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Autore: Clira    11/08/2014    1 recensioni
DAL CAPITOLO 11:
«Hai capito bene, Chelsea. Io… io non lo so. Viviamo sotto lo stesso tetto da tre settimane ormai, ancora un’altra e poi torneremo alle nostre vecchie vite e forse ci lasceremo alle spalle queste assurde vacanze, ma io ricorderò. Io ricorderò ogni singolo istante quando ci incontreremo nei corridoi, in atrio o alla mensa. Ricorderò la tua voce, la musica e la paura. Ricorderò com’è restare senza fiato. Ricorderò il tuo aspetto appena ti svegli la mattina e i tuoi pigiami improponibili. Ricorderò l’odore della tua pelle dopo una doccia e la luce nei tuoi occhi. Ricorderò la ruga che ti si forma sulla fronte mentre ti concentri su qualcosa e il modo buffo che hai di toglierti i capelli dalla faccia soffiandoci sopra. E per me sarà impossibile dimenticare queste settimane. Ma se tu lo vuoi, io farò finta di dimenticare».
Genere: Malinconico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: Triangolo | Contesto: Contesto generale/vago
Capitoli:
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20  




CAPITOLO 20: COMPLICAZIONI

 

Mi svegliai pensando ancora al sogno di quella notte; guardare troppi film e serie televisive mi faceva strani effetti.

Indossai una vestaglia di raso bianca sopra il mio pigiama di cotone e scesi in cucina per la colazione.

Mangiai una banana e due fette biscottate con la marmellata bevendo un succo di frutta. Da quando avevo scoperto di essere incinta, facevo molta più attenzione a cosa mangiavo; la mia dottoressa, poi, mi aveva dato una sorta di “tabella di marcia” da seguire. E io l’avevo attaccata sul frigo, per comodità.

Riordinai la cucina e poi tornai su per mettermi qualcosa di più appropriato che il mio ridicolo pigiama con il pupazzo di neve assassino.

Indossai una maglia nera in ciniglia stretta ai fianchi, ma morbida sopra, insieme ai pantaloni abbinati: uno dei miei acquisti strategici per coprire la pancia.

Quando sentii suonare alla porta d’ingresso, andai subito ad aprire.

«Chelsea!».

Adam sembrava davvero raggiante.

«Ciao, Adam!».

Ci abbracciammo, io dovetti stare attenta a non schiacciarmi troppo contro di lui per non fargli sentire la piccola protuberanza del mio ventre, poi lo feci accomodare, dicendogli di lasciare la valigia all’ingresso e che l’avremmo sistemata più tardi.

«Posso offrirti qualcosa da bere?».

«Un caffè, grazie», rispose lui con un sorriso.

Dannazione… tra tutte le cose che potevano esserci… proprio il caffè?

Solo l’odore mi dava una nausea terribile. Per me era stata una rinuncia tremenda perché, prima della gravidanza, io vivevo di caffè.

«Certo, arrivo subito».

«Vengo in cucina».

«Perché non vai in bagno invece? Sarà stato un po’ stancante il viaggio, vai a rinfrescarti mentre io lo preparo».

«D’accordo, grazie».

Almeno, se avessi avuto la nausea, non avrebbe visto la mia reazione all’odore della bevanda.

Infatti, proprio come pensavo, non appena il profumo cominciò a diffondersi, mi girò la testa e fui presa da fastidiosi conati di vomito, che mi sforzai di reprimere.

Proprio in quel momento, rientrò Adam, che si accorse subito del mio malessere.

«Chelsea!», mi corse vicino, circondandomi le spalle con un braccio.

Aveva esattamente lo stesso modo di preoccuparsi di Chris; sotto quel punto di vista, i due erano identici.

«Sto bene, scusami… ».

«Non è vero che stai bene. Me ne sono accorto appena ho messo piede in casa. Sei pallida come un lenzuolo e sei anche dimagrita. Che cosa ti succede?».

Mi fece sedere su una sedia attorno al tavolo, guardandomi apprensivo.

«Niente, sto solo… è un periodo che non mi sento molto bene».

