Rieccomi! *abbraccia disperatamente chiunque sia ancora qui ad aspettarla*
Mi scuso
per il ritardo di questo aggiornamento ma, come ho scritto
qui,
ho avuto un po' di problemini per cui non ho avuto modo né
tempo di revisionare il capitolo e non ho voluto pubblicare qualcosa di
approssimativo che non avesse ricevuto la giusta cura e attenzione che
credo di dovere agli Sterek, già fin troppo bistrattati
altrove, a tutti voi che seguite questa storia con una passione che mi
travolge, e anche a me stessa. Pur non avendo scelta, mi è
dispiaciuto tanto soprattutto perché
così ho prolungato l'agonia dopo la mazzata finale del
capitolo
precedente. :'(
Ora, non
so se per farmi perdonare o odiare ulteriormente, ma:
1. l'estensione del capitolo è inversamente proporzionale al
mio amore per Jeff Davis, perciò io avrei seriamente PAURA
2. alla fine della lettura credo che mi "odierete" comunque, ma per
motivi diametralmente opposti al capitolo precedente (if you know what
i mean...♥)
Armatevi
dunque di tutto il masochismo necessario per leggerlo e attenzione ai
seguenti avvisi:
a) - questo
capitolo sarà finalmente illuminante su cosa sia vero e cosa
no, e definirà i piani temporali
b) - una
delle parole chiave di questa storia è "adorabile" e una
delle sue componenti più invasive è il fluff: qui
si incontreranno e sarà l'inizio del disastro,
diabeticamente parlando ç__ç
c) - per chi
fosse particolarmente sensibile alle dinamiche padre/figlio (e non
solo): teniamoci stretti, possiamo farcela! (io no
ç___ç)
d) - per chi
fosse intollerante al glucosio: in bocca al lupo (e
speriamo che sia Derek)!
e) - ho
delle scommesse in atto con alcuni di voi, ma ne parleremo nelle note
finali...
f) -
qualcuno prima o poi dovrebbe modellare una statua di marmo per Lydia e
una di diamanti purissimi per lo Sceriffo, l'eroe sempre e comunque
♥
g) - nota
tecnica: ho inserito delle note per
spiegare delle cose che trovate a pie' di pagina, ma per leggerne subito il
contenuto senza andare alla fine del capitolo,
è sufficiente passare
sopra i numeretti con il mouse e apparirà il testo
e, se indicato da me, cliccarci sopra per accedere ad eventuali
ulteriori informazioni.
Questo
capitolo è dedicato a marla_alien,
24maggio2011,
stellina4ever, marticriss,
silvia_princess, eos_92,
louehsmjle, MariannaTulli,
Lex_in_Wonderlend, Mrs
LeeHae, emsugar,
Miss_Obrien, give_me_love,
Horses94 e mikygleek91, ovvero
le persone adorabili che mi hanno restituito il respiro dopo aver pubblicato il capitolo precedente: non so se vi rendete conto di quanto abbiate significato per
me e la mia sanità mentale quando avete deciso di scrivere
le vostre recensioni ma, giusto per darvi un'idea, sappiate che se
avessi dovuto scegliere tra poter abbracciare voi o mettere le mie
manine su Tyler Hoechlin, avrei scelto voi, non so se mi spiego... O.o
Grazie!
♥♥♥
Buona lettura!
- Nota per the criminal mind of Jeff Davis, tutta la crew autoriale, MTV o chi per loro: io non possiedo Teen Wolf, né le sue storylines, né Stiles né Derek, e neppure il mio mito personale, il coach Finstock (♥_♥), ma sinceramente mai come ora sono felice che non mi appartenga. Ho trascorso le ultime due ore a trovare qualcosa da scrivere che non fossero solo insulti, e non sono certa di esserci riuscita, però voglio cercare di essere obiettiva e riconoscere un grande merito al criminal mind: se c'è una cosa che apprezzo, sempre, è quando un autore rivendica la libertà della sua ispirazione e non cede a nessun tipo di ricatto pur di salvaguardare la sua integrità creativa. Il fandom pretende che Tizio stia con Caio altrimenti minaccia di abbandonare la serie: Sticazzi? Il mio processo creativo non è ricattabile! Fino a questo punto eri il mio eroe, poi sono subentrati i primi problemi... Anni di studi di fisica hanno contribuito a dare una definizione univoca della scansione del tempo: Sticazzi? Il mio processo creativo non può essere limitato! Tomi e tomi di pubblicazioni di studi di psicologia, biologia, pedagogia e antropologia hanno definito gli stadi dello sviluppo cognitivo e socio-affettivo del bambino, anche in condizioni di antropoidi parlanti: Sticazzi? (Jeff tra sé: Cosa diavolo sono gli antropoidi parlanti? *agevola uno specchio*). E poi tutto è finito, e a questo punto ti chiedo: in che modo i fan che guardano la serie (e che sono gli unici a cui devi dire grazie), sono una massa di ignoranti che attentano al tuo estro creativo, ma le ingerenze della rete sono invece un valido e nobilissimo motivo per asservire l'intero show alle loro esigenze? Lo so già qual è la tua risposta: Sticazzi? Alla fine, come vedi, io non ti ho insultato, e sarebbe stato bello poter dire anche viceversa insieme al resto del fandom.
P.S. Mi dispiace per i toni forse poco ironici e più amari stavolta, ma mi è stato portato via il piacere di guardare una serie che adoravo sottoponendola a forzature brutali pur di assecondare esigenze tutt'altro che artistiche, e non riesco a perdonarli. Rivoglio indietro il mio Teen Wolf, questo è tutto.
Fine. Sticazzi? (cit.)
*** Sì, è tutto vero ***
Capitolo IV
Così
una sera crocifissero il mio dolore.
Voglio non
aver limiti e levarmi verso quell'astro.
Il mio cuore non deve tacere oggi o domani.
Deve partecipare di quello che tocca,
deve essere di metalli, di radici, di ali.
Non posso essere la pietra che si alza e che non torna,
non posso essere l'ombra che si disfa e passa.
No, non
può essere, non può essere, non può
essere.
Allora griderei, piangerei, gemerei.
Non può essere, non può essere.
Chi voleva rompere questa vibrazione delle mie ali?
Chi mi voleva sterminare? Che disegno, che parola?
Non può essere, non può essere.
Liberami da me. Voglio uscire dalla mia anima.
Perché
tu sei la mia rotta. Ti forgiai nella lotta viva.
Dalla mia lotta oscura contro me stesso, nascesti.
(Pablo Neruda, da "Riempiti di me" in Poesie erotiche,
VIII)
Lo sceriffo non riusciva a staccare gli occhi da suo figlio che si era
addormentato sfibrato da un genere di dolore che non aveva nulla a che
vedere con la ferita alla testa o con il menisco lesionato: quello che
il ragazzo aveva riversato sul suo petto e che poteva ancora sentire
intriso nella sua camicia d’ordinanza, era un male
più intenso, di quelli per i quali non esistono analgesici
efficaci.
Aveva stretto il suo bambino tra le braccia finché le
lacrime cessarono e sentì il suo respiro farsi nuovamente
regolare.
«Va tutto bene?» gli aveva
chiesto, incapace di essere più invasivo nonostante
desiderasse conoscere i dettagli del rapimento ed avere così
più strumenti per difendere suo figlio anche dalla natura di
quella sofferenza che era esplosa tra le sue ciglia.
«Andrà bene - lo aveva
rassicurato Stiles - Andrà bene»
aveva ribadito sorridendogli debolmente prima di abbracciarlo di nuovo.
C’erano tante domande che vorticavano nella sua mente, tante
paure a preoccuparlo, tante colpe e scuse che gravavano sul suo petto,
ma avrebbero potuto aspettare: si sentì infatti sollevato
quando
Stiles, subito dopo essere stato visitato dall’equipe medica,
si abbandonò stremato al sonno. Aveva bisogno di riposo.
Da allora continuava ad osservarlo in silenzio, seduto accanto al letto
nella penombra della stanza, cullato dalla corsa lenta e regolare dei
respiri del ragazzo che mitigavano il suo cuore ferito di padre.
«I dieci minuti sono trascorsi - sussurrò Melissa
affacciandosi sulla porta - Hai promesso che saresti andato a
casa» gli ricordò avvicinandosi e posando
delicatamente una mano sulla sua spalla
«Sembra così sereno ora»
sospirò l’uomo
«Si riprenderà completamente, hai sentito i
medici? - lo rincuorò - È un
miracolo» sorrise visibilmente toccata perché quel
ragazzino era una parte importante anche della sua famiglia.
Lo sceriffo ricordava bene cosa avevano detto i medici: Buone
notizie. Nessun danno cerebrale. Funzioni vitali perfette. Lieve
lesione al menisco mediale e laterale. Prognosi di trenta giorni e assoluto riposo.
Ma erano solo parole che descrivevano freddamente l’aspetto
fisico delle ferite, ciò che lo impensieriva
di più, invece, era l’ombra di dolore e perdita
che aveva appannato lo sguardo limpido di suo figlio poco prima che si
rompesse
tra le sue braccia.
«Ha solo bisogno di riposo - continuò Melissa - E
anche tu» lo ammonì ancora una volta sperando di
essere più persuasiva, ma l’uomo non riusciva a
distogliere lo sguardo dal sonno di suo figlio.
«Avevo sottovalutato l’entità del
pericolo che corre da quando tutta questa faccenda del sovrannaturale
è entrata nella sua vita» sussurrò con
un’impronta di biasimo per se stesso che suonò
aspra e cupa sulla pelle della donna al suo fianco facendola
rabbrividire
«So, cosa intendi - sospirò abbassando lo sguardo
- Credo di poterti capire meglio di chiunque altro»
«Già, ma Scott è più forte
ora, può guarire se viene ferito, mio figlio invece
è sempre lo stesso: è fragile, ma sembra che non
se
ne renda conto, o che non abbia il senso del pericolo,
perciò si
butta nelle cose senza pensarci e farebbe qualunque cosa per i suoi
amici - esitò appena prima di riprendere a parlare - Tutto
questo
è…»
«Coraggioso - intervenne Melissa finendo la frase per lui -
È questa la parola giusta: Stiles è il
più coraggioso tra tutti, ed è anche il
più forte, non sottovalutarlo».
Lo sceriffo
abbozzò un sorriso scettico e
accarezzò di nuovo la fronte imperlata del suo bambino
addormentato «A me non sembra così
forte» mormorò con dolore
«Però lo è - ribadì la donna
- Ripensa a tutto ciò che gli è accaduto finora,
a ciò che ha dovuto combattere fuori e dentro di
sé, eppure è sempre riuscito a rialzarsi senza
rinunciare alla sua umanità, anzi forse ne è
venuto fuori proprio grazie ad essa» sottolineò
mentre osservava con amara dolcezza dipingersi nitido davanti a lei
quell’amore paterno che invece a suo figlio era sempre
mancato e una parte di lei non poteva fare a meno di attribuirsi un
po’ di colpa per non essere stata capace di garantirglielo.
«Sai, ogni
volta che Scott è impegnato in queste
sue improvvise missioni in giro per i boschi o chissà dove,
o quando so che sta facendo qualcosa di pericoloso, non sono i suoi
poteri a farmi stare più tranquilla mentre aspetto che torni
a casa sano e salvo, ma il fatto di sapere che Stiles è al
suo fianco e che veglierà su di lui - confidò
sedendosi accanto allo sceriffo che continuava a sfiorare la pelle
pallidissima di suo figlio e a guardarlo come se fosse la cosa
più preziosa che avesse mai visto - Stiles è
più di un fratello per Scott, ed è anche il cuore
del loro branco, la loro guida. È quel genere di persona
che, se mai dovessi inciampare, sai che sarà lì a
sostenerti
o a tentare di farlo, e che non lascerebbe mai un amico da solo o
in pericolo. È questa la sua forza: è coraggioso,
altruista, leale, ed è la cosa migliore che sia mai successa
a mio figlio» concluse esilmente sorridendogli con
gratitudine.
«Lo so,
sono davvero fiero di lui e forse dovrei dirglielo
più spesso - ammise con gli occhi velati
d’orgoglio e quel rimpianto tutto paterno di non saper dar
voce ai propri sentimenti come ogni figlio vorrebbe - Ma talvolta
vorrei soltanto che fosse più egoista e non pensasse sempre
a
salvare gli altri a scapito di se stesso»
«Non puoi cambiarlo, sei stato tu a crescerlo
così, e hai fatto un ottimo lavoro - lo blandì
con convinzione sfiorando il dorso della sua mano - E poi credo che
aiutare gli altri, anche mettendo in pericolo la propria vita, sia una
tara genetica Stilinski, non puoi onestamente rimproverarlo per
questo!» gli fece notare, e lo sceriffo ridacchiò
con lei stemperando così la tensione.
«Ora
però, per favore, dammi ascolto: hai bisogno
di riposo: non gli sarai di alcun aiuto se non ti prendi cura di te
stesso - lo pregò ancora una volta - Va’ a casa,
resterò io con lui» lo invitò dolce ma
ferma porgendogli la mano per tirarlo su da quella sedia e
accompagnarlo alla porta.
Lo sceriffo si arrese, strinse quella piaccola mano nella sua e la
seguì dopo aver dato un’ultima occhiata al suo
piccolo Stiles.
«Grazie» le sussurrò prima di uscire
baciandola sulla guancia e indietreggiando subito nel sentirla
irrigidirsi al tocco, evidentemente colta alla sprovvista da un gesto
inopportuno.
«Scusami - sibilò subito mentre Melissa continuava
a guardarlo con gli occhi sbarrati - Forse era un po’
troppo» farfugliò mortificato grattandosi la nuca
«O forse era troppo poco» mormorò la
donna spiazzando entrambi e poi sorridendo di quella goffaggine
adolescenziale che colorò lievemente i loro visi come forse
non dovrebbe accadere a due persone adulte, ma è risaputo
che l’età non abbia il potere di scalfire gli
effetti ridicoli dei moti
del cuore.
«Magari
potremmo parlarne con più calma - propose
lo sceriffo sviando il sorriso verso un’espressione
più intensa e suadente - Preferibilmente non in ospedale
né davanti a mio figlio che dorme, e vorrei aver fatto una
doccia prima di iniziare questo genere di discorso» soggiunse
ridendo di sé in un modo che non avrebbe dovuto essere
seducente, ma la donna davanti a lui sembrava non essere dello stesso
avviso a giudicare dal riverbero caldo e morbido nei suoi occhi prima
di distogliere lo sguardo e ridacchiare con lui
«Credo anch’io che sarebbe ora di parlarne - gli
soffiò sulla guancia prima di restituirgli il saluto - Buon
risposo» gli augurò aprendogli la porta per farlo
uscire
«A più tardi» le sorrise sgargiante lo
sceriffo prima di voltarsi per andarsene, e se i due poliziotti di
guardia davanti alla porta gli avessero lanciato uno sguardo
d’intesa saturo di sottintesi prima di ridacchiare
irriverenti tra loro, ne avrebbero discusso più tardi alla
Centrale: aveva giusto dei turni notturni di pattuglia da rifilare a
qualcuno nel weekend.
Stiles si risvegliò un paio d’ore dopo che suo
padre fu convinto a lasciare l’ospedale: Melissa era seduta
accanto a lui e leggeva una rivista canticchiando sottovoce mentre si
arrotolava tra le dita i ricci che le ricadevano spettinati sul viso.
La rivista era al contrario.
Stiles era tuttavia troppo assonnato e confuso per accorgersi di questi
dettagli o dell’espressione un po’ sognante che
illuminava lo sguardo della signora McCall.
«Papà?» domandò con la voce
impastata dal sonno non vedendo l’uomo da nessuna parte
«È andato a casa un paio d’ore fa per
fare una doccia e risposare un po’» rispose
sorridendo ampiamente
«Grazie» sorrise il ragazzo intuendo che non fosse
stata un’impresa facile convincerlo ad allontanarsi da
lì.
«Come ti
senti?» mormorò Melissa
tastandogli il polso e la fronte
«Meglio, credo, a parte il ginocchio e la confusione in
testa, ma quella non è una novità per
me» osservò sforzandosi di sorridere
«Vuoi che ti dia qualcosa per il dolore?» gli
chiese premurosa
«No, vorrei scrollarmi di dosso questa sensazione di torpore
e stordimento - mugolò stiracchiandosi - Però
vorrei lavarmi, se è possibile»
«Certo, ti aiuto» si offrì prontamente
«Veramente non…» arrossì
Stiles a disagio
«Oh - intuì prontamente Melissa - Vado a chiamare
un’altra infermiera» gli propose in alternativa, ma
l’espressione di Stiles non sembrava particolarmente sollevata
«Meglio un infermiere? - si corresse subito sorridendogli
comprensiva e il ragazzo annuì la sua gratitudine - Oppure
credo di conoscere qualcuno che sarebbe felice di aiutarti e visto che
avete fatto il primo bagnetto insieme a sei ann..»
«Un infermiere andrà benissimo» la
interruppe Stiles distogliendo lo sguardo per schermarsi dal giudizio
della donna, ma Melissa gli sorrise dolcemente e gli
accarezzò il viso
«Stiles, so che non vuoi farti vedere da nessuno ancora - gli
sussurrò amorevole - Ma tu troppo importante per tante
persone, tesoro, e hanno bisogno di te, ora più che
mai».
Stiles si
accigliò in un’espressione molto
scettica al riguardo che Melissa spazzò via sedendosi sul
letto e, con il tatto e la cura necessari, lo invitò a non
dubitare mai di quanto la sua vita fosse preziosa per suo padre, per i
suoi amici, per Scott.
«Non tenere lontane le persone che ti vogliono bene, non fa
bene a loro, e soprattutto non fa bene a te - soggiunse con
quell’apprensione gentile di mamma che a Stiles mancava come
l’aria - Hanno davvero bisogno di starti vicino e tu di
averli intorno, e poi dubito che i due agenti di guardia qui fuori o le
minacce di tuo padre e mie riusciranno a tenerli lontani ancora a
lungo» concluse incoraggiandolo con lo sguardo.
«Io sarei
riuscito ad entrare comunque»
confessò il ragazzo illuminandosi di un sorriso finalmente
limpido e incontaminato
«Non ho alcun dubbio» rise la donna alleggerita nel
vedere davanti a sé il ragazzo coraggioso che conosceva
rimettersi di nuovo in piedi
«Magari, dopo la doccia … - esitò un
attimo Stiles prima di sciogliersi in un sorriso ancora più
marcato - puoi chiamare Scott per dirgli di venire e di portare anche
Lydia, se vuole vedermi, ovviamente» aggiunse giocherellando
nervosamente con l’orlo del lenzuolo
«Credo che farei prima ad uscire da quella porta e
dirglielo di persona» gli rivelò compiaciuta e
felice di ritrovare anche nei gesti quella frenesia incontrollabile che
era Stiles
«È qui?» sussultò il ragazzo
«Sì, e c’è anche Lydia: sono
qui da stamattina, come ogni mattina da quando sei arrivato - rispose
Melissa - Ma ora vado a chiamare quell’infermiere
perché mio figlio mi ucciderebbe se sapesse che ho ritardato
il vostro incontro anche solo di un minuto» lo
avvisò mentre si avvicinava alla porta.
