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Autore: pesca56    19/08/2014    2 recensioni
Questa storia parla di un amore sopito, nato tra le pagine di un libro.
Parla di una bambina che si nasconde dietro le forme sinuose di un corpo di donna e di una ragazza che non riesce a completare quel corpo maturo con uno spirito altrettanto forte.
Parla di un ragazzo che non lo sa ancora, ma si sta innamorando di quella bambina.
E' la storia di James, che dalla vita ha avuto tutto, ma non è stato capace di condividerlo con nessuno.
E' la storia di Astrid, che si è persa inseguendo se stessa e non si è accorta di stare guardando nel posto sbagliato.
Genere: Introspettivo, Romantico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Famiglia Potter, James Sirius Potter, Nuovo personaggio
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nuova generazione
Capitoli:
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Erano tre minuti buoni che pattugliava solerte quella dannata porta, maledicendo in cuor suo chi, a vent’anni suonati, ancora riteneva superfluo l’utilizzo di una sveglia.
Aveva provato a bussare almeno un centinaio di volte, all’inizio con garbo, alla fine senza ritegno. Da quella stanza non erano usciti segni di vita.
Si chiese con quale tecnica Ginny riuscisse a svegliare in tempo celere l’allegra combriccola.  
Alla fine si decise e, controvoglia, aprì la porta ad occhi chiusi, pregando che il ragazzo fosse avvezzo ad abitudini civili quali dormire con maglietta e pantaloni saldamente ancorati addosso. Fu investita dal consueto bouquet di sudore, chiuso e cadavere in putrefazione che avvolge piacevolmente gli avventori di una tipica camera maschile agli albori del nuovo giorno. E al pomeriggio. E facciamo anche alla sera. Lasciò che i suoi occhi si abituassero all’oscurità, posò veloce la tazzina sul mobile accanto alla porta e, in apnea, si diresse decisa verso l’unica ancora di salvezza: la finestra. Spalancò gli scuri con impeto e boccheggiò, aspirando decisa l’aria frizzante di quella mattina estiva. Un cuscino volante raggiunse le sue scapole.
< Ahia! > protestò.
Si riappropriò del corpo contundente e lo rispedì dritto al mittente che mugugnò qualcosa di incomprensibile.
James afferrò il guanciale, lo risistemò sotto la testa, si voltò dall’altra parte e non cercò minimamente di nascondere i suoi programmi per la mezz’ora successiva. Non gradiva essere disturbato. Astrid lo fissò contrariata.
Solo in quel momento si accorse del lenzuolo mesto e abbandonato, tristemente afflosciato a terra.
Lo sguardo percorse con un brivido la schiena larga e atletica e la ragazza avvampò. Porca miseria possibile che tutti gli uomini fossero così allergici al cotone della maglietta?
Pelle nuda. La faceva sentire in soggezione, quasi essere sorpresi a sbirciare qualcosa di proibito, destinato a pochi, non certo a sconosciuti di passaggio; l’unica trasgressione che tradizionalmente contemplava era il costume da bagno in spiaggia.
Non volle approfondire l’effettiva presenza di un paio di pantaloni.
Stava per andarsene quando le parole di Ginny rintoccarono provvidenziali nella testa e, messo da parte l’imbarazzo, maliziosa, decise di avvicinarsi all’orecchio di lui.
< Jaaamieee > sussurrò languida, < che cosa ti andrebbe per colazione? >
< Cffcncrntt> grugnì lui.
< Jamie, devi parlare meglio, non riesco a capire quello che dici > scandì lei.
< lscmnpcbrttstrz >
Astrid ridacchiò. Non le bastava.
< Ah, capisco e, senti, già che ci sei, non è che potresti ricordarmi come si applica il teorema di Huygens-Steiner per calcolare il momento d’ inerzia rispetto ad un asse parallelo a quello passante per il centro di massa di un corpo rigido? >
Qualcosa di morbido si scagliò feroce contro la sua faccia e ricadde sul letto in un tonfo sordo. Se lo era meritata.
Finalmente, James aprì gli occhi ed accolse con sorpresa ed evidente imbarazzo la ragazza inginocchiata sul suo letto.
< Astrid? Ma… che diavolo ci fai qui? >
Si coprì con il cuscino.
Astrid si alzò in direzione della tazzina.
< Mi ha detto tua mamma di venire a svegliarti, arrabbiati con lei. Ecco. >
Gli passò il prezioso liquido corroborante, fedele compagno delle sue sessioni di studio notturno.
< La colazione è pronta > gli comunicò. 
< Vedi di muoverti, ho fame. >
Richiuse la porta alle sue spalle, vi si appoggiò e tirò un sospiro di sollievo. Il cuore le martellava feroce nel petto. Se l’era cavata egregiamente. Sperava di non trovare imbarazzo a distogliere i loro sguardi quando si sarebbero incontrati poco più tardi. Lei ce l’aveva messa tutta per sembrare ironica e naturale, ma a se stessa non riusciva a mentire e, mentre il cervello era ancora lucido e saldo nelle sue convinzioni, cuore e stomaco avevano emesso un verdetto ineludibile: quel ragazzo cominciava a piacerle.
Si diresse con calma ad occupare il suo posto a tavola. Mancava solo lui.
La coda dell’occhio lo sorprese caracollante e incerto nell’avvicinarsi, una mano abbandonata sul fianco, l’altra saldamente ancorata alle onde morbide della chioma ribelle. Lo sguardo curioso ne catturò un solitario riflesso ramato e si spinse sfacciato verso il volto stanco. Un paio di occhiali incorniciava gli occhi ambrati. Non gli conferiva certo l’aria da bravo ragazzo. Si accasciò stanco prendendo posto di fronte a lei. Questa volta indossava la maglietta.
Gli undici minuti che seguirono furono i più caotici e deliranti a cui Astrid avesse mai avuto l’onore di assistere. Non aveva mai visto nessuno ingozzarsi a quel modo, con quella fretta e con il costante terrore che altri potessero sbranare la frittella su cui avevano già messo gli occhi e poi, all’improvviso, rapidi come avevano cominciato, in un vociare di sedie e parole sconnesse si erano vaporizzati tutti. Nel marasma era riuscita a distinguere un sorriso d’intesa regalatole da Harry e qualche stralcio di un discorso di Ginny riguardante il pranzo.
La ragazza fissò sgomenta l’unico superstite di quel saccheggio barbarico.
< Beh, cosa ti va di fare oggi? > attaccò James, di nuovo in possesso delle sue facoltà oratorie.
Astrid fu colta alla sprovvista.
< Per la verità non ne ho idea. Pensavo che mi avreste proposto voi qualcosa, Londra l’ho già vista quasi tutta, anche se… > si bloccò pensierosa.
< Ci sarebbe, > cominciò < un posticino che mi manca in cui vorrei fare un salto >
< Anzi due > si corresse.
< Bene. Vedi, sei in grado di decidere benissimo da sola, dammi un secondo, mi vesto e andiamo. >
Constatò come i Potter avessero la sorprendente capacità di dileguarsi nel giro di un battito di ciglia.
Era rimasta sola.
 
