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Autore: Reddle    18/08/2014    1 recensioni
È per il mio bene, hanno detto i miei superiori. Eppure io mi sento solo in gabbia.[...] sono stata addestrata per essere sfuggente, non per starmene tranquilla a farmi sorvegliare giorno e notte.
Quindi, adesso basta.[...]
Prendo le forbici dall'isola della cucina e vado in bagno davanti allo specchio. Impietoso mi rimanda la mia immagine. Un viso pallido, due occhi azzurri che a tratti spuntano dalla frangia rosso fuoco[...]

Il passato che ritorna prepotente ad avvelenare la nuova realtà selezionata per lei.
Ancora una scelta da prendere, ancora una volta è compito suo.
Fidarsi del passato, combattere e accettare le macerie che inevitabilmente resteranno, o lasciare che sia qualcun altro a muovere i fili di una realtà artefatta, solo per saperlo al sicuro?
Genere: Azione, Mistero, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: Violenza
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CAPITOLO TRE
 
“Sono arrivate le indicazioni sulla missione” mi accoglie serio Rufus, la sua espressione non mi piace affatto.
“Aspettiamo Jimmy e poi ci aggiorni. Intanto,dov’è tutta l’attrezzatura?”
Mi indica con la mano una porta. Sono tentata di entrarci subito, ma il mio stomaco mi ricorda che l’ultimo pasto risale a questa mattina. Seguo le voci e trovo la graziosa cucina già occupata da Marcus e Tobias.
Entrambi si zittiscono non appena attraverso l’arco della porta.
“Continuate pure, e dato che sono presente, magari posso intervenire nella conversazione. Ero io l’oggetto del dibattito no?” li esorto prendendo uno snack dal frigorifero.
“Non è necessario, abbiamo finito”mi risponde senza guardarmi il ragazzo dagli occhi rossi.
“Non abbiamo finito per niente! Ci tieni ad intervenire? Bene, allora spiegami come posso essere sicuro che non ci farai ammazzare tutti?”
“Sono pagata per tenervi in vita, non ho intenzione di farvi uccidere”.
“Scusa, ma non avevi intenzione di far uccidere neanche gli Skyrunners, eppure sei l’unica sopravvissuta” obietta Jimmy, arrivato nel frattempo insieme a Rufus e Chris in cucina.
“Primo, non c’è la certezza che siano morti. Secondo, quando Skyrunner mi ha lasciato il comando della squadra eravamo già in una situazione altamente compromessa e terzo, non ho intenzione di prendere decisioni drastiche senza consultarvi.
Detto questo, qui gli ordini li do io. Chi avesse problemi con questo può andarsene anche ora” mi sfogo e li guardo uno ad uno.
Tutti mi fissano di rimando.
Quando il silenzio comincia a diventare opprimente Rufus ci fa segno di trasferirci in soggiorno.
“Ehm.. ok, l’obbiettivo è il contenuto di una cassetta di sicurezza in una delle banche in centro” ci distribuisce dei foglio con i punti fondamentali.
“Secondo le informazioni in nostro possesso la famiglia De Villiers possiede almeno una cassetta di sicurezza nella stessa banca, ne sai di più?”chiede rivolto a Chris.
“Faccio una telefonata e ti faccio sapere”.
“Intanto, ecco a voi la pianta dell’edificio” ,preme un tasto sul telecomando e al posto del grosso quadro appeso sopra al caminetto appare uno schermo tv acceso. La cosa che più risalta nell’immagine sono i puntini rossi sparsi quasi ovunque.
“I pallini rossi sono..”
“Le telecamere, si” risponde Rufus alla mia domanda lasciata a metà.
“E quindi?” chiede Jimmy visibilmente preoccupato
“Ci stiamo ancora lavorando, ma l’idea generale è che lui e qualcun altro entrino dalla porta principale”risponde Rufus indicando De Villiers.
“Spero che tu stia scherzando! Non posso entrare, minacciare qualcuno per farmi entrare nel caveau e mettermi a rubare davanti al grande fratello!”
“Se la tua famiglia possiede una delle cassette di sicurezza non dovrai minacciare nessuno e in ogni caso tu non sarai tu ad effettuare il furto.Quindi, avete o no queste cassette?”obietta alzando un sopracciglio Marcus.
“Si, due ad essere precisi, una contiene contenti e gioielli, mentre all’altra ha accesso solo mio padre”
“Perfetto, quella con i gioielli basta e avanza. Marcus puoi seguirmi di sopra? Voglio buttare giù in idea più precisa per il piano”si gira e si avvia verso le scale.
C’è qualcosa che non mi convince.
Scorro attentamente il foglio con le direttive che ci ha distribuito.
Manca una voce,forse la più importante.
“Aspetta!”mi esce incontrollato dalla bocca.
Rufus si ferma con i piede già sul primo scalino deglutendo.
“Qui non dice niente su come torneremo a casa, ci hai già pensato?”
“In effetti si, speravo che nessuno se ne accorgesse, sto ancora aspettando che mandino spiegazioni dall’ufficio”.
Purtroppo so che non arriveranno.
“Non ti diranno un bel niente dal tuo cazzo di ufficio! Non hanno scritto niente perché dobbiamo arrangiarci, nessuno di noi te l'ha fatto notare solo perché sapevamo già cosa significava!”sbotta Aomine.
“I – in che senso arrangiarci?” balbetta il bibliotecario.
Inspiro, espiro.
“Significa che se vogliamo tornare a Milano dobbiamo trovare un mezzo di trasporto sicuro, per noi, per le armi e per quello che ruberemo” risponde Marcus battendomi sul tempo.
“Significa anche che se qualcosa dovesse andare storto l’agenzia non verrà coinvolta, non avremo nessuno se non noi stessi a coprirci le spalle”concludo.
“Quindi c’è anche da trovare un aereo..”mormora appuntandosi qualcosa sulla prima pagina della pila di fogli che ha in mano.
“Lascia perdere gli aerei, ci sono troppi controlli, con delle armi da fuoco è probabile che non ci facciano neanche avvicinare ad un jet privato, figuriamoci un aereo di linea” lo fermo subito.
Lui annuisce e pensieroso sale verso il piano di sopra seguito da Marcus.

