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Autore: Iaiasdream    13/08/2014    2 recensioni
Seguito di: A QUEL PUNTO... MI SAREI FERMATO
Rea, ormai venticinquenne, dirige il liceo Dolce Amoris, conducendo una vita lontanissima dal suo passato, infatti ha qualcosa che gliel'ha letteralmente cambiata... ma... come si soleva immaginare, qualcuno risorgerà dagli abissi in un giorno molto importante... cosa succederà?
Genere: Erotico, Romantico, Suspence | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Armin, Castiel, Dolcetta, Nuovo personaggio, Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'A quel punto... mi sarei fermato '
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15° capitolo: PAROLE INTERROTTE
 


Ci vuole tempo perché i miei occhi ritornino a ricordare l’immagine di quello che una volta era un piccolo bambino indifeso e incompreso e adesso ha cambiato i suoi lineamenti del viso, e la sua statura. È molto più alto.
<< Erich… >> sussurrò senza muovere le labbra.
<< Ciao Rea >> sorride lui rimanendo qualche metro lontano. Anche la sua voce sembra cambiata. In quel preciso istante, mi rendo conto di come il tempo sia passato, portando con se molti cambiamenti. Non mi sarei mai aspettata di rincontrarlo una seconda volta, anche se a dire il vero mi sento un po’ in colpa. Quattro anni fa gli promisi che sarei andata a trovarlo, e invece… chissà cosa avrà pensato in tutto questo tempo? D’altronde non è stata affatto colpa mia. Anche se avrei voluto, non avrei potuto. Avevo lasciato suo fratello e non in maniera buona. Con quale coraggio e a che pro’ sarei ritornata in quella casa maledetta con il tentativo di fargli visita?
L’unica cosa che mi accingo a fare, e ingoiare faticosamente la saliva che si sta impastando nella mia bocca e accenno un sorriso, ma oltre a quello qualche altra cosa vuole fuoriuscire dalla mia espressione: le lacrime. Sento l’impulso di piangere per la felicità, per malinconia, per tutto quello che questo bambino mi ha fatto provare da quando l’ho visto la prima volta.
<< Uhm… c’è qualcosa che non va? >> mi chiede ad un tratto imbarazzato massaggiandosi la nuca. Scuoto la testa non riuscendo a proferir parola.
<< Allora perché mi guardi così? >> ribatte abbassando lo sguardo.
Non resisto, rivederlo ha riacceso in me il bene che gli voglio, senza rendermene conto, mi ritrovo a camminare verso di lui, e ad abbracciarlo forte stringendolo al mio petto. Lo sento irrigidirsi, forse non si aspettava questa mia reazione.
<< Sono felice di averti rincontrato >> sibilo tra i singhiozzi. A quel punto lui rilassa i muscoli e condivide l’abbraccio.
<< Mi sei mancata Rea >> aggiunge lui stringendo la presa.
<< Ehi tu, lascia stare la mia mamma! >>. Sentiamo quella vocina esclamare dietro di noi. Sbuffo istintivamente un sorriso, Erich è il primo a mollare la presa, e io lo imito dopo qualche secondo, voltandomi verso Etienne, che ha un’espressione imbronciata, e gli occhi pieni di lacrime.
Erich, lo guarda titubante, poi guarda me, e capisco che sta cercando delle spiegazioni. Non mi resta che dargliele.
<< Erich, lui è mio figlio… Etienne >> dico avvicinandomi al bambino e prendendolo in braccio. Volgo lo sguardo verso Erich, e mi accorgo che la mia frase l’ha lasciato a dir poco allibito.
<< T-tuo, figlio? >>
Annuisco.
<< M-ma… >>
So cosa vuole dire, e prima che pronunci la sua frase rispondo dicendo: << Il padre, non è lui >>. Erich e io, ci guardiamo negli occhi per qualche istante, lui malinconico e quasi dispiaciuto, e io, io non so cosa provare esattamente.
<< Mamma, chi è questo bambino? >> chiede Etienne, fissandolo attentamente.
<< Lui è il fratello di un collega di mamma >>
<< Somiglia molto a quel signore con i capelli rossi >>
<< Già >> rispondo accennando un lieve sorriso. Etienne, mi fa cenno che vuole ritornare per terra, lo lascio senza esitare, poi lo vedo avvicinarsi a Erich, girargli intorno come un critico d’arte giudica attentamente un’opera. In fine gli si ferma davanti e sorridendo gli porge la mano esclamando: << Diventiamo amici! >>
Vedo l’espressione di Erich tramutare repentinamente. Ha avuto un sobbalzo mentre guardava mio figlio, poi, titubante, gli ha concesso la mano e ha contraccambiato il sorriso rispondendo di sì.
In lontananza sentiamo abbaiare. Erich è il primo a voltarsi e a chiamare Demon, il quale si avvicina dopo pochi secondi.
