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Autore: Ultraviolet_    18/08/2014    3 recensioni
"La prima cosa che notai alzandomi fu la maglietta rossa che portava, con sopra il logo di una rock band di cui conoscevo alcune canzoni, e il giubbotto di pelle nera sopra. Poi, alzando lo sguardo, notai che aveva i capelli dello stesso colore della maglia. Un rosso un po’ tendente al bordeaux. Assurdo. Ma decisamente bello.
“Vedi di calmarti perché sono le otto del mattino e non ho proprio voglia di farmi urlare nelle orecchie da una ragazzina” fece lui senza muovere un dito per aiutarmi."
Genere: Generale, Introspettivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Shonen-ai | Personaggi: Castiel, Dolcetta, Iris, Nathaniel, Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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2. Sedute di shopping e nuovi nemici
 
 
Il mattino dopo il mio primo giorno di scuola al Dolce Amoris, la sveglia del cellulare suonò decisamente troppo presto. Ero sicurissima di aver sbagliato a puntarla la sera prima, perché non potevano essere già le sette. Questa convinzione rimase cementata nella mia mente per cinque minuti buoni, durante i quali il mio vocabolario di imprecazioni mentali si allargò pericolosamente, finché qualcuno bussò alla porta della mia camera.
“Beth? Alzati o farai tardi” gridò mio padre senza aprirla. Rimase dov’era, in attesa di sentire un cenno di vita da parte mia. Mi uscì un mugugno indistinto, ma gli bastò, perché sentii i suoi passi scendere le scale.
Mio padre mi aveva sempre lasciato i miei spazi, convinto che avrei potuto fare qualunque cosa se solo avessi voluto. Non era il tipo da lezioni di vita, lui piuttosto lasciava che lo guardassi nella sua quotidianità e imparassi da sola. Se sbagliavo, per lui non era una tragedia, anzi, secondo lui una vita senza errori non era altrettanto degna di essere vissuta. Una noia, insomma. Ero legatissima a lui, da sempre, e ancora di più dalla morte di mia madre. Era stato davvero fantastico, era riuscito a superare l’accaduto dopo poco tempo e aveva trascinato con sé le sue due figlie, impedendo in ogni modo e con tutte le sue forze che la perdita subita ci portasse sulla cattiva strada. Mia sorella Kaitlin aveva quattro anni all’epoca, quindi, anche se aveva sofferto molto per la mancanza della mamma, era stato abbastanza facile farle superare il brutto momento. Con me invece, fu tutto il contrario.
Comunque, anche se adoravo mio padre, pensai che avesse riposto decisamente troppa fiducia in me pensando che avessi la forza di alzarmi dal caldo giaciglio delle coperte da sola, per scaraventarmi fuori al freddo e poi dentro ad un edificio grigio e triste sopra ad una sedia scomoda. Infatti passarono altri venti minuti prima che trovassi il coraggio di lavarmi e vestirmi, e alla fine dovetti mangiare i miei cereali in piedi, versandomeli in bocca direttamente dalla scatola e bevendo un sorso di latte per mandarli giù. Fu piuttosto disgustoso, ma non quanto la corsa che seguì per evitare di perdere l’autobus. E sarebbe stato anche accettabile, se avesse funzionato.
Purtroppo per me però arrivai in strada con la giacca infilata a metà e lo zaino in mano, e mi vidi passare davanti il mezzo che avrebbe dovuto portarmi a scuola.
“Tua madre ci ha provato a fare un figlio decente, ma gli sei venuto fuori tu!” gridai all’autista inconsapevole che si allontanava da me.
Mi infilai del tutto il piumino, posando lo zaino a terra, e allacciai la zip. Stavo valutando l’idea di tornare dentro e chiedere a mio padre di portarmi a scuola, quando sentii la sua macchina uscire dal vialetto sul retro e prendere la via del lavoro. Imprecai.
