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Autore: Nuel    11/08/2014    8 recensioni
Una ragazza vivace che non è chi dice di essere, una donna posata che gestisce un bordello, un biglietto recapitato tra le labbra di una testa mozzata ed un misterioso figuro nerovestito si incontrano in un locale, mentre un bardo pizzica le corde della propria arpa...
Genere: Mistero | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
- Questa storia fa parte della serie 'Guallidurth'
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Chi non muore si rivede




« Taaa-Mit! » squittì allegramente la giovane meticcia, in un falsetto stridulo ed un po’ fastidioso insegnando la corretta pronuncia del proprio nome al soldataccio avvinazzato che sembrava incapace di staccarle gli occhi di dosso, mentre gli versava di nuovo da bere ed occhieggiava in direzione della porta d’ingresso senza smettere di sorridere. 
    Civettuola e spudorata, la giovane gli stava riempiendo il boccale ormai per l’ottava volta, ammiccando ed ondeggiando i fianchi avvolti nella gonna verde sfrangiata ed aperta su un lato, comoda per correre e per afferrare il pugnale nascosto nello stivale alto e confortevole.
    Se la sua unica arma fosse stata quel pugnale, Ta’Mit sarebbe stata meno sfacciata, ma non lo era.
    Probabilmente quello era giorno di paga, per i membri della Milizia Cittadina ed il malcapitato aveva pensato bene di andare a spendere il salario di un mese lì. Peccato per lui che non gli sarebbe bastato un intero anno di paga per avere lei.
    Il bordel... scusate, locale era pieno, come al solito, nonostante qualche inconveniente avesse creato un po’ di scompiglio nei giorni precedenti ed era quella la ragione per cui Ta’Mit si trovava lì. 
    Un bardo strimpellava pigramente, cameriere esotiche e disponibili servivano ai tavoli, il buttafuori controllava un gruppetto di avventori alticci. 
Per quanto pagassero, gli ubriachi molesti non erano graditi all’Alcova: le ragazze erano merce pregiata e la Signora, che vi aveva investito una discreta quantità di quattrini, non voleva certo che la sua merce venisse rovinata da qualcuno col coltello facile e la mente poco lucida.
    Quando la faccendiera della Signora, una quarterona di mezza età abbastanza bella da poter essere scambiata per una delle vivaci ragazze del posto, l’aveva vista entrare era sbiancata, ma Ta’Mit le aveva sorriso disinvolta e rassicurante: la bocca larga, la carnagione scura, gli occhi nocciola ed i capelli candidi, segno inequivocabile del suo sangue impuro le calzavano addosso come una seconda pelle.
    Ta’Mit era parte di lei quanto lei era... la sua Signora, ma una nobildonna non si fa vedere nei bordelli, anche se di sua proprietà, per quanto questa sia un’informazione riservata che voi non venderete in giro, o qualcuno vi troverà e vi taglierà la gola senza che nemmeno ve ne accorgiate e, per tornare alla nostra storia, non erano molti a sapere che la Signora non era sempre stata esattamente tale.
    Una fascia rossa a trattenerle sulla fronte i capelli ondulati, una blusa striminzita e tutta pieghe a coprire a malapena il seno florido, lasciando scoperte le belle spalle ed una catenina con una perlina a pendere proprio in mezzo ai seni, come a voler attirare proprio lì l’attenzione ed una cordicella intrecciata, apparentemente d’argento, a cingerle i fianchi contribuivano a farla sembrare una popolana, di quelle vivaci, ma spesso l’apparenza inganna e, per quanto la riguardava, quella poteva essere una certezza: erano anni che non indossava uno spillo che non fosse intriso di magia.
    Odiava i maghi. Li odiava da quando ne aveva sposato uno, ma erano utili. Specie se lavoravano per lei.
    Il suo primo marito, comunque, non è materia di questa storia: le aveva fatto la grazia di svanire nel nulla per i fatti suoi, lasciandola molto sola e decisamente incinta con un bel intrigo da gestire.
    Amava gli intrighi.
Più di quanto avesse amato suo marito. Riguardo all’amore per suo figlio, era tutta un’altra questione: sarebbe stato necessario contrattare il giusto prezzo. In fondo, tutto ha un prezzo, ma nemmeno questo è il motivo per cui siamo qui, a meno che non siate interessati all’acquisto di un ragazzino promettente.
