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Autore: remsaverem    29/04/2008    1 recensioni
Il padre di Reid torna misteriosamente nella vita del figlio.
Genere: Drammatico | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Jason Gideon, Spencer Reid
Note: What if? (E se ...) | Avvertimenti: nessuno
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“Fuori fuori tutti fuori

“Fuori fuori tutti fuori!!!!!” urlò Morgan, gettandosi contro una finestra.

Poi seguì un boato fortissimo e un silenzio irreale che regnò sovrano per qualche istante.

Fu lo strepito delle sirene e delle autopompe dei pompieri a spezzare l’incantesimo.

Faticava a respirare, la polvere gli ostruiva i polmoni e lo rendeva cieco. Riuscì a stento a riaprire gli occhi e si guardò rapidamente intorno per individuare i suoi colleghi.

Con la coda di un occhio notò Jj che si allontanava con passo malfermo, ma tutta intera, sostenuta da Prentiss. I vestiti laceri e i capelli in disordine, come non l’aveva mai vista prima. Loro erano state fortunate, al momento del crollo erano ancora all’esterno.

La sua visuale si spostò sul lato destro dello spiazzo dove Hotch, in piedi su uno dei mezzi della polizia, con i capelli sporchi di cenere grigia, stava già cominciando a organizzare i soccorsi. Gideon invece, il volto spettrale e leggermente contuso, parlava con uno dei soccorritori indicando qualcosa.

Mancava solo…

“Reid!” gridò, ma dalla sua gola uscì solo un verso strozzato.

Qualcuno gli fu subito accanto aiutandolo a rialzarsi.

Cercò di opporsi “n-no..non me… non…” .

Si divincolò, reggendosi malfermo sulle gambe, ma lo riacciuffarono. Un uomo di cui non riuscì a scorgere il volto gli applicò una mascherina per l’ossigeno.

Un altro boato, probabilmente gli enormi piani di cemento che si stabilizzavano.

“Reid!!” si sforzò di nuovo di urlare.

Inutilmente.

Mentre lo trascinavano via, su una barella, riuscì a sporgersi con la testa e ringraziò il fatto di trovarsi disteso, perché altrimenti avrebbe avuto di sicuro un mancamento.

Il palazzo dove lui e Reid sostavano poco prima era completamente crollato. Non rimanevano che rovine di cemento e nuvole bianche di una scena apocalittica in cui non potevano esserci sopravvissuti.

“Reid”mormorò di nuovo attraverso la mascherina d’ossigeno.

E infine la vide.

Era una sagoma che avanzava zoppicando leggermente reggendo una coperta tra le braccia.

Era Reid.



Ufficio del B.A.U. Quantico. Due giorni dopo


“E bravo il nostro ragazzo!!!” esclamò Morgan assestandogli un’ amichevole pacca sulla spalla.

“Ehi Morgan vacci piano!!” fece Reid massaggiandosi lievemente la parte offesa.

“E chi l’avrebbe mai detto che sei così fotogenico?!” osservò Garcia sfogliando il giornale che teneva in mano con uno sguardo languido da dietro gli occhiali a forma di cuore.

La prima pagina del Washington Journal era occupata da una foto che ritraeva Reid nell’esatta posa in cui l’aveva visto Morgan, poco prima di venir caricato su un’ambulanza diretta all’ospedale più vicino.

“Eroico agente dell’Fbi salva una bambina dal crollo di un edificio!” lesse ad alta voce Prentiss a tutti i presenti.

Reid scrollò le spalle, arrossendo leggermente.

Sperava che quella storia finisse presto. Non gli piaceva quell’ondata di notorietà.

In quel momento Gideon fece il suo ingresso in ufficio diretto in sala riunioni, con un voluminoso fascicolo tra le mani.

E questo poteva dire solo una cosa: lavoro.

“L’ultimo che arriva paga il caffè per tutti!” gridò Reid lanciandosi dietro a Gideon.



Si fermò a raccogliere alcuni libri che intendeva leggere quella sera e a sistemare dei documenti che gli sarebbero serviti il giorno seguente. Mentre si trovava indaffarato in quelle faccende notò un’ombra sui suoi fogli.

Rialzò lo sguardo e notò Gideon fermo davanti alla sua scrivania.

“Tutto bene?” domandò con noncuranza.

Lui annuì.

“Partita a scacchi da me?”.

