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CAPITOLO
20: COMPLICAZIONI
Mi svegliai pensando
ancora al sogno di quella notte; guardare troppi film e serie televisive mi
faceva strani effetti.
Indossai una
vestaglia di raso bianca sopra il mio pigiama di cotone e scesi in cucina per
la colazione.
Mangiai una banana e
due fette biscottate con la marmellata bevendo un succo di frutta. Da quando
avevo scoperto di essere incinta, facevo molta più attenzione a cosa mangiavo;
la mia dottoressa, poi, mi aveva dato una sorta di “tabella di marcia” da seguire.
E io l’avevo attaccata sul frigo, per comodità.
Riordinai la cucina e
poi tornai su per mettermi qualcosa di più appropriato che il mio ridicolo
pigiama con il pupazzo di neve assassino.
Indossai una maglia
nera in ciniglia stretta ai fianchi, ma morbida sopra, insieme ai pantaloni
abbinati: uno dei miei acquisti strategici per coprire la pancia.
Quando sentii suonare
alla porta d’ingresso, andai subito ad aprire.
«Chelsea!».
Adam sembrava davvero
raggiante.
«Ciao, Adam!».
Ci abbracciammo, io
dovetti stare attenta a non schiacciarmi troppo contro di lui per non fargli
sentire la piccola protuberanza del mio ventre, poi lo feci accomodare,
dicendogli di lasciare la valigia all’ingresso e che l’avremmo sistemata più
tardi.
«Posso offrirti
qualcosa da bere?».
«Un caffè, grazie»,
rispose lui con un sorriso.
Dannazione… tra tutte
le cose che potevano esserci… proprio il caffè?
Solo l’odore mi dava
una nausea terribile. Per me era stata una rinuncia tremenda perché, prima
della gravidanza, io vivevo di caffè.
«Certo, arrivo
subito».
«Vengo in cucina».
«Perché non vai in
bagno invece? Sarà stato un po’ stancante il viaggio, vai a rinfrescarti mentre
io lo preparo».
«D’accordo, grazie».
Almeno, se avessi
avuto la nausea, non avrebbe visto la mia reazione all’odore della bevanda.
Infatti, proprio come
pensavo, non appena il profumo cominciò a diffondersi, mi girò la testa e fui
presa da fastidiosi conati di vomito, che mi sforzai di reprimere.
Proprio in quel
momento, rientrò Adam, che si accorse subito del mio malessere.
«Chelsea!», mi corse
vicino, circondandomi le spalle con un braccio.
Aveva esattamente lo
stesso modo di preoccuparsi di Chris; sotto quel punto di vista, i due erano
identici.
«Sto bene, scusami…
».
«Non è vero che stai
bene. Me ne sono accorto appena ho messo piede in casa. Sei pallida come un
lenzuolo e sei anche dimagrita. Che cosa ti succede?».
Mi fece sedere su una
sedia attorno al tavolo, guardandomi apprensivo.
«Niente, sto solo… è
un periodo che non mi sento molto bene».
«E… sai perché succede?
Sei stata dal medico?».
«Sì, mi ha… mi ha
dato delle vitamine, degli integratori… passerà, vedrai».
Almeno in questo modo
avevo trovato una spiegazione per tutto quello che prendevo in questo periodo.
Avrei solo dovuto coprire la scritta “Vitamine prenatali”.
L’uomo non era molto
convinto da quella mia spiegazione, ma lasciò correre ed io gli fui grata per
quello.
«E dimmi… la tua
amica? Quella Gale… come sta?», cambiò poi argomento lui.
«Meglio, lei… si è
svegliata la settimana scorsa».
«Caspita… è stata in
coma abbastanza a lungo».
«Sì, è vero, però si
riprende in fretta e siamo tutti
positivi al riguardo. Ringraziando Dio, non ci sarà bisogno di nessun
trapianto. L’unica cosa è che forse dovranno asportarle parte della milza, ma
se la caverà».
«Ryan invece come
sta?».
Sorrisi.
«Bene, lui… nelle
ultime due settimane si era trasferito qui, quasi… ».