«Aspetta!
- la fermò Stiles colto dalla smania di
riabbracciare il suo branco - La doccia non è
così urgente… voglio dire, non credo di puzzare.
Puzzo? Perché forse allora sarebbe meglio farla ora, insomma
non vorrei che…»
«Stiles - lo interruppe ridacchiando - Li faccio
entrare?»
«Sì, subito! - fremette il ragazzo - Per
favore» aggiunse con più educazione sorridendole
supplichevole e Melissa rise alzando gli
occhi al cielo, poi corse ad avvisare suo figlio.
Due minuti più tardi, Stiles respirava a fatica travolto
dall’abbraccio di Scott.
«Ehi
Scotty, io sarei convalescente e tu sei pesante,
perciò…» annaspò sotto il
peso del ragazzo
«Hai ragione, scusami» convenne Scott senza
tuttavia muoversi di un centimetro.
Stiles rise e si rassegnò a tenerselo addosso come il
gigantesco koala che era il suo migliore amico.
«Ciao»
salutò poi Lydia che li osservava
raccapricciata ai piedi del letto
«“Ciao”? Questa
è la prima cosa che hai da dire? -
proruppe sdegnata incrociando le braccia - Perché non inizi
con “Mi dispiace, non lo farò mai
più”?»
«Non è stata colpa mia» si
giustificò Stiles che tuttavia pativa lo sguardo
d’accusa della ragazza sentendosi inevitabilmente in colpa
«E allora? - sbuffò la ragazza spostandosi una
ciocca di capelli dal viso - Non osare mai più farmi
spaventare in quel modo, va bene? Non sono pronta a mettermi a urlare
per te prima di almeno altri novant’anni, chiaro?»
stabilì senza appello mentre i suoi occhi raccontavano
morbidi tutta l’ansia e l’affetto vibrante che la
legava al ragazzo
«Chiarissimo» sussurrò Stiles
sorridendole grato
«Perfetto. Allora, come stai?» gli chiese
avvicinandosi e piantando le unghie perfettamente laccate sulla spalla
di Scott per aiutare Stiles a liberarsi dalla morsa letale del giovane
lupo che si scostò finalmente
«Bene, stordito, ma bene» rispose riprendendo a
respirare.
«Ricordi
cosa è successo?»
domandò Scott rassegnandosi a sciogliersi
dall’abbraccio e sedersi sul letto accanto al suo migliore
amico
«Sì, sono stato rapito»
sospirò il ragazzo
«Già, ma come è successo?»
chiese Lydia sedendosi con grazia sulla sedia accanto al letto e
guardandolo con apprensione
«Ero nel bosco - iniziò a raccontare Stiles -
vicino a casa Hale»
«Cosa ci facevi nel bosco vicino a casa Hale?» si
stupì Scott
«Ogni tanto vado lì quando ho bisogno di silenzio,
mi aiuta a pensare»
«E tu riesci a pensare meglio in un rudere dove sono state
bruciate vive delle persone?» domandò con
raccapriccio la ragazza alzando un sopracciglio perfettamente delineato
«In effetti è strano»
considerò il giovane lupo fissando stranito l’amico
«Oh sentite, non starò qui a farmi dare dello
“strano” da un lupo mannaro e una banshee! -
protestò Stiles imbronciato - Comunque, ero lì e
camminavo tranquillo. Poi ho sentito un dolore forte alla testa:
qualcuno deve avermi colpito e sono svenuto, perché mi sono
risvegliato in una sorta di magazzino umido e avevo addosso uno strano
profumo»
«Artemisia» intervenne Lydia
«Come?» mormorò confuso Stiles
«Il profumo che hai sentito era di artemisia»
rispose la ragazza
«Ti abbiamo cercato ovunque e abbiamo ritrovato la tua jeep,
ma il tuo profumo era sparito coperto dall’odore di questa
pianta - spiegò Scott e nei suoi occhi si poteva percepire
tutta la paura di quei momenti - Era ovunque nel bosco e Deaton ha
detto che si trattava di artemisia: è una pianta dedicata a
Venere, ma nella cultura nordica era consacrata ad una dea»
«Morrigan - specificò Lydia - È una dea
celtica che, tra le altre cose, si occupava di magia e aveva il dono
della profezia. Pare che questa pianta venisse usata dai druidi nei
rituali di divinazione e credevano che dormire su un guanciale di
artemisia inducesse sogni profetici1».
Il respiro di Stiles
rimase bloccato da qualche parte tra le parole
“profezia” e “sogni profetici”,
mentre la sua mente tentava frenetica di disegnare uno schema logico in
cui inserire quelle informazioni che non riguardasse ciò che
aveva visto nel suo sogno perché non poteva permettersi di
credere che fosse qualcosa di diverso da un parto crudele del suo
beffardo inconscio.
«Va tutto
bene?» si agitò la ragazza
accorgendosi del suo disagio
«C’era una donna tra i miei carcerieri -
ricordò Stiles intravedendo un qualche nesso - Era molto
anziana e aveva in mano una sorta di cristallo, ma non ne sono certo
perché non l’ho visto da vicino. Tutti
continuavano a chiederle se vedesse qualcosa, se stesse arrivando, ma
lei rispondeva sempre: “Non ancora”.
Si è avvicinata a me solo una volta mentre gli altri erano
via: aveva gli occhi velati come da una patina d’argento e ho
pensato fosse cieca, ma non lo era perché mi ha guardato
dritto in faccia e
mi ha detto di stare tranquillo
perché “lui” stava
arrivando per me. Non so cosa volesse dire, però
dal ghigno agghiacciante ho immaginato che non fosse nulla di
buono».
«Forse era
l’emissario del branco»
immaginò Scott
«Era?» si
insospettì Stiles
«Già» abbassò lo sguardo il
giovane alfa
«Li avete uccisi?»
«No, siamo arrivati troppo tardi, erano già
morti» rispose Scott e c’era
un’inconfondibile retrogusto di delusione nella sua voce,
come se in realtà avrebbe preferito che fossero stati ancora
vivi per potervi affondare i suoi artigli e vendicare il dolore
inflitto al suo migliore amico.
«Chi li ha
uccisi?» domandò disorientato
Stiles
«Non ricordi?» sussurrò Lydia
«No - scrollò la testa il ragazzo -
L’ultima cosa che ricordo è uno di loro che
discuteva al telefono e poi si è avventato su di me: era un
licantropo, un alfa, uno di quelli che erano sempre lì con
me insieme alla donna anziana e altri due mutaforma che non ho ben
capito cosa fossero. Era il più violento e probabilmente mi
ha colpito più forte delle altre volte perché
devo aver perso i sensi e poi mi sono risvegliato in
ospedale» spiegò mentre Scott ringhiava al suo
racconto estraendo istintivamente gli artigli
«Shhh, Scotty, va tutto bene ora» gli
sussurrò stringendogli delicatamente il polso per lenire la
rabbia che si stemperò al suo tocco
«Scusa» gli sorrise riprendendo il controllo del
suo lupo.
«Sai cosa volevano da te?» chiese Lydia
«Erano a caccia» rispose stringendosi le spalle
«Di cosa?» si incupì Scott
«Derek - annaspò senza voce - Cercavano
Derek» ripeté con più tono.
Era la prima volta che quel nome raggiungeva le sue labbra da quando si
era risvegliato e, benché fosse stato appena un sussurro,
risuonò forte dentro di lui, ferendolo.
«Derek…» ripeté lentamente
Lydia accigliandosi pensierosa
«E perché diavolo avrebbero dovuto rapire
te?» borbottò sempre più perplesso Scott
«Perché avevano perso le sue tracce e credo che,
essendo l’unico umano del tuo branco, abbiano pensato che
sarebbe stato molto più facile e meno pericoloso per loro
estorcere informazioni da me» rispose immediatamente
perché, da quando era stato preso in ostaggio, questa era la
spiegazione che si era dato ossessivamente in modo da evitarsi anche
solo di ipotizzare qualunque altro motivo plausibile per essere stato
scelto dai rapitori come tramite privilegiato per raggiungere Sourwolf,
e dover poi ammettere con se stesso di sperarlo.
«Il lupo avrebbe dovuto capire subito che non sapevi dove
fosse Derek e lasciarti andare» obiettò il giovane
alfa
«Beh…» farfugliò Stiles
sfuggendo colpevole ai loro sguardi
«Tu lo sapevi» scattò Lydia e,
benché non fosse una domanda, Stiles annuì
«Eh?» esclamò interdetto Scott
«Sì Scott, lo sapevo» ammise il ragazzo
«E come è possibile visto che non ha detto a
nessuno dove era diretto prima di sparire nel nulla?»
incalzò la ragazza inchiodandolo con uno sguardo ermetico
«Beh, se uno non vuole farsi trovare non usa le sue carte di
credito ovunque vada e per qualunque acquisto»
borbottò sulla difensiva
«Hai tracciato la lista dei movimenti delle sue carte di
credito?» domandò Lydia lanciandogli
un’occhiata sospettosa e ammirata nel contempo
«Ma soprattutto: perché?» fremette il
suo migliore amico
«Perché volevo sapere dove fosse - proruppe
esasperato - Nel caso tu avessi bisogno di
lui» aggiunse immediatamente perché sentiva di
doversi difendere dalla verità che gli era sfuggita dalle
labbra nell’impeto della risposta.
Scott e Lydia
sembravano tuttavia piuttosto scettici.
«Mi piace
avere tutta la situazione sotto controllo, va
bene?» ritentò Stiles perché anche
questa era indubbiamente una verità, e Scott annuì
«A me va benissimo» sorrise invece piuttosto
compiaciuta Lydia che aveva l’aria di una gatta che aveva
appena scovato la sua preda.
Ignaro dello scambio
di guardi tra gli altri due e del disagio
improvviso di Stiles che pennellò di un rosa tenute il
pallore del suo incarnato, Scott rimuginò quei due minuti
necessari per metabolizzare le nuove informazioni, poi
riversò un fiotto di incredulo disappunto
sull’amico per essere stato completamente folle a farsi
torturare e rischiare la vita piuttosto che rivelare dove si trovasse
Derek Hale.
«Tu avresti fatto lo stesso» lo zittì
Stiles che iniziava ad odiare la piega che stava prendendo la
conversazione
«Io no, non sono poi così affezionata al
soggetto» sbuffò Lydia, Scott invece non
poté dargli torto e questo bastò a Stiles per
lasciar cadere la questione.
«Questo
è tutto ciò che ricordo prima
di perdere conoscenza, raccontatemi voi il resto» li
esortò, ma i due ragazzi sembravano entrambi nervosi e
scomodi, e si scambiarono uno sguardo di reciproco invito a farsi
carico del racconto.
Preoccupato, Stiles
tentò di distendere la tensione
«Non può essere peggio di ciò ricordo,
giusto? - si sforzò di sorridere - Non mi avete ancora detto
come siete riusciti a trovarmi» propose convinto che fosse un
ottimo punto da cui partire: il salvataggio della damigella in
pericolo era sempre stato il momento preferito di ogni storia per
Scotty, e pur di metterlo a suo agio, Stiles era disposto anche a
mettere da parte l’orgoglio ferito e ascoltare di come il suo
cavaliere l’avesse salvato.
«Infatti non ci siamo riusciti» sussurrò
abbattuto Scott abbassando lo sguardo.
Stiles sapeva che non avrebbe dovuto sperare neppure per un attimo che
per una volta la damigella fosse riuscita a salvarsi senza
l’aiuto di qualcuno, eppure lo fece: per un breve,
meraviglioso istante disse a se stesso di non dover ringraziare nessuno
e fu una sensazione magnifica.
«È stato Derek a trovarti»
rivelò sommesso l’alfa.
Quel breve, meraviglioso istante si sgretolò nel breve
spazio di due sillabe: Derek.
«Cosa?» proruppe scosso tenendo a freno la mente
che premeva per sapere come fosse arrivato lì, e il suo
cuore che non osava chiedersi perché.
«Pare che
i rapitori l’abbiano contattato con il
tuo telefono prima di disfarsene per non essere intercettati»
spiegò Lydia intuendo le sue
perplessità e forse anche qualcos’altro a
giudicare dall’intensità con cui lo scrutava
«Non è possibile - protestò - Lui non
risponde mai alle chiamate e ignora anche i messaggi
perciò..»
«Forse i tuoi non li ignora» incalzò la
ragazza
leggendolo dentro.
«Questo
è quello che ha detto lui - intervenne
Scott - Io so soltanto che mi ha chiamato appena ha capito dove fossi e
siamo corsi subito sul posto, ma quando siamo arrivati non
c’era più nessuno»
«Nessuno vivo»
specificò Lydia
«Li ha uccisi lui» realizzò senza voce e
Scott annuì con ancora davanti agli
occhi ogni
agghiacciante dettaglio della scena che si offrì ai loro
occhi quando entrarono nel magazzino.
«Poi ti ha
portato subito in ospedale - continuò
Lydia adombrandosi al ricordo - E dopo…»
esitò appena torturandosi le labbra, ma tanto
bastò a far martellare il cuore di Stiles.
«Dopo?»
reclamò senza fiato una risposta
«È andato a cercare il resto del branco»
terminò Scott.
Nella giovane vita
di Stiles gli accadeva di continuo di avere la netta
sensazione che tutto il suo mondo fosse sospeso e che qualunque cosa
fosse accaduta non appena avesse ripreso a muoversi, ne avrebbe
cambiato il
corso.
Gli era successo per anni ogni volta che aveva avuto davanti
Lydia Martin, il suo primo struggente amore: sapeva che sarebbe bastato
un suo sguardo, una parola, un sorriso per capovolgere il suo mondo.
Succedeva ogni volta che suo padre era di turno e sullo schermo del suo
telefono appariva il numero della Centrale di polizia: smetteva di
respirare finché non sentiva la voce di suo padre e si
riprometteva da allora in poi di abbracciarlo di più e
dirgli più spesso quanto gli volesse bene,
perché negli attimi di paura irrazionale di averlo
perso non faceva che torturatarsi al pensiero che potesse essersene
andato senza sapere quanto profondamente lo
amasse.
Stavolta invece non era sicuro di volere che il suo mondo riprendesse
a muoversi: restare sospeso aveva improvvisamente
un’irresistibile attrattiva.
Eppure qualcosa di
più forte lo pervase sottopelle, una rabbia sottile che
prese il sopravvento prima che potesse capirne la fonte e la ragione.
«E voi l’avete lasciato andare da solo contro un
branco di assassini che lo volevano morto?» inveì
contro i suoi amici lasciando il suo mondo e il suo cuore sospesi su
quell’ultima parola
«No, siamo andati con lui - si difese Scott - Ormai la cosa
riguardava tutti noi. Ed era personale»
aggiunse con gli occhi screziati di rosso e affetto vero, sfumando
così la rabbia di Stiles.
«Li avete
trovati?» domandò esitante
«Sì»
«Li avete uccisi?»
«Gli Argent si sono occupati di loro» rispose
ancora il giovane lupo
«Quindi è andato tutto bene, vero?» gli
tremò in gola perché, sebbene avesse deciso di
restare sospeso e non chiedere apertamente cosa fosse successo
all’uomo che l’aveva salvato, aveva bisogno di
respirare di nuovo
«Sì, nessuno si è fatto male»
chiarì Lydia accarezzandolo con lo sguardo mentre il mondo
di Stiles riprendeva a muoversi e l’aria ad inondare i suoi
polmoni.
«Li hanno
presi tutti, tranne il capobranco»
soggiunse Scott incupendosi
«È riuscito a scappare?» si
allarmò Stiles.
«No» scrollò la testa Scott abbassando
lo sguardo, poi si rivolse
a Lydia che si sentì investita del dovere di continuare lei
da lì in poi.
La ragazza
inspirò profondamente e buttò fuori
l’aria in un unico soffio «È
Jackson».
Il mondo di Stiles
si era capovolto di nuovo.
«No»
annaspò
«Sì, invece, c’è lui dietro
tutto questo» mormorò Lydia schermandosi dietro
un’aura algida che tuttavia traballava nel suo sguardo
squarciandola e lasciando filtrare il suo dolore muto da ogni crepa.
«Ha messo
su un branco di…»
tentò di spiegare Scott
«Rinnegati?» indovinò Stiles raggelandosi
«Già - annuì il ragazzo - Sembra che
volesse vendicarsi di coloro che gli hanno rovinato la vita, e
Derek…»
«Era il primo della lista» lo anticipò
ancora Stiles scrutando il vuoto davanti a sé con occhi
vitrei
«Esatto - confermò Scott che era abituato
all’intuito fenomenale del suo miglior amico, per cui non si
stupì d fronte a quella per per lui era solo un’ulteriore prova del
suo talento -
Questo è
tutto ciò che sappiamo perché, dopo averlo
catturato, Derek l’ha portato via con sé e non lo
sentiamo da allora» finì di raccontare posando una
mano sulla spalla dell’amico che sembrava pietrificato.
«Stiles?»
si preoccupò Scott allertando
si suoi sensi che furono investiti dall’onda di panico acre e
crudo che trasudava dal suo migliore amico
«Ehi Stiles - lo scosse delicatamente distogliendolo dal
vuoto che aveva risucchiato tutti i suoi pensieri - Stai
bene?» domandò allarmato
«Sì» mentì
«Forse dovresti riposare, sei pallidissimo»
suggerì apprensiva Lydia che aveva ascoltato in silenzio e
con il lutto nel cuore
«No, sto bene. Grazie di avermi raccontato tutto»
abbozzò un sorriso esile cercando di arginare il frastuono
di sconcerto e ipotesi che gli riecheggiava dentro, ma non era impresa
facile soprattutto quando il viso scolorito di Lydia sfuggiva
mortificato al suo sguardo costringendolo a rompere il silenzio che era
calato tra loro.
«Pensate
che l’abbia ucciso?»
trovò il coraggio di sussurrare
«Non lo so - rispose Scott - Abbiamo provato a contattarlo,
ma non risponde. So che ha parlato con tuo padre e..»
«Mio padre?» sussultò
«Sì, tuo padre sa tutto - lo avvisò -
Gli abbiamo raccontato quello che abbiamo visto e ci ha detto che ieri
ha parlato anche con Derek».