                                                                                                        ∞
 
< Io non ci salgo su quella cosa >
< Avanti, non fare storie, non morde! >
< Scommetto che c’è chi è morto salendo là sopra >
< Ma per piacere, la usano milioni di persone, è collaudata >
< Da noi si usano mezzi di trasporto molto più sicuri >
< Sì, come no, smettila di blaterare e vedi di muoverti >
< Sarà, ma a me questa faccenda non piace. Non posso seguirti a piedi? Ci troviamo in New Globe Walk tra venti minuti >
< Andiamo, non mi dire che ti spaventa a quel modo, dov’è finito il tuo orgoglio Grifondoro? >
< Se cado mi uccido e diventerò lo zimbello della comunità magica >
< Appunto sei un mago, inventati qualcosa per farla stare in piedi se non ci riesci da solo >
< Ma ti fa proprio schifo camminare? >
< James Sirius Potter, non mi dire che non sei mai salito su una bicicletta in vita tua!>
Astrid lo guardava impaziente e spazientita, infastidita dal gruppetto di turisti evidentemente più interessati al loro duetto che alle attrattive di Hyde Park. Purtroppo, l’espressione di lui non lasciava dubbi. A quanto pareva i maghi preferivano la saggina alla ruota. Primitivi. La ragazza sospirò e si arrese.
< Vieni qui, > disse e gli tese la mano, < non è difficile, basta salire e cominciare a pedalare >
Il viso di lei si imporporò quando gli cinse i fianchi per sorreggerlo.
< Il trucco sta nell’equilibrio >
Diede una spinta a James e lo osservò divertita alle prese con le due ruote; nonostante l’espressione disgustata se la cavava abbastanza bene, per essere la prima volta. Dopo un breve rettilineo percorso “alla sbronza” e un misero tentativo di curva, il ragazzo ritornò sconfitto, i piedi abbarbicati terreno e una mano a trascinare un manubrio dall’aria colpevole.
< Mi ci vorranno mesi di pratica e una decina dei miei migliori incantesimi per riuscire a domare questo aggeggio > sputò con una smorfia.
< Ti concedo una mezz’ora e tutte le magie che sei in grado di fare senza essere visto, io devo andare, devo fare una cosa, ci vediamo dopo e, mi raccomando, non distruggere la bici che è a noleggio e poi devo pagarla! >
< Ehi! No, ferma! Non vale, non puoi abbandonarmi così! Non scappare, mi ha sentito? Tris! >
Inutile, lei era già trotterellata via alla rincorsa di uno dei suoi impenetrabili pensieri, rapida come il vento, agile, mutevole e lui era lì, pesante, immobile, saldamente ancorato a terra.
< Accidenti a te! > sentenziò piccato.
< Mi raccomando non rompere la bici! > La schernì imitandola.
< Sì, e James? Chi ci pensa a James, se si rompe lui? >
Fissò con odio la bicicletta.
Per catturare il vento, doveva imparare a volare.
 
  
 
Note della stonata:
Ciao gente! Di solito preferisco che siano i personaggi a parlare e non l’autrice, ma questa volta ho ritenuto (ahimè) necessario aggiungere un appunto. Questo capitolo era la prima parte di uno più ampio, forse troppo ampio, talmente tanto ampio che ho deciso di risparmiarvi la digestione di un mattone denso come la Luisona e di farvelo sbocconcellare un po’ per volta. Il problema è che messo così mi sa di insipido. Voi che ne pensate? Lo ripristino alla sua lunghezza originale o lo lascio così?
Ne approfitto per ringraziare tutti quelli che mi seguono/ricordano/preferiscono/leggono/recensiscono(!)/m’amano/non m’amano/ecc… mi rallegrate la giornata e aumentate l’autostima letteraria.
Fatemi sapere!
Un Bacione con la B maiuscola,
Pesca.
  
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