«Oh, pensavo che a
lui piacesse Gale… c’è qualcosa tra di voi?»
«No, no,
assolutamente no. Siamo solo amici. Come mai tutte queste domande, Adam? Non è
che Chris ti ha ingaggiato per farmi il terzo grado, vero?».
«No, in realtà mio
fratello non mi parla da quando ho detto che sarei venuto a trovarti. Non credo
che l’abbia presa molto bene».
«Che cosa?!».
«Già, lui è… è strano,
ultimamente».
Avevo ripromesso a me
stessa che non gli avrei chiesto niente, riguardo a Chris, ma… ora che Adam mi
diceva quelle cose… non potevo semplicemente ignorarlo.
«Strano in che
senso?».
«Beh, quando è a casa
se ne sta sempre chiuso in camera sua, parla poco, mentre prima non la smetteva
mai e… caccia via anche Jenna, quando prova a parlargli. Inoltre mi pare che
tra lui e Shereen, i rapporti siano un po’ freddi».
Deglutii a vuoto.
Mi accarezzavo il
ventre con movimenti delicati e circolari della mano, assorta nei miei pensieri,
quando Adam mi riportò alla realtà.
«Ti fa male la
pancia, Chelsea?».
Subito
m’immobilizzai.
«Oh, io… no! No, no,
tranquillo».
«Sai, credo che
dovresti parlare con Chris, chiamarlo. Quella famosa sera della cena a casa
nostra, mi dicesti che avevi distrutto il vostro legame, ma… io non credo. Io
credo che qualcosa come il vostro rapporto… non possa essere distrutto così. Ho
visto mio fratello con il cellulare in mano un mucchio di volte, a fissare il
display e poi lo metteva via ogni volta. Io penso che fosse indeciso sul
chiamarti o meno e non lo ha mai fatto. Tuttavia… credo abbia bisogno di te;
nonostante tutto… eri la sua migliore amica, prima ancora di tutto ciò che è
accaduto tra di voi».
«Sì, ma… hai detto
bene, Adam: ero la sua migliore
amica».
Restammo in cucina a
parlare per tutta la mattina e, nel pomeriggio, andammo nel cinema del centro
commerciale a vedere un film. Una commedia carina, qualcosa di leggero in quel
periodo mi serviva.
Soprattutto adesso,
che Adam mi aveva dato un sacco di cose a cui pensare: Chris, il suo rapporto
incrinato con mia sorella, lo strano comportamento del ragazzo ultimamente. Non
mi piaceva; ciò che avevo detto a Ryan era vero: lo avevo spezzato.
Adam insisté per
andare fuori a cena e, non appena provai a pagare, mi fulminò con un’occhiata
degna del più crudele dei serial killer.
Mangiare era stato
uno sforzo tremendo per me, e ancor di più lo era stato tenermi tutto dentro,
ma ci riuscii fortunatamente e, verso le dieci,
eravamo di nuovo a casa.
Adam mi aveva raccontato
di come le cose andassero a casa; disse che aveva visto i miei e che sembravano
un po’ tesi per la situazione tra mia sorella e Chris.
Perché non mi avevano
mai detto niente durante tutte le loro telefonate?
«Io ho provato a
parlare con mio fratello, ma è sempre stato sul vago e… da quando poi ho detto
che sarei venuto a trovarti… niente, è stato come se non esistessi».
«Mi dispiace tanto,
Adam».
«Non è colpa tua; è
lui che si deve mettere a posto quella
testa. Se vuole te… si deve dare una svegliata perché non credo che sarai
disponibile ad aspettarlo per tutto il resto della vita».
Sospirai amaramente.
«Io e Chris abbiamo
il legame più forte che possa unire due persone».
Mi resi conto di
quelle parole, nel momento successivo che mi uscirono dalla bocca e trasalii.
Adam mi osservò
incuriosito.
«Di cosa parli,
Chelsea?».
«Oh, niente, è che…
», mi stavo palesemente arrampicando sugli specchi.
Grazie al cielo, in
quel momento suonò il campanello.