<< Sei a casa di Castiel? >> chiedo al bambino senza riflettere.
<< Sì, sono tornato proprio ieri dal collegio >> risponde lui lasciandosi leccare dal cane.
Va ancora al collegio? Mi chiedo allibita. Ma perché? A cosa è servito il mio allontanamento? Per quale motivo Castiel non l’ha preso con se dopo il matrimonio? Ho una voglia matta di chiederlo, anche perché sento che tra poco sbraiterò dall’irritazione.
Cazzarola! Io ho rinunciato a Castiel per rendere felice questo bambino, per dargli una famiglia, e che cosa vengo a sapere adesso? che lo tengono ancora rinchiuso dentro un collegio?
Tiro un lungo respiro, << Erich… >> esordisco con voce ferma, ma il mio corpo è tutto un tremito. Lui mi guarda, mantenendo il cane. << Come mai stai ancora in collegio? >> chiedo tutto d’un fiato.
<< è stata una mia decisione >> risponde lui senza esitare. Lascia Demon, il quale si avvicina a mio figlio e lo inizia ad annusare. Vedo Etienne, rimanere calmo, ma quella agitata sono io. Quel cane non mi ha mai potuta digerire, figuriamoci se può trovare simpatico mio figlio. Infatti, lo sento ringhiare. Mi accingo ad avvicinami per allontanarlo da quella bestiaccia, ma qualcosa blocca i miei passi. Demon, dopo aver per un po’ ringhiato, ha abbassato le orecchie e adesso sta giocando con Etienne. Rimango alquanto allibita nel guardare quella scena.
<< Sai Rea…? >> dice Erich catturando la mia attenzione. << Sono partito dal collegio con la convinzione di trovarti con mio fratello. Prima ti ho detto che è stata una mia decisione, perché io non ho mai accettato la situazione che si è venuta a creare tra mio fratello e mia sorella. Non mi sentivo e non potevo chiamarli mamma e papà, benché tra di loro non c’è nessuna parentela. Quando tu te ne andasti, ci fu un periodo in cui Cass, rimase taciturno, non usciva più dalla sua stanza, le poche volte che lo faceva si ritirava a tarda sera tutto ubriaco. Una volta, entrai nella sua camera, e lo sentii piangere, e nel sonno ti chiamava. Non avevo mai visto mio fratello in quelle condizioni; a quel punto capii che se stava così, la colpa doveva essere solo la mia. Dimmi la verità, Rea… hai lasciato Castiel per me? >>
Non rispondo, non voglio confermare la sua domanda, non voglio farlo sentire in colpa. La colpa non è sua. È soltanto mia.
<< L’ho sempre pensata in questa maniera >> continua lui, senza far caso alla risposta non ricevuta. << Ma Castiel ha sempre negato, non mi ha mai fatto sentire davvero in colpa. E questo lo capii quando il giorno dopo, uscì dalla sua stanza e iniziò a comportarsi in maniera diversa era molto più gentile anche con Ginevra, fino al giorno delle nozze… >> si blocca non continuando la frase.
Mi lascia con quest’amaro in bocca. Cosa è successo dopo le nozze? Perché non continua a parlare? Devo chiederglielo. Non posso sempre lasciar correre questi misteri.
<< Cosa è successo? >> chiedo quasi con un sussurro. Lui sbuffa un sorriso, e si gira per guadarmi.
<< Erich! >>. Quella voce famigliare, riecheggia nell’aria, ci voltiamo contemporaneamente, e ci accorgiamo che si tratta di Castiel. Si sta avvicinando verso di noi.
<< Erich, ti stavo cercando ma dove diavolo eri finito? Non hai neanche disfatto le tue valige >>
<< Scusami, volevo prendere una boccata d’aria così ho portato Demon a fare una passeggiata >>
<< Ci sei anche tu? >> chiede il rosso volgendosi verso di me. Non gli rispondo, giro la testa per inquadrare mio figlio che continua a giocare spensierato con il cane.
<< Etienne! >> lo chiamo << vieni, torniamo a casa! >>
<< Un altro po’ mamma! >>
<< Il bambino ha ragione, adesso che ci sono io non puoi andartene così >> sussurra Castiel malizioso.
<< Piantala! >> esclamo fra i denti. Lui fa una leggera risata. Lo fulmino con un’occhiata, non ci fa caso, e volge lo sguardo verso mio figlio. Ad un tratto mi accorgo che la sua espressione è cambiata. Il suo sorriso è scomparso, lasciando una serietà anche negli occhi. Sembra essersi incantato nel vedere mio figlio.
<< C-che c’è? >> chiedo incuriosita. Castiel risponde facendo spallucce e incrociando le braccia al petto, si volge verso di me, riaccennando quel suo sorrisetto beffardo.
<< Come sta Armin? >> chiede.
