Washington
“Qualche
novità da tua madre?”
Reid
scosse la testa leggermente sconfortato “niente, non capisco se non voglia o…”
si strinse nelle spalle “chissà…forse non se lo ricorda nemmeno” finì spostando
una pedina due caselle in avanti.
“Pensi
che potrebbe nasconderti qualcosa?” riprese Gideon facendo arretrare il suo
alfiere.
“Non lo
so…” rispose Reid ponderando attentamente la sua prossima mossa.
“E tuo
padre? Non si è più fatto sentire?”
“N-no…dopo quella giornata non mi ha più cercato” e questo,soprattutto,
lo insospettiva. Si era aspettato che lo attendesse nuovamente fuori
dall’ufficio o che lo seguisse fino a casa per un ulteriore colloquio, ma
niente. Cinque giorni di assoluto silenzio.
“Forse
sta cercando…un altro approccio” disse Gideon muovendo il cavallo.
“Può
darsi, ma ah…” si era accorto troppo tardi di aver perso la partita“ e ad ogni
modo a te non resta che attendere giusto?”.
Due
giorni dopo ad aspettarlo all’entrata dell’edificio dell’FBI trovò una figura
che ormai avrebbe identificato immediatamente tra la folla.
Non
poteva far finta di non averlo visto, così si fermò, imponendosi di non farsi
distrarre da lui e di non arrivare in ritardo.
Non gli avrebbe
permesso di interferire con la sua vita.
“Allora
cosa c’è questa volta? Vuoi solo rivangare il passato o hai…” cominciò con aria
palesemente scocciata.
“No
niente di tutto questo Spencer, io…non possiamo andare a parlare da un’altra
parte?” fece guardandosi intorno un po’ teso.
“No, devo
andare al lavoro…non posso arrivare in ritardo…e insomma cosa vuoi?”.
Lo osservò
meglio, profonde occhiaie, spettinato, vestito in modo disordinato, lui che non
lo ricordava in altro modo che in completo. C’era qualcosa che non andava.
“Io…andiamocene
da qui” esclamò afferrandogli un braccio.
Reid si
divincolò “ti ho detto che non posso, tu piombi qui nella tua vita pretendendo…ahhhh maledizione!”.
“Spencer,
tu non sai…”
“Cosa?
Perché ti fai vivo solo ora, non capisco…” stava davvero per perdere la
pazienza.
“Io…io ti
ho visto in televisione e così…”.
Nonostante
le sue lauree, i suoi dottorati e il suo alto quoziente intellettivo impiegò
qualche secondo a processare quell’informazione.
L’aveva
visto in televisione… suo padre gli stava dicendo, come se niente fosse, che
l’aveva contattato solo per uno stupido programma in Tv.
La sua
prima reazione fu di andarsene, di filare dritto nell’edificio, senza voltarsi.
Si mosse per farlo, ma in quel momento William Reid lo afferrò per un braccio.
“Per
piacere …”.
“Tutto
bene Reid?” esclamò una voce famigliare: Morgan.
Reid
annuì “ci stavamo giusto salutando, andiamo”.
Si avviò
con Morgan su per gli scalini, non senza che il collega avesse gettato
un’occhiata sospettosa al tizio che li osservava allontanarsi.
“Chi era
quel tizio Reid?”.
“Oh
nessuno in particolare” rispose lui con una scrollatina di spalle “solo mio
padre”.
“Allora è
tornato”
Reid
annuì piano, concentrandosi sulla scacchiera davanti a lui “non so che cosa
voglia, ma non ho nessuna intenzione di parlare di nuovo con lui…qualsiasi cosa...insomma…”
esitò e aggiunse con una scrollatina di spalle “è acqua passata”.
muovendo
distrattamente l’alfiere Gideon buttò lì un “sicuro?”
Reid
sembrò scocciato “sì...insomma…è meglio così…per me e mia madre”.
Il
giovane mosse un pedone, dopo un’attenta riflessione.
“Scacco!”
esclamò Gideon poco dopo“non sei curioso?” aggiunse sorseggiando il suo thé.
“Uhm…no,
ci cosa dovrei esserlo?” aggiunse Reid scrutando attentamente la scacchiera.