«E… sai perché succede? Sei stata dal medico?».

«Sì, mi ha… mi ha dato delle vitamine, degli integratori… passerà, vedrai».

Almeno in questo modo avevo trovato una spiegazione per tutto quello che prendevo in questo periodo. Avrei solo dovuto coprire la scritta “Vitamine prenatali”.

L’uomo non era molto convinto da quella mia spiegazione, ma lasciò correre ed io gli fui grata per quello.

«E dimmi… la tua amica? Quella Gale… come sta?», cambiò poi argomento lui.

«Meglio, lei… si è svegliata la settimana scorsa».

«Caspita… è stata in coma abbastanza a lungo».

«Sì, è vero, però si riprende in fretta  e siamo tutti positivi al riguardo. Ringraziando Dio, non ci sarà bisogno di nessun trapianto. L’unica cosa è che forse dovranno asportarle parte della milza, ma se la caverà».

«Ryan invece come sta?».

Sorrisi.

«Bene, lui… nelle ultime due settimane si era trasferito qui, quasi… ».

«Oh, pensavo che a lui piacesse Gale… c’è qualcosa tra di voi?»

«No, no, assolutamente no. Siamo solo amici. Come mai tutte queste domande, Adam? Non è che Chris ti ha ingaggiato per farmi il terzo grado, vero?».

«No, in realtà mio fratello non mi parla da quando ho detto che sarei venuto a trovarti. Non credo che l’abbia presa molto bene».

«Che cosa?!».

«Già, lui è… è strano, ultimamente».

Avevo ripromesso a me stessa che non gli avrei chiesto niente, riguardo a Chris, ma… ora che Adam mi diceva quelle cose… non potevo semplicemente ignorarlo.

«Strano in che senso?».

«Beh, quando è a casa se ne sta sempre chiuso in camera sua, parla poco, mentre prima non la smetteva mai e… caccia via anche Jenna, quando prova a parlargli. Inoltre mi pare che tra lui e Shereen, i rapporti siano un po’ freddi».

Deglutii a vuoto.

Mi accarezzavo il ventre con movimenti delicati e circolari della mano, assorta nei miei pensieri, quando Adam mi riportò alla realtà.

«Ti fa male la pancia, Chelsea?».

Subito m’immobilizzai.

«Oh, io… no! No, no, tranquillo».

«Sai, credo che dovresti parlare con Chris, chiamarlo. Quella famosa sera della cena a casa nostra, mi dicesti che avevi distrutto il vostro legame, ma… io non credo. Io credo che qualcosa come il vostro rapporto… non possa essere distrutto così. Ho visto mio fratello con il cellulare in mano un mucchio di volte, a fissare il display e poi lo metteva via ogni volta. Io penso che fosse indeciso sul chiamarti o meno e non lo ha mai fatto. Tuttavia… credo abbia bisogno di te; nonostante tutto… eri la sua migliore amica, prima ancora di tutto ciò che è accaduto tra di voi».

«Sì, ma… hai detto bene, Adam: ero la sua migliore amica».

Restammo in cucina a parlare per tutta la mattina e, nel pomeriggio, andammo nel cinema del centro commerciale a vedere un film. Una commedia carina, qualcosa di leggero in quel periodo mi serviva.

Soprattutto adesso, che Adam mi aveva dato un sacco di cose a cui pensare: Chris, il suo rapporto incrinato con mia sorella, lo strano comportamento del ragazzo ultimamente. Non mi piaceva; ciò che avevo detto a Ryan era vero: lo avevo spezzato.

Adam insisté per andare fuori a cena e, non appena provai a pagare, mi fulminò con un’occhiata degna del più crudele dei serial killer.

Mangiare era stato uno sforzo tremendo per me, e ancor di più lo era stato tenermi tutto dentro, ma ci riuscii fortunatamente e, verso le dieci,  eravamo di nuovo a casa.

Adam mi aveva raccontato di come le cose andassero a casa; disse che aveva visto i miei e che sembravano un po’ tesi per la situazione tra mia sorella e Chris.

Perché non mi avevano mai detto niente durante tutte le loro telefonate?