Salvata da Ryan; lo
avrei fatto santo, quel ragazzo.
«Chi è a quest’ora?»,
mi chiese Adam, guardando l’orologio.
«È Ryan, mi ha
portato fuori Buster».
Aprii la porta,
facendo entrare il mio amico ed il mio cane.
Ryan mi abbracciò,
poi tese la mano per stringere quella di Adam, che l’afferrò.
«È andata bene la
serata, ragazzi?».
«Tranquilla; Adam mi
ha portato fuori e non ha voluto che pagassi niente».
«Mi sembra giusto»,
convenne Ryan.
«Questo ragazzo mi
piace», sorrise Adam.
«Ah, già… mi ero
dimenticata che sto parlando con quello che non mi lascia nemmeno pagare un
gelato».
I due si misero a
ridere e la mia espressione si fece rassegnata.
«Lasciamo stare, io
me ne vado a letto, se voi due volete guardare un film o fare altro, fate come
se foste a casa vostra. Tanto ormai tu sei pratico, Ryan».
Abbracciai entrambi e
poi andai al piano di sopra, seguita da Buster, che, da quando ero incinta, non
mi perdeva d’occhio un istante.
L’intelligenza del
mio cane non smetteva mai di stupirmi.
Infilai il pigiama e
mi misi sotto le coperte, ero veramente stanca.
Sapevo già,
ovviamente, che quando si è incinta ci si stanca in fretta, ma così era davvero
ai limiti del ridicolo.
Dal piano di sotto,
sentivo le voci allegre di Adam e Ryan e in qualche modo… mi sentii
rassicurata.
Fui preda del sonno
dopo pochi minuti.
Il giorno seguente,
rimasi fuori con Adam tutto il tempo; fu stancante, ma bello, parlammo molto.
«Il tuo sogno più
grande?», mi chiese la sera, quando ormai eravamo tornati a casa.
Ci pensai su un po’,
poi risposi.
«New York. Non ci
sono mai stata, ma il mio sogno più grande sarebbe visitarla. Da bambina
sognavo di andare alla Julliard. Dovevo andarci quest’estate, a New York
intendo, ma poi… mi dispiaceva non vedere il nonno e… », il cuore mi si strinse
in una morsa dolorosa.
«… grazie a Dio non
ci sono andata, altrimenti non avrei più avuto la possibilità di vederlo e… non
me lo sarei mai perdonato».
Mi chiesi in che modo
sarebbe cambiata la mia vita se fossi andata a New York, mesi prima.
Non avrei avuto
l’incidente, non avrei rischiato di morire ammazzata da un pazzo, non sarebbe
successo ciò che era accaduto con Chris e… probabilmente adesso non sarei stata
incinta.
«Chelsea? Ci sei?»,
la voce di Adam mi riportò alla realtà.
«Scusa, hai… hai
detto qualcosa?».
Lui rise.
«Dov’eri andata?».
Risi, forse un po’ amaramente.
«In un posto che
Chris chiama “Immagilandia”».
L’uomo mi sorrise.
«Alquanto
appropriato».
«Già», dissi
passandomi nuovamente la mano sul ventre.
«Chris mi ha detto
che eri molto affezionata a tuo nonno».
Il solo sentirlo
nominare, mi fece quasi venire le lacrime agli occhi.
Maledetti ormoni.
«Sì, è vero. Perderlo
è stato un brutto colpo, ma tuo fratello mi è stato di grande aiuto».
«Sì, diciamo… che a
Chris piace soccorrere la gente; ma di questo te ne sarai accorta da sola».
«Decisamente sì».
Ci fu una pausa,
durante la quale bevvi un paio di sorsi dalla tazza che tenevo tra le mani.
Era una tisana che
avevo preso in erboristeria; me l’aveva consigliata la mia dottoressa. A Adam
avevo preparato un normale thè caldo.
«Chelsea, sei sicura
di stare proprio bene? Non lo so, ma… ho come l’impressione che ci sia
qualcos’altro… ».
