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Autore: Ultraviolet_    15/08/2014    4 recensioni
"La prima cosa che notai alzandomi fu la maglietta rossa che portava, con sopra il logo di una rock band di cui conoscevo alcune canzoni, e il giubbotto di pelle nera sopra. Poi, alzando lo sguardo, notai che aveva i capelli dello stesso colore della maglia. Un rosso un po’ tendente al bordeaux. Assurdo. Ma decisamente bello.
“Vedi di calmarti perché sono le otto del mattino e non ho proprio voglia di farmi urlare nelle orecchie da una ragazzina” fece lui senza muovere un dito per aiutarmi."
Genere: Generale, Introspettivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Shonen-ai | Personaggi: Castiel, Dolcetta, Iris, Nathaniel, Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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1. Nuovi incontri
 
 
“FAI TANTA FATICA A GUARDARE DOVE VAI, RAZZA DI IDIOTA?” gridai senza nemmeno alzare lo sguardo contro colui che mi era venuto addosso come una furia, facendomi cadere a terra con lo zaino e tutto, e soprattutto facendo cadere il muffin al cioccolato che avevo appena comprato al bar all’angolo.
Me ne pentii subito. Forse avevo un tantino esagerato. L’occhiata che lanciai all’individuo di fronte a me me lo confermò. Si trattava di un ragazzo alto, molto alto, almeno una trentina di centimetri più di me. La prima cosa che notai alzandomi fu la maglietta rossa che portava, con sopra il logo di una rock band di cui conoscevo alcune canzoni, e il giubbotto di pelle nera sopra. Poi, alzando lo sguardo, notai che aveva i capelli dello stesso colore della maglia. Un rosso un po’ tendente al bordeaux. Assurdo. Ma decisamente bello.
“Vedi di calmarti perché sono le otto del mattino e non ho proprio voglia di farmi urlare nelle orecchie da una ragazzina” fece lui senza muovere un dito per aiutarmi. Rimpiansi di essermi pentita dei miei insulti.
“E io non ho proprio voglia di essere sbattuta per terra da uno che corre alle otto del mattino!” replicai rimettendomi lo zaino in bilico su una spalla.
“Ma se mi sei venuta addosso tu.  E scommetto che l’hai fatto pure apposta, notando la mia inenarrabile bellezza” disse in tono calmo, come se la sua fosse una spiegazione più che ovvia dell’accaduto.
Scossi la testa, incredula nel constatare l’alto tassò di vanità che risiedeva in quel pallone gonfiato,  e capii perché era così alto. Ce ne voleva di spazio per contenerla tutta. Lo superai senza guardarlo e, allontanandomi, alzai il terzo dito in sua direzione.
“Svegliata storta, Bella Swan?” mi gridò dietro. Dentro di me crebbe la voglia di girarmi ed incenerire quel gran maleducato con lo sguardo sentendomi chiamare come la protagonista di Twilight, ma mi trattenni.
Avevo i capelli nerissimi, lunghi e lisci, che contrastavano parecchio con la mia carnagione irritantemente chiara. Questo mi faceva sembrare una specie di dark, o una vampira, come aveva appena commentato il ragazzo dai capelli tinti. L’unica nota di colore sul mio viso erano gli occhi, di un verde smeraldo, che avevo preso da mio padre. Per tutto il resto, partendo dai capelli e dal fisico minuto, ero la fotocopia di mia madre. Per questo ogni tanto guardarmi provocava dolore a mio padre, nonostante io e mia sorella di sei anni fossimo le uniche cose che gli erano rimaste.
Anche nel vecchio liceo molti mi avevano paragonata a un vampiro, alcuni come complimento e altri, soprattutto, per prendermi in giro. Era il primo giorno alla nuova scuola, e già il vecchio soprannome riemergeva. Non avevo colto bene il significato che aveva per il rosso l’avermi chiamata così, dopo gli insulti che gli avevo rivolto probabilmente non era un complimento, ma il tono con cui l’aveva detto non era proprio quello di uno intenzionato a sfottermi.