«Io ho provato a parlare con mio fratello, ma è sempre stato sul vago e… da quando poi ho detto che sarei venuto a trovarti… niente, è stato come se non esistessi».

«Mi dispiace tanto, Adam».

«Non è colpa tua; è lui che si deve mettere  a posto quella testa. Se vuole te… si deve dare una svegliata perché non credo che sarai disponibile ad aspettarlo per tutto il resto della vita».

Sospirai amaramente.

«Io e Chris abbiamo il legame più forte che possa unire due persone».

Mi resi conto di quelle parole, nel momento successivo che mi uscirono dalla bocca e trasalii.

Adam mi osservò incuriosito.

«Di cosa parli, Chelsea?».

«Oh, niente, è che… », mi stavo palesemente arrampicando sugli specchi.

Grazie al cielo, in quel momento suonò il campanello.

Salvata da Ryan; lo avrei fatto santo, quel ragazzo.

«Chi è a quest’ora?», mi chiese Adam, guardando l’orologio.

«È Ryan, mi ha portato fuori Buster».

Aprii la porta, facendo entrare il mio amico ed il mio cane.

Ryan mi abbracciò, poi tese la mano per stringere quella di Adam, che l’afferrò.

«È andata bene la serata, ragazzi?».

«Tranquilla; Adam mi ha portato fuori e non ha voluto che pagassi niente».

«Mi sembra giusto», convenne Ryan.

«Questo ragazzo mi piace», sorrise Adam.

«Ah, già… mi ero dimenticata che sto parlando con quello che non mi lascia nemmeno pagare un gelato».

I due si misero a ridere e la mia espressione si fece rassegnata.

«Lasciamo stare, io me ne vado a letto, se voi due volete guardare un film o fare altro, fate come se foste a casa vostra. Tanto ormai tu sei pratico, Ryan».

Abbracciai entrambi e poi andai al piano di sopra, seguita da Buster, che, da quando ero incinta, non mi perdeva d’occhio un istante.

L’intelligenza del mio cane non smetteva mai di stupirmi.

Infilai il pigiama e mi misi sotto le coperte, ero veramente stanca.

Sapevo già, ovviamente, che quando si è incinta ci si stanca in fretta, ma così era davvero ai limiti del ridicolo.

Dal piano di sotto, sentivo le voci allegre di Adam e Ryan e in qualche modo… mi sentii rassicurata.

Fui preda del sonno dopo pochi minuti.

Il giorno seguente, rimasi fuori con Adam tutto il tempo; fu stancante, ma bello, parlammo molto.

«Il tuo sogno più grande?», mi chiese la sera, quando ormai eravamo tornati a casa.

Ci pensai su un po’, poi risposi.

«New York. Non ci sono mai stata, ma il mio sogno più grande sarebbe visitarla. Da bambina sognavo di andare alla Julliard. Dovevo andarci quest’estate, a New York intendo, ma poi… mi dispiaceva non vedere il nonno e… », il cuore mi si strinse in una morsa dolorosa.

«… grazie a Dio non ci sono andata, altrimenti non avrei più avuto la possibilità di vederlo e… non me lo sarei mai perdonato».

Mi chiesi in che modo sarebbe cambiata la mia vita se fossi andata a New York, mesi prima.

Non avrei avuto l’incidente, non avrei rischiato di morire ammazzata da un pazzo, non sarebbe successo ciò che era accaduto con Chris e… probabilmente adesso non sarei stata incinta.

«Chelsea? Ci sei?», la voce di Adam mi riportò alla realtà.

«Scusa, hai… hai detto qualcosa?».

Lui rise.

«Dov’eri andata?».

Risi, forse un po’ amaramente.

«In un posto che Chris chiama “Immagilandia”».

L’uomo mi sorrise.

«Alquanto appropriato».

«Già», dissi passandomi nuovamente la mano sul ventre.

«Chris mi ha detto che eri molto affezionata a tuo nonno».

Il solo sentirlo nominare, mi fece quasi venire le lacrime agli occhi.

Maledetti ormoni.

