi dalla soffocante compagnia di Zayn.
“E
sei menefreghista, tanto che non t’importa
nulla, tanto che non vuoi parlarne, che vuoi far finta di nulla,
ignorare”,
riprese lui, deciso a non dargliela vinta. “Come se
ciò fosse sufficiente a
cancellare tutto!”, sbottò poi, facendo
rabbrividire Millie per il tono adirato
e perentorio della sua voce.
“Va’
via, Zayn. Non voglio sentire le tue
cazzate”, riprovò allora, fingendosi calma ed
impassibile.
Il
moro ghignò, quasi rassegnato dal
comportamento ostentato dalla ragazza.
Poteva
distintamente vedere i suoi occhi
sbattere frenetici nel tentativo di impedire alle lacrime di rigarle il
viso,
ma le sue labbra erano ancora piegate in un sorriso spavaldo e sicuro,
la testa
era alta ed il portamento deciso.
“E
sei superficiale, tanto da tenere al tuo
aspetto più che di ogni altra cosa”,
inveì ancora contro di lei. “Ma dimmi,
Millie, credi davvero che sia tutto qui?”, le chiese,
sfidandola con lo
sguardo. “Credi che sia tutto riconducibile ad una borsa
firmata e un bel
vestito?”, la schernì.
“Smettila,
ho detto smettila”, ripeté Millie,
annaspando quasi. “Sta’ zitto, diamine”,
gli ordinò, ormai al limite del suo
autocontrollo.
“Tu
hai continuato a farti e, mentre tu ti
facevi, io ero lì fuori perché, cazzo, mi sentivo
in colpa!”, quasi urlò in un
sussurro.
I
lineamenti di Zayn erano duri, la sua
mascella tesa, gli occhi ambrati fissi sul viso disorientato di Millie.
Aveva
il respiro corto, come se non alzare la voce gli avesse richiesto uno
sforzo
fuori dal comune.
Millie
voltò il viso, cercando un qualcosa che
catturasse la sua attenzione per distrarla da quegli opprimenti
pensieri.
Sapeva cosa era successo a Zayn, lo aveva saputo sin dal mattino
successivo a
quella notte. Si vergognava profondamente di ciò. Lui era
riuscito a dire
basta, a cercare di cambiare, mentre lei era ancora eccessivamente
legata a
quella vita che la stava distruggendo, che l’avrebbe condotta
alla morte.
“E
sei viziata, perché non conosci limiti,
perché soddisfare i tuoi subdoli desideri viene prima di
ogni cosa, qualsiasi
cosa”, continuò Zayn, questa volta con voce
più cauta, quasi ferita. “Non credo
tua madre e tuo fratello sarebbero orgogliosi di vederti
così”, terminò un
attimo prima che un sonoro schiaffò risuonò per
il corridoio.
In
un attimo il palmo della mano destra di
Millie era finito sulla guancia di Zayn, colpendola quasi
inconsapevolmente,
con il fiato sospeso.
La
ragazza ritirò la mano, imbarazzata. Aveva
esagerato, aveva nuovamente sbagliato. Zayn aveva ragione, era solo una
stupida
ragazzina egoista, menefreghista, superficiale e viziata di cui
nessuno, benché
minimo la sua famiglia, sarebbe stato orgoglioso. E lei si era ancora
una volta
dimostrata immatura. Aveva reagito a quelle parole come un automa, non
riuscendo a tollerare quanta verità contenessero. Non
avrebbe dovuto mai
permettersi di pronunciare quella frase, mai, nonostante fosse intrisa
di
sincerità.
Zayn
boccheggiò, senza tuttavia riuscire a
dire nulla. Si era pentito all’istante di ciò che
aveva detto, dell’ultima
frase con la quale aveva inveito contro Millie. Non aveva il diritto di
rinfacciarle una cosa simile, soprattutto viste le circostanze.
Le
lanciò un ultimo sguardo. Millie aveva la
testa bassa e le mani nascoste dietro la schiena. Si mordicchiava il
labbro
inferiore, riflettendo su chissà cosa.
Zayn
tirò un lungo sospirò, poi si voltò e
velocemente andò via, dirigendosi verso l’aula.
“Ehi,
Margaret!”, la salutò Bree,
avvicinandosi alla ragazza durante la pausa.
Margaret
perlustrò velocemente la zona con gli
occhi, accorgendosi che era ormai troppo tardi per fingere di non aver
notato
la rossa che a passo deciso avanzava verso di lei con un ampio sorriso
sulle
labbra.
“Ciao”,
ricambiò tentennante.
“Che
fine hai fatto?”, chiese quando
finalmente l’ebbe raggiunta. “È da
troppo che non ti si vede in giro”, commentò
affiancandola sul muretto sul quale era appoggiata.
Margaret
forzò un’espressione divertita, che
tuttavia somigliava molto più ad una smorfia infastidita.