Aomine approfitta del maxi schermo e di dedica ai videogiochi, mentre Jimmy sparisce in direzione della cucina, a preparare la cena spero.
Chris rimane appoggiato al muro nello stesso punto in cui era due minuti fa.
Gli faccio cenno di seguirmi e scendo nel seminterrato.
In questa stanza ricoperta da tappeti, armi da fuoco, di vario genere e calibro, e da monitor di computer mi sento a casa.
Chris mi raggiunge e si siede sulla piccola gradinata laterale. Sospira.
Io non mi siedo, non riesco a non far andare le gambe. Camminare mi aiuta un po’ a fare chiarezza nel casino che ho in testa, un'unica domanda su tutte continua a ronzare tra i miei pensieri.
“Perché?”gli chiedo, vorrei vedere la sua espressione, ma lui la nasconde sotto i capelli biondi.
“Perché cosa?”
“Perché non mi hai mai detto nulla?”mi trattengo appena dall’urlare,ma non mi risponde, continua a fissare il pavimento.
“Da quanti anni vengo a in quel bar? e scopro solo adesso che anche tu vieni pagato per uccidere delle persone, che lavoriamo anche agli ordini della stessa persona!" mi scappa un sospiro.
"Per quale ragione devo essere sempre l’ultima a sapere le cose?”.
Il suo restare in silenzio mi confonde, mi agita. Ricomincio a macinare chilometri.
Sento dei passi alle mie spalle, mi volto, è a un passo da me, se fosse più vicino non lo vedrei in faccia. In un attimo torno ad essere la ragazzina di diciotto anni, traumatizzata dal primo incarico, bagnata fradicia a cui ha offerto da bere quella sera di tanti anni fa.
“Perché avrei dovuto dirti qualcosa? Quando ti ho trovato davanti al bar a prendere freddo stavo ancora aspettando il mio primo incarico, non ti conoscevo”
Abbassa la testa in modo che i nostri occhi si possano incontrare.
“Sei tornata molto spesso, finchè di colpo non sei sparita. Sei tornata qualche settimana dopo con i tuoi amici. Erano volti famigliari è vero, ma non eravate ancora così famosi, spesso i nostri incarichi coincidevano e quindi non notavo l'assenza. Mi hai confermato i sospetti quando, dopo il fallimento della missione degli Skyrunners, sei scomparsa per mesi”. 
“E ieri sera?”
Chiude gli occhi, come se soppesasse le parole.
“Ieri sera eseguivo soltanto gli ordini. Pensavo che avessi ricevuto ordini similari pure tu, giuro che non sapevo che tu non sapessi nulla! Mi dispiace Ann”.
Mi abbraccia, i suoi abbracci sono talmente rari che non mi ci abituerò mai.
“Scusa”.
“E per cosa? Sapevo che prima o poi mi avresti fatto delle domande” mi sorride come avessimo appenda finito di fare quattro chiacchere amichevoli.
“Potevo comunque evitare di prendermela con te" mi libero dal suo abbraccio.
" È che da quando siamo tutti insieme, mi sento come una cavia da laboratorio. Tu e tutti gli altri avete avuto tempo di studiarmi, di osservarmi, di provare a capirmi, mentre io mi sono ritrovata catapultata qui. Ieri sera al locale c’erano anche Marcus e Jimmy vero?”
Lui annuisce e mi riavvolge nel suo abbraccio.
Chiudo gli occhi, dare voce a quello che mi girava in testa mi ha fatto capire quanto tutto ciò mi abbia turbata in realtà.
Sento le lacrime premere contro le palpebre, mi sento sollevata che il mio crollo emotivo sia stato visto da qualcuno che conosco da più di mezza giornata.
Credo che Chris abbia capito che sono altrove perché mi lascia andare e torna al piano di sopra chiudendo dietro di se la porta.
Faccio qualche passo a vuoto nella stanza, per poi dirigermi verso il sacco da box su cui sfogo la mia frustrazione.
Lo colpisco con tutta la mia forza, lui sbatte contro il muro e torna indietro, lo colpisco di nuovo cercando di buttare fuori tutti i pensieri che potrebbero distrarmi dalla missione attuale, compreso il sentirmi una cavia.
Pugno, muro, altro pugno, annullo i pensieri, mi concentro sul ritmo del mio respiro.
Rimetto insieme i pezzi di ciò che ero. Una macchia fatta per uccidere, eseguire solo il compito assegnato. Ecco quello che dovrei essere, dovrei essere in grado di dividere realtà e lavoro, non sono mai stata capace di farlo molto a lungo.
 