«Sì, è vero. Perderlo è stato un brutto colpo, ma tuo fratello mi è stato di grande aiuto».

«Sì, diciamo… che a Chris piace soccorrere la gente; ma di questo te ne sarai accorta da sola».

«Decisamente sì».

Ci fu una pausa, durante la quale bevvi un paio di sorsi dalla tazza che tenevo tra le mani.

Era una tisana che avevo preso in erboristeria; me l’aveva consigliata la mia dottoressa. A Adam avevo preparato un normale thè caldo.

«Chelsea, sei sicura di stare proprio bene? Non lo so, ma… ho come l’impressione che ci sia qualcos’altro… ».

In un altro momento mi sarei agitata per quella sua osservazione, ma adesso ero troppo stanca perfino per innervosirmi.

«Sto bene; sono solo molto stanca a causa del lavoro ultimamente, ma non ti preoccupare».

«Allora ti lascio andare a dormire, ci vediamo domani. Buonanotte».

«Buonanotte, Adam».

Il giorno seguente piovve a dirotto, quindi restammo a casa. Venne anche Ryan e per lo più diventammo un tutt’uno con il divano, guardando film o programmi spazzatura.

La mattina dopo invece uscii con Adam, che ormai sarebbe ripartito tra due giorni,  e restammo nel parco in centro fino all’ora di pranzo.

Fu una mattinata tranquilla, anche se vedere tutti quei bambini, mi fece venire un po’ di inquietudine.

Le domande cominciarono ad assalirmi, i dubbi, le preoccupazioni si riversarono dentro di me, dilaganti.

Sarei stata capace di crescere mio figlio da sola? Certo, avrei avuto Ryan, ma… sarebbe stato difficile, molto difficile.

Per di più, dalla sera precedente non mi sentivo proprio benissimo e, come al solito, Adam se ne accorse.

«Chelsea, credo sia meglio se torniamo a casa, sei molto pallida».

Annuii senza protestare e seguii il mio amico in silenzio. Quel giorno non mi sentivo affatto bene.

Quando arrivammo a casa, mi misi seduta in salotto con lui e osservai il pianoforte, un pianoforte che ormai non toccavo da mesi, così come anche quello che c’era al piano superiore.

«Mio fratello mi ha detto che suoni e canti divinamente».

Sorrisi debolmente.

«Suonavo», lo corressi.

«Non lo fai più?».

Scossi la testa in segno negativo.

«È davvero un peccato, mi sarebbe piaciuto molto, sentirti».

La verità era che, dal giorno in cui avevamo seppellito il nonno, non avevo suonato mai più.

«Forse un giorno», restai sul vago. «Ora vado a preparare il pranzo… ti va qualcosa in particolare?», chiesi guardandolo negli occhi.

«Quello che vuoi; io non sono schizzinoso» disse facendomi l’occhiolino.

Gli sorrisi e poi mi avviai in cucina.

Dio, mi sentivo così pesante, quel giorno, così stanca.

Cominciai a tirare fuori il pacco della pasta; dell’insalata e una pentola, ma, quando presi l’insalatiera, ebbi un forte capogiro e un crampo all’addome.

Mi spaventai a tal punto che l’insalatiera mi cadde di mano, frantumandosi al suolo.

«Chelsea?! Che cos’è successo?», la voce di Adam, proveniente dal salotto, era preoccupata.

Un’altra fitta, mi piegai in due, il respiro mozzato.

«ADAM!», gridai premendomi una mano sul ventre.

Lo sentii arrivare di corsa e, quando quasi sfondò la porta della cucina, impallidì.

«CHELSEA! Chelsea, che cos’hai?!».

L’uomo sembrava veramente spaventato.

Un altro crampo, ma stavolta urlai, tenendomi sempre la pancia.

«Adam… Adam, mi devi portare subito in ospedale… ».

Sgranò gli occhi e mi prese in braccio con la stessa facilità con cui faceva Chris.

«Chelsea, dimmi che cosa ti sta succedendo, ti prego!».

Ma tutto ciò che feci, fu rovesciare la testa all’indietro e poi fui avvolta dalle tenebre.