Abbandonai quei pensieri, guardandomi intorno. Dovevo andare in presidenza per consegnare alcune cose alla preside, come una foto per la tessera degli studenti e alcuni fogli firmati da mio padre per completare l’iscrizione. Girovagai per qualche minuto, finché non notai una porta semiaperta con su scritto “Sala Delegati” e decisi di entrare.
Accidenti, pensai, in questa scuola li tirano su proprio bene gli studenti. Infatti mi si era appena parato davanti un ragazzo alto e biondo, con gli occhi di un azzurro sfavillante. Aveva dei tratti a dir poco magnifici, e l’effetto complessivo era decisamente gradevole. Notai che era vestito in modo insolitamente elegante per uno studente.
“Scusa, sto cercando la presidenza, sono una nuova alunna” dissi rivolgendomi al ragazzo.
“Ah, tu devi essere Elisabeth. Vieni pure, mi occupo io della tua iscrizione. Sono il segretario delegato” mi disse con un sorriso gentile.
“Oh, pensavo fossi uno studente” risposi avvicinandomi alla scrivania a cui si stava sedendo.
“Lo sono, ma in questa scuola gli studenti con i voti migliori possono svolgere questo incarico” mi spiegò “Sono all’ultimo anno. Piacere, Nathaniel” si presentò porgendomi la mano.
“Io mi chiamo Elisabeth e sono al quarto, ma qualcosa mi dice che lo sai già” dissi con un sorriso stringendogliela “Però chiamami Beth” aggiunsi.
“In effetti so già più o meno tutto di te, visto che mi sono occupato della tua domanda” mi guardò negli occhi e mi sorrise, e a quel gesto non potei fare a meno di arrossire leggermente. Sembrava davvero perfetto.
“Allora, serve la fototessera, l’autorizzazione per le uscite e il tagliando del regolamento scolastico firmato” elencò consultando il computer.
Gli porsi tutto quanto, lui esaminò i fogli e si complimentò per aver portato tutto, spiegandomi che c’era gente di quinta che non aveva ancora mai portato la foto, nonostante frequentasse la scuola da anni.
“Ti sto stampando il tesserino scolastico, poi ti accompagno alla tua classe. E’ la quarta A” mi disse dirigendosi verso la stampante.
Dopo pochi secondi mi consegnò la tessera, che misi nel portafogli, e mi fece cenno di seguirlo.
“Oh giusto, stavo per dimenticarmi di dirti che dovrai scegliere un club di appartenenza che si riunisce ogni pomeriggio, dalle due e mezza alle cinque e mezza. E’ obbligatorio” spiegò facendomi strada “I club disponibili sono quelli di giardinaggio, basket, disegno, musica, teatro, scienze, giornalismo, calcio e pallavolo, scegli pure con comodo” sorrise.
Intanto eravamo arrivati davanti alla mia classe. Nathaniel bussò, e prima che il professore rispondesse mi voltai verso di lui e gli feci un grande sorriso.
“Piacere di averti conosciuto Nathaniel, grazie mille”.
“Piacere mio, Beth”.
 
“Ragazzi, questa è la vostra nuova compagna, Elisabeth Davies” il professore di letteratura inglese mi presentò alla classe, una mano sulla mia spalla.
“Signorina Davies, visto che siamo già a novembre spero che riuscirà a mettersi in pari con gli argomenti” mi disse leggermente preoccupato. Era un uomo di mezz’età, con qualche striatura di bianco tra i capelli e, nel complesso, un’aria simpatica e vagamente paterna.
“La preside ha confrontato il programma con quello del mio vecchio liceo, e ha detto che piò o meno coincide con tutte le materie” lo informai.
Lui si tranquillizzò visibilmente.
“Comunque, io sono il professor Oldman. Direi che l’unico posto libero sia in ultima fila, di fianco al caro signor Edwards, mia cara. Si accomodi”.
Mi diressi verso il fondo della classe, e iniziai a capire perché il professore avesse chiamato “caro” il mio nuovo compagno di banco. Era stravaccato sulla sedia, con la testa coperta dal cappuccio, ed era intento a rollarsi una sigaretta. Purtroppo per me, mi accorsi soltanto quando levò lo sguardo di averlo già visto prima. La caduta di una ciocca rossa sugli occhi me lo confermò: era il ragazzo che avevo pesantemente insultato poco prima.
