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Autore: axellina87    16/09/2008    1 recensioni
Gli abitanti di quel posto non sapevano molte cose sui Janko, tranne che erano di origini giapponesi e che il più anziano, il signor Matsumoto, era arrivato in America molti anni fa, con sua moglie e le sue tre figlie. Poco più tardi però, la signora Yoshiko era morta a causa di una malattia, si diceva che avesse troppa nostalgia della sua terra d’origine, ma nessuno versò una lacrima per lei, né se ne interessò. Anzi, la maggior parte della gente in quella città pensava quasi che fosse stato un bene la morte della signora Janko, perché era una donna anormale. Giravano strane voci su quella famiglia, molti pensavano che fossero una misteriosa setta satanica, con poteri terribili, e che fossero in grado di chissà quali cose. Insomma, i Janko non furono mai ben visti fin dal loro arrivo, ma la situazione era veramente peggiorata qualche anno prima, quando decisero di mettersi contro tutti quanti per loro scelta…
Genere: Romantico, Azione, Fantasy | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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CAPITOLO 6

 

 

 

-VISITE A CENA-

 

 

 

“See the devil on the doorstep now
My oh my”

 

                         Ana Johnsson, “We are”

 

 

Quando Oren si presentò a casa dei suoi zii erano già tutti lì ad aspettarla, infatti Ethan non mancò di sottolineare il fatto. « Eddai! Stiamo aspettando solo te per strafogare qualcosa di decente, non ne posso più di riempirmi lo stomaco con questi stuzzichini! »

Gli “stuzzichini” occupavano praticamente tutta la tavola: latticini, olive, bruschette, alici sott’olio, frittelle di alghe, prosciutto, salame e formaggi di tutti i tipi, insalate miste e fette di pane in abbondanza. Tutti avevano già preso posto attorno ai due tavoli uniti e Rudy e Richy avevano già dato fondo alla prima bottiglia di vino. Mancava solo il nonno all’appello. Oren si sedette fra Beatrix e Ethan e aspettò con ansia che zia Kiyomi, la cuoca della famiglia, servisse il primo piatto: crespelle ripiene alla besciamella, uno dei suoi piatti forti. Inutile dire che alla vista di quel ben di Dio scoppiarono applausi e urla, neanche fosse arrivato il presidente. Danka fu costretta a portare il piccolo Alex in camera da letto, facendolo dormire in pace nella sua carrozzina.

In breve, la stanza si riempì di risate e tintinnii di forchette. In quei frangenti era un vantaggio che tutti evitassero i Janko, perché potevano fare tutto il baccano che volevano senza rischiare che i signori del piano di sotto si lamentassero. Zia Maki abitava al trentesimo piano di un grattacielo in centro e i poveri vicini non riuscivano a prendere sonno in alcun modo.

Rudy e Richy, immancabilmente, cominciarono a dare spettacolo, raccontando barzellette piene di doppi sensi. « Richard, c’è anche tuo figlio a tavola, te lo ricordi? » disse Maki, con uno sguardo di fuoco. Il marito, in tutta risposta, rise, prese la bottiglia e cercò di versare un po’ di vino nel tovagliolo.

« Rich, ma che cosa stai combinando » rise Rudy, che comunque reggeva meglio l’alcool. « Ah, mi ricordo la prima volta che ti ho fatto ubriacare… Ti ricordi, Rich? »

Richy sghignazzò, tutto rosso in faccia, sembrava che stesse per scoppiare. I nipoti, che ormai si erano abituati a queste scene, non potevano fare a meno di divertirsi.

« Due pinte e già eri a terra » ricordò Rudy, anche lui paonazzo. « Hai vomitato pure l’anima… E poi, mentre ti accompagnavamo a casa, ti sei fermato su una macchina per strada e ti ci sei addormentato sopra… » Nuovi scrosci di risa. « E il bello è che in macchina c’era una coppietta che stava facendo… » Ma non riuscì a finire la frase, perché Kiyomi gli aveva tappato la bocca con entrambe le mani. « Ora che ci penso venne anche Grugno quella sera… e ti riempì di sberle! Chissà perché poi… » continuò.

« Perché ve le meritate sempre, qualsiasi cosa facciate » sentenziò Luke.

Richy si alzò in piedi con il bicchiere levato. « Propongo un brindisi per la nascita del piccolo Axel. »

« Si chiama Alex… » lo corresse Leon.