Ok solo un momento” Reid si alzò e si avviò verso l’uscita insieme al suo superiore.

“E così adesso sei diventato un eroe, come ci si sente?”domandò Gideon mentre si dirigevano verso la sua macchina.

“Oh non è poi così diverso da prima”.

“Si calmerà in fretta, vedrai”.

Fu solo oltre i cancelli che li avvistarono.

Orde di giornalisti e telecamere, tutti premuti contro l’auto di Gideon.

Reid si portò una mano davanti agli occhi per ripararsi dai flash “Qualcosa mi dice che non finirà…così in fretta”.



Ufficio del B.A.U. Quantico. Il giorno seguente


“Allora? Sono ancora lì fuori?” domandò Prentiss a JJ.

La giovane annuì “sì, pare che vogliano intervistarlo…”.

“Se non se ne vanno in fretta dovrò andare a dir loro due paroline” intervenne Morgan con aria minacciosa.

“Lascia stare Morgan” osservò Reid dalla sua scrivania, “prima o poi si stuferanno”.

“E se non lo faranno gli daremo qualche incentivo per farlo” fece Hotch convocandoli in sala riunioni.



“Spero si tratti di un nuovo caso e non di una semplice consulenza come ieri!” esclamò Morgan passando davanti alla scrivania di Reid, mentre si dirigeva verso la sala riunioni.

Il giovane fece per alzarsi quando il telefono dell’ufficio squillò.

Quando riabbassò la cornetta gli parve che fosse trascorsa un’eternità. Un momento prima era tutto preso da un referto su un caso di due anni prima e un istante dopo…

Strinse gli occhi per intravedere la figura che si stava avvicinando, attraverso le schermate a vetri dell’ufficio, mentre anche lui muoveva qualche passo per andargli incontro.

Jj che gli passava accanto si fermò di colpo “tutto bene Reid?”.

Il giovane annuì “d-devo incontrare una persona scusa…”

“Ah va bene, allora dirò agli altri che ci raggiungerai in seguito”.

S-sì ecco non so se ce la farò”.

JJ lo guardò più da vicino “sicuro di stare bene, chi è la persona che devi incontrare?”

Reid mosse ancora qualche passo avviandosi verso l’uscita “mio padre”.

JJ sostò per un momento fuori dalla porta della sala riunioni prima di entrare. Si voltò indietro ma Reid se n’era già andato.

“Bene dolcezza, se ci siamo tutti puoi chiudere la porta” cinguettò Garcia sfrecciandole accanto.

“Ah sì ecco…”.

Garcia si fermò alzando le sopracciglia preoccupata “manca qualcuno?”

“Solo Reid…”

“Come mai?”
”E’ arrivato suo padre” mormorò Jj incerta. Non l’aveva mai sentito parlare del padre e per discrezione non gli aveva chiesto nulla. Ora si stava chiedendo se avesse fatto bene.

“Suo padre??!”fece Garcia alzando un po’ la voce “strano… non lo vede da quindici anni!” esclamò chiudendosi la porta dietro di sé e spingendo dentro Jj.



Se non gli avessero detto chi era, non l’avrebbe riconosciuto.

Curioso come, a distanza di anni, fosse stato una persona estranea, l’addetto al centralino, a definire quell’uomo come suo padre.

Lo ricordava più alto, più magro e, per quello che poteva ricordare, decisamente senza barba.

Si fermò davanti a lui senza dire niente.

Anche William Reid taceva.

Dentro di sé Reid si disse che almeno questa soddisfazione non gliel’avrebbe lasciata.

Non avrebbe aperto bocca prima di lui.

Una segretaria passò tra loro due carica di fogli e Reid si spostò leggermente per farla passare.

“Non sei cambiato” sussurrò Reid senior.

Reid scrollò le spalle “Non restiamo qui, vieni. Usciamo”.



“Ehi Jj hai visto Reid prima della riunione?” domandò Gideon alla ragazza mentre uscivano dall’ufficio.

Lei annuì “era...un po’ strano, non so…”.

“Sarà per il padre” si lasciò sfuggire Garcia passando loro accanto e avviandosi verso il suo ufficio.

“Come?” fece Gideon rivolgendosi a Jj.

“Mi ha detto così…che era arrivato suo padre. E’ tutto quello che so”.

Gideon volse lo sguardo preoccupato verso l’uscita, ma non c’era nulla che potesse fare, al momento.