    Come vi ho accennato prima, c’era stato qualche disguido dell’Alcova e quando i guai chiamano, Ta’Mit sente l’obbligo morale di rispondere, anche se nemmeno lei saprebbe dire perché. Una testa mozzata con un biglietto stretto tra le labbra era stata recapitata come accompagnamento di una cassa di bottiglie che, se non fossero state sabotate, sarebbero state molto gradite.
    Le larve che nuotavano nel vino, però, non invitavano i clienti alla degustazione e, se a nessuno importava a chi fosse appartenuta la testa, quando era in vita, il messaggio prometteva visite per quella sera.


 
 “Chi non muore si rivede”


diceva molto banalmente, recando la data di quel giorno, in una grafia arzigogolata a cui forse si sarebbe dovuto prestare più attenzione.
    Anche badare maggiormente al vino non sarebbe stato  sbagliato: certi vigneti crescono solo in alcune ragioni e Ta’Mit non aveva tra le mani una di quelle bottiglie da molto tempo.
Non aveva mai apprezzato il vino, comunque e forse non la si può incolpare di non averlo riconosciuto.
    In fondo alla sala, nascosta da un paravento, si trovava la scala che conduceva alle camere. Ogni tanto qualche coppia estemporanea saliva, lieta e frettolosa. Difficilmente qualcuno sarebbe arrivato da lì.
    Un tonfo riportò l’attenzione di Ta’Mit al suo spasimante che aveva, in fine, ceduto ai fumi dell’alcol, lasciando cadere la testa sul tavolo.
    « Sogni d’oro » gli augurò lei all’orecchio, dirigendosi con passo ancheggiante al bancone dietro cui si trovava la quarterona in abito bianco. 
    Si sedette su uno degli sgabelli, proprio di fronte a lei.
    « Mi offri da bere, Iragalla? » le chiese con una vocina miagolante ed infantile.
    « Cosa vuoi che ti offra, Ta’Mit? »
    « Qualcosa capace di consolarmi per la mia perdita! » sospirò teatralmente ed indicò verso il tavolo. « Mi toccherà dormire sola! Immagini una tragedia più grande di questa?! »
    La faccendiera dell’Alcova guardò in direzione del soldataccio e scrollò le spalle, troppo nervosa per una battuta sagace. « Se hai pazienza, sono sicura che troverai modo di divertirti » le rispose con una nota di tensione fin troppo palese, nella voce bassa: non le piacevano le sorprese e Ta’Mit poteva immaginarsela benissimo ad urlare mentre scopriva la testa mozzata nella cassa. « La tua padrona ti ha dato la giornata libera? » continuò preoccupata dalla sua presenza al locale.
    « Oh sì! » ridacchiò lei, continuando la recita. « Sapessi quanto mi annoio a starmene sempre al castello! » le rispose con un ampio sorriso dai denti perfetti, di fronte al quale la donna si limitò a scuotere il capo.
    Le lanterne che inondavano la sala di una luce soffusa e dorata tremolarono tutte assieme, all’improvviso e, per un solo istante, tutto l’ambiente fu immerso nell’oscurità.
    Il bardo perse la corda che stava pizzicando e si zittì, le ragazze si guardarono attorno, qualche cliente ne approfittò e qualcun altro non se ne accorse nemmeno. Il buttafuori si fece attento, preoccupato che qualcuno passasse sotto il suo naso senza che lui se ne accorgesse.
    Iragalla si strinse le mani al petto, pregando silenziosamente.
    Ta’Mit sorrise.
    Nell’attimo in cui la luce tornò, tutti notarono la presenza di un’alta figura vestita di nero proprio al centro della sala. L’attimo dopo tutti quelli che gli stavano intorno presero ad urlare ed a scappare in direzione dell’uscita, come in preda ad una improvvisa ed irresistibile paura. 
Naturalmente, nessuno si fermò a pagare il conto.
    Un brivido percorse le spalle delle due donne che tenevano gli occhi incollati sul nuovo venuto, e nel parapiglia generale, Ta’Mit scivolò giù dallo sgabello.