« E io che ho detto? »

« Papà è completamente andato » commentò Junior senza scomporsi, scartandosi un lecca-lecca.

Dall’altra parte della tavola, zia Kiyomi stava passando per chi volesse fare il secondo round, ma arrivata da Ethan e Harry, era rimasta una sola crespella. « Oh! Mi sa che dovete fare a metà. »

« Cosa? Neanche per sogno! Perché Junior ne ha mangiate tre allora!? » protestò Harry.

« Ma non ce ne sono più. »

I due cugini impugnarono le forchette e si fissarono per qualche istante, poi partirono all’attacco, ma Ethan, che era fisicamente più grosso, con una mano spinse la faccia di Harry indietro e con l’altra ingoiò la crespella tutta in un sol boccone. « Ma che schifo! » esclamò Harry.

« No, era ottima! » disse Ethan con la bocca pienissima.

Oren ridacchiò osservando la scena. « Ehi, B., guarda mio fratello… »

Beatrix però non aveva mangiato ancora niente e guardava suo padre in cagnesco.

« Perché non provi a distrarti? » Nessuna risposta. Oren aveva pensato molto a quella situazione e aveva deciso di parlare con l’unica persona che conoscesse i fatti e che avrebbe potuto fare qualcosa, anche se non ci sperava. Si sporse indietro sulla sedia e chiamò il cugino. « Harry. »

« Che c’è? »

« Puoi venire un momento di là, devo parlarti un secondo. »

Riluttante, il ragazzo la seguì in corridoio. « So cosa vuoi dirmi e la risposta è no » dichiarò prima che Oren aprisse bocca. « Sai anche tu che è una cosa sbagliata, come sai bene che quel ragazzo è solo uno stronzo che le sta riempiendo la testa di balle, e lei è così ingenua da credergli. Quando si renderà conto che avevamo ragione sarà troppo tardi. Io non la aiuterò a rovinarsi la vita. » E senza aspettare una risposta tornò nel soggiorno. Anche se ne avesse avuto il tempo, Oren sarebbe rimasta comunque senza parole: in fondo aveva ragione lui. Proprio perché era suo fratello non l’avrebbe mai appoggiata in quella che avrebbe potuto rivelarsi la sua rovina.

In quel momento sentì un pianto: Alex si era svegliato. Danka aveva il baby-phone, perciò lo sentì nonostante il baccano. Oren stava raggiungendo il nipotino, quando si trovò letteralmente sommersa da un fiume di persone che correvano come matti, capeggiate da sua sorella e sua madre.

« Alex si è svegliato! »

« Corriamo, presto! »

In realtà tutti gli altri si erano aggregati solo per continuare a fare baldoria, oppure come Rudy e Richy, si erano messi a correre solo perché l’avevano fatto anche tutti gli altri e gli era sembrato divertente. Oren riuscì ad appiattirsi contro il muro, giusto in tempo per non essere travolta. « Ma vivo in una famiglia di pazzi maniaci! »

« E’ quello che dico sempre anch’io » convenne Junior, che seguì il branco lentamente. Anche Oren entrò nella cameretta dove  tutti circondavano la carrozzina, facendo i soliti commenti (« Che carino! », « E’ proprio un amore! »), mentre Danka, che stava disperatamente cercando di riaddormentarlo, per poco non veniva sopraffatta da una crisi isterica. Richy si offrì di mettere un po’ di musica, perché secondo lui conciliava il sonno, così le note non esattamente rilassanti dei Linkin Park invasero la stanza.

« Oren, per favore, portami il ciuccio, sta in cucina… » Danka dovette urlare per farsi sentire.