“Non so,
di come ha vissuto, di cosa ha fatto…del perché se n’è andato…”lasciò che l’eco
delle sue ultime parole si diffondesse per la stanza, scrutando attentamente la
reazione di Reid.
“Io
non..ah” fece Reid accorgendosi di aver fatto cadere una delle pedine. “non
voglio più saperne di lui” esclamò alzandosi.
Gideon
annuì piano“un altro po’ di thé?”.
E invece
non aveva resistito. O meglio, non aveva saputo resistere, se così si può
definire il fortissimo desiderio di sapere che cosa era successo, che cosa
l’aveva spinto, dopo tanti anni a cercarlo.
E così
aveva guidato l’auto fino a Bray, aveva parcheggiato
in un bel vialetto circondato da villette famigliari con giardino e garage,
poco distante dall’abitazione che gli interessava osservare.
Solo due
minuti si era detto, solo per capire, solo per avere un qualche tipo di
certezza da quel tipo sfuggente che diceva di essere suo padre.
Ma già
dopo qualche istante di permanenza si pentiva di quella scelta.
Gideon
gli ricordava sempre che prima di agire bisognava riflettere per bene, ma in
quel caso la soluzione ai suoi interrogativi gli era parsa lampante.
E così era
saltato sulla sua vecchia auto eredità dell’uomo che si accingeva a spiare pur
di avere un brandello di verità e aveva guidato fino a lì.
Curiosamente,
ora che la guardava meglio, la casetta bianca dal tetto spiovente, somigliava
vagamente a quella che avevano avuto in George street
a Las Vegas.
Reid
continuava a trovare incredibile quanto poco ricordasse della sua infanzia,
prima che lui se ne andasse. Ad ogni modo non era il passato a turbarlo, ma
tutta quella situazione. Tra le varie circostanze che si aspettava di
affrontare quella era la meno probabile.
E poi lo
vide uscire, in completo blu e con una 24 ore in mano. Sembrava teso. Entrò
subito in macchina e avviò il motore.
Per
qualche strana ragione Reid non lo seguì. Sarebbe stato facile, ma qualcosa lo
tratteneva in quel luogo.
Non
sapeva bene cos’avrebbe fatto, ma avvertiva che il suo posto non era dietro
l’auto di William, ma lì in Crandal Avenue.
Così,
senza quasi accorgersene, scese dalla sua auto e si appoggiò sul cofano,
occhiali scuri e braccia conserte. Buffamente, pensò che, in quella posa,
somigliava davvero a un agente dell’FBI, almeno molto di più di quanto lo
sembrasse abitualmente.
“Dottor
Reid” Gideon ci teneva molto che lo chiamassero così, di sicuro molto più di
Reid stesso. Quando aveva chiesto a Hotch la precisazione di quell’appellativo
che inizialmente lo metteva un po’ a disagio aveva capito. E adesso, anche lui
si presentava come il Dottor Reid.
“Sei un
poliziotto?”.
Reid
sobbalzò sentendosi tirare i pantaloni da qualcuno. Abbassò lo sguardo e vide
un bambino dai capelli biondi e dagli enormi occhiali cerchiati di verde che lo
scrutava dal basso.
Sorrise,
suo malgrado. Colto in flagrante da un bambino, questo sì che era degno di un
vero agente dell’FBI.
“Che cosa
te lo fa pensare?”
“Bè, è da un po’ che te ne stai qui fermo e…”
Sveglio
il ragazzino pensò distrattamente Reid…e, se se n’era accorto lui, certamente
l’aveva fatto anche qualcun altro. Forse era ora di levare le tende. In quel
momento però qualcuno uscì dalla porta delle casetta verde.
Un
bambino, press’appoco della stessa età di quello che
gli stava vicino, insieme a una donna.
Era
abbastanza.
“Ehi,
dove te ne vai?” domandò il ragazzino vedendolo schizzare in auto alla velocità
della luce.
Sarai
contento adesso vero? Si diceva mentre guidava a una velocità di molto
superiore a quella comunemente consentita a una strada statale extraurbana.
“Quel
bastardo…” sussurrò tra i denti pigiando sull’ accelleratore.
Tutte
quelle visite, quelle recriminazioni, le cose non dette…e poi aveva volutamente
tralasciato una delle cose più importanti.