«Io credo
che sia vivo» sibilò
pianissimo Lydia riemergendo dall’ombra dei fantasmi del suo
passato
«Lo penso anche io - concordò il giovane lupo -
Jackson è un alfa potente ora, non credo sia così
facile ucciderlo»
«Anche Derek è un alfa»
sottolineò Stiles che iniziava a chiedersi se quel nome
nella sua bocca avrebbe smesso di ferirlo prima o poi
«No, è un beta» lo corresse
l’amico
«Non è possibile: vi ho detto che uno di quelli
del magazzino era un alfa, perciò se è stato
Derek ad
ucciderli, dovrebbe essere un alfa ora, no?» cercò
di razionalizzare mentre ormai si rassegnava a patire gli effetti del
suono di quel nome probabilmente per il resto della sua vita
«Non lo so, ma ti assicuro che è un beta - chiuse
il discorso Scott - i suoi occhi sono..»
«Blu» lo anticipò Stiles, esattamente
come quelli terrorizzati ma splendidi che aveva creduto di sognare
risvegliandosi dal coma.
Si strinse le tempie
quasi volesse impedire al suo cervello di
deflagrare nel vano tentativo di trovare un nesso logico nella
confusione incoerente che era diventata la sua vita, in cui ancora
faticava a distinguere verità e inganno.
«Ti fa
male la testa? - gli chiese Scott - Vuoi che ti porti
via il dolore?»
«No - rifiutò deciso - Ma forse avete ragione,
sono stanco»
«Dovresti riposare - assentì Lydia raddolcendosi -
magari torn..»
«Buone notizie figliolo - annunciò eccitato lo
sceriffo entrando nella stanza - Ciao ragazzi, che ci fate
qui?»
«Mi stavano raccontando quello che è
successo» rispose Stiles
«È ancora troppo debole, vi avevo detto molto
chiaramente di stargli alla larga!» li biasimò con
un misto di rabbia e delusione che riuscì ad intimidire
persino Lydia
«No papà, va tutto bene, sono stato io chiedere di
vederli» intervenne Stiles in soccorso degli amici che
strisciavano verso la porta
«Stavamo andando via, comunque - si difese Scott - Ci vediamo
domani mattina?»
«Sarà dimesso domani mattina - li
informò lo sceriffo - Ero venuto a dirti questo»
sorrise rivolgendosi a suo figlio
«Davvero?» si illuminò Stiles e
l’uomo annuì con affetto ben sapendo quanto suo
figlio odiasse gli ospedali, come lui del resto.
«Grande! -
esultò Scotty - Allora ti aspetto a
casa tua domani» si autoinvitò raggiante
guadagnandosi un’occhiata torva dallo sceriffo che lo
afferò
per il collo della camicia e lo trascinò in disparte per
profilargli delle opportune quanto tassative linee-guida sulla cura e
la tutela che si aspettava fossero riservate a Stiles da parte sua e
del suo branco, o avrebbe schermato la casa dal sovrannaturale
finché non fosse guarito o magari per sempre.
Mentre lo sceriffo
terrorizzava l’alfa come solo un padre
protettivo sa fare e Stiles cercava di intercedere per
l’amico con scarsi risultati, Lydia continuava ad osservare
il ragazzo disteso sul letto in cerca di risposte che acquietassero
quella sensazione, forte ed insopportabile per lei, che ci fosse
dell’altro a tormentarlo oltre ai ricordi di
quell’esperienza. Decisa a combattere con lui ogni eventuale
ombra, inspirò alzando le spalle e gli si
avvicinò.
«Vengo più tardi, così possiamo
parlarne» gli sussurrò pianissimo
all’orecchio
«Di cosa?» tremò Stiles
«Di qualunque cosa» gli rispose morbida
sorridendogli con complicità.
«Okay -
capitolò lo sceriffo roteando gli occhi di
fronte allo sguardo da cucciolo che Scott non esitò ad usare
per muoverlo a pietà - Facciamo che venite entrambi a pranzo
da noi domani, se a te va bene» aggiunse rivolgendosi a
Stiles per avere il suo benestare
«Va benissimo» sorrise il ragazzo
«A domani allora» gongolò come un
bambino Scotty
«A presto» salutò Lydia lanciando uno
sguardo d’intesa a Stiles, prima di uscire dalla stanza
trascinandosi dietro l’alfa.
Una volta oltre la porta, i due agenti di guardia raddrizzarono la loro
postura stanca e, in perfetta sincronia, salutarono sorridenti
«Signorina Martin» ignorando completamente Scott
che per fortuna non era una persona permalosa.
«Agente Taylor - rispose la ragazza con garbo -
Christian2»
soggiunse seducente rivolgendosi
all’agente più giovane che arrossì, poi
si allontanò compiaciuta ondeggiando sui suoi tacchi.
«Come sei riuscita a rimorchiare qualcuno anche in questa
situazione?» ridacchiò Scott con una certa
ammirazione
«Beh, qualcuno doveva pur tentare di corromperli per entrare
in quella stanza quando lo sceriffo si è allontanato -
spiegò con fare innocente - Purtroppo però non
ero il suo tipo»
«Preferisce le more?» ipotizzò divertito
«No, preferisce i ragazzoni tenebrosi con gli occhi verdi e
le giacche di pelle» sogghignò, perché
Lydia Martin sapeva ammettere le sue sconfitte con eleganza e inoltre
vedere quel certo ragazzone sfoderare il suo fascino sul povero agente
pur di poter scivolare nella notte dentro quella stanza, era stato
deliziosamente illuminante.
«Eh?»
esclamò confuso Scott
«Lascia perdere» sviò comprimendo poi le
labbra mentre pregustava i possibili sviluppi di quello scenario
inedito, ora che aveva visto il convalescente di quella stanza
scuotersi al solo pronunciare il nome di quel certo ragazzone.
«Forse
avresti dovuto puntare sull’altro»
le fece notare il ragazzo riscuotendola dai suoi pensieri
«No, l’altro aveva puntato me»
rivelò sistemandosi i capelli sulle spalle
«Meglio! Ti avrebbe facilitato il lavoro»
«Non bisogna mai mischiare il lavoro con il piacere,
McCall» sussurrò maliarda e Scott rise mentre la
accompagnava fuori dall’ospedale dove invece lui si sarebbe
trattenuto
ancora un po’ ad attendere la fine del turno di sua madre e
quindi rientrare a casa con lei.
«Come ti è sembrato Stiles?» le chiese
prima di separarsi
«Si riprenderà - affermò decisa - Deve
solo trovare la sua strada» aggiunse con una spiccata nota di
dolcezza prima di salutarlo e andare via con un sorrisetto
indecifrabile.
«Quindi sai tutto» mormorò Stiles una
volta rimasto solo con il suo papà
«Quello che mi hanno detto i ragazzi e Derek Hale»
«L’hai interrogato?» domandò
giocherellando nervosamente con l’orlo dell’orrendo
camice che indossava.
Suo padre annuì e si sedette sul letto accanto a lui.
«Quindi
sai che è stato Derek a trovarmi e a
portarmi qui?» sospirò e in realtà non
era una domanda, ma solo il bisogno inconscio di una conferma, o
l’occasione per dimostrare a se stesso che poteva pronunciare
quel nome senza essere assalito da una strana miscela di nostalgia e
qualcos’altro che ancora non riusciva o non voleva inserire
nella giusta categoria
«Certo, mi ha chiamato appena ti ha trovato e poi abbiamo
parlato la mattina dopo - rispose lo sceriffo studiando
l’espressione sul viso di suo figlio - Ha rilasciato una
deposizione alla polizia per archiviare il tuo caso»
«Cosa?» sussultò il ragazzo che solo
allora realizzò che ciò che gli era successo era
di dominio pubblico e avrebbe dovuto dare spiegazioni alle
autorità, ovvero mentire per proteggere i suoi amici e quel
mondo nascosto in cui era stato catapultato da appena un anno, ma
di cui gli sembrava di essere parte da sempre.
«Stiles,
era necessario trovare un movente e una versione dei
fatti che tutelasse tutti - spiegò suo padre - Quelle
persone avevano delle fedine penali che parlavano già da
sole: erano ladri, assassini, stupratori, che evidentemente erano in
città per mettere a segno il loro prossimo colpo e chiunque
si occupi di indagini non faticherebbe a credere che rapire il figlio
dello sceriffo possa essere parte del loro piano»
continuò con la gola arsa d’amaro
perché ripensare al suo bambino in mano a quei delinquenti
lo avvelenava dentro.
«E Derek?» soffiò via il ragazzo e stavolta il suono fluì dolce tra le sue labbra, domato nel profondo del suo stomaco dalla sensazione carezzevole che gli procurò il pensiero del lupo e suo padre che concordavano una versione plausibile di ciò che era successo.
«Derek
viaggiava sulla sua auto verso la sua
proprietà quando è stato fermato da dei tipi
loschi armati che l’hanno costretto a scendere
dall’auto che poi hanno rubato e sono corsi via - sorrise
brevemente al pensiero dell’insofferenza del giovane Hale a
dichiarare di essere stato così vigliaccamente arrendevole -
Lui è entrato nel magazzino, ti ha trovato e ha chiamato la
polizia, ovvero me. L’auto rubata è stata
ritrovata ieri carbonizzata contro un albero lungo la statale con i
resti dei tuoi rapitori intrappolati dentro. Caso chiuso»
dichiarò con un sospiro sollevato
«E qualcuno se l’è bevuta?»
osservò scettico inarcando beffardo un sopracciglio
«Beh, non mi è venuto in mente
nient’altro per far sparire i corpi e non dover dare troppe
spiegazioni, non sono io il genio del crimine di casa - si
giustificò lo sceriffo - E poi in questo modo tu dovrai solo
riconoscere i tuoi rapitori dalle foto segnaletiche e sarà
tutto finito» aggiunse con affetto, perché in
effetti rendere il meno doloroso e lungo possibile il coinvolgimento di
suo figlio, era stato l’aspetto decisivo che gli aveva fatto
scegliere quella versione dell’accaduto, e per qualche motivo
che non ebbe il coraggio di indagare, era stato lo stesso che aveva
convinto anche Derek.
«Ti voglio
bene» sussurrò Stiles con gli
occhi umidi di tenerezza e gratitudine
«Anch’io - sorrise l’uomo stringendolo in
un abbraccio deciso - Ma guai a te se mi fai prendere di nuovo uno
spavento del genere, perché giuro che ti metto in punizione
fino a quando avrai trent’anni» gli
intimò tra i
capelli prima di baciargli la tempia.
Stiles ridacchiò e si lasciò coccolare mentre
rifletteva su quanto aveva appreso.
«Quell’auto
incendiata non era davvero quella di
Derek, giusto?» si chiese spezzando il silenzio mentre
ragionava sulle eventuali falle nel resoconto rilasciato dal lupo alla
polizia
«Temo di sì, invece - rivelò lo
sceriffo liberandolo dal suo abbraccio - Gli devi un’auto
nuova» lo informò serio, benché Derek
non avesse battuto ciglio quando glielo aveva proposto.
«Dovresti
sacrificare la tua auto - gli
aveva detto sapendo di non avere il diritto di chiedergli tanto - Ma
è la soluzione migliore per risolvere la questione del
ritrovamento dei cadaveri e anche il tuo coinvolgimento»
«Va bene» era stato tutto
ciò che Derek Hale aveva risposto prima di correre via a
recuperare ciò che restava dei corpi dei rapitori e
inscenare l’incidente.
«Credo di
dovergli molto di più»
sussurrò Stiles e se un riverbero di vellutata dolcezza
fosse trapelato nel suono della sua voce, sperò di essere
stato l’unico ad accorgersene.
«Considerate tutte le volte che l’hai salvato tu,
direi che siete pari» lo confortò lo sceriffo con
orgoglio.
Stiles sorrise e lasciò cadere la testa sulla spalla di suo
padre ancora seduto accanto a lui, chiudendo gli occhi per gustare quel
momento mentre la stanchezza iniziava ad avere la meglio su di lui.
«Credo sia meglio se tu riposi ora - suggerì suo
padre - Io vado in Centrale e poi torno a darti la buonanotte»
«Non è necessario, preferisco che anche tu vada a
casa a riposare - lo pregò premuroso - Ci vediamo
direttamente domani mattina, va bene?»
«Sei sicuro?»
«Sì, stai tranquillo, io credo che
dormirò per le prossime venti ore»
sbadigliò stendendosi sul suo adorato cuscino che suo padre
pretese che tenesse con sé anche in sala rianimazione
«Va bene, buonanotte allora» gli soffiò
sulla fronte prima di baciarla
«Anche a te» sorrise Stiles lambendolo con uno
sguardo adorante finché non fu oltre la porta e
poté chiudere gli occhi e cedere al sonno avvolto da quella
sensazione confortevole di cura e protezione che solo il suo
papà avrebbe saputo dargli.
O almeno così credeva.
In realtà Stiles non riuscì a dormire quanto
aveva previsto: si risvegliò dopo appena qualche ora, ma era
riposato e, benché avesse ancora tanti nodi da dipanare
nella sua testa e nel suo cuore, si sentiva più leggero.
Come promesso,
Melissa fece in modo che un infermiere lo assistesse
mentre beneficiava della sua doccia lenitiva e il ragazzo si ripromise
di ringraziarla per aver scelto la persona perfetta: un omone gentile e
bonario che seppe scacciare via ogni suo imbarazzo immediatamente
distraendolo con il racconto del primo compleanno della sua nipotina
che sperava di poter viziare e coccolare come non aveva fatto con suo
figlio e con la sua ormai ex moglie a causa del suo lavoro e
dell’aver dato tutto per scontato.
«Quando
si è giovani si pensa di avere davanti tutto il tempo del
mondo per dimostrare alle persone che ami quanto siano importanti
- gli aveva detto mentre lo aiutava a sistemarsi nel box della doccia -
Invece un giorno ti guardi intorno e quelle persone se ne
sono andate, hanno la loro vita e qualcun altro ha rimediato ai tuoi
errori dando loro l’amore di cui avevano bisogno. E non puoi
farci più niente» aveva concluso con un
sorriso amaro prima di lasciargli la privacy necessaria per la sua
doccia, assicurandogli che sarebbe rimasto oltre la porta se avesse
avuto
bisogno di lui.
Stiles
ringraziò l’uomo e lasciò che
l’acqua calda sciogliesse la tensione dai muscoli contratti
della sua schiena.
Evitò di chiedersi se un giorno sarebbe
diventato uno di quei vecchietti soli che vivono di rimpianti
circondati da gatti per non essere stato capace di riconoscere e
scegliere in tempo la strada giusta per lui, perché non era
ancora pronto a ragionare sul fatto che ora tutto ciò che
sentiva giusto
per lui erano un marito e tre bambini meravigliosi da
amare con tutto se stesso.
Il tramonto aveva già iniziato a sfumare nei toni cupi della
notte quando Lydia sorrise cordialmente ai due agenti di guardia e
bussò alla porta di Stiles.
«Ciao» lo salutò sorridente
«Ciao» rispose Stiles accarezzando lo spazio vuoto
accanto a sé per invitarla a sedersi sul letto.
«Allora, di cosa volevi parlarmi?» le chiese mentre
la ragazza si sfilava le scarpe per stendere le gambe sulle lenzuola
grigiastre dell’ospedale
«Veramente io sono qui per ascoltare» gli
notificò sistemando meglio il cuscino alle sue spalle
«Cosa?» iniziò a preoccuparsi
«Qualunque cosa, Stiles»
«Io non ho niente da dire» si divincolò,
ma non era così ingenuo da credere che sarebbe stato
così facile mentire a Lydia Martin e farla franca
«Non è vero - lo inchiodò infatti la
ragazza - E non è necessario avere un Q.I. come il
mio per accorgersene»
«Forse hai ragione - riconobbe non avendo altra scelta che
essere sincero - Ma ho bisogno di capire da solo cosa
c’è nella mia testa, prima di parlarne con
qualcuno»
«Io ho sempre ragione - puntualizzò
benché fosse ovvio - E da quando pensi di poter capire
meglio da solo cosa c’è nella tua
testa?» gli chiese impertinente incrociando le braccia e
Stiles incassò quella verità con una risata che
stemperò definitivamente ogni residua tensione.
«Senti
Stiles, mia madre dice sempre che se vuoi liberarti di
un peso, prima devi tirarlo fuori: solo quando ce l’hai
davanti puoi prenderlo, buttarlo alle tue spalle e andare avanti
più leggero. Se lo tieni dentro, invece, non potrai mai
liberartene e lo porterai con te per sempre» cercò
di convincerlo, ma fu piuttosto l’evidente preoccupazione sul
suo volto a incrinare la riluttanza di Stiles
«Credo che tua madre abbia ragione» sorrise il
ragazzo
«È una questione genetica» si
pavoneggiò alzando le spalle.
«Lydia, io
vorrei liberarmi di questo peso con tutto me
stesso e andare avanti, ma non credo che parlarne possa aiutarmi -
confessò abbassando lo sguardo - Ci sono troppe cose che non
riesco a capire e parlandone mi sentirei ancora più ridicolo
del solito, il che dovrebbe farti capire quanto sia grave»
ironizzò mestamente
«Niente che abbia messo questo velo di tristezza nei tuoi
occhi potrà mai essere ridicolo per me» gli
assicurò decisa supportando le sue parole con
l’affetto che splendeva nel suo sguardo.
Fu allora che Stiles cedette.
Forse aveva davvero bisogno di parlarne con qualcuno e Lydia era la
persona giusta.
«È
successo qualcosa poco prima che mi
risvegliassi dal coma: credo di aver fatto un sogno o qualcosa del
genere perché non avevo mai più fatto sogni
così vividi da quando sono stato posseduto -
strascicò quella parola tra i denti e respirò a
fondo prima di continuare - Ma stavolta era come se vedessi tutto
dall’esterno, anche me stesso, però riuscivo anche
a
sentire tutto ciò che provavo io e anche tutti gli altri,
come se fossi dentro la loro testa: conoscevo il loro passato, i loro
ricordi, riuscivo a leggere i loro pensieri e a percepire dentro di me
ogni sfumatura dei loro sentimenti. Non so come spiegarlo
meglio…» si scusò frustrato
perché non era facile descrivere come in un sogno fosse
stato possibile vivere dentro ogni sguardo e respiro altrui, sentire
ogni emozione dentro il suo petto, ogni tocco sulla sua pelle, ogni
desiderio nel suo sangue.
«No, credo
aver capito - lo soccorse Lydia - È un
classico esempio di narratore onnisciente con focalizzazione
zero» decretò prontamente
«Stai facendo l’analisi del testo del mio
sogno?» si accigliò Stiles
«No, cerco di assicurarmi di aver capito cosa intendi -
ribatté senza scomporsi - Quindi? È
così?»
«Sì, più o meno, in realtà
era molto più intenso e coinvolgente
e…» si inceppò perché
improvvisamente l’idea di annegare di nuovo dentro quel sogno
gli parve ancora più spaventosa.
