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Autore: alberodellefarfalle    19/08/2014    0 recensioni
AMORE IN CORSIA
Raccolta di one-shot con un unico comun denominatore: la corsia di un ospedale. L'amore tra studenti di medicina, infermieri, medici e pazienti in una serie di storie pubblicate non appena la mia testolina ne produrrà qualcuna. Perchè la corsia di un ospedale? Perchè è il mio mondo e perchè è un posto dove puoi incontrare tantissime persone e magari tra la sofferenza e il dolore scoprire la vita e l'amore. Buona lettura.
PS Ho aggiunto all'inizio di ogni capitolo un piccolo riassunto, così sapete ogni volta di cosa si tratta e potete scegliere cosa e quando leggere. Trattandosi di storie indipendenti l'una dall'altra potete leggerne una piuttosto che un'altra, una prima di un'altra. Ovviamente io spero che le leggiate tutte e che vi piacciano tutte, ma sta a voi scegliere. Di nuovo BUONA LETTURA.
NB L'ultima piccola fatica è una storia a cui tengo tantissimo, liberamente ispirata a fatti veri.
Genere: Introspettivo, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: Raccolta | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago, Universitario
Capitoli:
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La Follia di una sera.

 
Rebecca ha appena dato un esame, dopo un periodo non proprio facile. Decide di festeggiare e di fare una follia. Cosa porterà nella sua vita la decisione di lasciare da parte la ragione, almeno per una sera?

 
L'esame lo avevo superato, con un bel voto anche. Era arrivato il momento di fare qualcosa di folle per festeggiare. Non che fosse mia abitudine, ma questa volta era stata proprio dura, sia per l'esame, che per la materia, che per il prof, che per il mio ormai ex ragazzo che aveva deciso di lasciarmi nel momento meno adatto: a dieci giorni dall'esame. La sua giustificazione? Ero una pazza scriteriata, tutta dedita allo studio e al lavoro in reparto, mai disponibile. Grazie tante, caro. Lo sapevi dall'inizio che studio medicina e se ci sei dentro non è poi così semplice. Dopo aver pianto un giorno ed essermi ubriacata per bene dopo averlo visto con una sua collega di lettere, evidentemente meno impegnata di me, ho deciso che non valeva la pena perdere mesi di studio così e allora ho impiegato il doppio delle energie per fare questo esame. Adesso sono qui, infilata in un abitino piuttosto corto, gentile prestito della mia amica Alice, ad una festa, con un mojito in mano e musica pulsante nelle orecchie. Non reggerò ancora per molto in questo inferno di caldo, musica assordante, ormai al terzo bicchiere della serata. Ho decisamente bisogno di aria. Alice è ormai un lontano ricordo, stretta al suo Riccardo, chissà dove, mentre io mi faccio largo tra la folla per uscire. Respiro finalmente l'aria frizzantina di febbraio, forse meglio dire gelida e mi stringo le braccia. Stupido abitino troppo corto e scollato di Alice. "Freddo?" una voce profonda alle mie spalle mi fa trasalire. Mi volto tremante non solo per il freddo, ma anche per una punta di terrore. Non sai mai chi incontri. Un ragazzo, un uomo meglio dire, sta appoggiato al muro accanto alla porta, con in mano un bicchiere di vino rosso. Mi stringo nelle spalle "Un po'." Mi fingo indifferente, ma una sana e sensata paura mi attanaglia lo stomaco. Fluente si stacca dalla parete, poggia il bicchiere quasi vuoto a terra e, con passo felpato, si avvicina, levandosi la giacca di pelle e porgendomela. Sbatto le palpebre, interdetta. "È chiaro che tu abbia bisogno di stare fuori da quel posto, almeno per un po’. Di smaltire un po’ di alcol e ripulirti i polmoni con aria fresca. Ti sto solo offrendo il mio aiuto.” Dice, mostrando poi un sorriso di scherno? Di sfida? Di malizia? Malizia? Un altro brivido percorre la mia schiena. Guardo la porta chiusa del locale e sento la musica ovattata attraversarla. Sono disposta a tornare indietro? Non adesso. La testa mi gira terribilmente. Non credo sia stata una buona idea eccedere così con l’alcol. Decido di accettare la strana offerta dello sconosciuto, che resta in maniche di camicia, mentre io mi stringo nella sua giacca di pelle, accogliendo