Erano già dieci minuti buoni che camminavano in silenzio lungo il marciapiede che conduceva verso il centro, quando ad un tratto Reid si fermò di colpo e domandò tagliente “allora cosa vuoi?”

“Perché pensi che voglia qualcosa?”.

“Oh andiamo…” esclamò Reid spalancando le lunghe braccia “quindici…quind…ah lasciamo perdere” e riprese a camminare a lunghe falcate, seguito dal padre.

“Credi che ci sia sempre una ragione precisa per tutto quello che facciamo?”

Reid si fermò di nuovo “è così che la pensi? Guarda che non ho più dieci anni”.

“Lo so, scusa non volevo offenderti” esclamò William in tono pacato “avanti entriamo qui”.

Erano giunti davanti a un piccolo bar nei pressi di un incrocio.

Presero posto a ridosso di una delle ampie finestre. Il silenzio calò nuovamente tra loro.



È invecchiato, non è solo la barba, sono…

Gideon gli aveva ripetuto spesso che molte cose si potevano dedurre dagli occhi di una persona. E non solo se mentiva o stava dicendo la verità. C’era anche qualcos’altro.

Ha sofferto...si trovò a pensare Reid non senza un pizzico di compiacimento.

Ma allora cosa voleva da lui?

Dopo tutti quegli anni per giunta… mai una lettera, mai uno squillo. Niente.

Reid si rese conto di non sapere quasi nulla di lui, conservava solo qualche pallido ricordo, inerente soprattutto al momento in cui li aveva mollati. Lui e sua madre.

Da quel giorno non avevano più avuto sue notizie.

E, se ci pensava bene, non riusciva nemmeno a ricordare un momento in cui gli fosse veramente mancato, in cui avesse sentito l’esigenza di averlo accanto. Forse perché la distanza tra di loro esisteva già da ben prima che Reid senior lasciasse la sua casa in Empton street per andare in un altrove dove non aveva una moglie schizofrenica e un figlio prodigio.

Chissà che peso dobbiamo essere stati per lui, in tutti quegli anni, pensò Reid facendo finta di sfogliare il menù.

Non riusciva a rammentare un singolo giorno trascorso da solo con lui, o che avessero mai fatto qualcosa come ad esempio erano soliti fare Billy, il suo vicino di casa, e suo padre.

No, decisamente quell’uomo che aveva la pretestuosa arroganza di definirsi suo padre non gli era mai mancato.



È cambiato.

Ovvio, erano passati quindici anni, ormai era un uomo.

Ma no, non era solo questo.

Lo ricordava come un ragazzino petulante, a cui aveva voluto sì bene, ma senza per questo trovarlo eccessivamente simpatico. E, se doveva dire tutta la verità, non gli era mancato troppo, dopo averlo lasciato.

Lui e sua madre: Diana Reid.

Diana, Diana…si erano incontrati a un convegno per giovani professori del Nevada e si erano piaciuti subito.

Di lei lo affascinavano il suo spirito vivace, il suo anticonformismo, la sua smania di vita, di esperienze…

All’epoca lui trovava molto affascinante tutto questo, ma non sapeva che dietro a quella sua ansia di esperienze si annidava lo spettro della malattia.

A distanza di anni poi era diventato tutto chiaro, le sparizioni, i periodi in cui diventava improvvisamente strana, intrattabile e poi il suo umore che cambiava in un batter d’occhio. Erano tutti segnali, segnali che lui non aveva saputo interpretare.

Lei invece sapeva…sua madre soffriva della stessa malattia, ma Diana non parlava mai della madre morta quando aveva dodici anni. Probabilmente Spencer ne ignorava addirittura l’esistenza.

E così si erano sposati. Giovani, felici, ambiziosi e inconsapevoli di una malattia che pian piano stava divorando uno dei due.

Era stato con la gravidanza che le cose avevano cominciato a peggiorare irreversibilmente.

Erano andati dagli specialisti, solo per farsi confermare la diagnosi di cui lei era già a conoscenza, ma che si era premurata di nascondergli.

Forse pensava che avrebbe reagito diversamente, che, in una situazione simile, avrebbe saputo fronteggiare l’emergenza, ma non ci era riuscito.

E, nel corso degli anni, la situazione era peggiorata, finché non aveva visto altra via d’uscita che la fuga.



William Reid si schiarì la voce.