«Cos’hai
visto?» gli chiese Lydia e
quando non ebbe alcuna risposta, raggiunse le mani nervose del ragazzo
e le strinse tra le sue «Stiles - gli sussurrò
incoraggiandolo - cos’hai visto?» ripeté
con dolcezza
«Il mio futuro - respirò tra le labbra socchiuse -
E anche il mio passato… però in realtà
quello era una sorta di viaggio indietro nel tempo perciò
non so come…» farfugliò
«Aspetta, fammi indovinare - lo interruppe Lydia alzando gli
occhi al cielo - Per caso c’erano anche i tre spiriti del
Natale presente, passato e futuro che ti hanno insegnato ad essere
più buono con gli altri? Perché in questo caso,
il tuo sogno avrebbe violato il copyright del “Canto
di Natale” di Dickens, sai?» lo prese in
giro e Stiles la ringraziò con lo sguardo per essere sempre
capace di indovinare di cosa avesse bisogno, e in quel momento
dissipare la tensione
era in cima alla lista.
«Non
c’erano spiriti e non era Natale - le sorrise
- E poi il mio presente era il futuro, cioè tutto
è partito da lì… almeno
credo… Te l’ho detto che è tutto
confuso» sospirò demoralizzato
«Va bene, credo di aver capito - lo rassicurò - Ed
era così terribile?» gli chiese accarezzandogli le
dita ancora custodite tra le sue
«Cosa?»
«Il tuo futuro»
«Per niente - rispose lasciando cadere ogni difesa - Era
perfetto» gli tremò il gola.
«E allora
perché sei così
triste?» cercò di capire
«Perché non avrò mai quel futuro,
Lydia. Mai.» costrinse ogni suono su per la gola
svincolandosi dal tocco delle mani della ragazza per stringersi le
spalle e difendersi dall’amarezza che riusciva quasi a
gustare tra le sue labbra mentre continuava a liberarsi del peso che
aveva dentro «Come ti sentiresti se qualcuno ti mostrasse
cosa si prova ad avere qualcosa che prima non sapevi neppure di
desiderare, anzi era proprio l’ultima cosa che avresti mai
potuto pensare che potesse renderti felice in quel modo
così…»
«Perfetto?» suggerì
Lydia citando le sue parole
«Già. Io non ho mai provato niente del genere in
tutta la mia vita - ammise con un fil di voce - Poi però ti
svegli e sai che non potrai mai averla ed è come precipitare
all’inferno» sibilò esasperato ed era
esattamente così che si era sentito quando si era
risvegliato accanto a suo padre e aveva realizzato che ciò
che aveva visto era perduto per sempre
«Forse il
tuo inconscio voleva solo mostrarti la strada per
essere felice» ipotizzò Lydia
«Quella strada non esiste - obiettò risoluto
perché non poteva permettersi neppure di sperare il
contrario - No, il mio inconscio sa essere crudele, ma non fino a
questo punto»
«E allora cosa pensi significhi?»
«Non lo so e non lo voglio sapere. Vorrei solo dimenticare
tutto il più in fretta possibile e spero che questo basti a
cancellare il vuoto che sento adesso» espirò
lasciando ricadere la testa all’indietro e serrando gli occhi
come quando era piccolo e aveva paura dei mostri: allora buttava fuori
tutta l’aria, chiudeva gli occhietti e contava fino a tre
prima di riaprirli, e i mostri non c’erano più.
Ma
era abbastanza sicuro che stavolta i suoi mostri sarebbero stati ancora
lì, dentro di lui.
«Stiles,
abbiamo visto avverarsi cose talmente assurde finora
che fatico a credere che possa esistere qualcosa di veramente
impossibile» rifletté la ragazza
«Oh, ti assicuro che questo lo è!»
esclamò ridacchiando istericamente
«Eri una donna di colore eletta presidente degli Stati uniti
con il sostegno dei repubblicani? Ecco forse giusto questo potrebbe non
accadere mai» considerò sarcastica amplificando la
risata di Stiles che finalmente riportò i suoi occhi su di
lei prima di richiuderli, respirare a fondo e lasciar uscire il mostro
«Ero sposato».
«È questa la cosa impossibile: tu che ti
sposi?» sbottò aggrottando le sopracciglia perfette
«Beh forse è già abbastanza assurdo,
vero? - rise Stiles - Non ho mai davvero pensato di essere tagliato per
il matrimonio, ho sempre immaginato di essere più un tipo
alla “Zio Stiles, quello strano, single a vita che bivacca
sul divano con una colonia di gatti”, quello che si invita a
Natale in famiglia perché i bambini lo adorano e per evitare
che si deprima troppo…»
«Stai divagando» lo interruppe roteando gli occhi
«Lo so - sorrise nervosamente - è che se
già il pensiero di essere sposato è assurdo, aver
visto chi mi ha sposato è
completamente inconcepibile»
«E chi sarebbe?» lo pressò, ma Stiles
sapeva bene che quel nome non sarebbe mai uscito dalle sue labbra
«Non farmelo dire, ti prego, tutto questo è
già troppo umiliante» si scusò
sfuggendo allo sguardo di Lydia che non insistette oltre.
«Quindi,
ricapitolando: tu hai sognato di essere sposato con
qualcuno che non avresti mai pensato di sposare, giusto?»
«Sì - confermò Stiles - Non avrei mai
pensato neppure di uscirci insieme» precisò
tendendo invece per sé che forse non avrebbe mai pensato
neanche di riuscire parlare con lui per più di dieci minuti
senza che iniziasse a ringhiargli contro infastidito.
«Perché no?»
«Perché è completamente fuori dalla mia
portata».
«Okay, in
altre parole: tu trovi assurdo essere sposato con
questa persona o anche solo uscirci insieme, soltanto perché
pensi che sia fuori dalla tua portata - ragionò Lydia - ma
questo non vuol dire che, inconsciamente o meno, tu non abbia
accarezzato l’idea, perciò se ti sbagliassi e
fosse alla tua portata...»
«Oh no, no, no, so dove vuoi arrivare e NO, non ho mai
accarezzato l’idea. Punto. - si affrettò a
precisare Stiles - Non ho mai accarezzato un bel niente, va
bene?»
«Accidenti! Interessante matrimonio il
vostro…»
sorrise subdolamente maliziosa
«Per favore, abbi pietà»
piagnucolò esasperato
«Scusa - si ricompose con un sorrisetto forzatamente
innocente - Comunque era questa persona irraggiungibile a rendere il
tuo futuro così perfetto, vero?» intuì
ammorbidendo il tono della voce
«Sì - annuì immediatamente - lui
e…»
«Lui?» incalzò la
ragazza illuminandosi d’un tratto e Stiles maledisse se
stesso e la sua lingua senza filtri
«Ecco… sì… può
essere che io abbia effettivamente sognato di essere sposato con un
uomo…» annaspò tamburellando
freneticamente tra loro i polpastrelli delle dita
«Okay» commentò Lydia
«Okay? - sbottò incredulo - È tutto
ciò che hai da dire?»
«Okay. Va bene - aggiunse la ragazza - Cos’altro
vuoi che dica?»
«Non lo so, ma non sembri minimamente sorpresa» si
agitò confuso
«Oh beh - ridacchiò la ragazza - Tu
potresti essere sorpreso da quante cose non mi stupiscono affatto di
questo tuo “sogno”» sussurrò
sotto lo sguardo smarrito di Stiles a cui tuttavia non
lasciò il tempo di ribattere
«Stavi dicendo che il tuo futuro perfetto dipendeva da lui
e…?» lo invitò a continuare
«I nostri figli» rispose liberando un altro mostro
«Avevi anche dei figli?»
«Tre bambini bellissimi» sussurrò Stiles
e stavolta il dolore della perdita riverberò ancora
più intenso nei suoi occhi
«Tre figli» ripeté Lydia sorridendogli
intenerita
«Sì, tre esserini meravigliosi che però
non esisteranno mai, Lydia - esplose acre e ferito - E io non avrei mai
voluto conoscerli, perché ora non riesco a togliermi il loro
viso dalla testa e ho paura che non sarò capace di
dimenticare cosa provavano per me e io per loro, e per lui»
«Stiles…» lo interruppe per evitare che
si torturasse oltre, avvolgendo delicatamente le dita intorno al suo
braccio
«Va tutto bene - mentì, anche a se stesso -
È che tutta questa faccenda è paradossale e mi
sento così stupido…» infierì
su se stesso sottraendosi allo sguardo della ragazza «Ma mi
passerà - continuò dopo aver ripreso fiato - Non
preoccuparti, è solo che è ancora un ricordo
troppo vivo e mi fa male» la rassicurò.
Lydia gli sorrise e
si sistemò più vicino ancora
aggrappata al suo braccio, quindi cercò i suoi occhi
sollevandogli il mento «Dovresti parlargli di questo
sogno» gli suggerì
«A chi?»
«Al tuo marito impossibile» rispose con convinzione
e Stiles esplose in una risata travolgente
«Se ti avessi detto chi è, sapresti che questa
è istigazione al suicidio! E so che alle volte non sembra
così, ma ci tengo alla mia vita»
annaspò quando riebbe fiato per parlare
«Non ho bisogno che tu me lo dica per sapere chi
è, Stiles» mormorò e i suoi occhi
supportavano quella verità in un modo così
potente che Stiles smise di respirare per un lungo istante prima che la
realizzazione lo colpisse in pieno
«Mi si legge in faccia, vero? - ansimò
terrorizzato - Mi si legge in faccia e invece io non me ne sono mai
accorto!» biasimò se stesso sentendosi ancora
più ridicolo, se mai questo fosse possibile.
«Non te l’ho letto in faccia» lo corresse
Lydia
«E allora come fai a saperlo?»
«L’ho letto nella sua» disse pianissimo
immergendosi ancora più in profondità degli occhi
atterriti di Stiles che la fissava pietrificato.
«Stiles,
ero con Scott quando lui ci ha chiamato per dirci
che ti aveva trovato. Scott è corso subito sul posto, ma io
ho preferito andare ad aspettarti in ospedale»
iniziò a raccontare leggendo nelle iridi offuscate del
ragazzo le domande che non trovavano suono, strette in gola in un nodo
acuminato che sembrava soffocarlo «Ero lì quando
siete arrivati, ma non riuscivo a guardarti: eri ricoperto di sangue e
così pallido… Sono rimasta lì,
immobile, con il terrore di sentire l’urlo risalirmi in gola
- le si strozzò tra le labbra mentre la voce le veniva meno
- Sarei impazzita se fosse successo: non avrei mai potuto sopportare di
perdere anche te» tremò ancorata al bronzo fuso
degli occhi di Stiles che intrecciò le dita alle sue e se le
portò sul petto.
«Avevo
bisogno di concentrarmi su qualcos’altro
perciò ho guardato lui - riprese inspirando profondamente -
Mi sono focalizzata sul suo viso pensando che sarebbe stato
più facile mantenere la calma, ed è stato allora
che l’ho letto»
«Lydia, era solo preoccupato» minimizzò
Stiles con la voce graffiata da quella consapevolezza, ma Lydia lo
interruppe e continuò il suo racconto con davanti agli occhi
l’immagine ancora nitida di ciò che aveva visto.
«I
paramedici ti hanno letteralmente dovuto strappare via
dalle sue braccia quando siete arrivati, e quando ti hanno allontanato
da lui, io ho sentito il suo lutto e il bisogno di urlare per lui
scorrere nel mio sangue, come se avesse la morte dentro»
«Era solo il senso di colpa - sussurrò Stiles
sforzandosi di razionalizzare - Temeva di avere un’altra
morte sulla coscienza»
«Non era senso di colpa - contestò decisa - Erano
dolore e paura, gli stessi che ho visto riflessi sul tuo viso mentre
Scott ti raccontava ciò che è accaduto e tu hai
temuto che lui non fosse sopravvissuto» soggiunse
disarmandolo.
«Era senso
di colpa, anche il mio» si
ostinò a ribadire perché quando ci si ritrova
completamente indifesi, mentire può sembrare
l’unica strada possibile per non essere schiacciati dal peso
della verità
«Certo - sospirò per nulla persuasa svincolandosi
dalle sue dita - Puoi non riconoscerlo e credere a qualunque altra
spiegazione, ma questo non rende ciò che ho visto meno
vero»
«Anche se tu avessi ragione, non cambierebbe il fatto che
niente di ciò che io ho visto in quel sogno era
vero» evidenziò snervato lasciando cadere le mani
ora vuote sul grembo
«Forse non ancora» lo corresse fiduciosa
«Lydia, forse non mi sono spiegato bene: è
impossibile» sbuffò stanco e provato Stiles
«Per essere un ragazzo così intelligente, come
puoi essere così cieco e inconsapevole? - sbottò
Lydia spazientita piantandogli addosso uno sguardo arso di
disapprovazione - Forse quello che a te sembra
impossibile, non lo è, sai? E di certo non lo è
ai miei occhi» specificò prima di riversargli
addosso il suo appello frustrato perché iniziasse a
ragionare, finalmente, su quanto a lei pareva invece così
possibile e, in modo sempre più nitido, perfino ovvio.
«Forse quel futuro esisterà,
magari non esattamente così come l’hai visto, ma
molto probabilmente con quel marito che a quanto pare lo
saprà rendere “perfetto” -
scandì per bene mentre la frustrazione cedeva il passo alla
tenerezza - E forse quei bambini sono davvero da
qualche parte che aspettano che i loro papà si decidano a
smettere di comportarsi da idioti e avere paura di essere felici, e li
mettano al mondo»
«Se sapessi come sono venuti al mondo,
non diresti così» sbuffò con una risata
morbida per smorzare l’entusiasmo della ragazza che invece
inarcò un sopracciglio mentre un bagliore caldo accendeva il
suo sguardo
«Vi ho aiutati io, no?» immaginò come se
fosse scontato, destabilizzandolo
«Stiles - gli sussurrò sfiorandogli il viso
contratto in un’espressione completamente smarrita - Davvero
pensi che permetterei ad un’altra di mettere al mondo i tuoi
figli?» gli fece presente senza alcuna esitazione
racchiudendo in un sorriso splendido anche tutte le altre ragioni che
erano
sottese a quella sua straordinaria promessa e che scossero il cuore di
Stiles liberandolo tra le sue labbra
«Sai che sono stato innamorato di te per gran parte della mia
vita?» le disse infatti intrecciando la mano alle sue dita
«Sì, non eri molto sottile» lo prese in
giro
«Beh, credo che continuerò ad esserlo per tutta la
vita» le dichiarò ed era assolutamente vero
«Cerca di farlo discretamente però,
perché non voglio essere sbranata da un marito mannaro
possessivo» suggerì dissimulando
l’emozione sapida che le spasimava nel petto.
Stiles
ridacchiò e le immagini di suo marito gli invasero la
mente, ma stavolta lasciarsene sommergere fu inaspettatamente meno
doloroso «Lo era davvero, lo sai? - condivise quei ricordi
con l’amica - Era molto, molto possessivo e lo ero
anch’io» aggiunse con una punta
d’imbarazzo «C’era un legame fortissimo
tra noi - continuò a raccontare - Mi mancava letteralmente
il respiro quando non era con me, però riuscivo comunque a
sentirlo sotto la mia pelle anche quando era lontano, era come se
vivesse dentro di me… e per buona parte del tempo lo faceva
davvero» rivelò con sorrisetto malizioso che
ostentava un certo disinibito orgoglio: peccato che fosse arrossito
furiosamente stemperando un po’ l’effetto
spregiudicato delle sue intenzioni.
«Bene, immagino che quando parlavi di un sogno molto vivido e
intenso, ti riferissi anche a questo, vero?- suppose con un ghigno
soddisfatto - Quindi tuo marito era proprio perfetto
in tutto, eh?» sorrise maliziosa
«Un gentiluomo sa sempre quando tacere - la ripagò
stando al gioco - Dunque non parlerò della mia vita
coniugale con te»
«Andiamo! - lo esortò stizzita -
Porterò in grembo i vostri figli, dunque non puoi negarmi
mai più niente» gli notificò e Stiles
iniziò a temere di aver firmato la sua condanna
«Hai intenzione di usare questa cosa per farmi diventare il
tuo schiavo?»
«Ovviamente - rimarcò scrollando le spalle - E ora
rispondi» gli ordinò categorica
«Non lo so, quella parte non l’ho vista -
confessò - Ho visto il prima e il dopo, ma mi manca
ciò che è successo in mezzo» le
confidò e se ci fosse stata una nota di rammarico nella sua
voce, nessuno potrebbe fargliene una colpa: sognare di essere sposati
con Derek Hale senza beneficiare di un’anteprima dettagliata
delle cose che avrebbe potuto fare al suo corpo, sarebbe bastato di per
sé a trasformare qualsiasi sogno in un terribile incubo.
«Cosa? -
sbatté le palpebre incredula - Non posso crederci: hai
un inconscio puritano!» desunse nauseata roteando gli occhi
«No! - si difese punto nell’orgoglio,
perché in Stiles Stilinski c’era poco di
“puritano”, e chiunque avesse dato uno sguardo alle
sue fantasie, avrebbe potuto confermarlo - Non è che non ho
visto proprio niente, qualcosa abbiamo fatto , ma non proprio il...
servizio completo… Comunque diciamo che anche se non ho
termini di
paragone di nessun tipo, lui mi è sembrato molto, molto perfetto
da quel punto di vista»
farfugliò arrossendo nuovamente.
«Ottimo -
si congratulò Lydia - Ora,
però, ti prego di darmi retta: rimettiti in forze, ascoltati
bene dentro e poi corri a prenderti tutto ciò che
renderà il tuo futuro perfetto» gli
consigliò fissandogli dietro le orecchie le ciocche di
capelli indisciplinate e poi osservando soddisfatta il risultato con
fare materno
«Non sono ancora pronto e forse non lo sarò mai, e
non solo perché lui non mi vuole, ma anche perché
non sono sicuro di volerlo neppure io - ammise con un certa qual
tenerezza verso se stesso - Ciò che sento adesso potrebbe
essere solo suggestione o la commozione cerebrale, e quando mi
passerà prenderò tutto quello che ho visto quella
notte per quello che è: un assurdo ma bellissimo
sogno» sospirò abbassando lo sguardo e
c’era una nuova serenità nella sua voce per cui
Lydia sorrise morbida e si risistemò al suo fianco
aggrappandosi al suo braccio.
«Ti va di
raccontarmelo tutto?» gli chiese posando
la testa sulla sua spalla
«Magari un’altra volta, ora sono stanco»
rispose Stiles schiudendo le labbra sui suoi capelli in un bacio
impercettibile
«Oh, hai ragione, scusami, dovresti riposare -
mormorò mortificata alzandosi immediatamente dal letto -
Vado via subito» aggiunse mentre si sistemava la gonna
lievemente sgualcita e calzava nuovamente le sue scarpe rosso fuoco
«Aspetta - la fermò Stiles costringendola a
sedersi nuovamente sul letto - Grazie» sussurrò
con un sorriso luminoso che rivelava senza dubbio quanto si sentisse
meglio adesso, ed era merito suo, ma Lydia, come accade solo agli amici
veri, non aveva bisogno di riconoscimenti: quel sorriso senza ombre era
il miglior ringraziamento possibile.
