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Autore: Franfiction6277    14/08/2014    4 recensioni
Fanfiction Alternate Universe con protagonisti i 30 Seconds to Mars in un ospedale psichiatrico e una bizzarra paziente che cambia nome ogni giorno.
“C’è qualcosa di inquietante in quella ragazza, è come se fosse il guscio vuoto di una persona”.
Genere: Drammatico, Introspettivo, Malinconico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Jared Leto, Nuovo personaggio, Shannon Leto, Tomo Miličević
Note: AU, Lime | Avvertimenti: nessuno
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"Sveglia!" sentii esclamare tra il sonno e la veglia, mentre la persiana della finestra della mia camera veniva brutalmente alzata, facendo penetrare improvvisamente la luce, che per poco non mi accecò.
"No, mamma, ancora cinque minuti" gemetti, strizzando gli occhi.
Sentii qualcuno sghignazzare, ma non sembrava una voce femminile... tutt'altro.
Aprii gli occhi di colpo, imprecando come mai prima d'ora.
"Cosa diavolo stai facendo?" sibilai a quell'uomo, quello che mi stava tormentando da quando era arrivato al Mental Healt Hospital, due settimane prima. Il fratello del mio psichiatra... Shannon.
La mia mente ripeté quel nome come un'imprecazione.
"Sono le sei, devi prendere l'ansiolitico" rispose lui, incrociando le braccia al petto e guardandomi con un sorriso beffardo.
"E dimmi, quando ti avrei dato il permesso di darmi del tu?" ribattei, comprendomi le gambe con la coperta, visto che avevo l'abitudine di dormire solo con una maglietta addosso.
"E a te, invece?" chiese lui, facendomi zittire all'istante. Dannato uomo, non riuscivo mai a prevalere su di lui.
"Sì, d'accordo" mugugnai, prendendo il bicchierino con le pastiglie dal vassoio che Shannon aveva posato sopra il comodino.
"Dopo che ti fai la doccia e fai colazione, ricordati che devi andare a lezione" mi informò Shannon, e io feci una smorfia disgustata: non mi piaceva andare a scuola quando ero normale, figuriamoci dentro questo manicomio abbandonato da Dio.
"A te piaceva andare a scuola?" chiesi improvvisamente a Shannon, guardandolo incuriosita.
Lui inarcò le sopracciglia, sorpreso dalla mia domanda.
"No, lo odiavo. Mi sentivo in prigione, ho sempre amato la libertà" rispose, rabbuiandosi leggermente.
"E allora perché sei qui?" chiesi sorpresa, riferendomi agli orari decisamente sfiancanti degli infermieri.
"Meglio questa prigione che una definitiva" sussurrò, più a se stesso che a me.
Prima che gli chiedessi un'ulteriore spiegazione, lui alzò una mano per impedirmelo.
"Sei in ritardo" disse solamente.
"Fuori, devo cambiarmi" ribattei, ancora punta sul vivo per essere stata zittita dal novellino Leto.
Lui mi sorrise un po' maliziosamente, come per dire: "Ma devo proprio?".
"FUORI!" esclamai, stringendo i pugni, rossa in viso.
La sua risata risuonò per tutto il corridoio.
Andai a fare colazione, leggermente intontita dagli ansiolitici presi mezz'ora prima.
"Bella cravatta" disse Tomo, che come al solito provvedeva a portarmi la colazione ogni mattina.
"Grazie" risposi: indossavo un gilet nero con una cravatta a strisce nere e rosse con una camicia anch'essa nera. Ero una patita del nero, il nero era il riflesso della mia vita.
"Mi ricordi un cantante di una band, si chiama Gerard Way" rifletté Tomo.
"Sai che non ho la più pallida idea di chi tu stia parlando", risposi, dato che era proibito ascoltare musica.
Il motivo era semplice: la musica scatenava emozioni forti, mi disse il mio psichiatria, e le emozioni forti possono esserlo nel bene e nel male quindi, per non alterare l'equilibrio che il cervello di una persona malata ha già pericolosamente in bilico, la musica non era ammessa all'interno di questo manicomio.
"...però potrei comunque farti ascoltare qualcosa" continuò Tomo, facendomi illuminare.
Adoravo la musica che mi faceva ascoltare di nascosto, era così piena di sensazioni.
"Hai finito di mangiare?" chiese una voce alle spalle di Tomo, che ci fece sobbalzare entrambi.