“Qualcosa mi dice che ti sei svegliata anche peggio di ieri” disse una voce alle mie spalle, accompagnata dal trillo di un campanello. Mi voltai appena in tempo per vedere Castiel in sella alla sua bici, e, incredula, feci un passo indietro per evitare di essere travolta, dato che non aveva la minima intenzione di aggirarmi.
“Senti, ora sembri tu lo stalker” dissi guardandolo come a chiedergli spiegazioni.
“Ehi, è dalla prima elementare che faccio questa strada per andare a scuola tutte le mattine, se sei venuta ad abitare proprio qui non è colpa mia” mi informò fermandosi e posando un piede a terra.
“Non ho potuto fare a meno di sentire le dolci parole che hai riservato all’autista del bus” commentò poi con un sorrisetto furbo.
“Secondo te se vado a piedi arrivo per le otto?” gli chiesi sconsolata.
“Non essere ridicola” rispose lui “Non ci arriveresti neanche per le nove con il tuo passo”.
“Che ne sai di che passo ho?” protestai, e lui si passò una mano tra i capelli alzando le spalle.
“Dai, metti il culo sul portapacchi, ti porto io” sospirò vedendo la mia espressione assassina.
“Non c’è bisogno, me ne torno a letto” sbottai innervosita. Non volevo fare pena a nessuno.
Lui si mise in equilibrio sui pedali e mi seguì fino al portone.
“Guarda che se non ti dai una mossa arrivi tardi davvero” mi incitò con una leggera punta di gentilezza in più del solito. “Vuoi che te lo dica in spagnolo?!” continuò vedendo che non mi muovevo. Ok, forse la gentilezza me l’ero immaginata.
Con un sospiro scocciato misi da parte l’orgoglio, pensando che non fosse il caso di assentarmi già il secondo giorno, e presi posto sul portapacchi aggrappandomi poi ad esso con le mani, pregando di non morire durante il tragitto. Se proprio doveva esserci una fine, non volevo che la mia arrivasse andando a scuola. Castiel prese a pedalare, senza nessun tipo di sforzo, o almeno così pareva.
“Spiegami una cosa” dissi dopo un paio di minuti “Se l’autobus è partito cinque minuti fa e noi ora, come faremo ad arrivare puntuali considerando che l’autobus arriva alle otto ed è dotato di motore, mentre la bici no?” sembrava un quesito di scienze.
“Stai forse sottovalutando la potenza del mio bolide?” rispose lui. Notai che aveva una certa tendenza a rispondere alle domande con altre domande. “L’autobus fa qualcosa come un miliardo di fermate. Hartford è una città in cui la gente è così pigra che c’è una fermata ogni cento metri. E non scherzo” mi spiegò.
Annuii, anche se non poteva vedermi. A conferma del suo discorso, dopo qualche minuto raggiungemmo il bus, che era fermo e occupato a far salire gente. Passandogli di fianco, alzai il terzo dito in direzione dell’autista, provocando un’occhiataccia da parte di un passante e uno sbuffo che somigliava a una risata soffocata da Castiel.
“Ma si può sapere quanto pesi? Sembra che sia da solo, sei una cazzo di piuma” disse il rosso, che faceva procedere la bicicletta piuttosto velocemente superando i pedoni che non sapevano distinguere il marciapiedi dalla pista ciclabile.
“Ti sembra, chiedere il peso ad una donna?” feci io assestandogli uno scappellotto sulla nuca.
“Ti stai mettendo in una posizione scomoda, Davies. Ti sto facendo un favore e in più mi picchi, ma stai tranquilla, avrai modo di ripagarmi” disse in tono minaccioso.
“Cos’è, hai smesso di chiamarmi Bella Swan così io non posso più chiamarti Buffy?” dissi sinceramente dispiaciuta. Avrei dovuto trovare un nuovo soprannome che lo facesse davvero arrabbiare.
Non rispose. Eravamo arrivati a scuola, così fece il giro del cortile e mi scaricò davanti alla porta. Erano le otto in punto.
“Ci vediamo in classe!” gridai correndo su per i gradini.