 

Quando riaprii gli occhi, ero sdraiata su un letto d’ospedale, con affianco un monitor che emetteva dei fastidiosi bip-bip più spesso di quanto la mia testa potesse sopportare.

Mi guardai attorno; Adam mi dava le spalle, osservando il panorama fuori dalla finestra a braccia conserte.

Istintivamente, mi portai una mano al ventre e lo sentii lievemente gonfio come prima.

«Adam…?», chiamai con voce debole.

L’uomo si voltò di scatto e mi venne vicino.

«Chelsea… oddio, stai… stai bene?», mi chiese accarezzandomi i capelli.

Feci cenno di sì con la testa, poi però l’espressione di lui si fece molto più seria.

«Adesso vuoi dirmi, per favore, perché diavolo mi hai tenuto all’oscuro di una notizia del genere?! Perché non mi hai detto che aspettavi un bambino? Ti ho portata fuori ogni giorno, ti ho fatta stancare; Chelsea! Hai rischiato di morire!».

«Cosa vuol dire… aspettavo?», cominciai subito ad agitarmi e gli occhi mi si riempirono di lacrime, al che, Adam mi venne vicino, prendendomi una mano.

«No, no, Chelsea, tranquilla. Non hai perso il bambino, lui sta bene».

Tirai un sospiro di sollievo e qualche lacrima scappò dai miei occhi, ma mi affrettai ad asciugarla.

Mi accarezzai ripetutamente il ventre, cercando di calmarmi.

Stavamo bene, era tutto a posto. Stavamo bene e nient’altro contava.

«Chelsea, ti rendi conto che mi sono spaventato a morte? Credevo che stessi per morire lì, tra le mie braccia».

Ebbi come un déjà-vu di Chris che mi diceva una cosa del genere dopo il mio incidente d’auto. Certo che ero proprio un disastro.

«Mi dispiace, Adam, io… ero spaventata».

«Io volevo chiamare i tuoi genitori, Chelsea; stavo per farlo».

A quell’idea rabbrividii.

«Poi però qualcosa mi ha trattenuto e adesso, voglio che tu mi dica la verità. Il bambino che aspetti… è di mio fratello, vero?».

Deglutii, volevo trovare una via di fuga da questa situazione; ma stavolta… niente avrebbe potuto salvarmi dal rispondere a quella domanda.

Mi limitai ad annuire soltanto, con le lacrime che tornarono a farsi risentire.

Non potevo piangere; non volevo farlo. Non lo avevo fatto nemmeno quando avevo scoperto di essere incinta, quando ero disperata nei momenti più neri e di certo non potevo farlo adesso.

Ma Adam era lì ed era così rassicurante la sua presenza, che avrei soltanto voluto sprofondare in un mare di lacrime ed essere confortata, ma non lo permisi a me stessa.

«Promettimi che non lo dirai a nessuno».

«Cosa, scusa?».

«Giuramelo, Adam!».

«Chelsea… mentire a mio fratello facendo finta di non essermi accorto dei sentimenti che prova per la sorella della sua fidanzata, è un conto. Mentirgli tenendogli nascosto che diventerà padre dalla donna che, chiaramente, lui ama, è tutta un’altra storia! Quando lo scoprirà, se dovesse venire a sapere che io già sapevo tutto, mi ammazzerà con le sue mani! Specialmente dal momento in cui tu hai rischiato di perdere il bambino e di morire a tua volta».

«Adam… non spetta a te, dirglielo».

«Mettiamo che io non lo faccia… tu mi prometti che glielo dirai?».

Guardai da tutt’altra parte.

«Non lo so, Adam; io non lo so! È tutto troppo grande, è più grande di me ed io… io sono così terrorizzata!».

«Terrorizzata? Chelsea, tu sei incinta! Si presuppone che questo, per una donna, dovrebbe essere uno dei periodi più felici nella sua vita, ma tu non riesci a stare calma e forse, se lo dicessi ai tuoi, le cose andrebbero meglio».

«No, ai miei non se ne parla neanche. Te l’immagini la reazione di Shereen?».

