Sapevo
che era successo qualcosa di speciale nel
villaggio ancor prima di varcare la soglia dei portali
d’ingresso; vi era
nell’aria qualcosa di gioioso, vivace che arrivava sino a noi
tramite le voci
raggianti degli abitanti. Non era ancora possibile capire cosa
veramente fosse
successo, gridavano bambini, adulti, anziani, donne, uomini…
insomma, una
grande festa generale.
Mi
voltai verso Naruto e notai la sua espressione
sbigottita; anche lui, stranamente, aveva notato qualcosa di strano,
un’atmosfera diversa provenire dal villaggio: “Oh,
beh, non mi aspettavo tutta
questa accoglienza” sorrise arrossendo: “In fin dei
conti, la missione è durata
solo una settimana, non pensavo ci aspettassero
così”. Il solito egocentrismo
di Naruto, uno di quegli atteggiamenti che mi aveva sempre vista punire
con un
colpo, per poi volare per metri e metri gridando “Perdonami,
Sakura-chan!”. Ma
questa volta, anziché il mio pugno, fu Sai a redimerlo:
“Perché dovrebbero
festeggiare così per noi?” gli chiese, domanda
retorica sibilata con la sua
solita voce, divisa in equal modo tra scherno e superiorità:
“Non abbiamo fatto
nulla di speciale, solo scortato un uomo da un posto
all’altro” “Chiamalo
uomo!” sbottò Naruto: “Era una specie di
re, conte… un qualcosa su questa
linea” “Principe” lo corresse Sai, prima
di continuare a procedere
silenziosamente.
Sai.
Non è che mi sia mai piaciuto, con quell’aria
da superiore e quel fare misterioso, talvolta incoerente rispetto alle
azioni
di squadra; si è impegnato molto nell’integrarsi
con noi e il suo stile di
combattimento è molto utile in numerose situazioni, ma,
sarà stato il primo
approccio (quel “brutta befana” me lo ricordo
ancora bene), sarà che è entrato
come sostituto di Sasuke, ma Sai continua a non piacermi. Lo rispetto,
ma non
mi piace come persona.
Non
appena varcammo le porte del villaggio, una
giovane apprendista ninja ci venne incontro; feci per salutarla, ma la
conoscevo solo di vista, non avevo idea di come si chiamasse. Sapevo a
malapena
facesse parte della squadra di apprendisti del villaggio. Ma lei
ignorò i
nostri mancati saluti e si voltò verso Naruto:
“è successa una cosa
incredibile!” gli disse eccitata: “Poco dopo la
vostra partenza, il giorno
dopo, per essere precisi” Ci guardammo, cercando di
indovinare il grande evento
che ha scombussolato in quel modo il villaggio: “Sono stati
catturati i membri
di Alba?” azzardai, ma lei scrollò la testa:
“è stata siglata qualche nuova
alleanza?” anche il tentativo di Naruto andò a
vuoto e prima che lui potesse
riprovare, la ragazzina ci tolse le parole di bocca, annunciando la
grande
notizia: “è tornato Sasuke”.
Fu come
un fulmine a ciel sereno. Rimanemmo
immobilizzati come statue di sale, increduli davanti alla ragazza che
già si
lanciava in grandi descrizioni; non sentivo più nulla, le
voci, le persone, me
stessa in piedi alle porte del villaggio. Anche se non lo vidi, posso
giurare
che anche Naruto si trovava nel mio stesso stato e che nella sua
spigolosa
testolina bionda già nascevano idee di rivincita, domande di
tutti i tipi e
proposte di allenamento; Sai, invece, vedeva minacciato il suo posto in
squadra, ma non avrei saputo dire se fosse contento o meno della cosa.
In
questo lasso di tempo, la ragazzina continuava a
parlare, ma le uniche frasi che percepii furono “Rinascita
della famiglia”,
“Stabilirsi qui” e “Rinunciare alla
carriera”. Furono queste ultime parole a
spingere Naruto in una corsa sfrenata verso il vecchio quartiere della
famiglia
di Sasuke e io fui costretta ad inseguirlo, per evitare che spalancasse
le
porte di casa sua urlando: “Cos’è questa
storia?!” e iniziando a discutere
questo argomento delicato senza contegno. Non so cosa fece Sai in quel
momento
e non ci badai neppure, troppo intenta com’ero a inseguire
Naruto.
Corremmo
a perdifiato per tutto il villaggio,
superando bancarelle, persone e recinzioni, piombando nei giardini
privati per
poi risalire sul tetto delle case e scendere di nuovo, per tornare
sulla
strada; la nostra vecchia, vivace scorciatoia, che non ci ha mai
traditi.