“Non ringrazi neanche?” fece lui, che evidentemente aveva intenzione di prendersela comoda, perché se ne stava seduto sul sellino, entrambi i piedi posati sul cemento e una sigaretta spenta stretta fra le labbra, le mani impegnate nella ricerca dell’accendino.
“Ma ti pare?” dissi correndo dentro, con un sorrisetto.
Attraversando il corridoio di corsa passai davanti alla sala delegati, dove Nathaniel stava in piedi sulla soglia.
“Dove corri?” mi chiese facendomi un gran sorriso.
“In classe” risposi. Non era ovvio?
“Puoi rallentare, la campanella suona alle otto e cinque” mi informò chiudendosi la porta dell’ufficio alle spalle e affiancandomi.
Mi sentii stupida, ma la mano del delegato che mi si posava sulla spalla me lo fece dimenticare subito e avvampai leggermente.
“La mia classe è poco più avanti della tua” disse prendendo a camminare “Allora, com’è andato il primo giorno? Come ti è sembrata la scuola?”
“Oh, bene!” risposi sorridendo “Sono stati quasi tutti molto gentili, a partire da te” arrossii di nuovo “E i professori che ho conosciuto mi sembrano simpatici” aggiunsi.
“Qualcuno non è stato gentile?” si informò sorpreso.
“Beh, diciamo che ho iniziato un po’ male con il mio compagno di banco, un ragazzo dai capelli rosso scuro. E’ un tipo particolare, non capisco mai se non gliene frega niente oppure no. E poi è decisamente uno sbruffone” spiegai.
“Parli di Castiel” indovinò istantaneamente scuotendo la testa con un sorrisetto.
“Siete amici?” chiesi pregando di non aver fatto una brutta figura insultando un suo amico davanti a lui.
“No, diciamo che siamo sempre stati troppo diversi per andare d’accordo. Eravamo in classe insieme in prima, non eravamo troppo amici ma neanche ci odiavamo, poi la sua antipatia per me è aumentata per via di alcune incomprensioni” disse con un’alzata di spalle.
“Si vede proprio” dissi “Che siete diversi, intendo” completai.
Eravamo arrivati davanti alla porta della mia classe. La professoressa di storia non era ancora arrivata, come confermava la porta spalancata e i miei compagni sparsi in corridoio a chiacchierare o al cellulare. Vidi Alexy parlare con un ragazzo identico a lui, fatta eccezione per il colore dei capelli, e pensai che si trattasse del fratello di cui mi aveva parlato.
“Ciao Alexy, Armin!” esclamò una voce che ricollegai subito ad Iris. Infatti un attimo dopo la ragazza spuntò dall’interno della classe.
“Ehi Beth!” mi salutò abbracciandomi, poi rivolse un timido cenno di saluto a Nathaniel.
“Buongiorno Iris” rispose lui gentilmente.
All’arrivo della prof, salutai il delegato che raggiunse la sua aula ed entrai seguendo i miei compagni. Raggiungendo il mio posto notai che Castiel ancora non si vedeva, e così fu per tutta l’ora. La lezione fu piuttosto noiosa, e dopo aver cercato di prendere appunti ed aver riempito una facciata del mio quaderno, mi arresi. Verso la fine dell’ora smise di spiegare.
“Allora ragazzi, come vi avevo anticipato ho pensato di assegnare ad ognuno di voi un argomento del programma di quest’anno per un progetto. Lavorerete in coppie scelte da me.” A questa frase la classe palesò il suo disappunto tramite sbuffi e commenti. “Il vostro compito è di presentare l’argomento che vi è toccato parlando delle curiosità, gli usi e i costumi di quel popolo, il loro calendario, i loro abiti, eccetera. Spero sia un modo per farvi apprezzare di più una materia che potrebbe risultare noiosa, ma che in realtà è molto interessante” spiegò.