In un altro momento
mi sarei agitata per quella sua osservazione, ma adesso ero troppo stanca
perfino per innervosirmi.
«Sto bene; sono solo
molto stanca a causa del lavoro ultimamente, ma non ti preoccupare».
«Allora ti lascio
andare a dormire, ci vediamo domani. Buonanotte».
«Buonanotte, Adam».
Il giorno seguente
piovve a dirotto, quindi restammo a casa. Venne anche Ryan e per lo più
diventammo un tutt’uno con il divano, guardando film o programmi spazzatura.
La mattina dopo
invece uscii con Adam, che ormai sarebbe ripartito tra due giorni, e restammo nel parco in centro fino all’ora
di pranzo.
Fu una mattinata
tranquilla, anche se vedere tutti quei bambini, mi fece venire un po’ di
inquietudine.
Le domande
cominciarono ad assalirmi, i dubbi, le preoccupazioni si riversarono dentro di
me, dilaganti.
Sarei stata capace di
crescere mio figlio da sola? Certo, avrei avuto Ryan, ma… sarebbe stato
difficile, molto difficile.
Per di più, dalla
sera precedente non mi sentivo proprio benissimo e, come al solito, Adam se ne
accorse.
«Chelsea, credo sia
meglio se torniamo a casa, sei molto pallida».
Annuii senza
protestare e seguii il mio amico in silenzio. Quel giorno non mi sentivo affatto
bene.
Quando arrivammo a
casa, mi misi seduta in salotto con lui e osservai il pianoforte, un pianoforte
che ormai non toccavo da mesi, così come anche quello che c’era al piano
superiore.
«Mio fratello mi ha
detto che suoni e canti divinamente».
Sorrisi debolmente.
«Suonavo», lo corressi.
«Non lo fai più?».
Scossi la testa in
segno negativo.
«È davvero un
peccato, mi sarebbe piaciuto molto, sentirti».
La verità era che,
dal giorno in cui avevamo seppellito il nonno, non avevo suonato mai più.
«Forse un giorno»,
restai sul vago. «Ora vado a preparare il pranzo… ti va qualcosa in
particolare?», chiesi guardandolo negli occhi.
«Quello che vuoi; io non
sono schizzinoso» disse facendomi l’occhiolino.
Gli sorrisi e poi mi
avviai in cucina.
Dio, mi sentivo così pesante,
quel giorno, così stanca.
Cominciai a tirare
fuori il pacco della pasta; dell’insalata e una pentola, ma, quando presi
l’insalatiera, ebbi un forte capogiro e un crampo all’addome.
Mi spaventai a tal
punto che l’insalatiera mi cadde di mano, frantumandosi al suolo.
«Chelsea?! Che cos’è
successo?», la voce di Adam, proveniente dal salotto, era preoccupata.
Un’altra fitta, mi
piegai in due, il respiro mozzato.
«ADAM!», gridai
premendomi una mano sul ventre.
Lo sentii arrivare di
corsa e, quando quasi sfondò la porta della cucina, impallidì.
«CHELSEA! Chelsea,
che cos’hai?!».
L’uomo sembrava
veramente spaventato.
Un altro crampo, ma
stavolta urlai, tenendomi sempre la pancia.
«Adam… Adam, mi devi
portare subito in ospedale… ».
Sgranò gli occhi e mi
prese in braccio con la stessa facilità con cui faceva Chris.
«Chelsea, dimmi che
cosa ti sta succedendo, ti prego!».
Ma tutto ciò che
feci, fu rovesciare la testa all’indietro e poi fui avvolta dalle tenebre.
Quando riaprii gli
occhi, ero sdraiata su un letto d’ospedale, con affianco un monitor che
emetteva dei fastidiosi bip-bip più
spesso di quanto la mia testa potesse sopportare.
Mi guardai attorno;
Adam mi dava le spalle, osservando il panorama fuori dalla finestra a braccia
conserte.
Istintivamente, mi
portai una mano al ventre e lo sentii lievemente gonfio come prima.
«Adam…?», chiamai con
voce debole.
L’uomo si voltò di
scatto e mi venne vicino.