Arrivammo
sfiancati ed esausti ai cancelli del
vecchio quartiere della famiglia di Sasuke, dove una piccola folla si
era
radunata e un mucchio di gente entrava e usciva dal villaggio; se era
passata
una settimana, sicuramente Madamigella Tsunade era già
venuta e, quindi, non ho
la scusa di essere sua accompagnatrice per saltare la fila e
presentarmi
subito, immediatamente da Sasuke. Ci fermammo, un po’ per la
folla, un po’ per
riprendere fiato e fu in quel momento che mi risuonarono in mente le
parole
della ragazzina, quelle riguardo alla rinascita della famiglia; il suo
clan,
pur essendo uno dei più forti del villaggio, fu sterminato
da un solo sicario,
per di più del clan stesso. Solo la nascita di un nuovo clan
sulle ceneri del
vecchio avrebbe potuto lavare via l’onta subita. Ma, per
farlo, Sasuke avrebbe
bisogno di una moglie; il clan Uchiha non può permettersi di
avere tra i suoi
capostipiti un bambino (o bambina) nelle cui vene non scorra il sangue
della
famiglia stessa. A questo punto, un’adozione sarebbe fuori
discussione e non ho
mai sentito parlare di un ramo cadetto della famiglia, come gli Hyuga;
quindi,
Sasuke era obbligato a trovarsi una moglie e avere figli suoi per far
avverare
il suo desiderio.
Con
questo pensiero, mi sciolsi i capelli e mi
risistemai la fascia e i vestiti, sentendo la mancanza di una bella
doccia e un
po’ di trucco, mentre avvertendo bene sulla pelle un vago
sentore di sudore e
fatica, ma non importa, Sasuke ha sempre preferito le ragazze
affaticate e
sporche a quelle appena uscite dal parrucchiere. Almeno credo.
Ci
volle quasi un’ora prima di riuscire ad entrare
in casa sua, dove, secondo la folla, Sasuke stava ricevendo chiunque
gli
facesse visita; avevo fatto un sacco di raccomandazioni a Naruto
durante
l’attesa, di non essere precipitoso, di comportarsi
educatamente, di… insomma,
di non fare Naruto per qualche minuto. Appoggiammo le scarpe
all’ingresso e
camminammo scalzi lungo un corridoio, fino a quando una porta semi
aperta non
lasciò intravedere la sagoma di Sasuke; quando entrammo fu
come se fosse la
prima volta che parlavamo con lui. Non capii se il suo atteggiamento
freddo e
distaccato fosse una sua scelta, oppure l’imposizione di
un’etichetta che
obbliga un capo famiglia ad agire come una statua di marmo anche alla
vista dei
suoi più cari amici.
Era
molto diverso dall’ultima volta che lo vedemmo;
con grande consolazione, non indossava più la divisa di
allievo di Orochimaru,
come se avesse rinunciato e rinnegato quell’addestramento, ma
la tunica nera
della famiglia. I capelli erano un po’ più lunghi
di come li portava di solito
e sotto gli occhi si intravedevano delle occhiaie che ricordavano
vagamente
quelle di Itachi e di suo padre, come ebbi modo di vedere in alcune
vecchie
foto che Madamigella Tsunade teneva in ufficio.
Allungò
la mano verso Naruto e lo salutò, mantenendo
un decoro e una freddezza irreale; poi si pose verso di me ed ebbi modo
di
notare i suoi occhi scrutarmi per bene, soffermandosi sulle ferite al
braccio
che avevo rimediato durante l’ultima missione:
“Come hai fatto?” mi chiese,
tenendomi la mano e io volsi lo sguardo a terra, imbarazzata:
“Un piccolo
incidente in missione, niente di grave”.
Era la
prima volta che si rivolgeva così a me e non
potevo essere più felice; in cuor mio speravo avesse notato
anche come è stata
curata la ferita e avesse riflettuto sulle mie abilità di
medico.
La
porta si aprì alle sue spalle e una figura
conosciuta fece capolino, chiamandolo; lui si volse e sorrise, facendo
segno di
aspettare. Poi Ino mi vide e uscendo dalla stanza da dove era venuta,
mi saluto
calorosamente, una buona occasione per mostrarmi la sua splendida
tunica nera
della famiglia Uchiha, della consorte del capo famiglia per essere
precisi.
Mi
immobilizzai e non vidi più nulla, non volli
vedere più nulla; la felicità era caduta fino a
diventare disperazione alla
vista di quei lunghi capelli biondi ondeggiare sulla tunica che avrei
voluto
indossare io, io, io da sempre. Salutò Naruto e approfittai
del momento per
alzarmi, con le lacrime che già mi riscaldavano gli occhi e
perdonare il mio
arrivederci, giustificandomi con finte promesse fatte
all’Hokage. Uscì dalla
casa senza neppure mettermi le scarpe e le persone intorno a me erano
troppo
indaffarate ad immaginarsi il loro incontro con
“l’ultimo degli Uchiha” per far
caso ad una ragazza singhiozzante che correva scalza per la strada con
il viso
bagnato di lacrime.
Ino
Uchiha. Pazzesco!