La trovai una buona idea, e sperai di finire in coppia con Iris, Alexy o Violet. Le mie preghiere furono esaudite, perché la professoressa tirò a sorte e il mio cognome uscì insieme a quello del ragazzo dai capelli azzurri. Lo cercai con lo sguardo e gli sorrisi. La povera Violet finì in coppia con Castiel, che alla fine dell’ora fece il suo ingresso in classe per poi scomparire di nuovo, e Iris fu messa insieme a Rosalya. Durante il cambio d’ora mi accordai con Alexy e decidemmo di andare insieme a casa mia il giorno seguente dopo aver finito nei nostri rispettivi club.
“Andiamo?” chiese Iris alzandosi dal suo posto e afferrando una borsa abbandonata per terra.
“Andiamo dove?” domandai di rimando, senza capire.
“In palestra, c’è ginnastica le prossime due ore” rispose lei, poi si bloccò “Oh cazzo, Beth, scusami, mi sono dimenticata di dirtelo ieri!” esclamò portandosi una mano alla bocca.
“Ma figurati, non ti preoccupare, l’unico problema è che non ho niente per cambiarmi” dissi tirandole leggermente la treccia per rassicurarla.
“In palestra c’è sempre qualcosa da prendere in prestito, possiamo chiedere ad Arold” disse lei chiudendosi la zip della felpa.
“Chi è Arold?” mi informai alzandomi e prendendo la giacca, pronta ad affrontare l’aria fredda per arrivare in palestra.
“Il custode, o capo bidello, come ama definirsi lui.”
A rispondere era stata la famosa Rosalya, che aveva abbandonato il suo banco in ultima fila e ci era venuta incontro con il cellulare in mano.
“Scusa se non ho ancora avuto occasione di presentarmi, io sono Rosalya” mi disse rivolgendomi un gran sorriso. Aveva una voce melodiosa e piacevole.
“Piacere, io sono Beth” le sorrisi in risposta, perdendomi ad osservare i suoi lunghi capelli argentati. “Hai dei capelli meravigliosi” le dissi ammirata.
“Ma insomma, a me non piacciono tanto, ma ti ringrazio. I tuoi piuttosto, sono davvero da invidiare” disse accarezzandomi qualche ciocca corvina.
Non feci in tempo a ringraziare, che riprese: “Posso accompagnarti da Arold, quell’uomo ha un debole per me. E’ un vecchietto simpatico, tienitelo a mente se ti capiterà di essere buttata fuori dalla classe, è molto di compagnia” rise.
Sorrisi, e ci avviammo tutti insieme verso la palestra. Durante il tragitto Rosalya ci spiegò che lei ed Iris, nell’accordarsi per iniziare il progetto di storia, avevano deciso di andare a fare shopping quel pomeriggio, e ci chiese se volessimo unirci. Violet declinò l’offerta con gentilezza, mentre io ed Alexy accettammo con entusiasmo.
“Voi andate a dire al prof che arriviamo, io accompagno Beth a prendere i vestiti” disse Rosalya una volta arrivati in palestra. Invece di andare negli spogliatoi, ci infilammo in una porticina accanto ad essi e ce ne trovammo davanti una seconda, chiusa. La ragazza bussò con forza.
“Arold, so che sei lì dentro” disse divertita. Dall’interno si sentirono dei passi, una pausa e poi la porta si aprì davanti a noi. Davanti ad essa stava un vecchietto dall’aria fragile, con i capelli completamente bianchi e l’aria giovale.
“Rosa, la mia studentessa preferita!” esclamò dandole un buffetto sulla guancia “Che ti serve, cara?” chiese poi.
“La mia amica Beth non ha i vestiti per ginnastica, avresti qualcosa da prestarle nel tuo armadio magico?” fece lei indicando con il pollice un armadietto alle nostre spalle.
Il vecchio si chiuse alle spalle la porta, e riuscii ad intravedere una piccola scrivania assediata da prodotti per pulire i pavimenti, scope, stracci e cose di quel genere. Pensai che si trattasse di una specie di ufficio-sgabuzzino.
“Vediamo un po’” disse dirigendosi verso lo stipo ed estraendo dalla tasca dei pantaloni blu un enorme mazzo di chiavi. Al primo colpo scelse quella giusta e aprì lo sportello. Mi bastò un’occhiata per capire che conteneva generazioni di abiti dimenticati negli spogliatoi, scarpe comprese. Arold prese a rovistarci dentro, e ogni tanto un capo cadeva ai suoi piedi per essere poi recuperato da Rosalya.