Come
avrebbe potuto credergli? Come avrebbe potuto credergli anche solo un altro
istante.
Di
qualunque cosa avesse avuto bisogno non sarebbe stato lui ad aiutarlo.
No.
Prese il
primo volo per Las Vegas.
C’era una
persona che doveva vedere assolutamente.
Arrivò
che era già molto tardi e dovette pregare l’infermiera di turno per poter
entrare.
L’ora
delle visite era passata da un pezzo, ma sua madre sedeva ancora al tavolo di
mogano in fondo alla stanza, vicino alla finestra. Fuori imbruniva.
Lui si
accomodò vicino alla donna che guardava fuori. Non si era accorta che era lì.
Ma lui si
era abituato ai suoi silenzi, di ore, mentre lei vagava persa nel suo mondo,
per poi riscuotersi improvvisamente e chiedergli qualcosa.
Aveva
dovuto imparare tante cose restando accanto a lei tutti quegli anni, cose che
altri non avrebbero imparato nemmeno in tutta una vita.
E tra
queste, c’era la fine arte dell’attesa.
Dopo un
po’ Diana si voltò lentamente verso di lui “sei qui”.
Reid
annuì.
“Non
trovi che questo sia il momento più bello di tutta la giornata?”. Il tramonto,
già…chissà quanti ne aveva visti rimanendo lì seduta alla finestra.
Per un
attimo Reid si chiese se fosse consapevole di dove si trovasse e da quanto. Poi
l’urgenza delle sue domande prevalse.
“C’è una
cosa che vorrei…”.
“io trovo
che sia magnifico” fece la donna dandogli le spalle.
“Mamma
ascolta…”sussurrò il giovane.
“Non sei
d’accordo?”.
“Mamma
ascolta.”
Era tutto
inutile. E lui lo sapeva ed era questa consapevolezza ad atterrirlo. Da sempre.
C’erano
tante cose che avrebbe voluto dirle, raccontarle.
Decise
che l’avrebbe fatto comunque, che lei capisse o meno.
“Ho…ho
incontrato papà” quella parola gli suonava così strana tra le sue labbra, soprattutto
riferita a se stesso” I-io l’ho visto, lui vive
vicino a Washington e…” esitò. Quella
era una realtà difficile da accettare persino per lui, figuriamoci per sua
madre, che era stata abbandonata da quell’uomo quando più aveva bisogno di lui.
Era
crudele, e Reid lo sapeva, ma non poteva fare ameno di andare avanti.
Doveva
parlarne con qualcuno e lei aveva il diritto di saperlo.
Si fece forza.
“Lui…lui
non è cambiato. E’ sempre lo stesso, adesso vive con una donna e …”la voce gli
tremò. Dal momento in cui l’avesse detto sarebbe diventato vero. Si era detto
che non si sarebbe lasciato coinvolgere da quell’uomo, che gli sarebbe stato
lontano, che non gli importava nulla di lui, ma non era vero.
Posò
delicatamente una mano su quella della madre.
Diana
Reid si voltò verso di lui.
“Lo so”.
Reid ritrasse
involontariamente la mano e si allontanò da lei “lo sapevi??”.
Diana
annuì.
Reid la
fissò stupito “ e come diavolo…aspetta no… fammi capire” nel frattempo si era
alzato e stava arretrando “tu sapevi che lui..che lui…e non mi hai detto
niente??!”.
L’entità
di quello che gli aveva nascosto andava facendosi strada nella sua testa.
“Spencer
io no…” incespicò Diana.
“Da
quanto lo sai?” lo accusò lui tagliente, ignorando le sue proteste “Da
quanto?”.
Non si
era accorto di aver alzato il tono della voce “Da quanto?” gridò.
E lei
sobbalzò “ viene qui da un po’..lui…lui è stato gentile, mi ha raccontato
tutto, ha detto...ha detto che voleva incontrarti e così gli ho detto dove
trovarti…”
Reid scuoteva la testa incredulo.
“Ascolta
Spencer, lui è cambiato…lui vuole davvero…”.
Sbattè
contro la parete alle sue spalle e infilò la porta, prima che la madre potesse
raggiungerlo.