«Cerca di
dormire - gli sorrise lambendo il dorso della sua
mano con una carezza leggera - E magari potresti sognare cosa
c’è tra quel prima e dopo che il tuo inconscio ha
censurato» bisbigliò ammiccando
«Non credo che lo farò» rise Stiles fin
troppo accaldato anche solo al pensiero: avrebbe aspettato di farlo
quando fosse stato nell’intimità della sua stanza,
dove avrebbe potuto gestire e risolvere con la dovuta privacy le
eventuali conseguenze di quel genere di sogni.
«Hai ragione: perché sognarlo, quando potresti
viverlo molto presto?» osservò con un ghigno
beffardo
«Lyd…»
«Shhh, non obiettare - lo interruppe serrandogli la bocca con
un dito - Sai qual è stata la cosa più assurda
che ho sentito in tutta questa storia?» gli chiese
liberandogli la bocca dalla censura del suo indice
«Che io possa avere una vita sessuale?»
ironizzò, anche se per lui questo rientrava in effetti nella
top five delle assurdità del suo sogno
«No - ridacchiò Lydia - La cosa più
assurda è che tu pensi che lui non sia alla tua
portata»
«Ma mi hai visto?» si schernì il ragazzo
gesticolando freneticamente verso il suo corpo
«Sì, è questo il punto»
ribatté senza scomporsi dopo una breve panoramica su ogni
angolo del ragazzo che si sentì inevitabilmente a disagio
«Tu non mi hai mai voluto» le fece notare ed era
un’ottima argomentazione per confutare la tesi della ragazza
«Perché compenso la mia grande intelligenza con
pessime scelte sentimentali - ammise con rassegnata consapevolezza - E
poi i fidanzati vanno e vengono, invece io voglio averti nella mia vita
più a lungo di qualsiasi altro uomo»
mormorò velandosi di un imbarazzo pudico che rendeva quel
proposito ancora più vero e radicato.
«Mettere
al mondo i miei figli, potrebbe essere un buon
modo» le sorrise lusingato
«Già! - cinguettò entusiasta -
Però tu e il tuo marito mannaro dovrete decidervi a far
nascere quei tre bambini prima che io compia trent’anni e la
mia pelle inizi a perdere tono: scusami, ma non ti amo abbastanza per
deturpare la perfezione del mio incarnato con delle
smagliature» lo informò inorridendo al solo
pensiero
«Quindi ho meno di tredici anni di tempo per convincere un
sociopatico che vorrebbe strapparmi la gola con i denti ad amarmi in
quel modo, sposarmi e mettere su famiglia con
me? - ricapitolò sarcastico - Okay, posso
farcela!» concluse ridacchiando
«Ottimo atteggiamento, ma credo che te ne basteranno molti,
molti di meno - gli garantì alzandosi dal letto -
Buonanotte» lo salutò baciandogli la fronte
«Buonanotte» rispose Stiles osservandola incantato
scivolare leggera e bellissima oltre la porta.
Era davvero troppo stanco per ragionare su ciò che gli aveva
raccontato Lydia, perciò decise di rimandare a domani, o a
quando avrebbe avuto più chiari i suoi sentimenti al
riguardo, quindi probabilmente a mai.
Spense la luce e scivolò dentro le lenzuola con un sorriso
soave sul volto, e un attimo dopo era già sprofondato in un
lungo sonno senza sogni.
Stiles si risvegliò nel cuore della notte con la gola arsa:
raccattò a tentoni la bottiglietta
d’acqua e
bevve avidamente, poi si sistemò nuovamente sul cuscino
deciso a rimettersi subito a dormire, ma finì invece per
rigirarsi a lungo nel letto.
Quando finalmente stava per ricadere tra le braccia di Morfeo, una
risatina soffocata catturò la sua attenzione e si tese in
ascolto: c’era qualcuno oltre la sua porta che tentava di
parlare con tono sommesso.
«Speravo
di rivederti» gli
parve di sentire, ma non era una voce che conosceva
«Hai solo mezzora prima che il mio collega
ritorni» continuò la stessa voce e la
curiosità del ragazzo iniziò a risvegliarsi in
tutta la sua prepotenza
«Grazie» rispose secco il suo
interlocutore e Stiles avrebbe riconosciuto quel tono burbero ovunque.
Derek Hale era
dietro la porta della sua stanza e il suo cuore
iniziò a fibrillare.
«Sono un poliziotto, siamo sempre disponibili a
dare una mano ai cittadini - rispose la prima
voce - Per
qualsiasi loro esigenza» aggiunse e, per quanto
Stiles non fosse ferrato in materia, quello era un tono seducente.
Derek Hale era
dietro la porta della sua stanza, un poliziotto flirtava
con lui, e il cuore di Stiles non sembrava gradire.
«Okay agente»
mormorò e forse sorrise?
Derek Hale era
dietro la porta della sua stanza, un poliziotto flirtava
e lui probabilmente lo incoraggiava, e il cuore di Stiles decisamente
non gradiva.
«Chiamami Christian, per favore»
insistette seducente l’agente che di sicuro era quello nuovo
e giovane che aveva visto alla Centrale la settimana prima e
probabilmente ci sapeva fare molto più di lui con il
flirting. Va bene, chiunque ci sapeva fare molto più di lui
quanto a flirting, ma in quel momento Stiles non aveva bisogno di
mortificarsi oltre.
«Grazie Christian»
sussurrò Derek, e quello era un tono roco o cosa? Dove erano
finiti i suoi soliti grugniti e i brontolii che invece sfoderava sempre
con lui?
Derek Hale era
dietro la porta della sua stanza, un poliziotto flirtava
spudoratamente e lui lo incoraggiava esplicitamente, e il cuore di
Stiles iniziava a detestare entrambi.
«È il tuo fidanzato?»
domandò l’affascinante Christian e il respiro di
Stiles si inceppò.
«Cosa? No! - e Stiles non aveva bisogno
di essere un lupo mannaro per riuscire a percepire lo stupore e
probabilmente anche il disgusto che impregnava quelle parole - È
un ragazzino!» aggiunse sbuffando una risata
leggera che tuttavia affondò fredda e tagliente nel petto
del ragazzo.
«Oh, bene» sospirò
sollevato l’agente, ma Stiles non ascoltava più.
Derek Hale era
dietro la porta della sua stanza e tutte le insicurezze
di Stiles bruciavano ai bordi dei suoi occhi.
Ignaro della ricaduta delle sue parole su Stiles, Derek
entrò silenziosamente nella sua stanza richiudendo
delicatamente la porta dietro di lui. Non appena varcò la
soglia fu investito dall’onda aspra di dolore che permeava
l’aria rendendola irrespirabile ai suoi sensi e intollerabile
al suo lupo in modo così netto da farlo guaire, ma era un
genere di reazione sulle cui cause era fortemente deciso a non
indagare.
D’istinto corse invece a lenire quella sofferenza,
come del resto aveva fatto ogni notte da quando aveva trasportato
lì Stiles, intrufolandosi nei corridoi ormai deserti del
reparto quando lo sceriffo e il resto dei ragazzi erano andati via e
poteva aggirare facilmente il controllo degli agenti di guardia, o
almeno di uno di essi. Non era orgoglioso di sé per aver
dovuto sfoderare il suo fascino sul giovane agente, ma non era la prima
volta e poi, come recita il proverbio, Tutto è lecito in
guerra e in... quell’altra cosa lì.
Stiles sperò che Derek fosse lì per un rapido
controllo e andasse via non appena lo scrupolo di coscienza fosse stato
appagato: cercò dunque di stare immobile e sperare che il
battito irregolare del suo cuore calpestato non lo tradisse. La mano di
Derek era calda e solida, ma inaspettatamente delicata mentre sfiorava
la ferita alla nuca e poi intensificava il contatto per assicurarsi
un miglior risultato quando avesse iniziato a prendere su di
sé parte di quel dolore.
Stiles rabbrividì e
dovette soccombere all’evidenza: era un gesto gentile e
premuroso, e meritava la sua riconoscenza esplicita e di sapere che non
avrebbe dovuto torturarsi oltre perché era fuori pericolo e
non aveva più bisogno di queste premure.
Raccolse dunque il suo coraggio e sperò che la voce non lo
tradisse.
«Puoi smettere di farlo» sussurrò nel
silenzio e Derek si staccò dalla sua pelle come se fosse
stato bruciato
«Ti sei svegliato» realizzò e Stiles non
volle soffermarsi su quanto la sua voce suonasse sollevata e dolce
«Eri qui con me quando è successo,
giusto?» gli ricordò anche se non era sicuro di
non aver sognato anche questo
«Pensavo…» di averlo sognato
risuonò nella sua testa «Non importa -
mormorò invece, ritraendosi dentro suoi soliti muri - Come
stai?» domandò incerto
«Bene» rispose Stiles accendendo la luce tenue
sopra di lui e voltandosi finalmente a guardarlo: sembrava davvero
preoccupato, oltre che bellissimo.
«E credo di dover
ringraziare te per questo - continuò senza lasciare i suoi
occhi - Sai, per avermi trovato in tempo e per questa cosa del
dolore» spiegò sorridendogli debolmente
perché non poteva avercela con lui solo perché lo
vedeva esattamente per quello che era: un ragazzino.
Derek si
accigliò in un’espressione scettica, poi
fece un ulteriore passo indietro col capo chino: come Stiles aveva
facilmente previsto, si riteneva colpevole di ciò che gli
era accaduto e, nonostante tutto, il ragazzo non riuscì ad
impedirsi di esserne intenerito e di rassicurarlo
«Non è stata colpa tua»
affermò deciso
«Certo che è stata colpa mia, cercavano
me!» contestò con la voce strozzata dalla rabbia
«Sei stato tu a rapirmi o a farmi questo? -
domandò Stiles gesticolando lungo il suo corpo, anche se non
erano certo quelle le ferite più profonde - No, allora
smettila di colpevolizzarti!» lo scongiurò
benché sapesse benissimo di avergli chiesto
l’impossibile.
Derek tuttavia non insistette oltre, ma
inspirò profondamente e si avvicinò ai piedi del
letto.
«Perché
non hai detto loro che non sapevi dove
fossi sparito?» chiese Derek appoggiando le mani alla sponda
del letto come se fosse una barriera a cui ancorarsi
«Perché avrebbero capito che mentivo»
rispose Stiles, ed era lo stesso motivo per cui ora gli stava dicendo
la
verità
«Tu lo sapevi?» domandò incredulo e il
tono sembrava decisamente un’accusa
«In una riserva in Alaska?» bisbigliò
colpevole Stiles torturandosi le dita e non osando alzare lo sguardo
sul lupo
«Non posso crederci! - sbottò artigliando la barra
metallica che bordava la sponda del letto - Tu sapevi dove fossi e
anziché dirlo e farla finita, ti sei fatto quasi…
uccidere?» sputò quell’ultima parola con
un lamento basso a lungo trattenuto che artigliò il petto di
Stiles.
Non era una domanda,
perché sapevano entrambi che era andata
esattamente così, ma Stiles annuì comunque,
ancora con la testa china e lo stomaco stretto in una morsa dolorosa.
«Dio, come si può essere così
stupidi?» tuonò Derek
«Inizio a chiedermelo anch’io!» esplose
risentito Stiles alzando finalmente lo sguardo, perché pur
avendo una certa vocazione per il martirio, non meritava di essere
considerato uno stupido per avergli voluto salvare la vita, e Derek lo
sapeva a giudicare dall’espressione mortificata che
lampeggiò brevemente sul suo viso prima di incupirsi
nuovamente nel suo solito cipiglio.
«Comunque
- riprese Stiles recuperando la calma - Anche se
avessi dato loro le informazioni che volevano, dubito fortemente che mi
avrebbero lasciato andare, anzi forse mi avrebbero ucciso subito dopo
perché, non so se te ne sei accorto, non erano esattamente
dei modelli di lealtà e rispetto» gli fece notare
sarcastico.
Derek annuì in accordo e, per fortuna di Stiles,
dimenticò di chiedergli come facesse a sapere dove si
trovava visto che era sicuro di non aver informato nessuno.
«A
proposito di questo - mormorò Stiles agitandosi
- Scott mi ha detto che quando è arrivato in quel magazzino,
erano tutti morti… sei stato tu?» chiese esitante.
Derek distolse subito lo sguardo abbassando la testa e restò
in silenzio, eppure nessuna risposta avrebbe potuto essere
più eloquente.
«Quindi sei di nuovo un alfa?» domandò
per averne conferma
«No» rispose deciso, dunque Scott avrebbe potuto
avere ragione ad insistere sul fatto che fosse ancora un beta
«Ma uno di loro era un alfa e se l’hai ucciso ora
dovresti esserlo anche tu» cercò di capire il
ragazzo, ma Derek sembrava sfuggente sulla questione e anche infastidito
«Come è possibile?» lo pressò
Stiles
«Forse lo sono stato - rispose dopo un lungo respiro
combattuto - Ma ora non più»
«Hai perso i poteri? Come?» sussultò il
ragazzo, ma Derek restò anche stavolta in silenzio e
sembrava ancora più a disagio mentre lo implorava con lo
sguardo di smettere di fargli domande e fu allora che la realizzazione
colpì Stiles come un uragano
«Li hai usati per salvarmi, vero?»
annaspò e non era neppure una domanda e forse per questo
Derek non rispose
«Hai rinunciato al potere per salvare me?»
rabbrividì e anche stavolta non era una domanda, e Derek
tacque ancora contraendo la mascella e aggrappandosi più
saldamente alla barra del letto che sembrava doversi spezzare da una
momento all’altro
«Dio, come si
può essere così
stupidi?» lo prese in giro Stiles parafrasando
le sue parole
e gli angoli della bocca di Derek si curvarono leggermente prima di
riacquistare la solita plumbea compostezza.
«Non mi
interessa il potere, non più -
sussurrò serio affondando di nuovo negli occhi del ragazzino
che lo scrutavano venati da un calore intenso e accogliente che per
qualche ragione lo disturbava - E poi non sono tagliato per essere
l’alfa» aggiunse bruscamente svilendosi
«Ti sbagli» obiettò Stiles senza
riflettere, con un sorriso privato mentre ridipingeva il Derek del suo
sogno sulle linee dure del Sourwolf che aveva davanti: quando si
accorse dell’espressione confusa dell’uomo, era
troppo tardi per dissimulare, perciò si tinse
d’imbarazzo e iniziò a formulare una spiegazione
all’inevitabile domanda che sentiva incombere.
Derek, però, non chiese nulla, anzi sembrava altrettanto in
imbarazzo.
«E,
comunque, grazie» strascicò tra le
labbra Stiles rompendo il silenzio. Non si aspettava certo
che accettasse la sua gratitudine, sarebbe stato come
affermare
implicitamente di esserne meritevole, tuttavia si sentì
più leggero dopo averlo detto, anche se forse non era stato
questo il prezzo più alto che Derek aveva pagato in questa
vicenda, e Stiles era intenzionato a scoprirlo subito.
«E
Jackson?» gli domandò attendendo in
apnea la risposta
«Non ti farà più del male»
rispose bruscamente
«L’hai ucciso?» scandì quasi
senza voce
«Non ancora» sibilò tra i denti e Stiles
riprese a respirare: se c’era una qualche finalità
in quel sogno, a parte quella di fornirgli un paragone inarrivabile con
cui misurare il suo reale futuro e così condannarlo
all’insoddisfazione perenne, forse era quella di prevenire un
errore. Uccidere Jackson sarebbe stato un errore, lo sapeva il Derek
futuro, più maturo e consapevole, e forse anche quello
presente, anche se non era riuscito ancora a domare l’istinto
per leggere attraverso le cose con la giusta chiarezza e quella
premurosa cura di sé che non era più stato capace
di concedersi da troppo tempo.
Stiles non dovette neppure lottare con se stesso per stabilire se fosse
opportuno o meno attribuirsi il diritto di intervenire,
perché le parole trovarono la strada da sole, guidate da una
necessità pressante che sentiva sgorgare da ogni parte di
sé: doveva proteggerlo. Anche da se stesso.
Finché non avesse iniziato a volersi abbastanza bene da
farlo da sé.
«Non
farlo» lo esortò supplendo con
un’insolita sicurezza nello sguardo al tremolio che
vibrò nella sua voce
«Perché?» grugnì spazientito
«Perché non sei un assassino» rispose
deciso
«È un po’ tardi per pensarci, non
credi?» ironizzò
«Beh se ti riferisci a quei quattro che mi tenevano
prigioniero, erano assassini, creature malvagie e pericolose, nessuno
potrebbe biasimarti per averli eliminati, l’avrei fatto io,
se solo avessi potuto»
«Jackson era il loro capo - sottolineò Derek -
dunque lui dava loro gli ordini»
«Sì, ma loro non li hanno rispettati -
contestò Stiles - Senti, io non sapevo che ci fosse Jackson
dietro a tutto ciò, ma ero lì quando questo loro
capo li chiamava per dare disposizioni e li sentivo discutere.
L’ordine era chiaro: avrebbero dovuto farmi parlare, ma senza
farmi del male. Ovviamente loro non erano d’accordo e hanno
preso delle iniziative personali» rivelò, ma non
si illuse neppure per un istante che Derek avrebbe ceduto.
«Questo
non lo solleva dalle sue
responsabilità» dichiarò infatti il
lupo con palpabile disprezzo
«Non dovresti farlo neanche tu - lo accusò e, di
fronte all’espressione confusa di Derek, si spiegò
meglio - Intendo: non dovresti sollevarti dalle tue
responsabilità»
«Mi sono sempre assunto le mie responsabilità -
riaffermò seccato - E ne ho pagato il prezzo»
«Anche Jackson è una tua
responsabilità, Derek - osservò Stiles
ammorbidendosi - È stato il tuo primo beta e non puoi
archiviarlo come un errore a cui rimediare uccidendolo»
cercò di farlo ragionare
«Lui mi odia, me lo ha reso molto chiaro, farà di
tutto per rendere la vita un infermo a me e a tutte le persone a cui
tengo» ringhiò sommesso con gli occhi fiammanti di
rabbia blu
«Ti odia perché crede che sia tu il responsabile
del fatto che la sua vita ora non è come se l’era
immaginata, ma si sbaglia e tu devi spiegargli perché - gli
suggerì con tutta la dolcezza di cui era capace - Jackson
deve imparare a conoscere e controllare la sua potenza, a domare il suo
lupo e spetta a te insegnarglielo. Lui ha bisogno di un alfa e tu sei
il suo, lo sarai sempre» gli ricordò
sorridendogli e non fu affatto facile concentrarsi su ciò
che desiderava dirgli mentre lui lo guardava con
un’intensità penetrante che gli svuotava la testa
e riempiva altre parti di sé che rischiavano di metterlo in
ulteriore imbarazzo molto presto se non avesse distolto lo sguardo:
eppure non riuscì a lasciare i suoi occhi e spezzare quel
legame che sentiva ricostituito della stessa sostanza del suo sogno.