Era
ormai da tre giorni che non si presentava
a scuola, ancora sconvolta per ciò che era successo a suo
padre. Non ne aveva
parlato con nessuno. Sua madre aveva chiesto la massima riservatezza
sugli atti
e sulle indagini, almeno fino a quando tutto non fosse stato appurato
con delle
prove tangibili, ma le voci erano già iniziate a correre nel
quartiere.
“Ho
avuto un po’ di febbre”, mentì.
“Mia madre
ha preferito tenermi con lei al caldo, a casa”,
inventò allora, per dar
maggiore credibilità a quella banale scusa.
“Ah,
mi dispiace. Però ora stai meglio,
vero?”, riprese poco dopo Bree, squadrando con attenzione il
viso della
ragazza.
Aveva
delle occhiaie marcate, gli occhi vuoti
ed arrossati, lo sguardo spaurito e spiazzato. Persino il suo aspetto
non era
dei migliori. Indossava dei semplici jeans ed un maglioncino azzurro,
un look
troppo semplice per quelli che le piaceva sfoggiare abitualmente.
“Benissimo”,
dichiarò provando a sorridere,
senza tuttavia riuscire a convincere la rossa, ormai sempre
più scettica.
“Bree!”,
la voce di Liam giunse all’orecchio
della ragazza come un richiamo che non avrebbe mai potuto ignorare.
Si
voltò di scatto, alla ricerca del castano
che aveva prontamente riconosciuto.
“Non
dovevi passare a restituirmi i miei
vecchi appunti di francese?”, chiese con tono ilare,
palesando il suo buon
umore.
Bree
sorrise, sventolando il quadernetto che
teneva tra le mani per farglielo notare. Stava per raggiungerlo, quando
si ricordò
di Margaret. Voltò il viso in sua direzione, rimanendo
completamente sorpresa
nel non ritrovarla più al suo fianco. In appena un attimo di
distrazione
Margaret era sparita, andata via, scappata.
“Arrivo”,
borbottò solo, rimuginando su cosa
stesse turbando la ragazza.
“Tutto
bene?”, le domandò Liam, avendo notato
lo sguardo affranto della ragazza.
“Credo
che Margaret stia passando un brutto
momento”, confessò in un sussurro, sospirando.
“Beh,
lo è per molti, in realtà”,
replicò lui,
ripensando a tutti quegli eventi che stavano stravolgendo la routine in
quell’ultimo periodo.
Il
cortile era parecchio affollato, tanto che
un chiacchiericcio generale si alzava da quella massa di studenti. Non
faceva
freddo quel giorno, ragion per cui quasi tutti ne avevano approfittato
per
trascorrere all’aria aperta quei minuti di intervallo.
“Posso
abbracciarti?”, chiese d’un tratto
Bree, con un filo di voce e lo sguardo basso, mentre il rossore
imporporava le
sue guance.
Se
ci fosse stato Louis al posto di Liam, non
avrebbe neppure fatto quell’assurda domanda. Avrebbe agito
senza porsi
eccessivi problemi. Ma con Liam era tutto diverso. Bisognava fare i
conti con
la sua personalità piuttosto articolata, con la sua smania
di apparire sempre
perfetto, con l’aria altezzosa ed il contegno che si imponeva
di rispettare.
Già
una volta lo aveva visto preferire
ignorarla, piuttosto che avvicinarla, e temeva terribilmente che quel
giorno
avrebbe fatto la stessa ed identica scelta.
Non
sapeva quanto ed in che misura Liam fosse
disposto a mettersi in gioco davanti agli altri.
“Vieni
qui”, mormorò soltanto lui, prima di
avvolgere la rossa tra le sue braccia.
Non
gli importava di quello che la gente
avrebbe detto, degli snervanti e continui cambi di programma a cui Bree
lo
costringeva, seppur inconsapevolmente.
Voleva
solo alleviare quella sensazione di
angoscia che si era impossessata della ragazza dagli occhi verdi, il
resto,
almeno per quel momento, avrebbe potuto tranquillamente tralasciarlo.
“Volevo
parlarti”, la voce sicura di Audrey
quasi fece sobbalzare Harry per lo spavento, intento com’era
a sistemare i
libri nel suo armadietto.
La
giornata era trascorsa piuttosto
velocemente. Aveva intravisto Audrey più volte per i
corridoi, in cortile o
nelle varie aule, ma mai una volta era riuscito a trovare il coraggio
necessario per salutarla. Era stufo, stufo di doverla aspettare, di
doverla
comprendere. Ci aveva provato, aveva provato a mettere da parte la sua
timidezza e la sua incertezza, aveva persino tentato di andare oltre le
barriere di cui Audrey si circondava, ma ciò che aveva
ricevuto era solo una
serie di no. Era scappata quando lui le aveva chiesto di uscire e lo
aveva
quasi ignorato quando si era presentato in ospedale.
