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Autore: _Woodhouse_    17/08/2014    31 recensioni
❝Lo osservò dormire, sfiorando di tanto in tanto le linee insidiose delle sue costole, incastrata negli occhi di un altro, nel ricordo del suo respiro, affogata, vittima masochista del piacere che le procurava il ricordo della tensione che si librava fra i loro corpi e della complicità che aveva avvertito, mentendo insieme a lui, due volte e senza ragioni.❞
Genere: Angst, Introspettivo, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: Lime | Avvertimenti: Tematiche delicate, Triangolo | Contesto: Contesto generale/vago
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Capitolo 1.
 




La guardò, immerso completamente in quella contemplazione, attraverso lo schermo opaco del desktop.
Le ricadeva un boccolo castano sulla spalla d’avorio, era così in ombra, il mare si stendeva padrone dietro di lei, intorno a lei, attraverso il biancore trasparente del vestito che indossava. Lo guardava con uno sguardo brillante di dolcezza pacata, un po’ strizzato, ombroso anch’esso, perso e avviluppato nel tramonto. Gli zigomi sollevati, ingrigiti dalle ombre, erano quasi invisibili, ma le labbra sporgevano attraverso l’oscurità, così maliziose ma anche innocenti. Lo sguardo di Robb si fece una linea sottile, mutò in due pozze di languore, avvinte e incastrate a quelle labbra grigie nella foto, ma rosse di carne nella sua testa, come lui le conosceva.
Guardando quella foto si era consumato gli occhi per settimane, nell’attesa di rivederla intera, vera e pulsante. Un viaggio in Vietnam lo aveva costretto a separarsene per mesi, esattamente tre. Non vedeva la sua Jo da tre mesi, la sua immensa Josephine, la sua piccola, amata Jo.
Robb era un sentimentale ventiseienne dalle aspirazioni fulgide, dalla brama d’arte e sregolatezza. Era un fotografo prima che un uomo; un fotografo analitico, emotivo, dallo scatto spietato. Rubava gli attimi, li soppesava con cura ma d’istinto e si lasciava trascinare da quella sensazione di stordimento che il sentirsi padrone del tempo gli procurava ad ogni scatto. Robb fotografava per imprigionare, per gestire, in qualche modo, la vita e il suo svilupparsi incessante. Un attimo passato è un attimo perduto, irrecuperabile, irrimediabile. Dà la nausea pensare a quanto l’energia di un attimo sia soltanto energia sprecata, imprendibile, una particella di mondo che si stacca per sempre dalla crosta, un fiotto di saliva che era tuo, soltanto tuo e che l’attimo dopo s’infrange nell’atmosfera o s’impiglia nei capelli di un altro e non ti appartiene più. A pensare all’astuzia del tempo, noi mortali impazziamo, Robb impazziva. Lo terrorizzava non accorgersi di quanta vita in meno gli rimanesse, di quanto ogni attimo di vita potesse facilmente sfuggirgli via. Aveva paura della morte, più di tutto. Robb ammortizzava il suo terrore con una digitale alla mano, viaggiando per non perdere il mondo prima che la vita glielo sottraesse. A ventisei anni la paura della morte è ingiustificata, per molti, ma non per Robb, che aveva una brama di vita che non lo lasciava respirare. La guardò un'ultima volta, la foto di Josephine muta e grigia nello schermo, poi spense il Mac e uscì per la strada, curioso della notte di Hanoi, bruciante di scoperta,  assorbito dalla voglia di incasellare ancora qualche istante prima di andare via e di perdere, forse per sempre, l’odore umido di quella città.
 

 
***

 
Non era abituata, Josephine, alle attese. Non era abituata al mal d’amore, all’assenza che raffredda le ossa e che infiamma il costato. Stette tutta la notte vigile, aggrovigliata alle lenzuola, sperando che il tempo si annullasse o si precipitasse, qualsiasi cosa purché fosse subito giorno, purché fossero subito le 11 del mattino cosicché tutto potesse tornare al proprio posto permettendole di sedere sulle ginocchia spigolose di Robb e di baciarlo fino a svenire. Quella notte, Josephine, si consumò talmente di smania e desiderio che cadde addormentata prima di quanto si fosse aspettata.
Il giorno venne, Robb lo seguì.