Nell’uscire, Oren si chiuse la porta alle spalle. Niente da fare, suo zio aveva dei gusti musicali spaventosi. L’atmosfera in cucina non poteva essere più diversa: il silenzio le sembrava quasi innaturale, dopo tutto quel rumore. Trovò il ciuccio accanto al lavandino pieno fino all’orlo di pentole e piatti sporchi. Lo sciacquò e fece per tornare dentro, ma si bloccò. Si voltò di scatto, sentendosi osservata, ma non vide altro che le tende ondeggiare leggere. Non l’aveva notato prima, mentre stava con la sua famiglia a mangiare e ridere, ma si era fatto tardi e la casa era diventata abbastanza fredda, così pensò di chiudere il balcone. Prima però mise piede fuori, sul terrazzo, anche se a dirla tutta non la faceva impazzire di gioia il pensiero di trovarsi al trentesimo piano. Sopra di lei il cielo era completamente nero, non c’erano nuvole e nemmeno stelle. La luce pallida e aranciata dei lampioni sui marciapiedi, a quell’altezza servivano a ben poco e il buio era quasi totale. L’aria era diventata tutto ad un tratto gelida, si sfregò leggermente le braccia rabbrividendo. Si guardò intorno un’altra volta, poi rientrò, chiudendo le imposte e lasciandosi alle spalle quel vento freddo.

Avanzò a passo svelto verso la cameretta, ma di nuovo fu costretta a fermarsi. Questa volta però, non se l’era immaginato. Un rumore di vetri rotti e l’aria gelida la investì in pieno. Voltandosi, rimase per un attimo senza fiato. L’essere che aveva appena fatto irruzione in casa era alto almeno due metri e mezzo e con la sua stazza sembrava occupare tutta la stanza. Aveva la pelle bianca e rugosa, la testa piccola rispetto al resto del corpo, gli occhi privi di pupille, iniettati di sangue. Al posto del naso aveva due fessure incavate nel viso e un taglio dritto fungeva da bocca. Le spalle erano enormi e pericolosamente gonfie, quasi come se stessero per scoppiare, e nascondevano il collo tozzo; la zona sinistra del torace non era protetta dalla pelle, ma da una membrana gelatinosa e trasparente, che lasciava vedere i muscoli e gli arti pulsanti a un ritmo frenetico. Aveva una mano ricoperta da una sostanza melmosa e giallognola, i piedi muniti di artigli neri e lucenti. Tutto il corpo era attraversato da vene violacee e gonfie, pezzetti di vetro gli si erano conficcati nelle gambe, ma non accusava alcun fastidio. Rimase lì per qualche secondo, immobile, con le tende che fluttuavano intorno a lui, spinte da un vento glaciale.

Lo stupore di Oren durò solo un attimo: non era certo la prima volta che si trovava in una situazione del genere, anche se quel mostro era decisamente diverso da quelli che affrontavano di solito; sembrava essere uscito da un libro di Stephen King più che dalla fabbrica di robot della Bryant. « Mia zia non sarà per niente felice quando scoprirà che le hai distrutto le finestre » lo avvertì. « Era da parecchio che non avevamo vostre notizie, che avete fatto di bello in questo periodo? Oh, scusa. Dimenticavo che vi insegnano a uccidere in mille modi, ma non a formulare una frase di senso compiuto. » Si mise in posizione di lotta. Non ci pensò nemmeno per un attimo ad avvertire i suoi parenti, non voleva far correre il minimo rischio ad Alex e andare da loro avrebbe significato portare quel mostro diritto dal piccolo. Tanto valeva farlo fuori subito, non ci avrebbe messo molto.

Gli echi di Given up giungevano fin lì, ma Oren li sentiva ancora più lontani di quanto già non fossero, era concentrata sul suo nemico. All’improvviso, la sua immagine sbiadì, al suo posto rimase solo un’ombra indistinta. La vera Oren apparve alle spalle della creatura e sferrò un calcio che avrebbe mandato un muro di mattoni in frantumi… ma mancò il bersaglio. « Ma che diavolo… » Il mostro era saltato in alto, piegando le ginocchia al petto, assumendo le sembianze di una sfera deforme, prima di voltarsi e puntare su Oren. La colpì con il taglio della mano fra capo e collo, mandandola a sbattere contro il lavello. Parecchi piatti si infransero al suolo e l’anta del mobile si staccò all’urto con la sua testa. « Ahi… Guarda che casino. Zia Maki mi farà a pezzi » borbottò massaggiandosi la nuca. « Ehi! Dove credi di andare? »

Il mostro, al posto di finirla, si era avviato fuori della cucina, verso il piccolo androne che portava alle camere da letto. “Ma che fa?” Di certo non era un comportamento normale per uno della Bryant limitarsi a mettere l’avversario fuori combattimento. Però, rifletté Oren, fino a quel momento nessuno aveva mai fatto irruzione nelle loro case, i cyborg non erano mai stati mandati proprio da loro per attaccare per primi, tranne che in rare eccezioni, non avevano mai cercato lo scontro diretto. E se questo mostro così diverso dai soliti fosse abbastanza potente da ucciderli tutti insieme?... No, c’era dell’altro. Non aveva cercato di eliminarla, stava continuando per la sua strada, come se stesse cercando qualcosa. O qualcuno.