«Chelsea… oddio,
stai… stai bene?», mi chiese accarezzandomi i capelli.
Feci cenno di sì con
la testa, poi però l’espressione di lui si fece molto più seria.
«Adesso vuoi dirmi,
per favore, perché diavolo mi hai tenuto all’oscuro di una notizia del genere?!
Perché non mi hai detto che aspettavi un bambino? Ti ho portata fuori ogni
giorno, ti ho fatta stancare; Chelsea! Hai rischiato di morire!».
«Cosa vuol dire… aspettavo?», cominciai subito ad
agitarmi e gli occhi mi si riempirono di lacrime, al che, Adam mi venne vicino,
prendendomi una mano.
«No, no, Chelsea,
tranquilla. Non hai perso il bambino, lui sta bene».
Tirai un sospiro di
sollievo e qualche lacrima scappò dai miei occhi, ma mi affrettai ad
asciugarla.
Mi accarezzai
ripetutamente il ventre, cercando di calmarmi.
Stavamo bene, era
tutto a posto. Stavamo bene e nient’altro contava.
«Chelsea, ti rendi
conto che mi sono spaventato a morte? Credevo che stessi per morire lì, tra le
mie braccia».
Ebbi come un déjà-vu
di Chris che mi diceva una cosa del genere dopo il mio incidente d’auto. Certo
che ero proprio un disastro.
«Mi dispiace, Adam,
io… ero spaventata».
«Io volevo chiamare i
tuoi genitori, Chelsea; stavo per farlo».
A quell’idea
rabbrividii.
«Poi però qualcosa mi
ha trattenuto e adesso, voglio che tu mi dica la verità. Il bambino che
aspetti… è di mio fratello, vero?».
Deglutii, volevo
trovare una via di fuga da questa situazione; ma stavolta… niente avrebbe
potuto salvarmi dal rispondere a quella domanda.
Mi limitai ad annuire
soltanto, con le lacrime che tornarono a farsi risentire.
Non potevo piangere;
non volevo farlo. Non lo avevo fatto nemmeno quando avevo scoperto di essere
incinta, quando ero disperata nei momenti più neri e di certo non potevo farlo
adesso.
Ma Adam era lì ed era
così rassicurante la sua presenza, che avrei soltanto voluto sprofondare in un
mare di lacrime ed essere confortata, ma non lo permisi a me stessa.
«Promettimi che non
lo dirai a nessuno».
«Cosa, scusa?».
«Giuramelo, Adam!».
«Chelsea… mentire a
mio fratello facendo finta di non essermi accorto dei sentimenti che prova per
la sorella della sua fidanzata, è un conto. Mentirgli tenendogli nascosto che
diventerà padre dalla donna che, chiaramente, lui ama, è tutta un’altra storia!
Quando lo scoprirà, se dovesse venire a sapere che io già sapevo tutto, mi
ammazzerà con le sue mani! Specialmente dal momento in cui tu hai rischiato di
perdere il bambino e di morire a tua volta».
«Adam… non spetta a
te, dirglielo».
«Mettiamo che io non
lo faccia… tu mi prometti che glielo dirai?».
Guardai da tutt’altra
parte.
«Non lo so, Adam; io
non lo so! È tutto troppo grande, è più grande di me ed io… io sono così terrorizzata!».
«Terrorizzata?
Chelsea, tu sei incinta! Si presuppone che questo, per una donna, dovrebbe
essere uno dei periodi più felici nella sua vita, ma tu non riesci a stare
calma e forse, se lo dicessi ai tuoi, le cose andrebbero meglio».
«No, ai miei non se
ne parla neanche. Te l’immagini la reazione di Shereen?».
«Francamente? Non me
ne importa nulla. Detto tra noi, mi sei sempre piaciuta più di lei e, ad ogni
modo, non credo che tra lei e mio fratello durerà ancora molto. Sono veramente
ai ferri corti e ho come l’impressione che, quando alla loro storia verrà messo
un punto; Chris correrà da te».
«Non lo farebbe, non
così in fretta».