“Dimmi”,
la incitò, mentre poggiava l’ultimo
volume sul ripiano.
“Volevo
chiederti scusa”, ammise mormorando,
quasi quelle parole le costassero troppo.
Harry
aggrottò la fronte, spiazzato, poi si
voltò finalmente in sua direzione, volgendole lo sguardo.
“Come?”,
chiese, per nulla sicuro di ciò che
aveva appena udito.
“Volevo
chiederti scusa”, ripeté Audrey,
cercando di dare un tono dignitoso alla sua voce.
“Scusa
per cosa di preciso?”, domandò con un
filo di ironia di cui non si credeva neppure capace.
Audrey
sbuffò, leggermente seccata dal
comportamento del riccio. Se non avesse avuto la più
assoluta certezza di
essere nel torto e, soprattutto, di essergli riconoscente per
ciò che aveva
fatto non si sarebbe mai cimentata in una cosa del genere.
“Scusa
per come mi sono comportata, sono stata
piuttosto stronza”, chiarì allora, con lo sguardo
basso e le labbra incurvate
in un accenno di un sorriso imbarazzato.
Harry
schiuse le labbra per la sorpresa,
sgranando leggermente gli occhi. Delle scuse tanto esplicite da parte
di Audrey
era davvero l’ultima cosa che pensava di poter sentire. Era
già piuttosto
difficile intercettare delle parole gentili fuoriuscire dalla sua
bocca, delle
scuse, poi, erano del tutto improbabili.
Ma
in quel momento Audrey era lì, a pochi
centimetri da lui, che, con lo sguardo incerto ed il viso imbarazzato,
chiedeva
il suo perdono.
“E
grazie”, aggiunse subito dopo, non
lasciandogli neppure il tempo di replicare.
Gli
occhi verdi, ora nuovamente confusi, di
Harry la costrinsero a specificare anche quella volta ciò a
cui si stesse
riferendo, così si affrettò a parlare prima che
fosse il riccio a chiederle
spiegazioni. Sapeva che una sola parola di Harry sarebbe stata in grado
di
interromperla, di farle perdere il filo del discorso e lei non voleva
assolutamente
rischiare di non dirgli ciò che da troppo rimuginava nella
sua testa.
“Grazie
per non essertene andato, per essere
rimasto”, sussurrò con voce tremante, quasi
pronunciare quelle parole ad alta
voce richiedesse per lei uno sforzo non indifferente.
“Grazie
per non avermi dato ascolto”, terminò
riuscendo finalmente ad alzare il volto, per poi incontrare
immediatamente il
viso di Harry.
Aveva
un sorriso rassicurante disegnato sulle
sottili labbra e i suoi occhi la fissavano come a cercare di metterla a
suo
agio, come fremesse per fare qualcosa. Ma tutto ciò che
Harry fece fu portare
una mano tra i suoi ricci ed indomabili capelli.
“In
effetti non sei stata particolarmente
convincente”, scherzò allora, per alleggerire
quella piega seriosa che aveva
preso la loro conversazione.
Audrey
soffocò una risata, mordendo con i
denti il labbro inferiore.
Forse,
si trovò a pensare Harry, non era tutto
perduto. Forse Audrey aveva solo bisogno di più tempo,
persino più di lui,
prima di potersi abituare alla presenza di un’altra persona
nella sua vita.
E,
forse, quel momento era finalmente
arrivato.
Angolo Autrice
Buongiorno a tutti!:D Stavolta mi sono decisa ad aggiornare di mattina, cosa piuttosto rara,
ma visto che ormai mi sono alzata a causa di un disperato tentativo di studio, almeno ne ho aprofittato per concludere qualcosa.
Comunque, quetsa volta non c'è nessun motivo sul perché il capitlo porti il nome di Niall,
forse l'unica ragione sta nel fatto che ho iniziato a parlare di lui e non sono riuscita proprio a prendere in considerazione gli altri.
Charlie e Niall sono sempre più dolci e teneri e il loro rapporto comincia a solidificarsi.
Zayn torna a scuola ed ad attenderlo c'é Louis con una notizia alla quale Zayn non reagisce affatto bene.
E così eccolo nuovamente a battibeccare con Millie.
Un passo avanti per Liam e Bree, che sembrano decisamente più tranquilli nel gestire il loro rapporto,
ed un passo avanti anche per Audrey ed Harry. Lei finalmente si rende conto del suo comportamento e chiede scusa al riccio.
Infine, Margaret continua ad essere sempre più distante ed assente.
Bene bene, questo è quanto. Ringrazio chi segue, ricorda, preferisce e legge!:D
Se vi va, lasciate pure un commento o un consiglio, ve ne sarei grata!;)
Alla prossima,
Astrea_