Mi riconobbe subito, e la sua espressione annoiata si trasformò in un ghigno divertito. Gli lanciai uno sguardo di fuoco e mi sedetti, ma mi accorsi che per tutto il tempo che impiegai a tirare fuori il libro di testo, il quaderno e l’astuccio non smise di fissarmi, appoggiato con la schiena al muro, la sigaretta appena rollata in equilibrio dietro un orecchio.
“Vuoi una foto?” sbottai dopo un po’, spazientita, mentre il professore scriveva sul suo registro.
“Vedo che il tuo umore non è migliorato dal nostro primo incontro” constatò. Lo ignorai e presi a far vagare lo sguardo per il resto della classe. Notai una ragazza con i capelli rossi legati in una treccia laterale che disegnava sul banco, un’altra dai capelli di un bellissimo viola e l’aria un po’ spaesata, e una bionda dalla bellezza mozzafiato che era occupata a limarsi le unghie. La maglia che portava aveva l’aria di essere molto costosa, così come la borsa che aveva appeso allo schienale della sedia.
Poi, in fondo alla classe nell’angolo opposto al nostro, vidi una ragazza molto più bella della bionda, tanto che rimasi totalmente senza parole. Aveva i capelli talmente chiari che potevano essere definiti bianchi, e dei lineamenti molto eleganti. Portava un abito molto bello, un po’ in stile ottocentesco, e stava seduta sulla sedia con espressione annoiata. Da dove mi trovavo potevo vedere che dietro all’astuccio nascondeva il cellulare, e che stava chiaramente messaggiando con qualcuno. Lasciando vagare lo sguardo, notai anche un ragazzo con i capelli azzurri. Ma in questa scuola se hai i capelli di colori assurdi ti vengono a cercare per farti iscrivere? mi chiesi sconcertata. Il ragazzo era piuttosto carino, aveva delle grandi cuffie al collo e portava un paio di jeans e una t-shirt dai colori sgargianti.
“Signorina Davies, nella sua vecchia scuola avevate iniziato a parlare dei cosiddetti Poeti del Lago?” mi chiese il professor Oldman alzandosi dalla cattedra.
“Credo fosse l’argomento che dovevamo iniziare quando mi sono trasferita” risposi io rammentando quel nome.
“Ottimo, noi ne abbiamo parlato la scorsa lezione. Signor Edwards, sarebbe così gentile da spiegare alla sua compagna chi sono i Poeti del Lago?”
“Mi meraviglio di lei che me lo chiede, prof” fu la risposta del rosso, che, anche se preso alla sprovvista, non si agitò per nulla.
“Lo prendo come un no” sospirò Oldman scoraggiato.
“Lei è un uomo intelligente” commentò il ragazzo con un sorrisetto.
“Castiel, ho sempre detto che mi dispiacerebbe davvero tanto bocciarti, perché porti la giusta allegria a questa classe. Mi stai simpatico, davvero, ma se continui così non saprò più che scusa inventarmi con la preside. Mi sorprende già il fatto che tu ti sia presentato a lezione stamattina” fece il professore con una risata.
Rimasi piacevolmente sorpresa dalla simpatia di Oldman e non potei fare a meno di sorridere. Poi notai che aveva chiamato il mio compagno di banco per nome. Castiel. Gettando un’occhiata nella sua direzione, pensai che gli si addicesse.
 
Durante le prime tre ore di lezione scoprii che la rossa si chiamava Iris e il ragazzo con i capelli azzurri Alexy. All’intervallo, tutti si precipitarono fuori dall’aula, primo fra tutti Castiel. Non sapendo dove andare, io rimasi in classe seduta su un banco, mangiando una barretta di cioccolato e caramello. Quando mi alzai per gettare la carta, Alexy, che era rimasto in classe insieme alla ragazza dai capelli viola, mi venne incontro con un sorriso.
“Ciao!” mi salutò allegro “Io sono Alexy, vuoi venire a sederti con noi?”
Sorrisi riconoscente per l’invito e lo seguii volentieri verso i banchi al centro della classe. Notai che la ragazza stava disegnando su un grosso blocco dalla copertina colorata, e quando mi avvicinai alzò lo sguardo.