«Francamente? Non me ne importa nulla. Detto tra noi, mi sei sempre piaciuta più di lei e, ad ogni modo, non credo che tra lei e mio fratello durerà ancora molto. Sono veramente ai ferri corti e ho come l’impressione che, quando alla loro storia verrà messo un punto; Chris correrà da te».

«Non lo farebbe, non così in fretta».

«Lo farebbe, se sapesse che la donna che ama aspetta suo figlio. Chelsea… lì dentro hai mio nipote ed io mi prenderò cura di lui e di te, naturalmente. E Chris può aver fatto tanti casini, ma si merita di essere informato».

«Dopo Natale, d’accordo?».

«Cosa?! Ma a Natale manca ancora un mese!».

«Ti prometto che dopo Natale glielo dirò».

Adam sospirò.

«E va bene, Chelsea… hai vinto tu. Ma mi dici come diavolo faccio io a partire, adesso? Come faccio a partire e lasciare qui la mia famiglia? Lasciare te e mio nipote. Come potrò guardarmi allo specchio ogni mattina e sapere che cosa ho lasciato qui?».

Gli posai una mano sulla sua.

«Stai tranquillo. Ti prometto che mi farò sentire ogni giorno, che ti darò notizie e che ti informerò sulle visite mediche».

«E mi dirai se c’è qualcosa che non va?».

«Sì».

«E intanto chi si prenderà cura di te?».

«Io… ».

La voce proveniva dalle spalle di Adam.

Lui si voltò; io non avevo bisogno di guardare per sapere chi avesse parlato.

«Ryan… ».

Il ragazzo mi abbracciò forte.

«Almeno vedo che hai avuto il buon senso di dirlo a qualcuno… ».

«Io mi prenderò cura di loro, Adam , te lo garantisco. Il che vuol dire… », ora il suo sguardo era fisso su di me. «… che mi trasferirò di nuovo a casa tua. E che tu prenderai un’aspettativa per motivi di salute. E non farai storie», m’interruppe vedendo che stavo per controbattere.

«L’ho detto e ribadisco: tu mi piaci sempre di più, Ryan», disse Adam ed il ragazzo sorrise.

Se si fossero alleati, io non avrei avuto alcuna chance.

«D’accordo. Tanto casa mia ha molte stanze vuote».

Dovetti restare in ospedale quel giorno e tutto il seguente.

Il dottore non fece che raccomandarmi di stare più tranquilla ed evitare inutili agitazioni, poi fui finalmente dimessa, l’ultimo giorno prima della partenza di Adam.

Quando tornai a casa, i due mi misero subito a riposo forzato, stendendomi sul divano e restarono con me tutta la giornata, cercando di farmi ridere.

Li guardai: ero davvero fortunata ad avere due amici così e mi rattristai per la partenza imminente di Adam; in fin dei conti… era stata una bella settimana.

Mi stiracchiai, alzandomi per andare in cucina a prendere un bicchiere d’acqua, ma Ryan mi si parò davanti, ordinandomi di stare ferma e che sarebbe andato lui.

«Senti, Ryan… dovrò anche stare a riposo, ma non puoi impedirmi di fare due passi  nella mia maledetta casa perché, se solo al terzo mese smetto di muovermi, quando arriverò all’ultimo avrò un culo come quello di una balena e non riuscirò a fare nemmeno le scale».

Quelle parole fecero ridere i miei  due amici e il moro si fece da parte, lasciandomi passare.

Verso metà pomeriggio, Adam andò via, facendomi promettere un centinaio di volte di tenerlo informato giorno dopo giorno.

«Adam, adesso basta, te l’ho già detto. Tra un paio di giorni ho la prossima ecografia e Ryan mi accompagnerà, poi ti farò sapere cosa dice la dottoressa, d’accordo? Smettila di fare il paranoico».

«Sai com’è… è il mio primo nipote, sono un po’ apprensivo».

Lo abbracciai.

«Andrà tutto bene, vedrai. Per le vacanze di Natale tornerò a casa, quindi… magari ci vediamo, ok?».