un rivolo del suo profumo. “Grazie.” Sussurro interdetta dalla visuale dei suoi bicipiti muscolosi. Lui torna indietro per recuperare il suo bicchiere di vino e si poggia indifferente alla parete di mattoni. La porta del locale si apre inondandoci di musica, mentre una comitiva di ragazzi esce sghignazzando per accendersi una sigaretta. Uno di loro mi nota e si avvicina. “Ciao, bellezza. Ti va un tiro?” scuoto la testa stringendomi nella giacca dello sconosciuto, e una nuova soffiata del suo profumo invade le mie narici. “Su, solo un tiro.” Si avvicina sempre di più, mentre io mi sento paralizzata. Normalmente avrei urlato e cacciato un bel calcio, ma bisogna ricordare che sono al terzo bicchiere della serata e non sono molto abituata all’alcol, io. “Lascia in pace la mia ragazza.” La voce di quello che ha deciso di ergersi a eroe e salvatore della mia serata ci sovrasta e il ragazzo si scosta sogghignando. “Scusa, amico. Non avevo capito che fosse impegnata.” E si allontana tranquillo, come se niente fosse. “Non dovresti stare sola fuori da un locale. Non si sa mai che gente si incontra.” Alzo un sopracciglio scettica. Si rende conto che nemmeno lo conosco? Respiro, cercando di far entrare quanta più aria nei miei polmoni e un leggero capogiro mi stordisce. L’ormai eroe della serata mi stringe per un braccio e mi sorregge. Finiamo per scontrarci impercettibilmente. Lui annusa i miei capelli e io trattengo il fiato. Che diavolo mi prende. Normalmente non mi comporterei così né con un sconosciuto né con nessun altro. “Allontaniamoci da qui e andiamo in un posto più caldo.” Che sia arrivato il momento di compiere la mia follia? Adesso che sono a questo punto non sono proprio sicura di volerlo, ma non riesco a sottrarmi alla situazione che mi si presenta, così seguo lo sconosciuto, che continua a tenermi per un braccio. Scola l’ultimo sorso di vino e poggia il bicchiere su un muretto, mentre ci incamminiamo verso la sua auto. Sono forse impazzita? Va bene la voglia di una follia, ma salire sulla macchina di uno sconosciuto è da pazzi, malati o non so che altro. Mi blocco, sbarrando gli occhi. Lo sconosciuto mi guarda con due occhi di ghiaccio che, a dispetto del loro colore, sembrano fuoco. “Tranquilla, non ti faccio del male. Se avessi voluto, avrei avuto tutto il tempo per farlo. Ti riscaldi un po’, ti riprendi e poi torni indietro e non ci vedremo più.” Nuovamente, come mia abitudine, alzo un sopracciglio scettica e scruto i capelli castani scompigliati, studio la fronte distesa, gli occhi grigi scintillanti, il naso dritto e le labbra sottili. Un’insana voglia di baciarlo mi pervade. Un nuovo brivido percorre la mia schiena e questa volta non si tratta né di freddo né di paura. Annuisco, scrollando le spalle ed entro nella sua auto, dopo che lui mi ha aperto lo sportello. Entrato anche lui, accende il riscaldamento e sento finalmente i piedi riprendersi dal letargo freddo in cui erano finiti insieme alle mie gambe. Fisso la fila di macchine di fronte a me, in imbarazzo e a disagio. “Mi chiamo Rebecca.” Sussurro dopo un po’ “Mm?” mugugna lo sconosciuto. Mi volto a guardarlo e gli porgo la mano che esce dalle maniche della sua giacca. “Rebecca.” Lui guarda le mie dita e poi decide di stringerle tra le sue “Sei gelata, Rebecca.” Alzo il sopracciglio “E mi chiamo Andrea.” Sorride furbo. Una fila di denti bianchi e perfetti fa capolino fra le sue labbra e nuovamente il mio insensato desiderio di baciarlo si affaccia nella mia mente. “Che ci facevi in un posto come quello in un abito che evidentemente non è tuo?” lo guardo interdetta, mentre le nostre mani sono sospese l’una nell’altra nello spazio che ci divide. “È evidente da come ti muovi che non sei a tuo agio con il vestito che indossi. Continui a tirarlo giù sperando che compaiano dei centimetri in grado di coprire le tua gambe. Non ti sforzare.” Scoppia a ridere, mentre il suo sguardo si accende di divertimento e un pizzico di malizia. Mollo la presa della sua mano e furiosa ritorno a guardare la fila di macchine. Che diavolo ci faccio qui? Sbuffo sentendo un nuovo capogiro. Andrea poggia una mano delicata sulla mia spalla e si fa improvvisamente