“Lei è Violet” disse Alexy anticipandola “E’ una timidona e difficilmente riuscirai a cavarle molte parole di bocca, ma ha una marcia in più di molta altra gente” continuò con convinzione.
Violet arrossì violentemente, mi sorriso debolmente e mi porse la mano, sussurrano un “piacere” quasi impercettibile.
“Piacere mio, sono Elisabeth, ma chiamatemi Beth” dissi stringendole la mano “Il tuo nome è perfetto per i tuoi capelli” aggiunsi “Sono davvero bellissimi”.
“Grazie, sei molto gentile” rispose lei arrossendo di nuovo.
Non riuscendo a trattenermi, mi rivolsi ad Alexy: “Voi due state insieme?”
Il ragazzo mi guardò e scoppiò in una risata così fragorosa che per un attimo pensai che mi stesse prendendo in giro. Anche Violet rise, anche se in modo più composto. Quando si riprese, Alexy mi rispose:
“A dire il vero, sono gay”.
“Ah, ho capito! E’ che vedendovi ho subito pensato che sareste stati proprio bene insieme” spiegai con un sorriso.
“Però lasciami dire che se fossi etero su di te ci farei un pensierino” mi informò candidamente “E poi sei una delle poche persone che reagisce in modo normale” confessò.
“Beh, ma è normale” commentai arrossendo per il complimento.
“Hai degli occhi fantastici” irruppe Violet, come se pronunciare quella frase fosse un grande sforzo per lei. La guardai con riconoscenza e le sorrisi in modo buffo.
“Ehi Alexy, non dirmi che stai importunando la nuova con le tue battute pervertite da gay” ci interruppe una voce alle mie spalle. La riconobbi all’istante.
“Eddai Cas, so che se non fossi così terribilmente etero mi salteresti addosso senza esitazioni” sogghignò il ragazzo.
“In realtà quello che hai appena detto non ha un gran senso, e comunque non sei il mio tipo” lo informò il rosso appollaiandosi su un banco alle mie spalle e addentando un panino.
“Mi dispiace davvero tanto che ti sia capitato lui come compagno di banco, Beth” si rammaricò Alexy guardandolo malissimo.
“Anche a me” commentai lanciando un’occhiata obliqua al rosso.
“Ma se mi muori dietro! Mi sei anche venuta a sbattere addosso apposta stamattina” sogghignò fissandomi.
“Sei ubriaco? Io morire dietro a te? Non credo proprio, Anna dai capelli rossi” dichiarai alzando le mani.
Alexy, che si era portato alla bocca una patatina, fu costretto a sputarla per terra dal gran ridere che gli provocò il modo in cui avevo appena chiamato Castiel. Il ragazzo rimase per un momento interdetto, poi si riprese.
“Attenta, potrei presentarmi a casa tua con un paletto di legno, Bella” mi avvertì estraendo dalla tasca tutto il necessario per rollarsi una sigaretta.
“Scusa, ti ha appena chiamato Anna dai capelli rossi e tu rispondi con bella?” lo schernì Alexy posando i piedi sul banco e portandosi le mani sulla nuca.
“Credo che Buffy qui intendesse Bella, la vampira di Twilight” lo informai.
“Sei davvero una forza. Devo assolutamente presentarti a mio fratello Armin” mi disse il ragazzo scuotendo la testa divertito “E assomigli davvero a una vampira. Ulteriore prova che sei un gran bel pezzo di ragazza, vero Cas?”
“Stiamo parlando della stessa tipa?” domandò lui distrattamente, cercando di non far cadere il tabacco a terra. Aveva scelto di ignorare la mia ultima battuta.
“Ma per favore, vuoi farmi credere che hai rinunciato al tuo girovagare per i  corridoi per un motivo diverso dal venire a vedere Beth?” lo prese in giro Alexy.
“Esattamente. Cosa stai disegnando, Violet?” chiese Castiel, forse per cambiare discorso.