Ma il figlio lo anticipò “avanti voglio proprio sapere cosa ti ha tenuto lontano per quindici anni, per tua conoscenza non ci siamo trasferiti. L’indirizzo è sempre quello e anche il numero di telefono, se te lo fossi scordato”.

Detto questo incrociò le braccia sul petto e rimase in attesa.

I-io non so come scusarmi Spencer” cominciò l’uomo incerto, leggermente a disagio “però devi sapere che non è stata solo una mia...decisione…”

“Ah sì a me sembra che quella valigia in camera da letto fosse proprio la tua...eh…vediamo” fece finta di ricordare, quando invece quelle parole erano rimaste stampate nella sua mente per anni” non sei stato tu a dire ci vediamo?...probabilmente abbiamo diverse opinioni sul significato di questo parola”.

L’uomo scosse la testa grattandosi il mento “a quell’epoca tu eri soltanto un bambino Spencer non puoi ricordare tutto”.

Quest’ultimo commento lo punse sul vivo “se te lo sei dimenticato ti ricordo che…”

“Sì, sì lo so” fece l’uomo con un movimento della mano, per spazzare via quella puntualizzazione inutile “la memoria infallibile certo, ma pur sempre quella di un ragazzino di dieci anni”.

“Sentiamo, cosa avrei tralasciato di così indispensabile che non sia la tua fuga quando la mamma ti chiese esplicitamente di rimanere?” fece intrecciando le mani sul tavolo e sporgendosi verso di lui.

“Non trattarlo come un bambino!”quante volte gliel’aveva detto Diana.

Lui non lo sopportava.

Diana pretendeva di trattare Spencer come un adulto, quando non era così. Sì certo, era un ragazzo prodigio, questo lo sapeva benissimo, ma pur sempre un bambino. E invece no, per lei, il suo cervello era la garanzia che potesse capire tutto, anzi che dovesse capire tutto.

Quante volte le aveva detto che era meglio iscriverlo a qualche corso che non fosse strettamente scolastico? Quante volte le aveva suggerito di tenerlo fuori dai loro discorsi, che lui non poteva capire…e invece no.

Ad essere sinceri ogni volta che muoveva una critica al suo preziosissimo Spencer veniva sempre e invariabilmente bloccato da lei, che lo difendeva a spada tratta.

Non era stato facile, oh no, per niente: con gli insegnanti che premevano per corsi speciali e simili, Diana e lui che invece avrebbe voluto soltanto che conducessero una vita normale.

“Tu non sai tutto Spencer” mormorò William Reid.

“Allora dimmelo, dimmi quello che non so, adesso puoi. Quindici anni fa non ci hai fatto questa cortesia, hai fatto le valige e lasciato una lettera, questo me lo ricordo benissimo…anzi mi chiedo se non te ne sei saltato fuori solo per questo.”

L’uomo scosse la testa, riusciva ancora a trovarlo irritante.

“Non puoi capire”…bofonchiò abbassando lo sguardo.

“Che diavolo non posso capire?” gridò Reid alzando la voce e facendo sobbalzare tutti i clienti del caffè “che cosa che non sia prendersi cura di una persona con problemi mentali quando hai solo undici anni? Mamma aveva ragione, sei sempre stato un debole!” gridò levandosi in piedi.

“Maledizione siediti!” sibilò William Reid “è proprio per questo genere di cose che…”.

Reid inspirò profondamente e si accomodò sulla poltroncina del caffè in attesa di una spiegazione.

“Io e tua madre avevamo dei problemi”.

Reid emise un lungo fischio “è come dire che Noè ebbe dei problemi con l’arca, vediamo se non sono troppo acuto potrebbero avere qualcosa a che fare con la malattia di mamma…”.

“Sì anche, ma non è stato solo quello…oh …è complicato”.

“Non sai quanto” gli fece eco Reid.

Furono entrambi contenti che il cameriere arrivasse proprio in quel momento. Questo diede loro l’occasione di prendersi una breve pausa.

Reid ne approfittò per dare un’occhiata fuori dalla vetrate: lì tutto trascorreva tranquillo, i passanti presi dalle rispettive occupazioni, ignari delle discussioni che si svolgevano in quel piccolo locale.

Ognuno preso da sé, già…per molto tempo non aveva più avuto fiducia in nessuno, abituato a cavarsela da solo in ogni situazione e anzi, il farsi carico di un genitore con problemi aveva sviluppato il suo istinto di sopravvivenza in modo da poter fare a meno pressocché di chiunque.