«Lo farebbe, se
sapesse che la donna che ama aspetta suo figlio. Chelsea… lì dentro hai mio
nipote ed io mi prenderò cura di lui e di te, naturalmente. E Chris può aver
fatto tanti casini, ma si merita di essere informato».
«Dopo Natale,
d’accordo?».
«Cosa?! Ma a Natale
manca ancora un mese!».
«Ti prometto che dopo
Natale glielo dirò».
Adam sospirò.
«E va bene, Chelsea…
hai vinto tu. Ma mi dici come diavolo faccio io a partire, adesso? Come faccio
a partire e lasciare qui la mia famiglia? Lasciare te e mio nipote. Come potrò
guardarmi allo specchio ogni mattina e sapere che cosa ho lasciato qui?».
Gli posai una mano
sulla sua.
«Stai tranquillo. Ti
prometto che mi farò sentire ogni giorno, che ti darò notizie e che ti
informerò sulle visite mediche».
«E mi dirai se c’è
qualcosa che non va?».
«Sì».
«E intanto chi si
prenderà cura di te?».
«Io… ».
La voce proveniva
dalle spalle di Adam.
Lui si voltò; io non
avevo bisogno di guardare per sapere chi avesse parlato.
«Ryan… ».
Il ragazzo mi
abbracciò forte.
«Almeno vedo che hai
avuto il buon senso di dirlo a qualcuno… ».
«Io mi prenderò cura
di loro, Adam , te lo garantisco. Il che vuol dire… », ora il suo sguardo era
fisso su di me. «… che mi trasferirò di
nuovo a casa tua. E che tu prenderai un’aspettativa per motivi di salute. E
non farai storie», m’interruppe vedendo che stavo per controbattere.
«L’ho detto e
ribadisco: tu mi piaci sempre di più, Ryan», disse Adam ed il ragazzo sorrise.
Se si fossero
alleati, io non avrei avuto alcuna chance.
«D’accordo. Tanto
casa mia ha molte stanze vuote».
Dovetti restare in
ospedale quel giorno e tutto il seguente.
Il dottore non fece
che raccomandarmi di stare più tranquilla ed evitare inutili agitazioni, poi
fui finalmente dimessa, l’ultimo giorno prima della partenza di Adam.
Quando tornai a casa,
i due mi misero subito a riposo forzato, stendendomi sul divano e restarono con
me tutta la giornata, cercando di farmi ridere.
Li guardai: ero
davvero fortunata ad avere due amici così e mi rattristai per la partenza
imminente di Adam; in fin dei conti… era stata una bella settimana.
Mi stiracchiai,
alzandomi per andare in cucina a prendere un bicchiere d’acqua, ma Ryan mi si
parò davanti, ordinandomi di stare ferma e che sarebbe andato lui.
«Senti, Ryan… dovrò
anche stare a riposo, ma non puoi impedirmi di fare due passi nella mia maledetta casa perché, se solo al
terzo mese smetto di muovermi, quando arriverò all’ultimo avrò un culo come
quello di una balena e non riuscirò a fare nemmeno le scale».
Quelle parole fecero
ridere i miei due amici e il moro si
fece da parte, lasciandomi passare.
Verso metà pomeriggio,
Adam andò via, facendomi promettere un centinaio di volte di tenerlo informato
giorno dopo giorno.
«Adam, adesso basta,
te l’ho già detto. Tra un paio di giorni ho la prossima ecografia e Ryan mi
accompagnerà, poi ti farò sapere cosa dice la dottoressa, d’accordo? Smettila
di fare il paranoico».
«Sai com’è… è il mio
primo nipote, sono un po’ apprensivo».
Lo abbracciai.
«Andrà tutto bene,
vedrai. Per le vacanze di Natale tornerò a casa, quindi… magari ci vediamo,
ok?».
«Su questo non ci
sono dubbi».
Detto questo, il mio
amico uscì di casa e andò via.
«Siamo di nuovo io e
te, eh, Gaver?», disse Ryan, circondandomi la vita con un braccio.
«Pare di sì».