“Queste sono le cose più piccole che posso darti” disse riemergendo dopo qualche minuto di ricerca. Mi guardò dalla testa ai piedi “La maglia sarà un po’ grande ma i pantaloni dovrebbero andare” mi fece un gran sorriso porgendomi gli abiti.
“Grazie mille, va benissimo” lo ringraziai gentilmente.
“E non preoccuparti per la sporcizia, laviamo tutti gli abiti una volta a settimana. Se li porta a casa Ester e fa una lavatrice con tanto di ammorbidente” mi spiegò richiudendo a chiave l’armadio.
Sorrisi, lui destinò un altro buffetto a Rosa e poi ci salutò, avvisandomi che le amiche della ragazza erano anche amiche sue e che avrei potuto rivolgermi a lui per qualsiasi problema. Ci recammo negli spogliatoi ridendo. Indossai i vestiti che mi aveva dato, cioè un paio di pantaloncini decisamente molto corti e una maglia da basket verde decisamente troppo lunga, a cui feci un nodo alla meglio. Quando anche Rosalya fu pronta raggiungemmo gli altri in palestra.
“Mi piace questo tuo nuovo stile” commentò Alexy con una risata, seguito a ruota da Iris. Guardai male il ragazzo e diedi un pizzicotto alla rossa, ricordandole che era per colpa sua se ero finita conciata in quel modo. Ci unimmo al resto della classe, che era raccolta intorno al cesto dei palloni, dove ognuno cercava di impossessarsi di quello migliore.
“Indossi la maglia del nemico” disse Castiel riemergendo dalla ressa con un pallone da calcio nuovo fiammante tra le mani.
“Tifi per i Chicago Bulls?” chiesi guardando la mia maglietta, che era dei Boston Celtics. Il basket mi annoiava parecchio, ma mio padre era un appassionato, quindi ero in grado di distinguere quasi tutte le squadre dell’NBA e riconoscevo alcuni giocatori.
“Perché pensi che le maglie della squadra di basket siano rosse?” fece iniziando a palleggiare con i piedi.
“Forse perché è il colore base della maglie da basket e non ti fanno pagare un supplemento?” risposi come se stessi parlando ad un idiota.
“Una bella fortuna no?” ghignò lui calciando la palla, che finì nella porta indifesa dall’altra parte del campo.
“Di chi è la maglia?” chiesi indicandomi la schiena. Lui fece un passo avanti e mi spostò i capelli di lato per leggere il nome. Mi sfiorò il collo e io rabbrividii impercettibilmente.
“Brandon Bass” lesse mollando la mia chioma corvina. Mi voltai mordendomi le labbra, cosa che facevo sempre quando pensavo.
“E’ di colore vero?” domandai cercando di ricordare le facce dei vari giocatori.
Lui alzò le sopracciglia e annuì.
“Tranquillo, non mi piace il basket. Lo guarda mio padre” lo informai, come a tranquillizzarlo che no, non aveva trovato la sua anima gemella in una rompiscatole mezza vampira che non perdeva occasione di prendere in giro.
A quel punto arrivò il professore, un uomo alto e abbronzato che aveva la tipica aria da prof di ginnastica. Facendo l’appello si fermò al mio nome, si presentò come professor Withman e mi chiese se facessi sport.
“Ho fatto pallavolo per sei anni, e prima danza moderna per quattro” dissi, e lui fece un cenno di assenso, continuando a chiamare i nomi dei miei compagni.