serio “Stai bene, Rebecca?” annuisco sconfitta e sbuffo “Ho avuto la felice idea di fare una follia dopo i mesi di sfinimento che ho passato. La mia amica Alice mi ha così prestato il suo vestito per venire a questa festa, che poi si è rivelata assordante, affollata e calda e io mi sono buttata su qualche bicchiere, direi di troppo data la mia scarsa abitudine all’alcol, mentre la mia amica non so dove sia finita con il suo ragazzo.” Sbuffo di nuovo per essermi lasciata sfuggire qualche parola di troppo. Mi volto a guardarlo, curiosa, e lo trovo sorridente, niente scherno, scherzo o altro sul suo volto, solo un sano e semplice sorriso. Sorrido anch’io, senza volerlo e restiamo a guardarci per qualche minuto. Poi iniziamo a parlare del più e del meno, di come lui sia finito in quel posto per staccare la spina e di altre cose stupide, senza mai passare oltre per una conoscenza più approfondita. Improvvisamente la tranquillità dell’abitacolo viene spezzata dal suono del mio cellulare. È Alice che mi cerca e vuole tornare a casa. Con orrore mi accorgo che sono le tre e mezza di notte e non oso immaginare come reggerò domani in reparto. Chiusa la telefonata, mi volto verso Andrea che mi guarda strano. Triste? Furioso? Le tre e mezza. La serata è passata e io la mia follia non l’ho fatta. Spinta da un desiderio represso per tutta la sera, mi avvicino ad Andrea e lo bacio sulle labbra. Sento il sapore del vino rosso sulle sue labbra, poi si fa strada il suo vero e intimo sapore. Lui risponde pronto alla mia follia insinuando la lingua tra le mie labbra alla ricerca della mia. La testa mi gira, ma non per l’alcol, ormai del tutto smaltito. Come vorrei essere più folle di così e restare in questa macchina con lui e ovunque mi voglia portare, ma la mia razionalità ricompare e nemmeno l’odio per il mo ex ragazzo mi fanno tornare indietro o l’alcol ormai solo un ricordo. Mi allontano e lo guardo un’ultima volta nei suoi occhi di ghiaccio caldi e lucenti e scendo dalla macchina correndo, consapevole che è stata la mai follia con uno sconosciuto che non rivedrò mai più. Solo quando arrivo a casa stanca mi rendo conto di avere ancora addosso la sua giacca di pelle.

La testa martella forte, attutita da un’aspirina presa appena sveglia. Il correttore ha fatto il suo dovere con le occhiaie, ma ammetto di non essere molto reattiva. Solo dopo due caffè ritorno lucida, anche se con un leggerissimo mal di testa, che cerco di scacciare continuando a massaggiare le tempie, nell’attesa del mio tutor. “Mal di testa?” mi volto di scatto incontrando sue occhi grigi inconfondibili. “Un po’.” Il sentore di deja-vu si fa strada. Andrea è appoggiato al davanzale della finestra di fronte a me e mi studia attento con un sorriso furbo sulle labbra. “Andrea Carilli. Tu devi essere la mia studentessa.” Guardo la sua mano uscire dalla manica del suo camice bianco immacolato. “Mm?” e scoppia in una sonora risata. Avrei mai potuto fare a meno di questo magnifico suono? Credo proprio di no. “Dottor Andrea Carilli, il tuo tutor.” Impacciata, stringo la sua mano e restiamo sospesi come nella sua macchina la sera prima. “Rebecca Ferreri, studentessa di medicina a quinto anno.” Mi passo la lingua sulle labbra e un brivido percorre la mia schiena ricordando il suo sapore sotto quello di vino. Ma come mi è saltato in mente di baciare uno sconosciuto, immaginando di non rivederlo mai più, quando invece questi è il mio tutor, il mio insegnate? Che gran casino e certo il mal di testa non aiuta a rendermi lucida. “Andiamo, Rebecca. Abbiamo del lavoro da fare.” Ed entriamo in reparto per il giro visite, compilare cartelle e cose simili. Andrea, anzi il Dottor Carilli, si mostra molto preparato, ma soprattutto molto professionale, a dispetto della serata di ieri e di tutto il resto e io ne resto allo stesso tempo affascinata, stordita e delusa. Delusa? Cosa mi aspettavo? Io l’ho baciato immaginando di non rivederlo mai più e ora vorrei qualcosa da lui, io che non ho avuto nemmeno il coraggio di vivere quello che avrei voluto ieri sera, perché avrei voluto che quel bacio non si fermasse mai, che ci fosse un seguito, magari su un comodo letto. 