«E anche quella sorta
di pulcino che hai dentro».
Sorrisi dolcemente e
lo abbracciai.
«Sono davvero contenta
che tu sia qui, Ryan. Ma tuo padre non si farà domande sul fatto che ti
trasferisci qui a settimane alterne?».
«No, mio padre è
tranquillo, non si impiccerà. E poi, fino a quando non nascerà il pulcino,
starò qui in pianta stabile».
«Aspetta, ma… se lui
è il pulcino… io chi dovrei essere?».
«Una gallina?».
Lo fulminai con
un’occhiataccia e gli tirai un pugno sul braccio.
«Ahi! Ok… tu sei
Mamma Chioccia. E sei anche un po’ scorbutica».
Il tempo passò
velocemente; Ryan mi accompagnò a fare quell’ecografia e, per fortuna, sembrava essere tutto a posto. Quello che era
accaduto la settimana prima, doveva essere stato solo un episodio di forte
stress.
Le settimane si
susseguirono una dopo l’altra; Gale dovette tornare sotto i ferri, ma, se tutto
fosse andato come avrebbe dovuto, dopo le vacanze di Natale, sarebbe stata
dimessa.
Ryan insistette molto
per venire a Phoenix con me per le feste, ma fui irremovibile.
«Non se ne parla. Tu
devi passare il Natale con tuo padre, Ben e Gale e a casa io avrò Adam. Ci
sentiremo ogni giorno, Ryan, ma il tuo posto, adesso, è qui».
«Il mio posto è dove
posso prendermi cura di te e… Chelsea, lasciami venire».
«No. Io starò bene; ficcatelo in quella testa».
«Ti stancherai a
guidare da qui a Phoenix».
«Se mi stanco, mi
fermerò per strada, te lo prometto».
Ryan sospirò,
sconfitto.
«Non ti sopporto
quando fai così».
Sorrisi.
«Su, mancano ancora
due settimane a Natale, vedrai che andrà tutto bene».
Quelle due settimane
volarono via come il vento, arrivò la vigilia di Natale, giorno della mia
partenza e ormai era impossibile non notare la mia pancia. Certo, ero solo ai
primi mesi, però quel rigonfiamento del mio ventre, ormai era chiaro.
In valigia avevo
tutti vestiti morbidi che avrebbero coperto le mie nuove curve; Ryan mi aveva
assicurato che non avrebbero capito il mio stato.
Inoltre, avevo
ripreso peso e le nausee ormai erano quasi sparite, certo, avrei dovuto fare i
conti con il pranzo di Natale di mamma.
Di solito invitava
sempre il fratello di mio padre e rispettiva famiglia; era l’unica occasione in
cui ci vedevamo, durante l’anno e sperai che tutto filasse liscio.
Salutai Ryan, a cui
dovetti promettere di scrivergli una volta arrivata a destinazione e poi
partii.
Avevo lasciato Buster
a casa, il mio amico si sarebbe preso cura di lui.
Quando i familiari
edifici di Phoenix cominciarono a stagliarsi davanti ai miei occhi, telefonai
alla mamma per dirle che ero quasi arrivata.
«Ciao, amore!», venne
a salutarmi mio padre non appena mi vide.
Mi abbracciò forte ed
io persi un battito, terrorizzata dal fatto che avrebbe potuto sentire la mia
pancia, ma per fortuna non accadde.
Entrai in casa e
salutai mia madre e Shereen, che, stranamente, non sembrava raggiante come al
suo solito.
Non indagai molto; in
quel momento il mio unico obiettivo era arrivare in camera mia e scrivere a
Ryan, prima che andasse in paranoia.
Quando arrivò la sua
risposta, iniziai a sistemare i vestiti. Mi ero stancata addirittura a portare
la valigia su per le scale; ero proprio spompata in quel periodo.
Ad un tratto, mentre
riponevo le ultime cose, sentii bussare alla porta.
«Avanti».
«Ciao, tesoro».
«Mamma… va tutto
bene?».
«Sì, io… volevo
chiederti una cosa, anche se da una parte non mi sembra molto corretto… ».