In fondo era lì per quello: doveva essere lui l’ospite che attendevano, quello che inviava teste mozzate e vino edulcorato con larve, dando appuntamenti al buio ad ignare faccendiere. 
   Mormorando uno scongiuro ed accertandosi che non ci fosse qualcun altro a tenere compagnia allo sconosciuto, Ta’Mit prese ad aggirare la figura, osservandolo con attenzione: c’era qualcosa di familiare nella linea delle sue spalle, anche se non avrebbe saputo dire cosa.
    Il suo passo era leggero e silenzioso ed il respiro così lento che sentirla era quasi impossibile. La garrota era già nelle sue mani mentre lei si preparava a balzargli addosso per immobilizzarlo; era alto ed inquietante e pareva non essersi accorto di lei, ma, per quanto fosse abile nello scivolare tra le ombre, Ta’Mit era consapevole che non fosse altrettanto facile arrivare alle spalle di un uomo senza che quello se ne accorgesse. Non lo era mai. 
    Come se le avesse letto nel pensiero, non appena fu sufficientemente vicina, lo sconosciuto si girò nella sua direzione, facendole strabuzzare gli occhi: un’improvvisa ondata di paura si impadronì di lei, ma anziché farla fuggire, parve paralizzarla sul posto. Per un istante lo sconosciuto le era parso familiare, un istante di terrore che non dipendeva dall’aura di paura che da lui si propagava, ma da qualcosa di ben diverso, qualcosa di conosciuto e dimenticato.
    Senza che Ta’Mit avesse il tempo di reagire, una mano ossuta e gelida le afferrò la gola con dita tanto forti da farle credere che avrebbe potuto spezzarle il collo facilmente. 
    L’uomo sorrise. Un sorriso inquietante che la fece rabbrividire, mentre al suono della sua voce il cuore cominciò a batterle più forte.
    « Sto cercando la padrona di questo posto. Nessun altro sarà risparmiato! » annunciò lui, premendole il pollice sulla gola. 
    Per un singolo, folle istante, Ta’Mit pensò che quel tocco aveva un che di carezzevole, poi si riebbe e scalciò contro di lui, che sembrava indifferente ai suoi tentativi di liberarsi e forse, persino, divertito. 
    Forse la mancanza d’aria causata dalla sua stretta cominciava ad annebbiarle la mente, anche se era sicura di essere molto più resistente di così, ma in quel momento le parve di udire la risata gutturale di lui venire interrotta da un colpo sordo.
    Lo sconosciuto si girò con uno scatto felino, come se solo in quel momento avesse notato la presenza di qualcun altro nella sala e la voce tremante di Iragalla si alzò tremolante: « Toglile le mani di dosso! »
    A quel punto, Ta’Mit fu certa di avere le allucinazioni: la quarterona, munita di padella, che doveva aver recuperato dalla cucina retrostante il bancone, stava fronteggiando l’uomo, che la fissò con sguardo pieno di disprezzo.
    « Per tutti i diavoli dell’Inferno! Lei è la proprietaria! » riuscì a dire Ta’Mit tra i colpi di tosse, la voce rauca e lui, incredibilmente, la lasciò andare.
    Iragalla barcollava all’indietro, cercando di mettere quanta più distanza possibile tra sé e l’individuo che aveva colpito e Ta’Mit, mentre si afflosciava a terra, respirando a fatica, sperò di essere stata abbastanza convincente, perché non sarebbe stata in grado di ingaggiare una lotta corpo a corpo con lui: era capace di scucire informazioni anche al diavolo, poteva infilare le sue agili dita pressoché ovunque, aprire serrature, nascondersi nelle ombre ed arrivare alle spalle di chiunque o quasi, ma non era portata per il corpo a corpo. 
    O meglio, lo era: se l’altro era attraente e preferiva un confronto in orizzontale. Beh, non necessariamente solo in orizzontale.
L’unica cosa fondamentale era l’assenza di vestiti. Nemmeno di tutti, in realtà. Giusto il necessario. 
    Era molto abile, in quel genere di scontri: scuciva informazioni, infilava dita dove potete benissimo immaginare da soli e faceva un sacco di cose in cui le sue doti potevano essere apprezzate, ma in questo caso pare che non avrete modo di apprezzarla nel modo in cui una come lei meriterebbe.