Un nuovo caso giunge in reparto, occupando gran parte del nostro tempo. Quando finiamo vedo che abbiamo superato ampiamente l’ora di pranzo e il mio stomaco brontola incontrollato. Sollevando il capo, trovo il Dottor Andrea Carilli che mi guarda divertito. “Ora di pranzo?” annuisco abbagliata dal suo sorriso e dal colore dei suoi occhi. “Puoi andare. Immagino avrai lezione nel pomeriggio. Ci vediamo domani.” E mi sorride dandomi una pacca amichevole sulla spalla. Pacca che fa calare il gelo sul mio corpo. Che stupida che sono. Mogia mogia mi dirigo nello spogliatoio per prendere le mie cose. La porta non si chiude e furiosa e con stupide lacrime agli occhi faccio forza spingendola. Andrea, anzi il Dottor Carilli, irrompe nella stanza andando a segno chiudendo la porta con due giri di chiave. Lo guardo stupita e scettica, con il mio sopraciglio sollevato, incurante delle lacrime agli occhi. Lui veloce e quasi furente mi spinge al muro e mi bacia con foga. Ritrovo il suo sapore inconfondibile. Sento la pressione del suo corpo sul mio e sento che non mi basta. Anche lui sembra aver bisogno di altro, dal modo in cui mi tocca, si strofina e mi bacia. Ci stacchiamo ansanti e la dura realtà mi piomba addosso: io sono una studentessa e lui il mio tutor. Perché devo essere così razionale in un momento come questo? Mi passo la lingua sulle labbra e questo gesto sembra scuoterlo tutto. Si avvicina repentino e mordicchia il mio labbro. Una scarica di eccitazione mi percuote. “Non qui.” sussurra sulle mie labbra “Non possiamo.” rispondo io. Credo che non mi abbia capito fino in fondo. “Ascolti, io sono una studentessa lei il mio tutor, non possiamo fare questa follia.” Allora perché sento un nodo alla gola mentre lo dico? Perché trovo assolutamente perfetti i nostri corpi l’uno contro l’altro e i nostri respiri mischiati? Andrea Carilli non si infuria, ma anzi mi guarda dolce e mi accarezza la guancia. “Si che possiamo. Io sono Andrea e tu Rebecca e basta. Qui siamo studentessa e tutor, ma fuori possiamo essere tutto quello che vogliamo, come ieri sera. E poi tu non sarai in eterno una studentessa o io il tuo tutor. Abbiamo una via davanti per essere tutto quello che vogliamo. Non ho chiuso occhio ricordando la consistenza delle tue labbra e il tuo sapore. Stamattina quando ti ho vista entrare qui mi sembravi un miraggio, ma non potevo sbagliarmi: indossavi la mia giacca.” Già, avevo la sua giacca. Indossandola avevo la sensazione di avere il suo odore addosso, di non essermi allontanata da lui, di non aver passato delle ore solo con uno sconosciuto, di averlo baciato per non incontrarlo mai più, di aver fatto solo la follia di una sera. Scoppia a ridere e io lo guardo scettica. Lui traccia con l’indice il mio sopraciglio. “Mi piace quando lo sollevi su e adoro come ti sta la mia giacca, ma più di tutto amo come ti sta il camice. Si vede che sei a tuo agio, che è il tuo mondo, il tuo abito. Sei maledettamente bella. Hai rischiato di farmi morire questa mattina e di mandare all’aria il mio lavoro per baciarti di fronte a tutti. Anzi, dobbiamo ricordare al paziente della 23 che sei impegnata e che non può metterti gli occhi addosso così.” Scuoto la testa tra il divertito e il risentito. Il paziente della 23 è un ragazzo di trentacinque anni che mi ha fatto un paio di complimenti appena entrata nella sua stanza, ma nulla di più. Non pensavo che Andrea ne fosse risentito. “Non scherzare, Gianni ci ha spudoratamente provato con te e non mi piace. Posso farti solo io i complimenti e baciarti e stringerti e respirarti e viverti.” Resto interdetta alle sue parole “Rebecca, faccio