Un pensiero terribile attraversò la mente della ragazza, impallidì; una cosa assurda e inspiegabile e che in quel momento gli parve così vera e concreta da poterla toccare. Con un salto raggiunse il piano da lavoro che fino a qualche minuto prima zia Kiyomi aveva utilizzato per preparare da mangiare e da lì prese lo slancio per trovarsi proprio di fronte al mostro e tagliargli la strada. « Non ho finito con te, figlio di puttana. » Oren si esibì in una scarica di calci ben assestati e velocissimi, il mostro li subì tutti ma non fece una piega. Cominciò allora a riempirlo di pugni, sembrava una mitragliatrice e le sue mani quasi non si vedevano tanto erano leste. Man mano che colpiva, si sollevava leggermente da terra fino a quando si ritrovò a galleggiare all’altezza del suo torace, senza diminuire la sua foga, ma niente, nessuna reazione. Con una mossa improvvisa, si abbassò per terra e lo calciò alle gambe con forza, sperando di farlo cadere, ma sembrava che avesse messo le radici, una statua di marmo immobile, tutt’uno col pavimento. Infine, quando sferrò l’ennesimo destro, lui le bloccò il pugno con la mano melmosa, che però era stranamente dura e fredda come l’acciaio. La presa non era stata volutamente forte, così Oren poté liberarsi e indietreggiare di qualche passo. Non aveva mai visto una creatura del genere: non era un cyborg, possedeva tecniche di lotta e non combatteva alla cieca, usando solo la potenza fisica, come avevano sempre fatto i suoi predecessori e inoltre –ciò che la preoccupava di più- sembrava avere un obiettivo ben preciso, che non era lei. « E va bene… Adesso mi costringi a fare una cosa che non avrei voluto… » Inspirò profondamente e tutta rossa in viso urlò a pieni polmoni: « Aaiuuuuutooooooooooooo! »

Strepiti e risate ancora più forti, la musica non si fermò, né accennò a diminuire di volume. “Maledetti coglioni inutili deficienti! Ecco i vantaggi di avere due zii ubriaconi che fanno solo casino!”  Il mostro la fissava ancora dall’alto, ma Oren aveva la netta sensazione che quello stato di fermo non sarebbe durato ancora a lungo. Doveva agire, passare al contrattacco, metterlo a terra in qualche modo e poi correre a chiamare suo padre e gli altri. « Ok, giochiamo pesante! »

Al contrario di Beatrix, che sembrava sprofondare in trance quando usava la sua energia interiore, la fatica di Oren era ben visibile sul suo volto contratto. Attorno alle iridi nere apparvero in breve piccole venature di sangue, mentre i riccioli neri ondeggiavano appena. Spostò la mano aperta in avanti, provocando delle strane onde nell’aria e finalmente il mostro si mosse. Cominciò ad arretrare. I suoi piedi scivolavano sulle mattonelle lentamente, fin  troppo lentamente: Oren purtroppo non era brava quanto Beatrix a utilizzare i suoi poteri telecinetici e spostare una massa pesante come quella costava una fatica enorme. Inoltre aveva la netta sensazione che quell’ammasso di organi putrefatto la stesse contrastando. Infatti, il mostro riuscì a fermarsi.

Oren emise un gemito stanco; nemmeno l’energia spirituale era servita, anzi l’aveva indebolita parecchio. A questo punto non sapeva più che fare, o meglio lo sapeva, doveva tenere il nemico lontano dalla camera da letto, possibilmente senza restarci secca, ma aveva esaurito tutte le risorse. Il mostro avanzò e si pose proprio davanti a lei, la inchiodò alla parete sovrastandola con la sua mole. Oren deglutì, con il respiro ancora ansante e la fronte imperlata di sudore; gli arrivava più o meno all’addome, non si era mai sentita così infinitamente piccola. “Merda…che cazzo faccio adesso!?”