Ma che domande fa? Che centra adesso Armin? Mi chiedo; poi come folgorata, mi ricordo  il ragionamento avuto con suo cugino “Presto Armin si toglierà dalle palle” aveva detto Alain, e adesso lui vuole rendersi conto se ciò che aveva previsto l’altro pervertito, si sta avverando?
No, non posso assolutamente dirgli della discussione avuta con lui. non posso dirgli: abbiamo litigato. Perché sono convinta che si farà una delle sue strafottenti risate, e canterà vittoria.
<< Perché me lo chiedi? >> domando guardandolo sottecchi.
<< Volevo sapere se aveva scoperto che una certa ragazza prova ancora qualcosa per il suo ex, tutto qui >> risponde maliziosamente, rendendomi più irritata di quanto già non lo fossi.
<< Non ha scoperto niente! >> esclamo sentendo il sangue ribollire nel cervello. Dopo un po’ mi rendo conto di aver dato un altro senso a quella risposta, e cioè di aver ammesso che provo qualcosa per lui. Ma a che serve negare? Ormai lo sa. Sono stata io la stupida a farglielo capire quella sera. Ed è proprio in quei momenti che mi dimentico di provare qualcosa e inizio a detestarlo.
Per fortuna Erich si è allontanato, avvicinandosi a mio figlio per giocare con lui.
<< Che cosa ti ha detto Erich? >> chiede ad un tratto cambiando discorso. Lo guardo smarrita.
<< Cosa avrebbe dovuto dirmi? >> ribatto, lui non mi risponde e rimane serio a guardare i bambini. Sospiro << Mi ha soltanto detto che continua a stare in collegio per sua decisione >>
<< Tzé… non ha mai accettato la mia situazione con Ginevra >>
<< Fammi il favore di non nominarla >> dico a denti stretti. Lui mi guarda, tace per qualche istante, poi chiede: << Sei gelosa? >>
<< Non scherzare su questo argomento Castiel! >> esclamo sentendo le lacrime agli occhi.
<< … scusa >> dice seriamente, dopo un po’.
<< … E tu? >> chiedo dopo qualche secondo di pausa.
<< E io, cosa? >>
<< Come vanno le cose? >>
<< Sarò sincero… non voglio mentirti, quindi non risponderò >>
<< P-perché? >>
<< Ti dirò soltanto che sto attendendo con impazienza il giorno in cui riprenderò ciò che è mio >>
<< Cosa stai…? >> non mi da neanche il tempo di finire la domanda che lo vedo allontanarsi, raggiungere i bambini che giocano con il cane, e catturare l’attenzione di quest’ultimo.
Sono sicura che in quella risposta, ci sono anche io, e in prima fila per giunta, ma non voglio formulare nella mente altre richieste, così rassegnata li raggiungo.
Mi accorgo che Etienne si è avvicinato al rosso e lo guarda attentamente.
<< Cosa c’è pulce? >> chiede Castiel accennando un sorriso.
<< Non sono pulce, mi chiamo Etienne! >> esclama il bambino scontroso.
<< Sei proprio come tua madre >> afferma il rosso sbuffando un sorriso.
<< Tu come ti chiami? >>
<< Castiel >>
<< Castiel… tu giorni fa hai fatto piangere la mamma, se mi prometti che non lo farai più, e che non mi chiamerai più pulce, ti permetterò di diventare mio amico >> afferma Etienne mettendo le mani i fianchi. Castiel corruga la fronte volgendo lo sguardo verso di me, che rimango più allibita di lui. Possibile che a questo bambino non gli sfuggano neanche i ricordi?
<< Va bene, Etienne >> risponde Castiel sorridendogli.
<< Etienne adesso andiamo >> intervengo io. Il bambino annuisce, ma non appena fa per girarsi, Castiel gli afferra la mano girandolo verso di se e fissandolo attentamente.
<< Cosa c’è? >> chiede il piccolo.
Il rosso scuote la testa << N-no, niente >> risponde lasciandolo.
Prendo Etienne per mano e salutando mi dirigo verso la macchina. Faccio entrare prima il bambino, poi facendo il giro, apro lo sportello del mio posto ma una voce mi blocca, mi giro vedendo che Erich si sta avvicinando.
<< Erich, cosa c’è? >> chiedo. Lui si ferma a qualche metro da me, prende fiato e sorridendo mi dice: << Rea, ho capito… >>
<< Cosa? >> chiedo.
Ad un tratto un fortissimo rombo di motore riecheggia nell’aria, sovrastando il suono della voce del bambino. Non riuscendo a sentire, mi concentro sulle sue labbra provando a leggerne il labiale.
Quando il silenzio ritorna sovrano lo vedo sorridere, alzare la mano per salutarmi e dire: << Non preoccuparti, ci vediamo >>. Se ne va.
Rimango ancora frastornata, da quello che sono riuscita a leggere nei movimenti delle labbra. Per un attimo prego e spero, che quello sia stato solo un sogno.
   
 
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