Non me n’ero accorta, ma durante tutto il nostro scambio di battute la ragazza aveva continuato a disegnare sul suo blocco. Per un attimo non rispose e non si fermò, poi, dopo qualche secondo, scarabocchiò qualcosa in fondo al foglio e lo staccò porgendomelo. Lo presi, curiosa, e rimasi senza parole. Mi aveva fatto il ritratto, disegnandomi a matita dall’angolatura in cui si trovava, ovvero vedendomi di profilo. Era un disegno bellissimo, e a guardarlo sembrava che ci avesse impiegato ore invece che una decina di minuti scarsi. In fondo aveva fatto la sua firma.
“Violet, è stupendo!” esclamai guardandola ammirata. Lei arrossì, e quando feci per restituirglielo scosso il capo.
“E’ per te” mormorò.
“Non dovevi, grazie mille!” la ringraziai sorpresa guardando di nuovo lo schizzo.
“L’hai proprio conquistata se ti ha fatto il ritratto” commentò Alexy con un sorriso.
“Sei stata troppo gentile, Violet! Non è mica così bella” commentò Castiel guardandomi con un sorriso idiota stampato in faccia.
Io lo guardai con sufficienza, cercando di fargli capire che la sua opinione non mi sfiorava minimamente.
“Immagino che tu sia nel club di disegno” dissi rivolta all’artista. Lei annuì.
“E tu?”
“Il mio campo è la musica” rispose Alexy indicando le cuffie che portava al collo.
Mi voltai per sentire la risposta di Castiel, ma era sparito.
“Ahi ahi, mi sa che è scappato da Ambra” commentò il ragazzo divertito, indicando la bionda che avevo notato durante la prima ora che entrava dalla porta della classe. Mi spiegò che era ossessionata dal rosso e che tentava in tutti i modi di avvicinarsi a lui, ma inutilmente, perché il ragazzo non voleva saperne. Secondo la maggior parte della gente capace di intendere e di volere infatti Ambra era una vera e propria serpe, vanitosa e spietata, e non biasimavano Castiel per i continui tentativi di evitarla. Volevo chiedere ulteriori delucidazioni sulla bionda, ma la campanella suonò e dovetti tornare al mio posto, dove il mio compagno di banco si era rifugiato fingendo di cercare qualcosa nello zaino.
“Vedo che ci vuole poco a farti scappare” commentai con un sorrisetto.
“La prima volta che te la troverai davanti capirai, è una pazza furiosa” mi informò lui accomodandosi sulla sua sedia e appoggiando i piedi sul banco.
La professoressa di matematica fece il suo ingresso, mi rivolse qualche parola di benvenuto e iniziò a scrivere alla lavagna alcuni esercizi da fare in classe. Scrissi le tracce sul quaderno, decisa a provare a risolverli, nonostante odiassi la matematica con tutta me stessa. Dopo poco però capii di non avere speranza, così cercai di ingannare il tempo guardando fuori dalla finestra. Era metà novembre, il tempo era uggioso e minacciava di piovere. La pioggia mi piaceva molto, così sperai che iniziasse per poter sentire il rumore delle gocce sul tetto e l’odore dell’acqua piovana. Adoravo il freddo.
I miei pensieri furono interrotti ancora una volta dalla voce irritante di Castiel.
“Cos’è, una ragazza modello come te non sa fare un paio di equazioni?” mi chiese con tono di scherno, sporgendosi per guardare il mio quaderno.
“Vuoi farmi credere che le hai risolte?” domandai io di rimando imitandolo. Rimasi interdetta vedendo che era proprio quello che aveva fatto.
“D’altronde, la matematica è una materia per gente… brillante” commentò assumendo un’aria di importanza.
“No, la matematica è una materia che salva il culo a quelli che non hanno voglia di studiare e hanno la fortuna di esserci portati” lo corressi io sprezzante “Un po’ come ginnastica”.
“E scommetto che tu non sei portata per nessuna delle due” mi stuzzicò frugando nell’astuccio alla ricerca di chissà cosa.
“Ti sbagli. Ho fatto pallavolo per anni” lo informai con una smorfia.
Intanto lui aveva estratto un elastico dall’astuccio malandato e stava cercando di farsi un codino con la parte superiore dei capelli, ma con scarso successo. Rimasi a guardarlo divertita mentre tentava di raccoglierli sbuffando, poi tesi una mano.