«Su questo non ci sono dubbi».

Detto questo, il mio amico uscì di casa e andò via.

«Siamo di nuovo io e te, eh, Gaver?», disse Ryan, circondandomi la vita con un braccio.

«Pare di sì».

«E anche quella sorta di pulcino che hai dentro».

Sorrisi dolcemente e lo abbracciai.

«Sono davvero contenta che tu sia qui, Ryan. Ma tuo padre non si farà domande sul fatto che ti trasferisci qui a settimane alterne?».

«No, mio padre è tranquillo, non si impiccerà. E poi, fino a quando non nascerà il pulcino, starò qui in pianta stabile».

«Aspetta, ma… se lui è il pulcino… io chi dovrei essere?».

«Una gallina?».

Lo fulminai con un’occhiataccia e gli tirai un pugno sul braccio.

«Ahi! Ok… tu sei Mamma Chioccia. E sei anche un po’ scorbutica».

 

Il tempo passò velocemente; Ryan mi accompagnò a fare quell’ecografia e, per fortuna,  sembrava essere tutto a posto. Quello che era accaduto la settimana prima, doveva essere stato solo un episodio di forte stress.

Le settimane si susseguirono una dopo l’altra; Gale dovette tornare sotto i ferri, ma, se tutto fosse andato come avrebbe dovuto, dopo le vacanze di Natale, sarebbe stata dimessa.

Ryan insistette molto per venire a Phoenix con me per le feste, ma fui irremovibile.

«Non se ne parla. Tu devi passare il Natale con tuo padre, Ben e Gale e a casa io avrò Adam. Ci sentiremo ogni giorno, Ryan, ma il tuo posto, adesso, è qui».

«Il mio posto è dove posso prendermi cura di te e… Chelsea, lasciami venire».

«No. Io starò bene; ficcatelo in quella testa».

«Ti stancherai a guidare da qui a Phoenix».

«Se mi stanco, mi fermerò per strada, te lo prometto».

Ryan sospirò, sconfitto.

«Non ti sopporto quando fai così».

Sorrisi.

«Su, mancano ancora due settimane a Natale, vedrai che andrà tutto bene».

 

Quelle due settimane volarono via come il vento, arrivò la vigilia di Natale, giorno della mia partenza e ormai era impossibile non notare la mia pancia. Certo, ero solo ai primi mesi, però quel rigonfiamento del mio ventre, ormai era chiaro.

In valigia avevo tutti vestiti morbidi che avrebbero coperto le mie nuove curve; Ryan mi aveva assicurato che non avrebbero capito il mio stato.

Inoltre, avevo ripreso peso e le nausee ormai erano quasi sparite, certo, avrei dovuto fare i conti con il pranzo di Natale di mamma.

Di solito invitava sempre il fratello di mio padre e rispettiva famiglia; era l’unica occasione in cui ci vedevamo, durante l’anno e sperai che tutto filasse liscio.

Salutai Ryan, a cui dovetti promettere di scrivergli una volta arrivata a destinazione e poi partii.

Avevo lasciato Buster a casa, il mio amico si sarebbe preso cura di lui.

Quando i familiari edifici di Phoenix cominciarono a stagliarsi davanti ai miei occhi, telefonai alla mamma per dirle che ero quasi arrivata.

«Ciao, amore!», venne a salutarmi mio padre non appena mi vide.

Mi abbracciò forte ed io persi un battito, terrorizzata dal fatto che avrebbe potuto sentire la mia pancia, ma per fortuna non accadde.

Entrai in casa e salutai mia madre e Shereen, che, stranamente, non sembrava raggiante come al suo solito.

Non indagai molto; in quel momento il mio unico obiettivo era arrivare in camera mia e scrivere a Ryan, prima che andasse in paranoia.

Quando arrivò la sua risposta, iniziai a sistemare i vestiti. Mi ero stancata addirittura a portare la valigia su per le scale; ero proprio spompata in quel periodo.

Ad un tratto, mentre riponevo le ultime cose, sentii bussare alla porta.

«Avanti».

«Ciao, tesoro».