Lasciai stare i
vestiti e mi sedetti sulla sedia della mia scrivania.
«Dimmi… ».
«Sai… la situazione
tra Christian e Shereen non è tra le migliori al momento e… volevo sapere se tu
ne sapessi qualcosa. Se per caso Christian… sì, insomma… se voi due ne avete
parlato».
Scossi la testa.
«Io e Chris non ci
sentiamo da quando siete ripartiti, dopo… dopo Gale… ».
L’espressione sul
volto di mia madre si fece sorpresa.
«Dici davvero?».
«Sì, noi… non abbiamo
più parlato».
Lei mi prese una mano
e qualcosa dentro di me si agitò.
Avrei voluto
abbracciarla. Avrei solo… voluto abbracciarla e poterle dire tutto, ma non
potevo. Non era giusto, non era il momento.
«Mi dispiace,
piccola… so quanto fossi legata a lui».
“E quanto lo sono
adesso più che mai”, aggiunsi mentalmente.
«Non fa niente,
mamma».
Ma la verità era
un’altra.
La verità era che, se
avessi potuto, sarei corsa da lui in quel preciso istante, gli avrei detto che
mi mancava e che lo rivolevo nella mia vita.
Nella nostra vita.
Non potevo farlo.
Presi un profondo
respiro e sorrisi a mia madre.
«Va bene così».
Quella sera restammo
tutti tranquilli a casa; non avevamo mai dato un gran peso alla vigilia e non
ci eravamo mai fatti dei regali, a parte quando io e Shereen eravamo piccole.
La mattina seguente,
dal piano di sotto, sentivo già provenire i tipici odori del pranzo di Natale
di mamma, solo che adesso mi sembrava tutto amplificato e, per qualche minuto,
la nausea tornò.
Dovevo essere forte.
Dovevo resistere.
Ormai erano le nove e
mezza; i parenti di papà sarebbero arrivati verso le undici ed io andai a farmi
una doccia, prima.
Preparai un abito
nero e morbido che copriva perfettamente la mia pancia, dopodiché, rimasi
un’ora nel bagno, cullata dall’acqua calda.
Quando fui pronta,
scesi al piano di sotto e… la tavola era apparecchiata per un numero di persone
decisamente superiore al solito.
«Perché quella
faccia, tesoro? Che succede?», mi chiese mio padre.
«Io… pensavo che
fossimo solo noi e gli zii, come al solito… ».
«Oh, tua sorella non
ti ha detto niente?».
No, mia sorella non
mi aveva neanche detto “ciao”, da quando ero arrivata, in realtà.
«Cosa avrebbe dovuto
dirmi?».
Ma sapevo già la
risposta.
«Verranno qui anche Christian e tutta la sua famiglia».
Note dell’Autrice:
E
rieccomi con il capitolo 20! Direi che di cose ne sono successe e inoltre il
rapporto tra Chelsea e Adam si è evoluto parecchio, avendo lui scoperto la verità
sulla gravidanza di Chelsea.
Da
qui in poi di cose ne succederanno, quindi… alla prossima!
DAL
CAPITOLO 21:
“Quando
mi risvegliai, ero letteralmente avvinghiata al torace ampio di Chris, che si
alzava e si abbassava regolarmente ad ogni suo respiro.
«Ti
sei svegliata… », disse piano.
«Quanto
ho dormito?».
«Non
molto; mancano dieci minuti a mezzanotte».
«Perché
non sei giù con gli altri?».
«Perché
è questo l’unico posto in cui dovrei essere adesso».
A
quelle parole, anche se involontariamente, mi strinsi di più a lui e Chris mi
accarezzò i capelli.
«Credo
di averti lasciato molto spazio, Chelsea, ma non mi hai mai richiamato».
Sospirai.
«Questo
lo so».
«E
perché non lo hai mai fatto? L’ultima volta che… “ci siamo dati spazio”, non è
finita molto bene, mi sembra».
«Già,
tu che ti metti con mia sorella, se non ricordo male».
«Una
cosa del genere», il suo tono era distaccato.”