«Jackson
deve sapere che ha un punto di riferimento, un
branco, una famiglia su cui poter contare sempre, credo sia
ciò di cui ha bisogno, e non solo lui - riprese a parlare e
forse la sua voce tentennò qui e là, ma non
avrebbe potuto essere più sicuro di ciò
che diceva - Magari non riuscirai a farne un lupo perfetto e
probabilmente diventerà un altro Peter psicotico che dovrai
tenere sotto controllo, ma devi provarci o sai già che te ne
pentirai e ti darai la colpa anche di questo per il resto della tua
vita» lo
incoraggiò paziente e limpido come la realizzazione che
sfavillò negli occhi di Derek nel sentirsi disarmato ed
esserne tutt’altro che spaventato.
«Va
bene» soffiò senza voce
«Va bene?» proruppe sgomento Stiles
«Hai ragione» aggiunse Derek e fu sorprendentemente
facile ammetterlo
«Cosa? - sgranò gli occhi incredulo - La mia
commozione cerebrale è peggiore di quanto dicono i medici: tu
hai appena detto a me che ho ragione?»
scrollò la testa con enfasi e un sorrisetto beffardo
«Non abituartici» lo avvisò Derek e un
certo divertimento ballò sulle sue labbra, qualcosa a cui
Stiles avrebbe tanto voluto abituarsi.
«Hai preso
la decisione giusta - mormorò
soddisfatto - Questo è l’unico modo per
assicurarti che Jackson non sarà mai una minaccia per te e
la tua famiglia anche in futuro» continuò dando
voce ai suoi pensieri e maledicendo la sua patologica assenza di filtri
tra bocca e cervello non appena gli occhi di Derek si ampliarono
smarriti.
«La mia
famiglia in futuro?» ripeté
flebilmente
«Beh, quella che avrai se ne vorrai una… O,
insomma, non lo so, facevo per dire» arrancò
goffamente Stiles
«Stiles…» cercò di frenare
quell’inutile sproloquio
«La metà delle cose che dico non ha senso -
continuò invece a farfugliare Stiles - E ora ho
anche una ferita alla testa, perciò dovresti dare ancora
meno peso a…»
«L’ho visto» buttò fuori in un
solo fiato aggrappandosi nuovamente alla sponda del letto
«Cosa?» domandò terrorizzato
«Tutto» annaspò Derek e il mondo di
Stiles si capovolse di nuovo.
O forse era appena esploso.
«La notte
scorsa ero
venuto a vedere come stavi - raccontò con un tono lacerante
- Ad un certo punto hai iniziato ad agitarti
e ho pensato che ti stessi risvegliando, poi però ho visto
che avevi un’espressione sofferente e ho pensato che sentissi
dolore perciò mi sono avvicinato per darti sollievo, ma
quando ho messo la mano sulla ferita ho sentito una connessione ed
è come se fossi entrato nella tua testa, o tu nella mia, non
lo so…. So solo che ho visto quello che hai visto tu. Tutto
quanto» concluse senza quasi più voce cercando di
leggere ogni minima sfumatura sul volto pallidissimo di Stiles che
però sembrava pietrificato a differenza del suo cuore che
gli deflagrava frenetico in petto.
«Stiles?»
si preoccupò avvicinandosi
«Vai via» sussurrò a corto di fiato
«Cosa?»
«Ho detto: vai via. Ora!» gli ordinò con
più tono
«Stiles…» sussurrò facendosi
ancora più vicino, ma Stiles si ritrasse richiudendo le
braccia sul petto per farsene scudo
«No - lo fermò - Vattene subito o mi metto a
urlare» gli intimò con gli occhi in fiamme
sentendosi morire di imbarazzo e mortificazione
«Stiles, dobbiamo parlarne» insistette Derek
visibilmente insofferente alla reazione del ragazzo
«E di cosa? Non abbiamo niente da dirci - si oppose deciso
mentre combatteva una feroce battaglia dentro di sé per non
crollare - Anzi, ascoltami: io sto bene. Domani mattina sarò
dimesso e tornerò a casa, quindi puoi smettere di sentirti
in colpa e di preoccuparti per me e tornare in Alaska o dove diavolo
preferisci, magari porta Jackson con te, io starò
bene»
«Stiles, cerca di essere ragionevole»
tentò di dissuaderlo
«Io sono ragionevole -
sottolineò con rabbia - infatti non voglio parlare di una
cosa che non esiste e che avrebbe dovuto essere privata: avresti dovuto
togliere subito quella maledetta mano e andartene, non si violano i
sogni altrui» sussurrò odiando come la sua voce si
ruppe infierendo anche ai bordi dei suoi occhi.
«Non era un sogno» mormorò Derek
«E che cos’era? La fantasia morbosa di un ragazzino?»
gli sputò addosso bilioso
«No, ma…» ansimò mortificato
Derek, e Stiles immaginò quanto dovesse essere stato
sconcertante per lui vedere se stesso nei panni del marito innamorato e
dell’amante impetuoso dei sogni di qualcuno come lui
«Senti, mi dispiace che tu abbia dovuto vedere quello che hai
visto, immagino sia stato… - disgustoso
tuonava nella sua testa - sconcertante, ma ti assicuro che non so
perché era nella mia testa, io.. io non avevo mai sognato
niente del genere, e non ho mai voluto niente del genere…
perciò ora vai» lo invitò ricacciando
indietro le lacrime.
«Stiles…»
ritentò ancora
Derek, e la sua voce ormai non era che un graffio lamentoso, ma Stiles
lo
voleva fuori di lì subito.
«Ti diverti ad umiliarmi? - incalzò stremato
mentre l’avvilimento e l’umiliazione iniziavano a
fluire salati tra le sue ciglia, incapaci di trattenerli oltre - Ti ho
chiesto scusa, non posso fare altro. Mi dispiace, va bene? Ora
però vai via, ti prego» gli
tremò in gola e quelle parole di conficcarono nel petto di
Derek: ogni fibra di sé gli impose di assecondarlo,
così chinò la testa e uscì con un
gemito frustrato.
Non appena Derek fu
fuori dalla porta, l’aria divenne
più respirabile per Stiles che era ben consapevole di aver
esagerato, di essere stato troppo emotivo e patetico, ma era stato
colto alla sprovvista: non era ancora pronto ad affondare dentro i
significati e i sentimenti coinvolti in ciò che aveva visto
quella notte, neppure con se stesso.
Solo
qualche ora prima aveva discusso con Lydia circa
l’eventualità di raccontare quel sogno a Derek, e
forse l’avrebbe fatto, con i suoi tempi e limando
opportunamente le parti più imbarazzanti, e invece la sorte
subdola aveva deciso per lui e si sentì defraudato
dell’intimità dei suoi pensieri, nudo in un senso
così profondo da avergli aperto una voragine sotto i piedi
e, davanti a quel vuoto, aveva perso l’equilibrio.
Sapeva di essere stato ingiusto con Derek che non aveva alcuna colpa,
anzi era stato fin troppo gentile a limitarsi a chiedere spiegazioni
pur avendo tutte le ragioni per risentirsi, eppure sul suo viso non
aveva letto né scherno né disprezzo né
accuse, anzi, ora che riusciva a ragionare più lucidamente,
riconobbe solo preoccupazione e una certa inquietudine che era
completamente comprensibile e che era anche sua.
Sì, era
stato esagerato, ingiusto e immaturo, ma nel
silenzio buio del suo letto d’ospedale si disse che il lato
positivo di essere considerato un ragazzino, fosse potersi permettere
di comportarsi come tale senza deludere nessuno.
Stiles si
girò e rigirò a lungo nel letto prima
che il suo battito di acquietasse e riuscisse a riaddormentarsi.
Quando
lo fece non seppe di aver restituito la pace anche a Derek che era
salito sul tetto dell’ospedale
ad attendere col cuore in gola che ritrovasse la serenità
che lui gli aveva rubato, ancora una
volta.
Cullato dal ritmo lento del cuore di Stiles, illuminato dal volto
materno della luna, Derek avrebbe vegliato su di lui per
il resto della notte sdraitato su quel tetto dove aveva
trascorso tutte le sue notti da quando quel ragazzino aveva rischiato
di
morire tra le sue braccia, e lui di impazzire per questo.
Il mattino dopo Stiles fu dimesso con un tutore al ginocchio destro, l’ordine tassativo di riposare e due uomini determinati a ricoprirlo di premure e attenzioni.
Scott era infatti
già
lì quando arrivarono a casa e per tre giorni si
accampò nella sua stanza armato di videogiochi e tutte le
intenzioni di viziarlo: Stiles capiva che, al di là
dell’affetto che li legava, il suo migliore amico avesse
bisogno di rimediare ad un torto che sentiva di avergli fatto non
essendo riuscito a proteggerlo prima e a salvarlo poi, come avrebbe
dovuto. Il giovane Stilinski si lasciò dunque coccolare e
soffocare dalla premura esasperata del ragazzo, finché il
bisogno di respirare ebbe la meglio e, con il dovuto tatto, gli chiese
una tregua che, ovviamente, Scott non gli concesse costringendolo a
buttarlo fuori di casa con la complicità di qualcuno che si
sostituì volentieri a lui nell’essere oggetto
delle zelanti accortezze e dell’interesse esclusivo e
deferente del giovane lupo.
Suo padre lo
accompagnò alla Centrale quella sera stessa per la sua
deposizione
e il riconoscimento dei suoi rapitori. Come aveva sperato, la procedura
fu veloce e stramente indolore.
Con l’archiviazione del caso,
lo sceriffo si concesse una settimana di ferie per restare al fianco di
suo figlio, accudirlo, difenderlo
dall’iperprotettività di Scott e del resto del
branco, garantirgli la tranquillità perché
guarisse dalle sue ferite e braccia pronte a sorreggerlo e ad
ascoltarlo, se ne avesse avuto bisogno, ma soprattutto volle essere
lì solo per lui giorno e notte per assicurarsi che sapesse
sempre di essere la persona più importante della sua vita,
il suo più grande amore.
Ognuno con i suoi
tempi e i suoi modi, tutti i suoi amici gli fecero
visita e così anche i membri del branco.
Tutti tranne Derek,
ma non poteva certo fargliene una colpa visto il modo in cui l’aveva
trattato, inoltre forse
quella distanza era
quanto di meglio potesse augurarsi per andare avanti con la sua vita e
lasciarsi alle spalle l’impossibile.
Una volta che Scott fu distratto dalle lusinghe sentimentali di Cupido,
Lydia si sostituì a lui come dama di compagnia ufficiale:
per qualche ora ogni giorno le sue scarpe italiane restavano ai piedi
del letto di Stiles mentre lei si stendeva sopra e leggeva per lui una
selezione
di romanzi che non pareva affatto casuale, ma entrambi fecero finta di
non averlo notato.
Iniziò un pomeriggio con “Le
notti bianche” di Dostoevskij3
che fu
malinconicamente illuminante, e tentò di finire con “Cime
Tempestose” ma Stiles si oppose con
determinazione.
«Questo è un colpo basso!» la
biasimò strappandole il romanzo dalle mani
«Perché? - si stupì con finta innocenza
- Pensavo che gli amori impossibili fossero i tuoi preferiti»
rimarcò prendendolo in giro e Stiles la incenerì
con lo sguardo.
«E va
bene, niente Heathcliff - sbuffò alzando le
mani in segno di resa - Che mi dici di “Cuore di
tenebra”?» gli propose con un sorrisetto
diabolico sfogliando tra le categorie del suo Kindle
«Ti odio» sibilò Stiles
«Lo so, ti odio anch’io» gli sorrise con
affetto e iniziò a leggere.
La settimana di
ferie era trascorsa velocemente e lo sceriffo avrebbe
ripreso servizio nel pomeriggio, eppure scese a fare colazione
già con addosso la sua divisa: gli era mancata
così come a
Stiles che mentre mangiava i suoi pancakes intrisi di sciroppo
d’acero masticando poco elegantemente, gli aveva dovuto
ripetere più volte di star bene e di essere contento che
riprendesse a lavorare.
Per quanto infatti il ragazzo amasse averlo
tutto per sé e per una volta essere l’unico centro
del suo universo, aveva anche bisogno di stare da solo, di tornare alla
sua indipendenza e invisibilità, di godersi un po’
di tempo con se stesso in intimità visto che presto il
suo ginocchio sarebbe tornato come prima, ma il resto del suo corpo
aveva riacquistato subito tutte le sue funzionalità,
soprattutto i
suoi ormoni.
Quando finirono di mangiare, lo sceriffo aiutò Stiles a
risalire in camera sua nonostante le proteste.
«Posso farlo da solo» piagnucolò quando
suo padre gli tolse di mano la stampella per ancorarlo invece a
sé e trascinarlo al piano di sopra
«Perché usare una stampella quando hai
me?»
«Perché non sono più un bambino di
cinque anni?» borbottò imbronciandosi
«Tu lo sarai sempre ai miei occhi» e a questo non
c’era possibilità di controbattere,
così Stiles gli sorrise e si lasciò aiutare dal
suo papà posando la testa sulla sua spalla e stringendosi
forte
forte al suo torace.
Quando
tornò in cucina, lo sceriffo si versò
un’altra tazza di caffè e si avvicinò
alla porta vetrata sul retro: c’era una cosa che avrebbe
dovuto fare fin dalla prima notte che erano rientrati a casa e qualcosa
là fuori aveva attirato la sua attenzione. Aveva rimandato
abbastanza, ora era tempo di prendere un bel respiro e affrontare la
questione.
Schiuse
delicatamente la porta e andò a sedersi sul gradino
del piccolo patio di legno che separava la casa dal giardino
trascurato
circostante: c’erano solo sterpaglie e una siepe irregolare
che non era stata potata da anni a ricordare quello che un tempo era
l’orgoglio fiorito di sua moglie e che, come tante altre
cose, era appassito con la sua morte.
«Caffè?» domandò con tono sostenuto al ragazzo rannicchiato alla sua destra, nascosto dal pilastro che lo sosteneva mentre dormiva.
Il giovane si
risvegliò di scatto cadendo scompostamente sui gradini.
«Caffè?» ripeté lo sceriffo
porgendo la tazza al ragazzo e cercando di non sorridere
all’espressione di orrore e mortificazione che lampeggiava
sul suo viso pallidissimo
«Mi dispiace, mi devo essere addormentato»
farfugliò imbarazzato con la voce arrochita dal sonno e
dall’umidità notturna
«Visto che anziché dormire trascorri tutte le
notti a passeggiare nervosamente nel mio giardino, immagino che un
colpo di sonno possa capitare» osservò
l’uomo con fare paterno
«Mi scusi - sussurrò abbassando lo sguardo -
Perché non mi ha mandato via subito?» chiese
mentre si sedeva più compostamente e dipanava nervosamente
le grinze dei pantaloni con il dorso delle mani
«Perché pensavo ti saresti stancato prima -
rispose porgendogli ancora una volta il caffè che il ragazzo
strinse tra le mani con un «Grazie»
sommesso e l’impronta decisa della colpa sul volto - E poi,
dopo quello che è successo, ammetto che mi faceva stare
più tranquillo avere un lupo mannaro adulto a proteggere la
mia casa e la mia famiglia. Dunque grazie»
«Non deve ringraziarmi, è stata colpa mia, lei
aveva ragione» ammise appoggiando i gomiti sulle ginocchia e
incurvandosi sotto il peso dei suoi errori
«No, non avevo ragione - obiettò invece lo
sceriffo riprendendo fiato prima di rimediare ai suoi torti - Quando
l’hai portato in ospedale avrei dovuto ringraziarti e non
inveire su di te, ma in quel momento ero fuori di me e ammetto che
avrei tanto voluto scaricarti addosso un bel po’ di quei
proiettili speciali che mi ha fornito Chris Argent»
rivelò ripensando ancora con angoscia a quando Derek Hale
irruppe attraverso le porte del Pronto Soccorso con il suo bambino
stretto al petto e una furia disperata negli occhi.
Mentre i medici cercavano di salvare la vita di suo figlio, aveva
strattonato Hale fino al parcheggio per farsi spiegare cosa diavolo
fosse successo e, non appena la situazione iniziò a farsi
chiara, la rabbia travolse il suo cuore di padre e si
riversò feroce e velenosa sul lupo che si lasciò
insultare e minacciare senza battere ciglio. Lo sceriffo non aveva
dimenticato l’espressione sofferente del suo volto
né quanto gli fosse sembrato improvvisamente giovane mentre
tremava davanti a lui con lo sguardo fisso sulle sue mani intrise di
sangue non suo, prima di voltargli le spalle e trascinarsi via.
«Domani mattina ho bisogno di parlare con
te» gli aveva urlato dietro e lo vide annuire
prima di serrare i pugni fino a ferirsi e correre via.
Qualche istante più tardi un lugubre ululato
squarciò l’aria e vide Scott e gli altri correre
via per rispondere alla chiamata del loro compagno di branco che urlava
vendetta.
«Perché non l’ha fatto? Spararmi,
intendo»
domandò Derek e suonava quasi come un rimprovero
«Perché non voglio che mio figlio mi
odi» rispose con sincerità osservando attentamente
il suo volto per leggervi ogni minima reazione che il lupo
controllò come meglio poté, ma non
riuscì del tutto a nascondere il disagio che
serpeggiò con una fiammata tenue sul profilo cesellato dei
suoi zigomi.
Lo sceriffo si
conosceva abbastanza per sapere che probabilmente non
sarebbe mai stato pronto a venire a patti con la realtà che
si delineava con sempre più nitidezza davanti a lui, ma come
nella sua natura di uomo di legge e tempra concreta, non era
intenzionato ad ignorarla, perciò respirò
profondamente e puntò lo sguardo dritto negli occhi di Derek
per fare luce definitivamente sui dubbi che l’avevano
trascinato su quel gradino.
«Che ci
facevi qui stanotte? E tutte
le altre notti? E nel tetto
dell’ospedale? E prima dentro la sala
rianimazione e poi nella sua stanza, quando
pensavi non fosse rimasto più nessuno di noi che potesse
vederti? - incalzò e ogni domanda colpiva come una fucilata
il suo interlocutore in modo talmente evidente che gli parve un
ragazzino spaurito da soccorrere, e così fece - A proposito:
sai che è un reato corrompere un agente di polizia, non
importa quale mezzo si usa?» lo avvisò inarcando
un sopracciglio e sforzandosi di non ridacchiare nel vederlo
impallidire ulteriormente
«Mi dispiace» biascicò mortificato Derek
«Beh, non è così grave: da quando si
è trasferito da noi, non ho mai visto Christian
così entusiasta di fare un turno di guardia
notturno» sorrise beffardo e, stemperata così la
tensione, poté pretendere la sua risposta
«Allora, cosa ci fai sempre intorno a lui, Derek?»
«Non lo so» sussurrò flebile chinando la
testa
«È quello che temevo»
realizzò lo sceriffo e non appena gli occhi di Derek
scattarono sbarrati e colpevoli su di lui, ebbe la sua risposta.