«Mamma… va tutto bene?».

«Sì, io… volevo chiederti una cosa, anche se da una parte non mi sembra molto corretto… ».

Lasciai stare i vestiti e mi sedetti sulla sedia della mia scrivania.

«Dimmi… ».

«Sai… la situazione tra Christian e Shereen non è tra le migliori al momento e… volevo sapere se tu ne sapessi qualcosa. Se per caso Christian… sì, insomma… se voi due ne avete parlato».

Scossi la testa.

«Io e Chris non ci sentiamo da quando siete ripartiti, dopo… dopo Gale… ».

L’espressione sul volto di mia madre si fece sorpresa.

«Dici davvero?».

«Sì, noi… non abbiamo più parlato».

Lei mi prese una mano e qualcosa dentro di me si agitò.

Avrei voluto abbracciarla. Avrei solo… voluto abbracciarla e poterle dire tutto, ma non potevo. Non era giusto, non era il momento.

«Mi dispiace, piccola… so quanto fossi legata a lui».

“E quanto lo sono adesso più che mai”, aggiunsi mentalmente.

«Non fa niente, mamma».

Ma la verità era un’altra.

La verità era che, se avessi potuto, sarei corsa da lui in quel preciso istante, gli avrei detto che mi mancava e che lo rivolevo nella mia vita.

Nella nostra vita.

Non potevo farlo.

Presi un profondo respiro e sorrisi a mia madre.

«Va bene così».

 

Quella sera restammo tutti tranquilli a casa; non avevamo mai dato un gran peso alla vigilia e non ci eravamo mai fatti dei regali, a parte quando io e Shereen eravamo piccole.

La mattina seguente, dal piano di sotto, sentivo già provenire i tipici odori del pranzo di Natale di mamma, solo che adesso mi sembrava tutto amplificato e, per qualche minuto, la nausea tornò.

Dovevo essere forte.

Dovevo resistere.

Ormai erano le nove e mezza; i parenti di papà sarebbero arrivati verso le undici ed io andai a farmi una doccia, prima.

Preparai un abito nero e morbido che copriva perfettamente la mia pancia, dopodiché, rimasi un’ora nel bagno, cullata dall’acqua calda.

Quando fui pronta, scesi al piano di sotto e… la tavola era apparecchiata per un numero di persone decisamente superiore al solito.

«Perché quella faccia, tesoro? Che succede?», mi chiese mio padre.

«Io… pensavo che fossimo solo noi e gli zii, come al solito… ».

«Oh, tua sorella non ti ha detto niente?».

No, mia sorella non mi aveva neanche detto “ciao”, da quando ero arrivata, in realtà.

«Cosa avrebbe dovuto dirmi?».

Ma sapevo già la risposta.

«Verranno qui anche Christian e tutta la sua famiglia».

Note dell’Autrice:

E rieccomi con il capitolo 20! Direi che di cose ne sono successe e inoltre il rapporto tra Chelsea e Adam si è evoluto parecchio, avendo lui scoperto la verità sulla gravidanza di Chelsea.

Da qui in poi di cose ne succederanno, quindi… alla prossima!

DAL CAPITOLO 21:

“Quando mi risvegliai, ero letteralmente avvinghiata al torace ampio di Chris, che si alzava e si abbassava regolarmente ad ogni suo respiro.

«Ti sei svegliata… », disse piano.

«Quanto ho dormito?».

«Non molto; mancano dieci minuti a mezzanotte».

«Perché non sei giù con gli altri?».

«Perché è questo l’unico posto in cui dovrei essere adesso».

A quelle parole, anche se involontariamente, mi strinsi di più a lui e Chris mi accarezzò i capelli.

«Credo di averti lasciato molto spazio, Chelsea, ma non mi hai mai richiamato».

Sospirai.

«Questo lo so».

«E perché non lo hai mai fatto? L’ultima volta che… “ci siamo dati spazio”, non è finita molto bene, mi sembra».

«Già, tu che ti metti con mia sorella, se non ricordo male».

«Una cosa del genere», il suo tono era distaccato.”

  
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