"Ehi, Shannon" lo salutò Tomo.
"Ehi, Mofo" rispose lui, dandogli una pacca sulla spalla.
La cosa mi sorprese parecchio, non avevo mai visto due infermieri stringere amicizia come loro.
C'era qualcosa tra quei due, come se stessero giocando a un gioco di cui solo loro comprendevano le regole e nessun altro vi era ammesso.
Nella mia mente risuonò una voce familiare, una voce che conoscevo da tutta la vita e che mi faceva male come un pugno allo stomaco:"Sei solo una povera pazza, non voglio mai più vederti in tutta la mia vita".
"Non ho finito" risposi, acidamente. Vederli così aveva risvegliato in me qualcosa che volevo rimanesse assopito.
Entrambi mi guardarono leggermente sorpresi: Christine era sempre quella indifferente.
No, quel giorno mi chiamavo Layla.
Non sapevo perché, ma Christine mi era rimasto impresso come nessun altro nome inventato prima d'ora.
Shannon si sedette di fronte a me, i muscoli delle sue braccia che si contraevano mentre le incrociava al petto. Tomo era sparito, come al solito.
Cercai di non guardarlo, mentre con una minuziosità quasi maniacale dosavo il caffè da versare nel latte.
"Non esagerare col caffè" mi riprese, mettendo una mano sulla mia. Quel contatto mi si riverberò in tutto il corpo, nessuno mi toccava mai.
Tirai via la sua mano come se mi stesse scottando, ma lui non si offese: sapeva che odiavo essere toccata.
Sapeva tutto di me, lo leggevo nei suoi occhi. Non ne rimasi sorpresa, d'altronde suo fratello era il mio psichiatra. La cosa che mi sorprese fu il fatto che non me la presi perché in qualche modo volevo che mi conoscesse, che mi considerasse speciale, diversa da tutti gli altri pazienti.
"Sbrigati a bere il latte... Jared mi ucciderà" sospirò, guardando l'orologio sopra il camino di fronte a noi.
Automaticamente portai la tazza alla bocca, mentre lo guardavo attentamente: il modo in cui la divisa azzurra si tendeva a contatto con i suoi muscoli, i tatuaggi, la piega del collo, la mascella, l'accenno di barba, le labbra piene, il naso sproporzionato rispetto al viso ma che in qualche modo non sfigurava. Lasciai gli occhi per ultimi, certa che sostenere il suo sguardo mi avrebbe fatto arrossire: quel giorno erano verdi, di quel verde scuro assolutamente affascinante.
Il respiro mi si bloccò quando notai che mi fissava incuriosito.
Lasciai la tazza ancora mezza piena e mi alzai in piedi, dirigendomi verso l'aula dove sapevo che si sarebbero tenute le lezioni.
Shannon mi seguì silenziosamente, senza nemmeno stuzzicarmi come faceva sempre.
La lezione era già iniziata, quando aprii la porta dell'aula. Rimasi sorpresa dal fatto che quel giorno ci fosse il dottor Leto come insegnante. I suoi occhi azzurri mi sondarono come al solito, e con noncuranza andai a sedermi al mio solito banco, un banco per due il cui secondo posto era sempre vuoto.
Mi accorsi solo in quel momento che mi ero scordata di portare un quaderno e una penna.
Feci per alzarmi, ma Shannon mi trattenne giù. Mi aveva seguita fino al mio banco?
"Ci penso io" disse, correndo fuori dall'aula e tornando a tempo di record.
Mi porse un quaderno e la mia penna preferita, quella grossa con inchiostri di diversi colori, e si mise silenziosamente in piedi in fondo all'aula, mentre Jared parlava di non so cosa, di un antico manoscritto chiamato Argus Apocraphex.
Mi misi a disegnare un occhio, un occhio grande con delle ciglia lunghe e delle sopracciglia arcuate e... strappai all'improvviso il foglio, facendolo in mille pezzi.
Tutti si fermarono a guardarmi, sorpresi dal baccano e dalla mia furia.
"Beh, non siamo forse in un manicomio? Non abbiamo tutti il diritto di sclerare?" sbraitai, e sentii Shannon trattenere una risata dietro di me.
"È un istituto di igiene mentale" mi rimproverò Jared, appoggiando le mani sopra la cattedra.