“Dunque, ragazzi” iniziò una volta finito “Castiel, posa un attimo quella palla prima che finisca in posti dove un palla non dovrebbe mai stare” lo avvisò provocando risate isteriche a mezza classe e un sorrisino compiaciuto a me, Iris e Rosalya “Come vi ho detto all’inizio dell’anno, all’inizio di dicembre ho intenzione di portarvi in gita in un villaggio sportivo. Si tratta di un posto attrezzato per fare moltissimi sport diversi, dai più classici come calcio, pallavolo, basket, tennis e tutti quelli che richiedono un campo, passando per bicicletta, corsa, arrampicata, albering e arrivando a nuoto, canoa, tiro con l’arco, wind-surf” spiegò. Avevano già iniziato a levarsi voci che si chiedevano come si potessero fare tutte queste cose a dicembre, così l’uomo alzò le mani e fece cenno di zittirsi “Il villaggio si trova in California, e lì a dicembre si raggiungono i venticinque gradi, quindi non preoccupatevi. Ah, dimenticavo, si dorme nei bungalow. A breve avrete tutti gli avvisi da dare ai vostri genitori” concluse. Ci disse poi di scegliere se fare calcio, basket o pallavolo e di andare a giocare. Sentii la bionda che si lamentava dicendo che non si possono far dormire delle persone in posti squallidi come i bungalow.
“Quando ce l’ha detto a settembre ho pensato di non andare” mi disse Iris afferrando un pallone da pallavolo e dirigendosi verso la rete “Perché Violet non vorrà mai venire, quindi pensavo di stare a casa anche io. Però ora che ci sei tu e che Rosalya mostra tutto questo interesse verso di noi, potrebbe essere divertente”.
“Come mai Violet non vuole venire? E prima d’ora non hai veramente mai parlato con Rosa?” chiesi curiosa.
“Violet sai com’è, anche se sei qui da due giorni si sarà capito. E’ molto timida, non ce la vedo proprio in una gita di questo tipo, infatti ha detto che preferirebbe evitare. Per quanto riguarda Rosalya, è in questa classe solo dall’inizio dell’anno, prima era in C. Visto che era molto più numerosa della nostra hanno spostati alcuni studenti in altre classi sorteggiandoli ed è uscita lei. Non ci ho mai parlato molto, è sempre stata molto sulle sue” mi spiegò.
Annuii per dire che avevo capito, e dopo aver concordato sul fatto che sembrasse molto simpatica ci unimmo agli altri che avevano scelto di giocare a pallavolo e ci dividemmo in due squadre da quattro. Il resto delle due ore passò piacevolmente, e giocando feci conoscenza con molti miei compagni che non mi si erano ancora presentati. Trovai davvero divertente un ragazzo che avevo notato anche al club di basket, di nome Dajan, che si destreggiava giocando a tutti e tre gli sport a turno. Faceva un canestro, si precipitava sul campo di pallavolo a ricevere con un bagher e volava a parare un tiro nella porta da calcio. Alla fine stramazzò teatralmente a terra, sfinito, seguito da Iris che fu costretta a mettersi a gattoni per il gran ridere.
 
Utilizzai quasi tutto l’intervallo per farmi una doccia, considerando che alla fine delle lezioni sarei dovuta rimanere al club di basket fino alle cinque e mezza e che dopo sarei andata a fare shopping non mi andava proprio di rimanere sudata. Restituii gli abiti ad Arold e sfruttai il resto della pausa per mangiarmi una barretta di cioccolato e avvisare mio padre che sarei rientrata più tardi. Rispose al secondo squillo, mi chiese se mi servivano soldi e mi disse di invitare le mie amiche a cena a casa. Tornai in classe e mi sedetti di fianco a Castiel per affrontare le due ore successive, francese e arte. Durante la seconda, appresi che la professoressa ignorava completamente il libro di teoria e faceva disegnare e basta gli alunni, e ne fui sollevata, anche perché nel mio vecchio liceo non facevo arte e sarei stata molto indietro. In quell’ora dovevamo scegliere un quadro di Van Gogh tra quelli illustrati sul libro e cercare di imitarlo, “mettendoci il nostro tocco”, per citare la prof. Io ero una frana completa a disegnare, così sopportai le infinite prese in giro di Castiel, che dal canto suo non era tanto meglio di me, e quando alla fine confrontammo le nostre due opere ci venne da ridere vedendo i rispettivi risultati.