“Dammi l’elastico” ordinai guardandolo con pena.
“Compratelo” fece lui, come se gli avessi appena chiesto un rene.
“Voglio farti il codino, idiota” spiegai strappandoglielo di mano.
Lui mi guardò come se fossi completamente impazzita, io ricambiai lo sguardo intimandogli di muoversi e gli feci cenno di voltare la testa. Stranamente obbedì. In pochi secondi riuscii a fargli un codino decente lasciando sciolti i capelli sotto.
“Non aspettarti un applauso” mi disse voltandosi e appoggiando la testa sul banco.
In quel momento la professoressa mi chiamò alla lavagna per risolvere un esercizio. Gettai un’occhiata al mio quaderno, dove una X troneggiava su quel poco che avevo cercato di fare.
“Visto che non mi hai ringraziata, mi prenderò questo” sussurrai sfilando il quaderno di Castiel da sotto le sue braccia incrociate e alzandomi prima che potesse dire qualunque cosa. Alla lavagna mi limitai a copiare quello che aveva scritto lui, e la professoressa mi gratificò con un sorriso e un cenno d’assenso. Tornai al posto e mollai il quaderno al legittimo proprietario con un sorrisetto.
 
Al suono della campanella che annunciava la pausa pranzo si precipitarono tutti fuori dall’aula, come se ci fosse una medaglia per il primo che varcava la soglia. Io ficcai tutta la mia roba nello zaino con calma, e notai che la ragazza dai capelli rossi, Iris, mi guardava dalla porta. Mi avvicinai e la salutai con la mano.
“Scusa se non mi sono ancora presentata, ma durante l’intervallo sono dovuta andare dalla preside” il sorriso che mi stava rivolgendo si trasformò in una smorfia “Comunque sono Iris, pranziamo insieme?”
Le sorrisi radiosa e mi presentai, accettando all’istante l’invito. Nonostante il mio incontro burrascoso con Castiel quella mattina, il resto dei miei compagni erano simpatici e accoglienti e pensai che probabilmente mi sarei trovata bene al Dolce Amoris.
“Come mai dovevi andare dalla preside?” le domandai seguendola verso la mensa.
“Faccio parte del club di scienze, e visto che sono la presidentessa la vecchia megera ha deciso di darmi la colpa per la sparizione dei soldi per comprare un nuovo microscopio. Quindi sono stata espulsa dal club” mi disse tristemente.
“Ma non è giusto! Se non sei stata tu non vedo perché dovresti pagarne le conseguenze!” esclamai indignata.
“Visto che il colpevole non si trova hanno deciso di usarmi come capro espiatorio. In fondo non fa nulla, iniziava a stancarmi. Però ora sono senza club” disse afferrando un vassoio.
La imitai e la seguii verso il bancone dove una donna con una retina in testa piazzava sul vassoio di tutti un hamburger e delle patatine fritte dall’aria invitante. Stavo per dirle che anche io dovevo ancora scegliere, quando sentii una voce chiamarmi.
“Beth!” mi voltai e vidi che si trattava del segretario delegato, Nathaniel.
“Oh, ciao!” lo salutai con un sorriso, togliendomi dalla fila dopo aver preso il mio cibo.
“Sono venuto ad avvisarti che la preside mi ha detto che gli unici club ancora disponibili sono quelli di basket e di giardinaggio, e quello di scienze ma non per Iris” disse guardando la rossa con espressione dispiaciuta.
“Non fa nulla” disse lei assumendo un’aria sorpresa.
“Basket e giardinaggio?” domandai inorridendo “Peccato, avevo pensato al club di teatro o di pallavolo” dissi.
“Perché non ci iscriviamo insieme?” propose Iris dirigendosi verso un tavolo in cui intravidi in capelli azzurri di Alexy. La seguii con Nathaniel alle calcagna.
“Ottima idea” dissi, grata che fosse così gentile con me.
Ci sedemmo una di fronte all’altra, e feci un po’ di spazio al povero delegato che era stato costretto a seguirci per sapere in che club inserirci. Gli rivolsi un sorriso di scuse, ma lui non sembrava infastidito. Dopo aver salutato Alexy e Violet, io ed Iris concludemmo che mai e poi mai ci saremmo iscritte al club di giardinaggio, così comunicammo a Nathaniel che avremmo provato col basket.