"Si è svegliata così stamattina, dottor Leto" lo informò Shannon: anche se erano fratelli, sul posto di lavoro mantenevano comunque una certa professionalità.
Jared annuì, comprendendo che non era proprio giornata.
"Dopo vieni nel mio ufficio..." si interruppe, chiedendomi tacitamente che nome avessi scelto quel giorno.
"Layla" lo informai.
"Io preferisco Christine" sussurrò Shannon tra sé.
"Nessuno qui ha chiesto il tuo parere, infermiere Leto" dissi, senza nemmeno girarmi, ma dentro di me stavo sorridendo.
Lui sbuffò, ma non raccolse la provocazione.
Dopo la lezione del dottor Leto, di cui non avevo ascoltato nemmeno mezza parola, Shannon mi accompagnò al salone generale in cui tutti erano immersi in varie attività, tra cui disegno, cucito, TV, le attività che rilassavano ognuno dei pazienti.
"Torno a prenderti tra mezz'ora per andare nello studio di Jared" mi informò Shannon.
Sbuffai e lui scosse bonariamente la testa, lasciandomi perdere.
Giocai con la mia treccia, aspettando che Shannon tornasse.
"Ehi, ragazzina" mi chiamò Molly, interrompendo la sua attività preferita: urlare agli infermieri che voleva una doppia dose di medicinali e, quando non le rispondevano, urlagli insulti.
"Sì?" chiesi. Con lei non si poteva essere arrabbiati, mai. Poteva saltarti addosso e spezzarti qualche arto, se non stavi attento.
"Sei troppo giovane per essere qui" mi disse come faceva ogni giorno, e io alzai gli occhi al cielo.
"Lo so, Molly" sospirai.
"E allora perché sei qui?" chiese.
"E tu perché sei qui?" chiesi a mia volta.
"Mio marito. Mi aveva tradita. Lo amavo così tanto..." rispose, e capii che per amore non si poteva di certo morire, ma impazzire sì.
"Pronta?" chiese Shannon dietro di me, apparendo improvvisamente.
Sobbalzai per la seconda volta nel giro di un paio d'ore, a sentire la sua voce roca.
"Shannon!" esclamò Molly, improvvisamente adorante.
Cosa diavolo stava succedendo? Non le avevo mai sentito usare quel tono.
"Salve, signora Williams" la salutò Shannon, con un sorriso smagliante.
Lo guardai con sguardo inquisitorio: a che gioco stava giocando?
"Sei proprio un caro ragazzo. E pure bello. Non lo trovi bello, ragazzina?" mi chiese Molly, e arrossii violentemente.
"Troppo gentile, signora Williams" rispose Shannon con una risata, facendomi alzare dolcemente ma con insistenza dalla sedia.
"Ti ho già detto di non toccarmi" sibilai, perché il mio cuore stava già battendo all'impazzata per la sua sola presenza.
Shannon alzò gli occhi al cielo, facendomi strada verso lo studio di Jared.
"Stai sempre a toccarmi, non rispetti i miei spazi, li invadi sempre, te ne freghi di quello che vogliono gli altri, non badi alle loro debolezze, sei il peggior infermiere che... mmm..." venni interrotta da Shannon che mi baciò profondamente.
Gemetti nella sua bocca, a occhi spalancati, mentre lui continuava la sua quasi brutale invasione.
Le sue labbra erano così morbide, ardenti e... cosa?
Mi staccai improvvisamente, spingendolo via da me.
"Cosa diavolo stai facendo?" gridai, furiosa.
Le guance di Shannon erano leggermente arrossate, mentre le mie probabilmente stavano andando a fuoco.
"Almeno hai smesso di parlare" rispose, semplicemente.
Cosa? Come si permetteva? Che razza di infermiere assurdo.
"Brutto stronzo" sibilai, dandogli uno schiaffo.
Il suo viso si girò dall'altra parte, talmente il colpo era stato forte. Quasi quasi mi dispiacque... quasi.
"Cosa sta succedendo qui?" chiese Jared, alle nostre spalle.
Oh, no.

Note dell'autrice:
Prima di tutto mi scuso tantissimo per l'infinita attesa, ma ho avuto dei problemi a partorire questo secondo capitolo per via dei problemi che i Mars ci stanno un po' dando in questo periodo. Confido di riuscire a scrivere il terzo capitolo entro una settimana! Grazie a tutti coloro che stanno seguendo e supportando questa storia!
- Fran
   
 
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