No, non era pronto a
venire a patti con questo, ma forse era del tutto
normale per un padre avere difficoltà ad accettare che il
suo bambino fosse diventato grande e che qualcuno potesse ronzare
intorno a
lui con interesse: certo, nel suo caso quel qualcuno era un uomo, un
lupo mannaro, uno che aveva arrestato lui stesso, perciò
riteneva che la sua preoccupazione fosse ulteriormente giustificabile.
Mentre Derek
rincorreva i suoi respiri maledicendo la sua
incapacità di trovare le parole che negassero in modo
convincente qualunque cosa l’uomo temesse, non avendo ancora
capito che per riuscire a farlo avrebbe dovuto mentire, lo
sceriffo decise di dar voce alle sue ansie di padre.
«Posso farti una domanda? - mormorò rompendo il
silenzio e continuando non appena il ragazzo annuì - Avresti
fatto lo stesso per lui?»
«Cosa?» sussurrò confuso Derek
«Voglio sapere fino a che punto mio figlio sia un idiota -
spiegò con un sospiro stanco - Perciò, per
favore, rispondimi: metteresti a rischio la tua vita per
lui?» gli chiese secco braccandolo con l’azzurro
pallido dei suoi occhi e Derek si arrese, anche a se stesso
«Sì» liberò
nell’aria con un soffio tremulo, tenue e appena percettibile,
eppure lo sceriffo capì immediatamente che avrebbe cambiato
il corso della loro vita con più potenza e
intensità di qualunque tempesta.
«Ha solo
diciassette anni» gli ricordò
con una preghiera inespressa
«Lo so - biasciò sofferente Derek - Non faccio che
ripetermelo, ma…»
«Non serve a niente?» intuì lo sceriffo
che iniziava a provare una tenerezza tutta paterna per
l’evidente struggimento del ragazzone al suo fianco
«No» ammise costernato.
«Cosa vuoi
da lui, Derek?» mirò dritto
al punto
«Non lo so» sospirò impotente ed era
sincero, perché la paura frantumava realmente ogni sua
sicurezza impedendogli di vedere ciò che invece appariva
limpido e inequivocabile agli occhi di quel padre protettivo che
abdicò all’evidenza con un sorriso intenerito
«Beh, bevi quel caffè, schiarisciti le idee e vai
a scoprirlo - lo incoraggiò con quella dolcezza misurata che
gli ricordava suo padre - Stiles ha appena fatto colazione e credo sia
in camera sua a fingere di non leggere “Cime
tempestose”» rivelò roteando
gli occhi
«Lui non vuole vedermi» si adombrò
«E come fai a saperlo?»
«Me l’ha detto molto chiaramente»
«E tu gli hai creduto? Mio figlio è molto
testardo, ma è
un pessimo bugiardo! - ridacchiò con garbo - Va’ a
parlare con lui» lo esortò alzandosi in piedi e
sgranchendosi le gambe
«Io non sono bravo con le parole» si
schernì a disagio
«Neppure io, ma ho dovuto imparare quando ho avuto un motivo
valido per farlo - gli rese noto con un velo di malinconia - Se tu
pensi che non valga la pena sforzarti di farlo, allora vai via ora e
non voglio più rivederti intorno a lui» gli
intimò fermo e autoritario «In caso contrario, sai
già dov’è la sua camera -
seguitò ammorbidendo lo sguardo mentre raggiungeva la porta
- E stavolta passa dalla porta» gli ingiunse allusivo
voltandosi indietro per lanciargli un’occhiata forzatamente
severa che si disciolse in un luccichio divertito nel vederlo arrossire
vistosamente mentre si rimetteva in piedi.
«G..grazie» balbettò Derek alle sue
spalle prima di muovere un passo malfermo oltre la porta ed entrare in
casa anche lui.
Lo sceriffo gli aprì la strada fino alle scale che il ragazzo fissò per un lungo istante prima di decidersi a salirle, quindi raggiunse la sua poltrona e vi trovò conforto e sostegno per le sue ossa e non solo. Mentre Derek raggiungeva il piano di sopra con passi lenti e indecisi, infatti, riusciva quasi a sentire il battito del suo cuore intensificarsi ad ogni gradino e si disse che forse c’era ancora una possibilità che il suo bambino non trovasse un probabile fidanzato quel giorno: il cuore avrebbe potuto schizzare via dal petto di quel primo temibile candidato prima che raggiungesse la porta della sua camera.
Derek si fermò davanti alla porta della camera di Stiles:
non era sicuro di ciò che gli avrebbe detto, né
di cosa volesse, ma era d’accordo con lo sceriffo sul fatto
che non l’avrebbe mai scoperto se non avesse trovato il
coraggio di entrare lì dentro e correre il rischio di
rendersi completamente ridicolo.
Quindi buttò fuori tutta
l’aria, chiuse gli occhi e bussò.
«Avanti!»
lo invitò ignaro Stiles e
Derek entrò.
Stiles era sdraiato
sul letto con un cuscino sotto il ginocchio ed
evidentemente leggeva un libro che si affrettò a nascondere:
sembrava riposato e aveva decisamente un aspetto migliore nonostante il
tono dimesso della sua maglia slabbrata e dei pantaloni corti troppo
larghi scivolati leggermente sui fianchi così da rivelare il
pallore niveo della sua pelle.
«Ciao» salutò impacciato Derek dopo
quella rapida scansione del suo corpo che, per qualche strana ragione,
accentuò il suo nervosismo
«Cosa fai qui?» sobbalzò Stiles
tirandosi su abbastanza da sedersi più compostamente e nel
movimento allentando ulteriormente la presa in vita dei suoi pantaloni
che, senza accorgersene, scivolarono oltre la curva tonica del suo
ventre.
«Mi ha fatto entrare tuo padre - rispose un sempre
più nervoso Derek - Sono venuto a vedere come
stai» si giustificò
«Sto bene. Ora puoi andare. Ciao» lo
informò
laconico.
«Dobbiamo
parlare» insistette il lupo avvicinandosi
«No, io non ho niente da dirti, dunque…»
si oppose indicando la porta
«Io sì, invece» incalzò
risoluto prendendo coraggio e sedendosi delicatamente ai piedi del
letto: sentì subito come la ridotta distanza tra loro
agitasse il sangue di Stiles che pompava veloce dentro e fuori dal suo
cuore nonostante si ostinasse a mantenere una parvenza distaccata, e ne
fu segretamente confortato.
«Senti -
mormorò Stiles implorando il suo corpo di
non tradire quanto fosse stupidamente felice di rivederlo - Mi dispiace
se l’ultima volta sono stato scortese e ho esagerato,
scusami, ma davvero non c’è molto da
dir…»
«Vuoi stare zitto e lasciarmi parlare stavolta? - lo
fermò Sourwolf fedele al suo nome - Per favore»
aggiunse per ammorbidire l’occhiata torva che lo aveva appena
trafitto.
Stiles
considerò che in fondo usare le parole era una delle
tante competenze di base che Derek Hale non aveva ancora acquisito,
insieme alle abilità socio-affettive, la fiducia in se
stesso, l’attitudine al comando e la capacità di
dosare correttamente la miscela di terrore e fascino che suscitava
negli altri, perciò immaginò che la conversazione
sarebbe durata meno del tempo che avrebbe impiegato a convincerlo ad
andarsene, dunque alzò gli occhi al cielo e annuì.
L’espressione sfiduciata del lupo mentre raccoglieva le idee
e cercava disperatamente un modo per iniziare il discorso,
confermò a Stiles di aver preso la decisione giusta per
farla finita in breve, ma non ebbe il tempo di congratularsi con se
stesso, perché d’un tratto qualcosa nello sguardo
di Derek si accese e le parole caddero dalle sue labbra agili, libere,
vive.
«Anzitutto, io non volevo violare
l’intimità dei tuoi sogni e mi dispiace se ti sei
sentito spiato - chiarì perché quella notte in
ospedale aveva sentito quanto profondamente questa errata deduzione
avesse ferito il ragazzo - Ma il punto è proprio questo: io
non credo che quel sogno fosse tuo» rivelò senza
tergiversare
«C..cosa?» balbettò spiazzato Stiles
«Tu non avresti potuto conoscere quei dettagli del mio
passato e della storia della mia famiglia - spiegò Derek -
Perciò penso di essere stato io a sognare tutto e ad indurlo
anche nella tua testa mentre ti portavo via il dolore, anche se non so
come perché non mi
era mai successo» sussurrò mortificato
«Ma vale lo stesso per me: anche tu non potevi conoscere
tante cose di me e della mia vita» si sforzò di
essere ragionevole Stiles e soprattutto di impedire alla sua mente di
soffermarsi su come fosse possibile che Derek Hale avesse potuto
rivendicare la paternità creativa di un sogno in cui era suo
marito, il padre dei suoi figli e, in un modo così
esplicito, schiavo affamato del suo corpo.
«Sì,
ma io sono un lupo, per me è
più facile leggere attraverso le persone e i loro ricordi -
sottolineò con quell’orgoglio fastidioso che
affiorava sempre quando illustrava la meravigliosa
superiorità della progenie licantropa - E poi
c’erano alcune cose di me delle quali non ho mai parlato con
nessuno. Mai» sussurrò vulnerabile e per la prima
volta distolse lo sguardo dagli occhi di Stiles che fu costretto a
sopprimere il bisogno di saltargli al collo e coccolarlo
finché non avesse cancellato quel broncio disarmante,
perché, seriamente: cosa c’era di sbagliato in lui?
«Vuoi dire che dovrai uccidermi per non raccontare a tutti
del tuo amichetto immaginario dell’asilo?»
ironizzò abbozzando un sorriso e non finse neppure a se
stesso che anche quello non fosse un modo per coccolarlo e farlo
sentire al sicuro
«Forse» rispose risollevando lo sguardo per
corrispondergli lo stesso sorriso e forse qualcosa nello stomaco di
Stiles sfarfallò, ma era di certo un residuo di fame,
cos’altro?
«Sweetie
Lee è esistito davvero?»
ridacchiò incredulo ignorando il suo stupido corpo e le sue
reazioni inadeguate
«Sì, ma si chiamava Dylan - precisò e
il sorriso di Stiles scivolò via dalle sue labbra come il
tono della voce di Derek mentre rivelava con più chiarezza
perché ritenesse di essere stato lui a modellare quel sogno
- Non so perché, ma ho sempre amato il suono di quel nome,
poi mia madre mi aveva raccontato che in gallese significa
letteralmente
“grande marea” ed era il nome di una
divinità marina che nella mia fantasia era un bellissimo
tritone, come il mio amichetto immaginario… beh, ho sempre
avuto un debole per le sirene» confessò con le
guance spolverate d’imbarazzo, e quel bisogno di coccolarlo
riprese a devastare con più furia l’autocontrollo
di Stiles.
«Tyler,
invece, era il secondo nome di mio padre, e fin da
quando riesco a ricordare ho sempre desiderato chiamare
così il mio primo figlio maschio - continuò
rubando il fiato ad entrambi - Invece Claire non so da
dove…»
«Claire Redfield - lo soccorse Stiles incespicando nei suoi
respiri - È il nome del mio personaggio preferito di “Resident
Evil”… è un
videogioco» spiegò arrossendo lievemente
«Hai dato a nostra figlia il nome di un
videogioco?» borbottò sgomento
«Tu quello di una sirenetta immaginaria e fai la morale a
me?» si difese stizzito «Aspetta… -
realizzò accigliandosi - Perché ora sono
diventati i “nostri figli”? È solo un
sogno» ricordò ad entrambi respirando con affanno
«E se non lo fosse?» domandò Derek, e se
ci
fosse stata una qualche velatura di speranza nei suoi occhi, Stiles si
impose fermamente di ignorarla
«Cos’altro potrebbe essere?» si
agitò difendendo ostinatamente le ragioni della logica
«E se fosse davvero un’anteprima di ciò
che ci aspetta?» ipotizzò Derek e stavolta la
speranza era talmente tangibile che Stiles si sentì soffocare
«NO!» gli si strozzò in gola
«Perché no?» incalzò Derek
«Perché quello che abbiamo visto non esiste e, per
quanto ora il desiderio di riaverlo indietro ci fa vedere tutto con
occhi diversi, la realtà è che io
sono dolorosamente consapevole del fatto che non mi sopporti e tu
non sei gay» rilevò ponendo entrambi di fronte
alla purezza della verità
«Tu sì invece?» si incuriosì
Sourwolf che notava le sfumature molto meglio di quanto lasciasse
intendere
«No! - sbottò aggrottando le sopracciglia -
Cioè non lo so… Oh senti, posso affrontare un
dilemma esistenziale per volta, okay?» sbuffò
infastidito massaggiandosi esasperato le tempie.
«Va bene -
alzò le mani Derek smorzando con poco
successo il sorriso divertito e irriverente che ballava sulle sue
labbra - E comunque non è vero che non ti sopporto,
è che mi rendi nervoso» confessò con
una patina di timidezza nello sguardo di cui però Stiles non
si accorse: era troppo occupato a tenere a bada i suoi istinti omicidi
e anche qualcos’altro che aggrovigliava caldo il suo stomaco
a cui però si rifiutò di dare un nome
«Beh, accidenti! Questo sì che cambia
tutto!» replicò sarcastico
«Non intendo in senso negativo» cercò di
spiegarsi meglio ed era proprio vero che non era bravo con le parole,
perciò pensò di passare a qualcosa su cui si
riteneva più ferrato: le dimostrazioni pratiche.
«Tu mi
rendi nervoso esattamente come io rendo nervoso te
quando mi avvicino un po’ di più -
mormorò mentre scivolava sul letto accorciando le
distanze - o quando ti guardo più
intensamente… come ora» sussurrò
sporgendosi su di lui e sorridendo compiaciuto non appena i suoi occhi
si allargarono, il respiro si intoppò, il cuore
fibrillò, esattamente come il suo.
Ma Stiles non aveva
alcuna intenzione di dargliela vinta.
«Togliti
quel sorrisetto soddisfatto dalla faccia! - gli
ordinò rabbioso recuperando la sua dignità -
Questa è solo la reazione del mio corpo: sono un adolescente
con degli ormoni e una vita sessuale molto poco soddisfacente,
cos’altro puoi aspettarti? È il mio corpo a
risponderti, non io, perciò puoi
evitare di sprecare il tuo tempo con me e tornare a sfoderare il tuo
fascino mannaro con il tuo adorato agente Christian, sono certo che
avrai più successo» inveì sputando quel
nome come se, fosse veleno
«Sei geloso?» realizzò Derek schiudendo
le labbra in un sorriso splendido e non era una domanda
«Cosa? NO!» gracchiò chiazzandosi di un
rosso ancora più vivo
«Sei geloso» ribadì allargando il suo
sorriso che lambiva anche il suo sguardo arso da un crepitio caldo e
selvaggio che amplificava la sua bellezza in modo insopportabilmente
doloroso agli occhi di Stiles.
«Vattene!»
lo implorò balzando in piedi
per raggiungere la porta e buttarlo fuori in un ultimo tentativo di
sfuggire alla realtà che si era vanamente ostinato a negare.
Si era però alzato d’istinto dimenticando la
lesione al ginocchio
che, non appena mise piede sul pavimento, cedette.
Derek
scattò immediatamente in avanti per afferrarlo, ma il
ragazzo si divincolò sbilanciandolo. Non potendo evitare la
caduta, Derek lo strinse al petto trascinandolo su di sé in
modo da attutire l’urto.
Così Stiles
atterrò sul corpo di Derek, custodito tra le sue braccia, e
forse era lo spavento a parlare per lui, ma avrebbe voluto restare
così sempre.
«Stai
bene?» si preoccupò Derek sotto li
lui sollevandogli delicatamente il mento per leggergli la risposta
anche sul viso
«Sì» annuì Stiles ed erano
così vicini da respirare la stessa aria, scambiarsela tra le
labbra mentre sprofondavano l’uno negli occhi
dell’altro, distinguendovi sfumature che non avevano mai
visto e leggendovi dentro qualcosa che riconobbero entrambi, nello
stesso momento, e che riecheggiò nella loro memoria e nel
sangue.
«Un
giorno inciamperai, cadrai addosso ad una
persona che credevi di conoscere e mentre la osservi lì
sotto di te, sentirai che è l’amore della tua
vita».
«Cosa succede qui?» domandò lo sceriffo
irrompendo nella stanza allarmato dal tonfo e accigliandosi nel vederli
avvinghiati sul pavimento.
Prima che Stiles
potesse fiatare, Derek balzò in piedi e
raggiunse l’uomo sulla porta «Posso chiederle il
permesso di uscire con suo figlio?» disse in un sol fiato
«Cosa? NO! - esplose sconcertato Stiles - Non voglio uscire
con lui!» sbraitò tentando vanamente di rialzarsi
«Sta mentendo» affermò Derek senza
distogliere lo sguardo dallo sceriffo
«Lo so» convenne l’uomo con aria
rassegnata
«Ehi!» protestò incredulo il ragazzo che
dal pavimento assisteva ammutolito all’inedito feeling tra
Sourwolf e suo padre.
«Vogliamo
parlarne di sotto?» propose invitando
Derek a seguirlo con il gesto della mano
«Non so se ve ne siete accorti, ma sono qui e il Medioevo
è finito da un pezzo, perciò sono solo io a
decidere con chi uscire o meno, va bene?» gracchiò
inviperito Stiles
«Veramente per lo stato della California sei minorenne,
perciò legalmente sono io a decidere per te»
puntualizzò lo sceriffo con esasperante puntiglio
«Esatto» concordò Derek
«Mi state prendendo in giro? - strepitò basito il
ragazzo - Oddio stavolta ho davvero le allucinazioni, questo non
può essere vero!» piagnucolò estenuato
«Aiutalo ad alzarsi, io ti aspetto di sotto -
comunicò lo sceriffo a Derek - Ho bisogno di bere qualcosa
di forte» sussurrò più a se stesso
lasciando la camera.
Derek si
avvicinò al ragazzo rannicchiato sul pavimento con
la testa compressa tra le mani per impedirle di esplodere.
«Non azzardarti a toccarmi! - gli ingiunse minaccioso non
appena le dita calde del lupo sfiorarono la sua schiena - Ce la faccio
da solo!» sibilò indignato
«Va bene, torno subito» gli promise increspando le
labbra in un sorrisetto delizioso e Stiles fece davvero una gran fatica
a ricordarsi perché avrebbe dovuto continuare ad odiarlo
anziché afferrarlo per il bavero di quella dannata giacca di
pelle e baciarlo per il resto del giorno, o di tutta la sua vita.
Lo sceriffo attese Derek seduto sulla sua poltrona con una bottiglia di
Irish whiskey sul tavolino davanti a lui e due dita del liquido ambrato
che oscillavano lentamente sulle sponde del suo bicchiere.