–  Dio, quanto sei bella, –  le disse subito, prima di ogni gesto o saluto.
Se la strinse al petto con urgenza e dolcezza, inspirò dai suoi capelli l’odore che in quei mesi aveva soltanto immaginato. Josephine mugolò, piccola nelle sue braccia larghe, poi trovò i suoi occhi chiari, di un verde quasi giallo, così abbagliante, disarmante e si sentì morire di una strana nostalgia che però si confuse alla morsa calda che la scosse nel riscoprire il corpo di lui e che le fece desiderare di essere spogliata e amata.
Si spogliarono e amarono, dopo aver corso kilometri a bordo del fuori strada di Robb.
La giornata trascorse in un groviglio costante di braccia e gambe, infranto da schiocchi di labbra e risa libere, alte, grasse. Sfiancati dall’amore si addormentarono presto, quando il sole non aveva ancora nemmeno terminato il suo decorso. Nella notte Robb si svegliò diverse volte, per immortalare la pelle di Josphine in ben ottanta scatti, la guardò dormire per il tempo che restava e si sconvolse a pensare che in un anno, nonostante i periodi di separazione, ogni cosa della sua vita era stata assorbita da quella ragazza imperfetta lì distesa al suo fianco: Josephine che non era fotogenica per nessuna macchina fotografica, tranne che per le sua. Lui sapeva da che prospettiva guardarla, quali delle sue infinite espressioni cogliere, per poterle rendere giustizia. Avrebbe voluto poterla fotografare lui soltanto per impedire che un occhio disattento cogliesse l’attimo sbagliato, che sprecasse anche una sola delle sue espressioni infangandone la memoria, rendendo eterna una donna che non era Josephine, ma la versione sfocata di lei.
Guardandola, nuda e bianca com’era, pensò che fosse arrivato il momento di accartocciare e buttare via quel rapporto sfocato, per sostituirlo con uno più nitido, vivido di colori e di persone. Prese la decisione più tradizionalista della sua vita: introdurla nella sua famiglia. Farle conoscere chi l’aveva reso l’uomo che lei amava, farle conoscere il suo compagno per la vita, il fratello James, farle vedere la casa che l’aveva costretto e cullato per anni.
Tentò di scattare l’ottantunesimo scatto, ma il sonno lo travolse completamente e senza concessioni.
 
 
***

 
–  Stai calma, Jo, –  sospirò Robb esasperato e divertito.
–  Sono calma, –  ribattè Josephine, con gli occhi che la saettavano da una parte all’altra dell’abitacolo, iniettati di un’ansia crescente.
– Jo, –  fece lui, mettendo in quella piccola sillaba un grosso carico di rassicurazioni.
–  Spegni questo dannato stereo, –  sbottò lei, sporgendosi in avanti per spegnere lo stereo.
Robb sbuffò, sconsolato, ma senza smettere di sorridere. La osservava dimenarsi inquieta su quel sedile che mai come in quel momento gli era parso piccolo, uno spazio infinitamente stretto per l’ansia strabordante di Josephine.
Giunsero a St. Albans, il paese natio di Robb, e sostarono esattamente nel vialetto ben curato di casa sua.
Scesero quasi contemporaneamente dal fuoristrada, sbatterono le portiere praticamente all’unisono e da un estremo all’altro dell’auto si lanciarono uno sguardo carico di paura da un lato, carico di conforto dall’altro. Robb le andò in contro, le prese una mano e la guidò lentamente lungo le scalette, poi sotto il portico, senza guardarsi, oltrepassarono le piante rigogliose che si susseguivano fino alla porta d’ingresso e Robb, allora, guardò Josephine e le sorrise, sopraffatto da un'improvvisa gioia.

–  Suona il campanello, –  le ordinò dolcemente.
Lei deglutì un fiotto di saliva incandescente e annuì. Mentre compiva quel gesto così semplice eppure talmente impegnativo,  guardò ancora una volta Robb e il suo sguardo carico di aspettative le sferrò un colpo crudele all’altezza del fianco, facendole mancare il respiro. Quella sensazione di nostalgia per qualcosa di indefinito provata in aeroporto si ripresentò barbara, la invase d’insoddisfazione e di malinconia. Avrebbe voluto sorridergli e morire della sua stessa gioia, ma il fianco le doleva ancora.
Robb, in quel momento,  pensò che fosse troppo oppressa dall’ansia per poter rispondere al suo sorriso.
Nessuno dei due in quel momento capì cosa ci fosse di maledettamente sbagliato.
   
 
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