sul serio, mi piaci sul serio e se continuiamo a stare così giuro che dimentico dove siamo e ti faccio mia su questo pavimento. Vuoi che la faccia io una follia?” Dice con una punta di esasperazione nella voce. Mi prendo qualche minuto per studiarlo. I capelli scompigliati, le labbra sottili leggermente arrossate e gli occhi di ghiaccio scintillanti e caldi, ma soprattutto sinceri. Lo bacio piano e delicata. “Anche io adoro come ti sta il camice e questa mattina mi è quasi venuto un infarto quando ti ho visto, bello e tranquillo appoggiato al davanzale, come se nulla fosse.” Mi mordicchia il labbro “Come se nulla fosse? Ma se il mio cuore andava a cento all’ora? Rebecca, dobbiamo fare un po’ di pratica nell’osservazione del paziente e nel cogliere i segni della malattia.” Dice divertito e io lo spintono, fingendomi offesa. Mi sfilo il camice e ripongo tutto nello zaino. Con la sua giacca tra le mani, ritorno a guardarlo. Sorrido per cancellare la punta di terrore che vedo nei suoi splendidi occhi “Ma tu non eri malato e non era mio compito analizzare il tuo stato.” Si avvicina furbo e mi abbraccia annusando i miei capelli “Ma possiamo giocare al dottore e all’ammalato se ti va.” un brivido percorre la mia schiena “E tu faresti l’ammalato? Ma non sei il mio tutor, quello che deve insegnarmi tutto a quanto dici?” ridacchia divertito “Sarebbe una nuova forma di insegnamento.” Lo allontano e lo guardo seria “Non ti permetto di insegnare così ad altre studentesse.” Lui scoppia a ridere e mi bacia sfuggente “Nessuna studentessa è come te, Rebecca. E io voglio insegnare solo a te. Te lo ripeto: mi piaci sul serio e ho proprio voglia di viverti. Non mi basta la follia di una sera, io voglio una follia che duri per sempre, perché credo non potrebbe bastarmi qualche cosa di meno.” Questa volta lo bacio io. “Va bene Dottor Carilli. Accordo fatto. Sono pronta ai suoi insegnamenti. Ci vediamo questa sera?” chiedo leggera, rassicurata dal suo tocco e dalle sue labbra a pochi millimetri dalle mie. Lui annuisce prima di annullare la distanza tra di noi ma io mi scosto leggermente e gli porgo la sua giacca “E questa è sua e credo stia meglio a lei che a me.” lui la prende e se la getta sulla spalla “Ha molto da imparare, anche su questo, signorina Ferreri. Io credo che stia meglio a lei, ma abbiamo tempo per provare, no? Anzi, a proposito di abiti, crede che possa rivederla con quel magnifico abitino di ieri sera?” Lo guardo sollevando come sempre il sopraciglio “Ma non avevi detto che era evidente che non ero a mio agio.” Annuisce “Ma mi piacciono da morire le tue gambe e vuoi mettere la soddisfazione di prestarti di nuovo la mia giacca e vedertela addosso?” Scoppio a ridere divertita e gli getto le braccia al collo, mentre lui mi cinge la vita e ci baciamo incuranti di tutto e tutti, consapevoli che non si tratta di un singolo bacio tra sconosciuti, ma di uno tra i tanti che ci scambieremo, per l’inizio di qualcosa da vivere insieme, forse una follia per sempre.



Angolo Autrice: Salve a tutti, eccomi qui con una nuova OS. Che ve ne pare? Non chiedetemi da dove sia uscita perchè non ne ho proprio idea ahahahah credo di volerlo io un tutor così. Domanda: credete che vada ancora bene il rating verde o devo passare a quello giallo? Mi fate sapere cosa ne pensate, please? Grazie a tutti per esserci. Un bacio e alla prossima OS che non so chi avrà come protagonisti, forse dei pazienti, ma vedremo cosa ne verrà fuori. Spero che intanto i due capitoli fin qui pubblicati siano di vostro gradimento. Un bacio e a presto.
  
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