Ma non ci fu tempo di pensare, perché il mostro, con un movimento rapidissimo, stese la gamba per colpirla. Oren ringraziò mentalmente i suoi riflessi scattanti, che le permisero di balzare appallottolandosi come una pallina, poi saltò sulla spalla dell’avversario, per avere almeno un po’ più di spazio, ma era ancora in aria quando il mostro si girò e la colpì per la prima volta con tutta la sua forza. Sferrò un pugno con la mano “normale”, accompagnando il movimento con tutto il peso del suo corpo e gli effetti furono devastanti. Oren non se ne rese conto, ma attraversò volando tutta la cucina alla velocità di un missile, tanto che divenne un vero e proprio proiettile umano: fracassò la credenza e come se non bastasse sfasciò la parete e si ritrovò nel soggiorno, dove mandò all’aria il tavolo apparecchiato e terminò il suo volo contro la cristalliera di zia Maki. Finì a terra lunga distesa, mezza coperta da piatti e vetri di ogni tipo, il volto pieno di graffi e lividi. Aveva male dappertutto, non riusciva a muovere nemmeno un dito, sentiva però il sapore dolciastro del sangue in bocca.

Rumore di passi pesanti. Il mostro stava varcando il foro nella parete e calpestava tutto ciò che trovava al suo passaggio. Una volta raggiunta la sua vittima quasi esanime, sollevò il braccio sopra la testa. Le unghie, con un rumore simile a uno stridio, si allungarono tutto in una volta diventando vere e proprie lame, nere, lucenti e affilatissime. Oren le vide incombere su di lei, respirava freneticamente, il cuore sarebbe scoppiato prima ancora di essere squarciato…

Serrò le palpebre, nella sua mente c’era tutto e niente…

Adesso, da un momento all’altro, avrebbe sentito la sua pelle lacerarsi…

Non poteva finire così… La sua famiglia era lì vicino…

Aiuto…

 

       Un rumore assordante. Tutta la casa tremò.

       « Oren! Oren, stai bene? »

Quando riaprì gli occhi, il volto duro e preoccupato di suo padre occupò tutto il suo campo visivo. Non era mai stata così felice di vederlo! « Papà! » disse abbracciandolo. Come per magia, aveva ritrovato la forza di rimettersi in piedi, forse perché più che il dolore, era stata la paura a impedirle di muoversi poco prima. Vide il mostro che si stava rialzando lentamente, suo padre doveva averlo steso cogliendolo alla sprovvista. Adesso veniva il bello.

 

Ethan, una volta assistito alla scena e aver appurato che sua sorella stesse bene, tornò in fretta nella cameretta per avvertire gli altri. « Ehi, abbiamo visite e pare che sia qualcuno più in gamba del solito »

Da allegre e ridenti, le espressioni dei Janko divennero immediatamente serie. Harry si sfilò subito gli occhiali e seguì suo cugino fuori. Leon gli andò dietro, ma Danka lo trattenne. « Leon! Alex! »

Il ragazzo annuì e le accarezzò la schiena. « Non ti lascio » le assicurò. In fondo erano in molti, ce l’avrebbero fatta anche senza di lui e Danka sarebbe stata più tranquilla.

« Rimarremo anche noi, tesoro. Tuo padre e i tuoi zii se la caveranno benissimo » disse Kaory, parlando anche per le sue sorelle.

Richy ritornò all’improvviso del tutto sobrio e si diresse verso il campo di battaglia, che al momento era il suo soggiorno, bisbigliando in tono preoccupato: « Per favore, fa che non abbiano rotto niente, per favore… »

Rudy afferrò sua figlia per il braccio. « Dove pensi di andare, signorina? »

« Vengo con voi! » rispose Beatrix, alterandosi.

« Non se ne parla, rimani qui, bisogna proteggere Alex » disse suo padre in un tono che non ammetteva repliche.

« Ma c’è già un esercito, non serve, voglio combattere! »

« Rimani qui e basta. »

La ragazza imprecò in tutte le lingue, ma rimase nella stanzetta. Allo stesso modo, Junior stava cercando di sgusciare fuori.

« Junior! Torna qui immediatamente! » ordinò Maki al cui sguardo non sfuggiva niente.

« Ma voglio andare anch’io, mamma, posso combattere! »

« Levatelo dalla testa! » e tirò indietro suo figlio per un orecchio, mentre lui continuava a urlare, elencando tutte le parolacce che conosceva.