Derek scese le scale
piacevolmente leggero perché,
nonostante fosse nervoso per la conversazione che lo attendeva, si
sentiva pervaso
da un’insolita fiducia. Insomma, era reduce da
un’impresa epica: aveva superato i suoi limiti riuscendo a
dar voce ai suoi pensieri e sentimenti in frasi articolate, e senza
ringhiare né minacciare di strappare la gola a qualcuno! Si
sentiva quasi invincibile e fiero di sé, e chiunque
conoscesse Derek Hale potrebbe facilmente capire come questo fosse un
piccolo grande miracolo.
Non appena Derek
raggiunse il living, lo sceriffo gli indicò il
divano davanti a sé dove il ragazzo si sedette mentre lui
continuava a roteare il bicchiere e ad osservare il movimento del
liquore
respirandone la nota ricca e cremosa di malto e miele.
«Quindi alla fine hai deciso cosa vuoi da lui»
dedusse lo sceriffo senza preamboli
«Voglio solo conoscerlo meglio»
specificò Derek, perché in effetti era questo che
gli stava chiedendo: il permesso di frequentare suo figlio e scoprire
insieme chi fossero e perché avessero la sensazione di
saperlo già. Di averlo sempre saputo.
«Può
essere molto fastidioso, lo sai?»
lo avvisò e da qualche parte, accampato su un certo
pavimento, un ragazzino si ripromise scandalizzato di vendicarsi della
pessima propaganda da parte del sangue del suo sangue riducendo la sua
dieta a sole verdure per un lungo tempo.
«Lo so, sa essere davvero insopportabile»
ridacchiò Derek «È logorroico e crede
di avere sempre ragione, e purtroppo è vero quasi sempre, ma
è anche molto coraggioso e intelligente, è leale
con le persone che ama, è forte e generoso -
sussurrò con lo sguardo infiammato d’orgoglio -
È goffo e divertente, non ha paura di rendersi ridicolo e
quando sorride è… adorabile» ammise
anche a se stesso e forse più tardi avrebbe riso di
sé per come la voce suonò svenevole, ma ora era
troppo occupato a morire d’imbarazzo sotto lo sguardo
affilato del padre del ragazzo adorabile che l’aveva ridotto
in quello stato.
«Adorabile…
- ripeté pensieroso lo
sceriffo - Credo che mi servirà qualcosa di più
forte» mormorò posando il bicchiere sul tavolo e
scrollando la testa sconsolato
«Mi dispiace» sussurrò Derek mortificato.
«Perché
me l’hai chiesto? -
indagò dopo un lungo respiro - Voglio dire, avresti potuto
farlo senza chiedermi il permesso»
«Voglio fare tutto per bene dall’inizio e alla luce
del sole» rispose con sincerità
«È un po’ vecchio stile, ma
condivido - approvò l’uomo più
anziano - Senti Derek, essere diffidente è nella mia natura
e forse anche nella tua, invece Stiles è sempre aperto e
generoso con gli altri, però sbaglia raramente nel
giudicare le persone, ha preso da sua madre in questo, e lui si fida di
te perciò, se è la mia benedizione che vuoi, ce
l’hai» acconsentì e sorrise internamente
nel vedere la tensione scivolare via dal volto del ragazzo e il
sollievo ammorbidirne i tratti «Ma non dimenticare che
sì, è vero, lui è forte, ma
è anche vulnerabile e umano…»
sottolineò con apprensione
«È il mio essere per metà lupo a
preoccuparla?» intuì Derek
«Dovrebbe?»
«No - rispose sicuro - No, può stare tranquillo,
perché a differenza della mia parte umana, il mio lupo non
ha alcun dubbio su ciò che prova per lui, l’ha
sempre saputo, è l’istinto: tutto ciò
che vorrebbe fare è rannicchiarsi ai suoi piedi e
proteggerlo» gli confidò rinunciando ad ogni scudo
«Bene, ma lupo o meno, dovrai tenerlo al sicuro, e se lo
farai soffrire, ti ucciderò con le mie mani» lo
minacciò e non c’era alcuna esitazione nel battito
del suo cuore
«Non potrei mai fargli del male intenzionalmente e
farò di tutto per tenerlo al sicuro - si impegnò
e l’avrebbe fatto davvero, sempre, per il resto della sua
vita - Inoltre le prometto che, anche se le cose tra noi dovessero
evolversi in senso romantico, non ci sarà nulla
di… fisico
tra noi finché non sarà
maggiorenne» arrancò fissando il pavimento e
desiderando lo inghiottisse
«Oddio, non avevo pensato a questo»
impallidì lo sceriffo e il bisogno di bere divenne
imperativo per cancellare dalla sua mente qualunque riferimento che suo
figlio a) potesse avere una qualche vita sessuale b) potesse esplorarla
con un uomo per metà lupo «Grazie per avermi fatto
invecchiare di almeno vent’anni in meno di un’ora!
- sibilò - E forse è meglio se metto via
questa» considerò afferrando la bottiglia di Irish
whiskey e alzandosi esausto dalla poltrona.
Lo sceriffo ripose
la bottiglia sul suo ripiano, poi si
voltò verso il ragazzo che sembrava distrutto mentre
balbettava le sue scuse con il viso in fiamme.
«Basta - ebbe pietà di lui - E poi che ci fai
ancora qui? È lui che devi
convincere, perciò vai» lo incoraggiò
vinto dal
suo istinto paterno
«Hai cinque minuti, ma ho paura che te ne
basterà mezzo» presagì alzando gli
occhi al cielo, poi si avvicinò e gli tese la mano
«Grazie» gli sorrise emozionato Derek mentre si
fondeva alle sue dita in una presa salda e calorosa.
«Ora va’ - lo esortò raddolcito assestandogli una pacca affettuosa sulla spalla che fece traballare in modo meraviglioso il cuore ferito Derek - E lascia la porta aperta» gli intimò con un’occhiata eloquente, e Derek annuì goffamente e sgusciò via prima che l’imbarazzo lo trasformasse nuovamente in un dodicenne alla sua prima cotta oggetto delle prese in giro di tutto il parentado.
Quando raggiunse il piano di sopra, la porta della camera di Stiles era
aperta e il ragazzo era seduto sul letto con le braccia conserte e
un’espressione indecifrabile sul viso.
«Cos’è
questa storia che non ci
sarà nulla di fisico tra noi fino a quando io
sarò maggiorenne?» gli chiese imbronciato
«Hai sentito?» intuì Sherlock Hale
«Ogni parola - confermò Stiles - Davvero pensi che
io sia adorabile?» domandò con un sorrisetto
impertinente
«Stiles…» sospirò esasperato
«Dunque, fammi capire - continuò subdolo - Sono
adorabile, ma non abbastanza da volermi baciare o toccare
o…»
«Non ho mai detto che non voglio baciarti o
toccarti!» precisò Derek interrompendolo
«Hai detto niente di fisico» ribadì
petulante
«Sì, fino a quando compirai diciotto anni, ma
intendevo niente di… invasivo»
tentò
di spiegarsi sperando di non dover scendere ulteriormente nel dettaglio
perché per quel giorno sentiva di aver già
superato ogni limite consentito di arrossimenti e recrudescenze
adolescenziali.
«Vuoi dire
che hai intenzione di baciarmi e toccarmi, ma non
andare in casa base?»
«Sì»
«Cos’è, una tortura mannara? -
sbottò accigliandosi - Hai intenzione di farmi morire di
frustrazione sessuale?» lo accusò sdegnato
«Voglio fare tutto per bene, con calma e voglio che sia
legale» si giustificò
«Uccidermi non è legale» lo
informò guardandolo di sottecchi
«Stiles, per favore, finiscila!» sibilò
estenuato.
«Aspetta…
- sgranò gli occhi
un attimo dopo - Quindi questo significa che vuoi uscire con
me?» realizzò
«Mi pare che mio padre mi abbia già venduto per
cinquanta cammelli, non credo di avere scelta»
sbuffò Stiles
«Hai sempre una scelta, Stiles» gli
ricordò con dolcezza
«Anche tu - sussurrò e d’un tratto tutte
le sue insicurezze erano nuovamente in superficie - Voglio dire:
perché lo fai? È solo per quello che abbiamo
visto in
ospedale, vero? Tu vuoi che quella famiglia e quel legame prendano
vita. Ma potrebbe essere davvero soltanto un frutto crudele della tua
fantasia, o più probabilmente della mia pazzia, e
non si avvererà mai niente di ciò che abbiamo
visto. E poi
stare con me potrebbe essere un vero inferno e io non voglio che tu ti
aspet…»
«Stare con te sarà un vero
inferno, lo so già» lo interruppe Derek
inginocchiandosi davanti a lui per guardarlo negli occhi e ridacchiare
con lui mentre appoggiava le mani sul bordo del letto accostandole ai
suoi
fianchi per custodirlo tra le sue braccia pur non sfiorandolo neppure
«E per quanto non sono convinto che quello che abbiamo visto
fosse solo un
sogno, non è per questo che voglio passare del tempo con te,
tanto tempo con te - precisò ancorandosi al suo sguardo -
Voglio conoscerti meglio e voglio che tu conosca me e voglio percorrere
questa strada insieme a te ovunque ci porterà,
perché io credo
davvero che tu sia molto coraggioso e intelligente, leale con
le persone che ami, forte e generoso e che quando sorridi tu sia
dannatamente adorabile…» gli sorrise scrollando la
testa incredulo di averglielo detto.
«Oddio, ma sei disgustosamente sdolcinato!» lo
prese in giro Stiles che
avrebbe voluto pavoneggiarsi per quella che in effetti era stata la
prima dichiarazione d’amore che avesse mai ricevuto, per
quando molto ermetica in perfetto stile Sourwolf, ma era troppo
impegnato a dissolversi in un mucchietto di gelatina colorata di rosso
carminio come ogni angolo del suo viso
«Sì, lo sono, tra le altre cose - lo
avvisò Derek - Ma sono sincero e penso tutto ciò
che ti ho detto. E poi devo capire
perché quando ti ho visto in quel magazzino coperto di
sangue e non riuscivo a sentire il tuo battito, ho
creduto di morire anch’io» gli confessò
con la voce strozzata dal dolore che riaffiorava insopportabile al solo
ricordo
«Ma sei arrivato in tempo e non mi è successo
niente» lo confortò Stiles che
allungò le dita sul suo volto, sopraffatto dal bisogno di
cancellare quell’espressione sofferente dal suo splendido
viso.
«I cinque minuti sono scaduti da un po’!»
urlò lo sceriffo dal piano di sotto e Stiles
lasciò cadere immediatamente la mano sul suo grembo.
«Allora,
vuoi uscire con me domani sera?» gli
chiese ufficialmente Derek preparandosi a salutarlo e chiedendosi se
sarebbe riuscito a farlo
«Sì - cinguettò Stiles - Chiamami
prima, così mi dici se devo indossare qualcosa di elegante o
meno, anche se immagino che potrei restare in pigiama:
quest’aria emaciata e sfatta credo che contribuisca al mio
essere
così dannatamente adorabile»
lo imitò esplodendo in una risatina convulsa nel vederlo
roteare gli occhi
«Oddio, ma in che razza di guaio mi sono cacciato?»
mormorò desolato
«Oh, non ne hai idea! - continuò a ridacchiare
Stiles - Ma credo che lo scopriremo presto. Insieme»
sussurrò quella parola con timidezza e gli occhi pieni di
speranza che gonfiarono il petto di Derek di qualcosa che assomigliava
terribilmente alla parola felicità.
«A domani
Stiles» lo salutò
accarezzandolo con lo sguardo
«A domani Sweetwolf» gli
scivolò via dalle labbra con naturalezza e fu scosso nel
sentire che ora aveva senso.
Guardò
Derek smarrito, ma nell’istante in cui lui
gli sorrise e gli si avvicinò, una sensazione di calore
permeò ogni angolo di sé e il ragazzo
capì che era esattamente così che avrebbe dovuto
iniziare tra loro: con quel sorriso, con lo sguardo appassionato e
fiducioso del suo Sweetwolf che accarezzava il suo viso lievemente
arrossito, con quella mano forte che timidamente si intrecciava alle
sue dita, con quelle labbra calde e piene sulla sua fronte per
regalargli il loro primo bacio.
Non era un bacio
bruciante, travolgente, voluttuoso, quello con cui
Stiles avrebbe sognato di iniziare un nuovo rapporto: era invece
delicato e premuroso, morbido e caldo come lo sono soltanto le cose che
ordina il cuore, e prometteva rispetto, pazienza, cura e dedizione.
Era insomma perfetto.
Ed era stupendamente vero.
Quando Derek lasciò gli Stilinski era evidentemente troppo
distratto per accorgersi che c’era qualcuno in fondo alla
strada che si sorreggeva al tronco di un rovere e lo guardava. Era
vestito con i colori della notte e del bosco sotto la
luna, aveva il
volto solcato dal tempo eppure disteso nell’espressione
gentile dei suoi occhi chiarissimi, velati da quella patina di
malinconia opaca che procura l’età, e stringeva
tra le mani un braccialetto di cuoio a cui era legato un pendente
d’osso con un nodo celtico impresso sopra.
«Beh, mia
cara amica - sussurrò portandosi
l’amuleto al petto e accarezzandolo con dolcezza senza
distogliere lo sguardo dal ragazzo che raggiungeva la sua auto -
È stato molto più difficile di quanto avremmo
voluto, ma alla fine ho mantenuto la mia promessa: ora tuo figlio ha
trovato la sua strada» sorrise voltandosi verso la casa di
Stiles
«Lo renderà più felice di quanto
avrebbe mai potuto sognare» predisse con affetto confortato
dal braccialetto con la croce di Afsling4
che strinse più forte tra le mani segnate da
innumerevoli primavere, e chiudendo gli occhi gli parve di vedere il
fuoco vivo degli occhi della sua alfa brillare più intenso e
il
suo cuore di madre trovare finalmente la pace.
Quando riaprì gli occhi, Derek era andato via e
così fece lui, con passi lenti, lasciando dietro di
sé una scia esile di artemisia mista a note di legno di
cedro e pioggia, che rivelavano
l’arcana magia druidica che scorreva nelle sue vene, ma anche
la solitudine di una vita raccolta e di una pace profonda che scandiva
il battito del suo cuore con ritmo lento e delicato.
Note:
1. Artemisia:
tutte le informazioni sulla
pianta sono tratte da “Il mondo verde celtico. I
rimedi naturali dei druidi” di Alfredo Moreschi (click)
2. Christian
Taylor: è uno
degli autori di Teen Wolf che ha scritto quattro dei miei cinque
episodi preferiti dell’intera serie (click)
Era un modo per ringraziarlo di esistere e di invitarlo a resistere
alle pressioni esterne e al pessimo esempio degli altri della crew.
3. “Le
notti Bianche” di
Fëdor Dostoevskij: per chi non lo conoscesse,
è un romanzo breve che ha per protagonista un sognatore. quotes
4. Croce
di Afsling: click.
* NdA *
Va
bene, siete sopravvissuti, vero? Fatemi sapere.
ç___ç
Suppongo che ora sia tutto un po' più chiaro e non
vedo l'ora di poterne parlare con voi! *-* (Ovvero con quei temerari
che
vorranno scrivermi nonostante la minaccia di vedersi poi recapitare le
mie risposte)
Non voglio trattenervi ancora qui con i miei soliti sproloqui, specie
dopo un capitolo come questo che finirei per ricommentare, e quindi
riscrivere, dalla pima all'ultima riga, però vi devo giusto
qualche utleriore chiarimento, mi dispiace (tenterò di
essere breve
*partono i coretti di insulti e risate in ogni dove*
)
1.
Sterek <-- li metto qui in cima
perché hanno dovuto faticare per arrivare a
quell'appuntamento, dunque meritano il giusto tributo. Sono loro i
protagonisti di questa storia: non quelli sposati del futuro,
né quelli che fingono di non sopportarsi del passato. La
vicenda si colloca durante l'estate del 3^ anno di Stiles &
company (ovvero poco dopo gli eventi di questa IV stagione... forse,
perché il tempo è un concetto molto astratto in
Teen Wolf e nella testa degli autori -.-''''''''), ma visto che la
storia è stata scritta mentre andava in onda la 3A e rimessa
a posto durante la 3B, non tiene minimamente conto degli eventi di
quest'ultima e ancor meno della IV, né dei nuovi personaggi,
e spero che nessuno mi faccia pagare una penale per questo
*sarcasm* ù.ù
2.
Lydia <-- ovvero la prova che se Cupido avesse i
capelli rossi avremmo tutti un Derek
Hale che ci chiede di uscire con lui perché siamo adorabili.
No, eh? Seriamente, so che per molti di voi non è
così, ma ai miei occhi l'unico amore possibile tra Stiles e
Lydia è quello fraterno, nel senso che sono totalmente
convinta che siano stati fratelli in
un'altra vita, gemelli più precisamente. Per questo non ho
mai visto nulla di romantico in atto tra loro, neppure da parte di
Stiles. Credo ci sia un legame molto più profondo ad unirli
e qui ho parlato per bocca di Lydia: i fidanzati vanno e vengono, ma
Stiles
sarà l'unico uomo che non potrà mai essere
sostituito nella sua vita.
3.
Lo Sceriffo <-- si vede che adoro
quell'uomo? Non voglio soffermarmi su di lui o su tutte le dinamiche di
cui è stato protagonista, voglio sono confessare che le
parti di questa storia dedicate al rapporto tra lui è Derek,
sono in assoluto tra quelle a cui mi sento più legata. Spero
di essere riuscita a farvi arrivare anche solo in minima parte le
sfumature di questi due uomini che ritrovano un padre e un
figlio nella persona più improbabile, ma il legame tra loro
sarà più forte del sangue.
4. La scommessa <-- tra gli Sterek felicemente sposati e padri del futuro e quelli scoppiettanti amici/nemici del passato, riusciranno quei due innamorati imbranati del presente a conquistarsi un posto ancora più speciale nel cuore di chiunque stia leggendo questa storia? Attendo le risposte ora perché quando sarà online il prossimo capitolo la scommessa non è più valida, ve lo dico subito: forse mi sbaglio, ma ho come l'impressione che già dal primo appuntamento ufficiale (Derek ci tiene a precisarlo) di quei due, la concorrenza sarà sbaragliata o, ancora più probabilmente, spazzata via da uno tsunami di fluff.
4.
Prossimo aggiornamento <-- considerato che
ho ancora un po' di problemi e non posso stare davanti al pc troppo a
lungo, e che la prossima settimana parto, cercherò di fare
il possibile per aggiornare prima della fine di agosto, ma vi
potrò dare informazioni più precise a fine
settimana, sempre qui: click to my tumbrl.
Grazie a tutti per la pazienza e per l'affetto che mi dimostrate con le
vostre recensioni e i messaggi, incoraggiandomi a non darmi per vinta
quando, per tanti motivi, mi sento un po' sfiduciata e scrivere diventa
complicato. Lascio infine un abbraccio più stretto a Evss ♥
Un bacio e a presto, P.