Quando finalmente la campanella annunciò la pausa pranzo raggiunsi Iris, che stava osservando il disegno di Rosalya, che si finse indignata perché la rossa aveva scambiato un sole per un uovo di Pasqua. Ci recammo alla mensa insieme ad Alexy e Violet. Seduto allo stesso tavolo del giorno prima trovammo il fratello del ragazzo, che mi fu presentato come Armin. Appoggiò di fianco al suo vassoio una console portatile con cui stava giocando, mi sorrise e mi strinse la mano.
“Finalmente ti conosco!” esclamò “Ieri Alexy mi ha raccontato di quanto sei brava a zittire Castiel. Abbiamo pensato di eleggerti nostra regina suprema” disse sghignazzando.
“Cosa cosa? Qualcuno che zittisce Cas? E perché io non ne ero a conoscenza?” dietro ai gemelli era spuntato un ragazzo alto, incredibilmente simile a Rosalya. Non per i tratti, aveva sì gli stessi capelli argentei, ma il viso era diverso. Ma anche lui, come la ragazza, portava abiti ottocenteschi che gli conferivano una certa eleganza. Notai che aveva gli occhi di due colori diversi, uno ambrato e uno verde. Di fianco a lui c’era Castiel.
“Cosa stai dicendo, Lys?” chiese “Nessuno mi zittisce”.
“Ciao Lys!” esclamò Rosa alzandosi di scatto e abbracciando il ragazzo “Beth, lui è Lysandre. E’ il fratello del mio ragazzo Leigh” mi spiegò. Lo salutai con la mano e lui mi sorrise. Lui e Castiel si sedettero uno di fianco all’altro, il rosso vicino a me e lui vicino a Rosa.
“Avevi ragione quando mi hai detto che sembra una vampira” disse Lysandre rivolto all’amico, guardandomi con occhi gentili. Io arrossii.
“Così gli hai parlato di me” dissi stuzzicando Castiel e punzecchiandolo con il manico della forchetta tra le costole.
“Parlato mi sembra una parola grossa” rispose lui addentando un panino. “A proposito di cose grosse, la prossima volta per ginnastica scegli una maglia che non metta ancora più in risalto le tue mancanze” disse lanciando un’occhiata alla scollatura della mia maglietta.
Lo guardai malissimo e arrossii. Non ero molto prosperosa, ok, ma non era così divertente da farci battute sopra. A conferma del fatto, soltanto Alexy rise, ma lui rideva per tutto. Le ragazze lo fulminarono con lo sguardo, Armin continuò a giocare con la sua console e Lysandre prese a frugarsi in tasca alla ricerca di qualcosa. Diedi le spalle a Castiel  fingendomi più arrabbiata di quanto fossi e presi a parlare con Iris e Rosa dello shopping che ci aspettava, mentre lui borbottava “permalosa” a bocca piena.
Alla fine della pausa pranzo ognuno si recò al suo club, e appresi che Armin era in quello di calcio e Lysandre in quello di teatro insieme a Rosalya. Io, Iris e Castiel raggiungemmo la palestra, e in cortile ci raggiunse Dajan. Io mi ero portata un libro da leggere e mi alternavo con la ragazza per segnare i punti delle squadre che si allenavano. Due ore dopo salutammo tutti, mi premurai di riservare un saluto leggermente più freddo al rosso e andammo in cortile per recuperare gli altri due e andare finalmente per negozi.
“Prima che mi dimentichi, mio padre mi ha detto di invitarvi a cena” dissi quando ci raggiunsero.
“Io devo saltare, cena di famiglia” disse Alexy con aria dispiaciuta.
“Non preoccuparti, tanto vieni da me domani” dissi ricordandogli del progetto.