Quindi, benché sempre cordiale e gentile con tutti, si teneva a debita distanza da tutto quello che poteva comportare un eccessivo coinvolgimento nella vita di chicchessia.

E così era stato finché non era entrato nella squadra e aveva incontrato Gideon e gli altri.

Spesso di domandava cosa avrebbe fatto se non li avesse mai conosciuti. Erano stati la sua casa, la sua famiglia e, questo era sicuro, teneva molto più a ciascuno di loro che non all’individuo sconosciuto che gli sedeva davanti.

“Tua madre e io avevamo problemi ancora prima che la sua malattia si manifestasse…”

“È sempre stata malata” ribattè lui deciso, guardandolo dritto negli occhi “la schizofrenia è…”

“Sì, lo so benissimo” lo interruppe William.

Reid tacque.

William riprese “ quello che volevo dire è che lei non mi aveva detto di essere malata, finché…”

“Stai forse dicendo che non l’avresti mai sposata se avessi saputo?” gli domandò Reid diretto.

Quella conversazione cominciava decisamente a dargli sui nervi. Era un tentativo di riavvicinamento alquanto patetico di un individuo che per lui era poco più di un nome.

“Oh maledizione, perché devi sempre mettere tutto in modo…” fece l’uomo agitandosi.

“...tecnico?” osservò Reid inclinando un po’ la testa di lato “, forse a te darà parecchio fastidio, ma sai una cosa? Non mi importa niente, né di quello che hai da dire, né delle tue patetiche spiegazioni. Ne ho abbastanza. Non ci sei stato per quindici anni e non vedo perché ripresentarsi adesso, quindi…” detto questo Reid si alzò e si avviò verso l’uscita.

“Aspetta Spencer! Aspetta!”.

“Prendi almeno Spencer con te” la sentiva ancora talvolta, il tono supplicante, lei che era sempre stata così orgogliosa.

Non poteva perdonarglielo. Semplicemente non poteva.

Aprì la porta che tintinnò e uscì.

Fuori il freddo pungente gli sferzava il volto.

Ma c’era abituato.

“Spencer andiamo! Voglio solo parlare con te!”

“Parliamone William...prendilo con te…”.

Non lo sopportava. Non voleva più ascoltarlo.

“Non aveva dato loro nessuna possibilità e adesso ne chiedeva una a lui”. Non se la meritava.

“Spencer per piacere!”

Non ne poteva più.

Attraversò la strada all’improvviso e chiamò un taxi. Con la coda dell’occhio notò William Reid arrancare per stargli dietro, ma non disse all’autista di fermarsi.



“C’è qualcosa che non va?” domandò Morgan volgendosi verso di lui, mentre sedevano all’interno dell’auto che li conduceva sul luogo del ritrovamento di un cadavere.

Era da un po’ che tacevano, cosa strana peraltro, perché di solito chiacchieravano molto durante quei tragitti in auto, solo per ricacciare indietro la noia, solo per condividere le prime opinioni sul caso…

L’avevano ragguagliato dettagliatamente poco prima, ma stranamente, Reid non aveva fatto osservazioni sul caso. Non aveva citato statistiche, fatto paragoni, nominato vecchi casi.

Era arrivato appena in tempo, da chissà dove,senza dare spiegazioni. Morgan l’aveva fatto salire, mentre gli altri si erano già avviati. Ma da allora non si erano detti molto.

“Reid ehi Reid”.

I giovane, che fissava il panorama circostante sobbalzò lievemente “Sì, ci sono scusa”.

Morgan fece un lungo respiro “tutto bene?”

Lui scrollò le spalle “quanti hai detto che erano gli aggressori?”



Bray, dintorni di Washington


“Non ci sono segni di effrazione” osservò Prentiss facendo il giro delle casa.

“E questo ci dice solo una cosa” aggiunse Morgan

“Conosceva la persona che l’ha portata via”terminò Reid in un soffio.



“Cosa ne pensi?”

“Del caso? Oh che la soluzione potrebbe essere più semplice” esclamò. Gideon chinandosi ad osservare alcune tracce.

“No intendevo a proposito di Reid” lo interruppe Hotch.

“Sembra essersi ripreso bene…”

“Sei sicuro che possa partecipare alle indagini?” domandò Hotch con una lieve traccia di preoccupazione nella voce.