 

A Richy per poco non venne un infarto vedendo la tavola a pezzi e soprattutto tutta la collezione di Maki completamente in frantumi. « Oh, Gesù… Che macello… »

« E non hai ancora visto quella voragine nel muro » disse Harry senza pietà.

« Sono morto. »

« Dai, zio Richy, vedrai che tutti insieme lo facciamo fuori » disse Ethan con fare incoraggiante.

« Io non sto parlando di quel mostro, ma di quella belva di tua zia! Quasi quasi  mi faccio ammazzare da questo… »

« Beh… Almeno ti ucciderà subito... »

I Janko si disposero come una formazione: Ethan e Harry ai lati, Rudy dietro a Richy, davanti a tutti c’erano Luke e Oren, che si teneva una spalla ma non voleva saperne di muoversi da lì. « Oren, fila di là. »

« Non ci penso nemmeno, io rimango. »

« Sei ferita, va’ da tua madre! » ringhiò Luke.

« Ti ho detto che sto bene! »

« Ehi, attenti! »

La ragazza fece istintivamente una capriola all’indietro, mentre suo padre si buttò per terra. Quando il rumore cessò, videro la parete piena di buchi fumanti. Il mostro teneva ancora il braccio teso: sotto quella roba melmosa era nascosta una vera e propria mitragliatrice. « Ehi, è in gamba il tipo » commentò Harry.

      « Sì… Peccato che con noi non ha speranze. » Richy attaccò per primo, spiccò un salto e con un’abile finta colpì in pieno il viso del mostro, tremando al contatto: fu come pestare un muro di cemento armato. Senza dargli nemmeno un secondo di tregua, Harry partì alla carica, saltando a gamba testa contro tutte le leggi di gravità, sferrando calci avanti e da dietro, senza sortire alcun effetto.

« Sei tosto, eh!? » Rudy rifletté rapidamente che il corpo di quel mostro era fin troppo grosso e resistente per loro, così pensò di colpire la testa, più piccola e vulnerabile. Come una molla, saltò versò il suo obiettivo e con una pesante testata gli fece piegare il capo all’indietro. Un momento dopo, però, ritornò esattamente come prima.

« Se neanche la capoccia cocciuta di zio Rudy c’è riuscita… » borbottò Ethan, prima di correre verso il nemico come un fulmine. Concentrò tutta la sua potenza nelle dita tese della mano e puntò alla zona membranosa del suo torace, credendola debole, ma si ritrovò solo del liquido gelatinoso e appiccicoso addosso. « Che schifo! Almeno i robot non erano così unticci! »

Oren, senza prestare attenzione ai richiami di suo padre, saltò verso l’alto e caricò il calcio al massimo proprio sotto il mento della creatura, ma ancora una volta nessun risultato. « Ma che cavolo! I nostri attacchi migliori non gli fanno alcun effetto! »

« Ok, ascoltate il mio piano » disse Luke con un tono che imponeva obbedienza. « Visto che è troppo forte fisicamente, proveremo con l’energia spirituale. »

« Ci ho già provato, papà, è inutile, riesce a contrastarla » obiettò Oren.

« Non se uniamo le nostre forze. »

Rudy gli lanciò uno sguardo d’intesa da dietro gli occhiali scuri. « Bene, allora cominciamo, che stiamo aspettando? »

Tutti quanti cominciarono a concentrarsi essenzialmente sul loro nemico, non sentivano più nient’altro intorno a loro, né vedevano più la stanza scombussolata. Solo il mostro era nel loro campo visivo e diventava sempre più grande man mano che si avvicinava a passi lenti e pesanti. I capelli di Harry cominciarono a muoversi, assumendo una forma ancora più disordinata del solito; anche i rasta di Ethan sembravano impazziti, come mossi da un vento irrefrenabile; il cappellino di Richy volò via, Rudy si tolse in tempo gli occhiali prima di spaccarli, rivelando le pupille dilatate; Luke era perfettamente immobile, solo la camicia ondeggiava sul suo corpo e il ciuffo di capelli brizzolati si alzava scompigliato sulla sua fronte; anche Oren si unì agli altri, pur essendo debole e potendo offrire un contributo minimo.