    Al solo pensiero di trovarsi in intimità con quel tale un brivido le percorse la schiena. C’era qualcosa, in lui, che le sfuggiva eppure era quasi sicura di sapere chi fosse. 
    In quel momento le venne in mente il miliziano che aveva lasciato addormentato al tavolo: sicuramente lui doveva avere qualche arma più consistente di una garrota e di un pugnale o, almeno, lo sperava. Arrancò nella sua direzione, la gola dolorante e una strana sensazione alla bocca dello stomaco. Di solito non era così che andava.      Niente: il soldato non aveva con sé null’altro che il segnalatore di pericolo per richiamare i suoi commilitoni.
    Si trattava di un gingillo magico piuttosto utile a richiamare una pattuglia che, verosimilmente, sarebbe arrivata a giochi fatti. 
C’era un motivo se odiava i maghi; in realtà più di uno, ma in casi simili, in particolare, le sembrava si divertissero a costruire cose del genere: luccicanti, costose e poco utili. 
    Per lo meno, però, sapeva come farle funzionare. 
Sapeva quasi sempre come far funzionare quegli aggeggi magici: era uno dei pochi vantaggi dell’essere stata sposata con un mago.
    Comunque, era profondamente ingiusto che proprio lei dovesse rivolgersi alle forze dell’ordine, sebbene fosse sufficientemente saggia da riconoscere che fosse la scelta migliore, così azionò il segnalatore che subito si illuminò debolmente.
    A quel punto non le restava che prendere tempo.
    Iragalla era stata messa con le spalle al muro, chiaramente sconvolta, preda della stessa paura che poco prima aveva paralizzato Ta’Mit. Sfilò il pugnale dallo stivale e gli si lanciò contro, pronta a scattare indietro non appena lui si fosse voltato di nuovo. Si rammaricò di non avere un pugnale da lancio, in quel momento, o la sua balestra, ma non avrebbe potuto portare tante armi dentro l’Alcova senza destare sospetti.
    Lo colpì proprio in mezzo alle scapole, ma la resistenza che il corpo le offrì non era quella ben nota di carne ed ossa: le parve di aver affondato la lama in un sacco pieno di funghi secchi.    
    « Questa donna non è la padrona! » sentenziò lui, indifferente al colpo subito,  mentre Ta’Mit balzava all’indietro, estraendo il pugnale dalla sua schiena con estrema facilità.
    Come aveva immaginato, dalla ferita non uscì una goccia di sangue, ma in quel momento, l’illusione che contraffaceva i suoi tratti fu dissolta: la sua pelle si scurì ed i suoi occhi divennero di una tonalità scura di viola, gli zigomi si alzarono e la bocca divenne meno ampia e più morbida, il naso si allungò verso l’alto e, se anche lei non se ne accorse, l’espressione di Iragalla la avvisò che qualcosa era cambiato.
    La quarterona si era portata la mano alla bocca. Fortunatamente, in seguito al fuggi fuggi, non c’era nessuno nella sala, a parte il soldato svenuto e nessuno avrebbe visto Ta’Mit prendere le sembianze della Signora.
    Sul volto dell’uomo comparve un sorriso beffardo « Il Principe che regna su ogni cosa mi ha concesso di venire a reclamare ciò che mi appartiene e che tu mi hai sottratto! Ho impiegato anni a ritrovarti... »
    La Signora scosse il capo, facendo un passo in dietro. « Chi sei? » sbottò, abbandonando il falsetto e rivelando una voce bassa e ringhiante. Sapeva chi aveva davanti. Ormai ne era certa, anche se lui era cambiato o, forse, usava un incantesimo di mascheramento, come aveva fatto lei. 
    Si chiese quanto ci avrebbero messo i miliziani a raggiungere il locale ed intanto continuò ad allontanarsi verso il muro: c’erano delle lampade ad olio lì... avrebbe dato fuoco all’intero locale se fosse stato necessario. Avrebbe fatto qualunque cosa perché ciò che aveva sempre temuto non accadesse.
    « Cosa ti ha sottratto la mia Signora? » piagnucolò Iragalla, senza muoversi, probabilmente intuendo le intenzioni dell’altra.