“Gideon annuì “ sì, gli farà bene. Comunque dopo gli parlerò”.



Washington


“Quanti anni sono trascorsi dall’ultima volta che l’hai visto?”

Reid rialzò la testa dai fogli che stava leggendo “chi?...Ah..” sbuffò leggermente “qui non si riesce proprio a mantenere un segreto eh? Comunque va tutto…a meraviglia” terminò con un’alzata di spalle e tornando a sfogliare il fascicolo.

“Va bene “ mormorò Gideon assorto e continuando a fissare Reid.

Il giovane depose nuovamente l’incartamento che aveva tra le mani “Eh invece non va bene…insomma non crede di aver fatto già abbastanza danni andandosene in quel modo? E invece no, deve tornare dopo quindici anni e…io non riesco più a…non so…non so cosa vuole sentirsi dire, che diavolo vuole da me…non… ah!”

Tutto questo praticamente lo gridò andando avanti e indietro intorno alla sua scrivania.

Gideon lo lasciò sfogare.

“Forse non vuole niente in particolare...” azzardò.

“E allora perché oh…..” fece Reid mettendosi le mani sulla nuca “ senti” aggiunse dopo un breve pausa “ potremmo non pensarci per il resto della giornata?”

Gideon annuì “ ma mi devi una partita a scacchi ricordatelo”.

Reid annuì sforzandosi di sorridere.



Las Vegas Nevada


“Ciao mamma come stai?”

Sedevano nel parco del centro di cure dove Diana Reid era ospite fissa da otto anni.

“Oh io molto bene e tu? Ti vedo un po’ sciupato” rispose la donna accarezzandogli i folti capelli castani.

Dentro di sé Reid tirò un sospiro di sollievo. Sua madre sembrava essere in uno di quei momenti in cui si riusciva a dialogare con lei abbastanza bene.

“Anch’io grazie” fece Reid con un sorriso tirato.

Non sapeva da dove cominciare e soprattutto ignorava la reazione che avrebbe potuto avere sua madre a sentir parlare di un uomo che non vedeva da quasi vent’anni. Certo, i dottori gli avevano assicurato che in quel periodo stava piuttosto bene, che non aveva avuto crisi acute da quasi un mese, ma nessuna assicurazione poteva bastargli, niente gli dava la certezza su come sua madre l’avrebbe presa.

Si fece coraggio, era per questo che era venuto.

“Senti…” cominciò tamburellando nervosamente con le mani sulle ginocchia.

Diana Reid si volse verso di lui attenta.

“..io.ho-ho incontrato papà” che suono strano aveva quella parola tra le sue labbra.

Si aspettava una crisi, un pianto, delle urla e quasi rimase deluso.

Non accadde niente di tutto questo.

“Non trovi che sia una splendida giornata?” osservò Diana, come se quanto le fosse stato appena detto non l’avesse nemmeno lontanamente raggiunta.

“Non non…”aveva trovato il coraggio per formulare quella frase, ma non credeva di averne di riserva per ripeterla” mamma ascolta…”

“Oggi Stuart mi ha portato dei fiori. Carino non trovi?” e gli sorrise speranzosa.

Inutile. Sarebbe potuto andare avanti per ore, senza ricavarne nulla. Le sorrise di rimando “vorresti mostrarmeli?.



Washington


“Qualche novità da tua madre?”

Reid scosse la testa leggermente sconfortato “niente, non capisco se non voglia o…” si strinse nelle spalle “chissà…forse non se lo ricorda nemmeno” finì spostando una pedina due caselle in avanti.

“Pensi che potrebbe nasconderti qualcosa?” riprese Gideon facendo arretrare il suo alfiere.

“Non lo so…” rispose Reid ponderando attentamente la sua prossima mossa.

“E tuo padre? Non si è più fatto sentire?”

N-no…dopo quella giornata non mi ha più cercato” e questo,soprattutto, lo insospettiva. Si era aspettato che lo attendesse nuovamente fuori dall’ufficio o che lo seguisse fino a casa per un ulteriore colloquio, ma niente. Cinque giorni di assoluto silenzio.

“Forse sta cercando…un altro approccio” disse Gideon muovendo il cavallo.

“Può darsi, ma ah…” si era accorto troppo tardi di aver perso la partita“ e ad ogni modo a te non resta che attendere giusto?”.

  
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