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Autore: Vala    12/09/2008    2 recensioni
Nana tiene stretta la sua amica Hachi nella notte successiva alla scoperta del tradimento di Shoji. I pensieri di Nana, le sensazioni che provava, e quello che non ha mai potuto dire alla sua più cara amica in un momento di fragilità.

[n.a. è il primo esperimento su Nana, almeno ci ho provato]
Genere: Malinconico, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Nana Komatsui, Nana Osaki
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Le lenzuola sono calde e umide, bagnate delle sue lacrime. Ha pianto talmente tanto, povera creatura, che pare sia andata a dormire dopo il bagno senza essersi asciugata i capelli. Le ciocche le stanno attaccate alle guance rosse, ora rilassate nel momento che precede il sonno. Peccato che il momento del sonno non è mai giunto durante la notte per la piccola Hachi. Ha continuato a rigirarsi, nervosa, in lacrime,  disperata, abbracciandomi forte o dandomi calci per la frustrazione, ma non si è mai veramente addormentata. Passerà anche la giornata di domani nello stesso stato pietoso, e probabilmente anche quella dopo e quella dopo ancora. È fatta così la mia Hachiko, troppo sensibile per sopportare una cosa del genere. Del resto neanche io saprei farlo.
Mi rigirai nel letto, attenta a non fare movimenti bruschi che potessero darle fastidio, ma lei dovette rendersi conto del fatto che mi stavo allontanando, perché mi attirò di nuovo a sé, con forza. Aveva paura che la lasciassi, che me ne andassi anche io. Le carezzai i capelli teneramente, e le braccia che si erano strette attorno al mio corpo in una morsa di ferro si rilassarono permettendomi la circolazione. Povera piccola Hachi, non meritava tutto questo.
“Shoji…” la sentì mormorare nell’incoscienza, chiamarlo ancora e ancora come aveva fatto per tutto il tempo. Continuava ad invocare il suo nome come uno scudo, una preghiera. Sicuramente lo sognava anche. Ed ecco le lacrime scendere di nuovo, bagnare il cuscino e la mia stessa pelle mentre la abbracciavo stretta. Non me ne vado, volevo dirle, ma non ero in grado di far uscire quelle parole di conforto che tanto a lungo la mia compagna di appartamento aveva desiderato. Tutto quello che ero stata in grado di fare era trasmetterle un senso di disprezzo per non aver saputo riprendersi il suo uomo. Ma Hachi non gliene faceva una colpa, non le faceva mai pesare nulla, le permetteva tutto. Era una coinquilina ideale da quel punto di vista, servizievole e amabile.
 Le carezzai ancora i capelli e pian piano le lacrime scemarono fino a fermarsi del tutto. Poteva sentire il suo calore cercare di raggiungerla? Poteva percepire con quanto affetto si era infilata nel suo letto quella sera, con quanta preoccupazione le aveva stretto la mano?
Era come un cucciolo indifeso. Avevo sempre desiderato un cucciolo da coccolare nelle fredde notti quando mi rannicchiavo sotto la coperta senza riuscire a dormire, ma la nonna non me l'ha mai permesso. Gli animali sono infidi, diceva, ti stanno accanto perché hanno bisogno di te, non appena si presenta qualcuno di più utile non ci pensano due volte ad abbandonarti. Del resto sono così anche gli esseri umani. Lo capiva da come la guardava. Somigliava troppo a sua madre perché la nonna non facesse paragoni.
Hachi era un cucciolo, era il suo animaletto domestico. Ma non era affatto infido. Era debole e bisognoso di cure. Povera piccola, troppo ingenua per il mondo attorno a lei, avrebbe continuato a soffrire in eterno senza riuscire a reagire, senza possibilità di fuga. Una cagnolina in trappola.
Continuai a carezzarla senza nemmeno rendermene conto, come se stessi in effetti carezzando un cane, mentre riflettevo su come avrei potuto aiutarla. Ma poi perché avrei dovuto aiutarla? In fondo la conoscevo da poco, e lei aveva la mia stessa età. Non c’era ragione di essere così apprensiva, lei stessa aveva rinunciato a lottare per lui. Eppure c’era quel calore di fondo, quell’istinto di protezione che non credeva di essere in grado di provare per una ragazzina a prima vista superficiale come la sua Hachi. Le posò un bacio leggero sulla fronte e la vide abbozzare un sorriso. Il suo cucciolo la riconosceva anche in quelle condizioni. Ma subito dopo al sorriso si sostituì di nuovo il pianto, e la voce debole e dolorante della sua amica si fece di nuovo sentire.
“Shoji…!”.
Era un lamento continuo. No, non poteva abbandonarla, ma doveva lavorare. Non era ancora in grado di sdoppiarsi.
Alzandomi dal letto pensai che in fondo non c’era nulla di male a lasciarla da sola se continuava a stare sdraiata in quelle condizioni. Certo, non avrebbe più sentito il suo calore, ma i cuccioli devono crescere prima o poi. Lei era cresciuta da sola e ce l’aveva fatta, non c’era ragione per cui non potesse farcela anche Hachi. In fondo si trattava solo di un giorno, continuai a ripetermi mentre andavo in camera mia a prepararmi per il lavoro. Dovevo guadagnare il denaro necessario a mantenere me e il mio cucciolo.
Se fossi stata una cantante famosa, non avrei avuto bisogno di lasciarla, sarei rimasta al suo fianco, accoccolate accanto ad un caminetto acceso, perché avrebbe avuto un mucchio di soldi. Avrebbe realizzato i desideri del suo animaletto schioccando le dita.
“Shoji…!” sentii chiamare ancora dalla camera di Nana, ma non poteva farci nulla. Il suo cucciolo doveva imparare a cavarsela da sola. Avrebbe fatto come gli animali infidi che diceva la nonna, l’avrebbe lasciata sola a imparare a sopravvivere. Ma già mentre aprivo la porta d’ingresso per uscire, il mio senso di colpa cresceva esponenzialmente. Anche sua madre si era sentita così a lasciarla o aveva provato solo sollievo? Mi voltai un’ultima volta a guardare la porta socchiusa della camera del mio animaletto domestico e abbozzai un sorriso.
“Tornerò presto, aspettami…!” sussurrai nel buio, mentre uscivo di casa all’alba.
Scesi le sette rampe continuando a sentire i suoi richiami nelle orecchie, ma quando l’aria fredda del mattino mi carezzò il volto, quel senso di calore nel mio petto si attenuò e cominciai a pensare che ero una stupida a preoccuparmi così tanto. Cosa mai poteva accadere in un giorno? Mi allontanai senza nemmeno guardare la finestra dell’appartamento mentre mi accendevo una sigaretta. Non mi sarei mai abituata a quegli strani sentimenti.
Nelle mie orecchie continuò a lungo a rimbombare il doloroso suono del suo pianto.
  
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