“Ottimo. Beth, ero venuto anche per farti compagnia, visto che sei nuova e magari non volevi restare sola, ma vedo che sei già in ottima compagnia quindi ne approfitto per tornare al lavoro” disse con un sorriso gentile. Ci spiegò che alle due e mezza avremmo dovuto recarci in palestra e si congedò dando una pacca sulla spalla ad Alexy.
“Incredibile, in quattro anni Nathaniel mi avrà salutata tre volte e ora grazie a te sa anche come mi chiamo” rise Iris.
Mangiammo i nostri hamburger chiacchierando del più e del meno, e le mie nuove conoscenze mi spiegarono alcune cose della scuola e mi parlarono di alcuni studenti. Venni a sapere che Rosalya, la ragazza dai capelli argentei, era fidanzata con un ragazzo che si era diplomato l’anno precedente, e che era tanto bella quanto inavvicinabile. Si sbizzarrirono a parlarmi di Ambra la bionda, e da come la descrivevano doveva essere proprio terribile.
 
Alle due e venti io ed Iris ci alzammo da tavola, decise ad arrivare puntuali, mentre gli altri se la presero comoda. Posammo i vassoi sopra al tritarifiuti dopo averli svuotati e uscimmo dalla mensa. Per raggiungere la palestra dovevamo uscire dall’edificio principale, e visto che il mio desiderio di pioggia si era avverato, ci bagnammo fino all’osso e morimmo dalle risate quando Iris rischiò una rovinosa caduta, evitata soltanto perché era riuscita ad aggrapparsi al mio braccio. La conoscevo da pochissimo, ma le risate che ci facemmo insieme per quella stupidata mi fecero sentire davvero bene. Era una sensazione che mi mancava da troppo tempo.
“Eccoci” disse lei una volta raggiunta la salvezza in palestra. Ci stavamo dirigendo verso gli spalti per cercare qualcuno che ci dicesse cosa fare, quando ci si parò davanti nient’altro che Castiel. Di nuovo. Indossava la divisa, e notai che aveva il numero 24, e che invece del suo cognome sulla maglia c’era scritto “Cas”.
“Non ci posso credere. Sei proprio una stalker” commentò vedendomi “Non dirmi che volete unirvi al club di basket”.
“E tu non dirmi che ne fai parte” dissi io inorridita.
“Sono il presidente” mi informò ghignando come suo solito.
“Bene allora procuraci qualcosa di asciutto, capo” fece Iris strizzandosi la treccia per cacciare via l’acqua.
“Credo che il vostro posto sia al club di giardinaggio” asserì ignorando la richiesta della ragazza “Sul serio pensate di giocare a basket?”
“A dire il vero ne faremmo volentieri a meno” dissi “Però possiamo svolgere qualche ingrato compito che voi maschi non fareste mai, piuttosto che occuparci dei fiori” continuai.
“Faresti proprio di tutto per starmi vicina eh?” rise Castiel allargando le braccia.
Assunsi un’espressione disgustata e allo stesso tempo spazientita.
“Va bene, va bene. Se proprio ci tenete potete segnare il punteggio sul tabellone o rimettere i palloni nei cesti, basta che non facciate danni e non vi rompiate niente” disse spingendoci verso gli altri.
“Allora ci tieni alla mia incolumità” lo stuzzicai avvicinandomi a un gruppetto di cestisti che discuteva animatamente al centro del campo.
Lui mi ignorò e ci presentò agli altri giocatori. Due li avevo già visti nella nostra classe, mentre gli altri erano facce nuove. Alcuni dissero al capitano che era proprio ora che si decidesse a reclutare qualche ragazza, ma Castiel diede loro dei morti di figa e si zittirono. Iris ed io ci piazzammo a sedere su un tavolino e iniziammo a fare pratica con i pulsanti del telecomando del tabellone, mentre gli altri iniziarono una partita. Dopo aver fatto vincere la squadra blu diciotto a sei quando in realtà aveva perso otto a quindici, imparammo ad usarlo e le cose migliorarono visibilmente. Alle cinque e venti i ragazzi andarono a cambiarsi e io ed Iris uscimmo.