    L’uomo, il mago si girò verso di lei. « L’Erede che dal suo ventre ho generato! »
    Iragalla sgranò gli occhi: conosceva la storia. Conosceva il ragazzo.
    La Signora la vide aprire la bocca e richiuderla come una rana, mentre lei raggiungeva la parete e la lampada ad olio verso cui si era diretta, staccandola dal suo supporto per lanciarla contro di lui. 
    Un centro perfetto fece spargere l’olio sulla veste nera e la fiamma attecchì subito, ma il mago pareva immune al dolore e si girò di nuovo verso di lei. Pareva stupito e forse persino divertito dalla sua iniziativa.
    « Non basta un po’ di fuoco a ferirmi » le informò mentre la sua veste si incendiava. «  Tornerò a prendere mio figlio, mia diletta. Presto ci rivedremo ancora! » le fiamme avvolsero il volto e la voce morì mentre la figura scompariva come se non fosse mai stata lì.
    « Signora! » pigolò di nuovo Iragalla, che, tremante, se ne stava ancora contro il muro, mentre dall’esterno cominciavano a sentirsi delle voci.
    « Guarda che i muri si reggono ancora da soli! » sbotto la Signora, in preda all’ira ed al terrore. « Sta arrivando la Milizia, è meglio che io me ne vada da qui! »
    « Cosa...? »
    La signora ringhiò. « Dirai loro che è stato lui a metterlo in fuga ». A passi lunghi e rapidi si diresse al tavolo su cui stava ronfando l’ignaro miliziano. Lo acciuffò e lo strattonò malamente per rovesciarlo a terra. « Ha bevuto tanto da non ricordare nulla, ma... ha agito come un soldato perfettamente addestrato! »
    Iragalla la osservò stralunata, annuendo. 
    Forse, tra le molte qualità della Signora avevo dimenticato di menzionare che è una gran bugiarda. 
    « Ovviamente anche la tua padellata è stata utile! » aggiunse cercando di tornare in sé, la mente già sul da farsi per sottrarre il proprio figlio al suo non più molto compianto primo marito.
    La quarterona arrossì e finalmente si staccò dalla parete. « Credo stiano arrivando! »
    « Meglio che me ne vada. Non una parola su quello che hai sentito! » le intimò prima di infilarsi in cucina, da cui avrebbe potuto uscire raggiungendo la cantina ed uno degli accessi ai molti corridoi sotterranei che percorrevano il sottosuolo della città.
    Come supposto, la pattuglia arrivò quando non serviva più, facendo una gran confusione. Probabilmente, però, voi vorreste sapere chi sia il mago che la Signora aveva sposato in prime nozze e, magari, anche cosa accadde poi e forse, persino chi sia realmente la Signora e perché si aggiri per la città, nottetempo, sotto le mentite spoglie di Ta’Mit, ma tutto questo richiederebbe un racconto molto più lungo ed al momento, Ta’Mit corre a perdifiato per raggiungere suo figlio, su, al castello. 
    Pare, infatti, che mi fossi sbagliato e questa storia parli proprio di quel mago che aveva sposato, anni prima, in un’altra città, quando aveva un altro nome. Un altro giorno, forse, vi racconterò ogni cosa, ma per adesso, credo sia meglio lasciare questi personaggi all’oscurità, alla pianificazione della prossima mossa, all’intrigo a cui sono avvezzi. 
    Per mio conto, credo di aver svolto il mio compito.
Quale?
Vi ho narrato una storia ed, in cambio, ho rubato un po’ del vostro tempo. 


 
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Eccomi qui con un nuovo breve racconto fantasy!
Lo so, lo so, ne ho uno che attende la conclusione da mesi, ma non disperate: lo porterò alla conclusione!
Avevo scritto questo racconto per un contest, poi... il pc mi ha abbandonata e non ho potuto consegnarlo nei tempi previsti.
Pazienza.
Spero che sia di vostro gusto, ma in ogni caso attendo il vostro parere!
Per chi voglia seguirmi ed avere qualche anticipazione sulle mie prossime storie, come sempre, mi trovate su FB: https://www.facebook.com/pages/La-Castellana-del-Tempo/1442184872696538?ref_type=bookmark
   
 
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