Le ragazze invece accettarono con piacere. Lungo la strada dal Dolce Amoris fino al centro ci divertimmo a prendere in giro i professori e ci lamentammo per tutti i compiti che avevamo da fare per la settimana seguente. Arrivati a destinazione entrammo in un negozio di abbigliamento, e subito Rosalya si fiondò addosso al ragazzo che stava dietro al bancone. Me lo presentò come Leigh, suo ragazzo e fratello di Lysandre. In effetti si somigliavano, anche sei lui aveva i capelli neri e nessuna eterocromia. Dopo averlo salutato la ragazza si assunse il compito di trovare dei vestiti nuovi ad ognuno di noi.
“Questo è per Iris, questo per Alexy e questo per te Beth” disse distribuendoci i vari capi che aveva raccolto durante la sua ispezione.
“Ma che colori tristi!” si lamentò il ragazzo sventolando una t-shirt grigia e nera. Se la provò per accontentare Rosalya, ma poi la mise da parte e andò da solo nel reparto da uomo per prendere altre cose.
Alla fine ognuno di noi comprò qualcosa, Rosa più di tutti. Non riuscivamo a capire come avesse fatto, dato che non si era provata niente e si era dedicata a noi per tutto il tempo. Usciti dal negozio salutammo Alexy che ci abbracciò tutte e corse via.
“Bene, per andare da me possiamo attraversare il parco” spiegai indicandolo.
Era pieno di bambini che correvano avanti e indietro, tenuti d’occhio a distanza dai propri genitori seduti sulla apposite panchine. Iris per poco non fu travolta da due ragazzini che giocavano a rincorrersi, facendomi ridere come una pazza.
“Papà, sono a casa!” gridai quando arrivammo, chiudendo la porta. Immediatamente un tornado biondo mi investì.
“BETH!” gridò Kaitlin abbracciandomi stretta.
“Ehi Kat, guarda chi c’è” dissi alla mia sorellina prendendola in braccio e portandola davanti ad Iris e Rosalya, che subito presero a spupazzarla ripetendo “Quanto sei carina!” ogni dieci secondi. Mio padre fece capolino dalla cucina.
“Ciao tesoro” sorrise.
“Papà, loro sono Iris e Rosalya, due compagne di classe” spiegai “Cerca di non avvelenarle con la tua cucina” aggiunsi ridendo.
“Tranquilla, ho intenzione di ordinare la pizza” rispose lui stringendo la mano alle ragazze.
Prima di cena giocammo insieme a Kaitlin con le sue bambole, Iris si innamorò a prima vista del ragazzo delle consegne e dopo aver indagato in tutti i modi per scoprirne il nome ci arrendemmo, finimmo la pizza e ci guardammo un film finché non dovettero tornare a casa. Andai a letto distrutta, puntando la sveglia all’ora giusta.
 
Il mattino dopo presi l’autobus e arrivai puntuale. Salutai Nathaniel nel suo ufficio e feci per andare in classe, ma mi trovai davanti la mia compagna bionda e bellissima seguita da altre due ragazze.
“Senti, bella” esordì “Sei in questa scuola da tre giorni e mi stai già creando problemi. Stai lontana da mio fratello e non azzardarti in nessun modo ad avvicinarti a Castiel, mi sono spiegata?”
“Scusa, ma chi sarebbe tuo fratello?” le chiesi, confusa “E Castiel è tutto tuo tranquilla, nessuno te lo ruba”.
Feci per proseguire il mio cammino, ma lei mi bloccò di nuovo.
“Non mi piace la tua faccia tosta, ti costerà i soldi del pranzo” disse spingendomi verso gli armadietti.
“Ma ti sei bevuta il cervello?” dissi spingendola via senza troppi sforzi e facendola finire a terra “Mettimi di nuovo le mani addosso e ti faccio mangiare i tuoi bei capelli biondi” conclusi  voltandole le spalle.
Una mattinata iniziata bene, non c’è che dire.



 



Angolo Autore:
Ma ciao!
Eccomi di nuovo qui con il secondo capitolo, spero che vi piaccia :3
Come andrà a finire con Ambra? E come andrà il progetto di storia insieme ad Alexy?
Vi chiedo ancora un volta di lasciare una piccola recensione se vi va, per farmi sapere cosa ne pensate :)
Alla prossima!


 
  
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