“C’è la macchina di mia madre” disse preparandosi a uscire dal piccolo portico per affrontare di nuovo la tempesta “Vuoi un passaggio?”
“No grazie, prendo l’autobus, non voglio allungarti la strada. Resto ancora un po’ qui per vedere se smette” le dissi sorridendo.
“Va bene, se hai bisogno chiamami” disse, poi mi salutò con un bacio sulla guancia e corse via.
Mi sedetti su un muretto e mi misi le cuffiette nelle orecchie, lasciando vagare lo sguardo per il parcheggio deserto della scuola.
 
“So if you want to love me then darlin' don't refrain
Or I'll just end up walkin' In the cold November rain”
 
La canzone mi prendeva così tanto che stavo per iniziare a cantare a voce alta, quando una mano mi diede una spintarella. Mi tolsi una cuffietta e voltai appena la testa. Di nuovo lui.
“Mi aspetti anche al varco ora?” chiese con un sorrisetto.
“Le tue battute con cui mi dai della stalker ormai sono banali” lo informai.
Mi fece cenno di fargli posto sul muretto e lo accontentai. Si sedette rannicchiando le gambe e posando i talloni sul muro, poi si accese una sigaretta.
“Vuoi?” mi chiese porgendomi il pacchetto.
Avevo iniziato a fumare dopo la morte di mia madre, un paio d’anni prima. In poco tempo era arrivata a consumare anche un intero pacchetto al giorno. All’epoca giocavo ancora a pallavolo, e ben presto notai che il gran numero di sigarette che fumavo iniziava a rallentare seriamente i miei riflessi, così aprii gli occhi e presi a diminuirne progressivamente il numero. Poi capii che tutti i soldi che spendevo per comprarne erano soldi buttati nel cesso, così ora fumavo soltanto a scrocco da chi me ne offriva.
Presi una sigaretta dal pacchetto, e Castiel ci rimase piuttosto male.
“Ma sei sempre la secchiona che non si è persa una parola di Oldman e di tutti gli altri prof fatta eccezione per quella di matematica, riempendo mille pagine di appunti?” mi chiese fingendosi irritato.
“Quindi me l’hai offerta solo perché pensavi che avrei rifiutato” lo accusai indignata, evitando di fargli presente che per sapere quelle cose doveva avermi guardata per tutto il giorno.
“Tanto non ti do l’accendino” mi provocò.
Io mi misi la sigaretta tra le labbra e mi avvicinai al suo viso, fino a sfiorare la punta della sua accesa con la mia, che si accese dopo qualche secondo. Tornai a guardare il parcheggio e la pioggia che cadeva, e lo sentii borbottare qualcosa tipo “tutta questa confidenza”.
“Prendi l’autobus?” mi chiese. Annuii.
“E tu?” scosse la testa e indicò con il mento una bicicletta rossa legata alla staccionata. Risi.
Finì la sua sigaretta, la gettò a terra e la calpestò. Si alzò in piedi e si sistemò alla meglio il cappuccio della felpa in testa. Slegò la bici, montò in sella e mi lanciò un’occhiata.
“A domani, Bella Swan” ghignò.
Mi lasciò il tempo di gridare un “ciao, Buffy!” prima di pedalare via.


 



Angolo Autore:

Ma ciao a tutti!
Questa è la mia prima fanfiction sul mondo di Dolce Flirt. Mi sono iscritta da un mesetto a questo gioco di ruolo e me ne sono innamorata subito! Adoro i personaggi, li trovo tutti fantastici. Ho letto qualche storia qui su EFP e mi sono convinta a provare a scriverne una anche io (:
Spero di aggiornare regolarmente, perché mi piace come ho iniziato e non vorrei che restasse a metà. Prometto che mi impegnerò :D
Vi chiedo perfavore di lasciarmi una piccola recensione, per sapere se vi piace l'inizio della storia e se vale la pena continuarla! Mi piace molto leggere cosa pensate di quello che scrivo :)
Per ora vi saluto! Un bacio!



 
  
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