“Se credi di essere ancora in grado di tenere le posate in mano la cena è pronta”
Marcus, non l’ho sentito arrivare, vorrei chiedergli come fa.
Invece fisso le mie mani, ho le nocche quasi scorticate e i palmi in fiamme, ha ragione.
Forse non sarei in grado di reggere una forchetta, ho male fino ai polsi. Mi passa un rotolo di bende e una pomata “La prossima volta usa i guantoni, ti aspettiamo di sopra”.
Se fosse stato uno chiunque degli altri che mi aspettano in cucina mi avrebbe di certo preso in giro per il mio stato. Mi è quasi parso di sentire apprensione nella sua voce.
 
Mi siedo a tavola con le mani fasciate. Quando le vede, Aomine, sogghigna, per il resto in cucina regna il silenzio più assoluto.
Quando comincio a sentirmi oppressa decido di punzecchiare Rufus “Niente chiacchiere inutili bibliotecario?”
Lui sobbalza “In verità una domanda la avrei”.
“Spara”
“Come ci siete finiti a fare questo lavoro?”chiede con lo sguardo più innocente del mondo.
“Di tutte le domande possibili, tu scegli questa?”rispondo ridendo istericamente
“Guardaci bene, accetto Chris, penso che ci siamo finiti tutti allo stesso modo. Famiglie assenti o passaggio continuo da una affido all’altro, siamo qui perché questa è la nostra migliore occasione” continuo sogghignando, loro non mi contraddicono, so che ho ragione, riconosco fin troppo bene la gente come me.
“Lui invece è finito in mezzo a questo gruppo di persone dalla dubbia moralità solo perché è un giovane troppo ricco ed annoiato, tu?”concludo indicando col mento Christian.
“Io? Avete idea di quanto mi pagano per star dietro una scrivania? Ho ripagato tutto il debito scolastico con un solo stipendio!”
Chris scoppia a ridere seguito dagli altri e la tensione, dentro di me e tra di noi, si affievolisce.
Finiamo la cena in un clima allegro e leggero, riusciamo persino ad organizzarci per fare dei turni per lavare i piatti. Oggi tocca a me Chris.
Appoggio il mio piatto nel lavello e mi schiarisco la voce. Tutti e cinque si voltano verso di me.
Respiro.
“Entrerò io insieme a Christian nella banca”.
   
 
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