Fu così che il procedere del mostro fu bloccato; il suo viso non tradiva alcuna espressione, tuttavia era chiaro che stava lottando per contrastare la telecinesi dei guerrieri. La situazione si stabilizzò: l’essere demoniaco non riusciva più ad avanzare, gli altri tuttavia non sembravano in grado di fargli  male più di così. « Cazzarola, ma quanto cazzo pesa questo cazzone!? »

« Risparmia il fiato, Harry! » disse Rudy a denti stretti sotto sforzo.

Ad un certo punto, Luke dette fondo a tutte le sue forze e con un ruggito accompagnò la scivolata del mostro, arrivato ormai al balcone aperto. Si teneva ai margini della finestra con entrambe le mani. « Perfetto, e come lo leviamo da lì adesso! »

Quasi in risposta alla domanda retorica di Richy, un’onda d’urto devastante invase il soggiorno, rompendo anche quei pochi bicchieri che si erano salvati. Senza stare a pensare troppo a chi o cosa potesse essere stato, i Janko dettero fondo alle ultime energie e il mostro fu letteralmente spazzato via dalla potenza delle loro menti fuse, portando con sé i pezzi di muro e mattoni ai quali si era avvinghiato. La sua immagine perlacea si stagliò per un secondo contro il cielo nero senza stelle, prima di precipitare dabbasso; un volo del genere l’avrebbe ucciso di sicuro. Per sicurezza, Richy corse ad affacciarsi e vide da lassù la sagoma del suo cadavere, inerte sull’asfalto, mentre alcune persone si azzardavano a mettere il naso fuori dalle finestre per cercare di capire qualcosa. Ma c’era poco da riflettere: nell’immaginario collettivo, i Janko avevano dato vita a un mostro con le loro arti magiche oscure e poi ne avevano perso il controllo ed eccolo lì, giacente sulla strada. Nessuno ci stava a pensare più di tanto. Nemmeno la polizia quando arrivò poco più tardi, visto che aveva già ricevuto disposizioni dal famigerato capo della Bryant, e conosceva già la situazione perfettamente.

Richy sospirò e tornò in salotto. « Bigotti… A proposito, che cazzo è stato quella cosa? Ad un certo punto ho sentito come un’onda che mi attraversava… Qualcuno ha mangiato doppia razione di spinaci stasera, eh? Chi di voi? »

« Beatrix! » esclamò Oren. Sapeva che era stata opera sua prima ancora di vederla.

Infatti la ragazza stava proprio dietro di loro, con un sorriso che più soddisfatto non si può. Si scostò i capelli dietro le spalle e disse: « La prossima volta forse è meglio se ci resti tu dentro, che ne dici, papino»

Rudy stava già per ribattere, ma Richy lo afferrò per una spalla e scosse la testa. « Mi dispiace, ma ha pienamente ragione lei! »

« Ti ci metti anche tu, adesso? » sbottò Rudy. « E comunque mi hai quasi distrutto i vetri degli occhiali! Non sai ancora gestire i tuoi poteri! »

« A me sembra che li sappia gestire anche meglio di noi, Rudolph » intervenne Luke, ben sapendo quanto desse fastidio al cognato essere chiamato col nome originario.

« No, ha ragione, non li so ancora controllare bene, perché in realtà gli occhiali volevo frantumarli in mille pezzettini » fece Beatrix, senza rendersi conto di quanto assomigliasse a suo padre in quel momento.

« Piccola ingrata, adesso ti insegno io a… »

« No, no, Rudy. » Richy lo fermò di nuovo. « Adesso stai buono e zitto. E per una volta hai torto marcio, perciò subisci, papino»

 

 

NdGil. Grazie Erika91 che commenti ogni capitolo, ti adoro :D In effetti il problema dei miei personaggi è che sono un po’ stereotipati, nonostante cerchi di caratterizzarli il più possibile. Un po’ è colpa del numero… sono troppi e non è per niente facile gestirli tutti. Comunque questa storia io l’ho già conclusa (quasi, sto lavorando sull’ultimo capitolo da un sacco di tempo…), la sto postando per avere appunto critiche e suggerimenti per migliorare i punti deboli, quindi se in questi capitoli non vedi miglioramenti non è perché non ascolto, ma solo perché posto i capitoli già ultimati da un pezzo J Poi farò una grande revisione! Per quanto riguarda invece la battaglie… beh… io ho messo la nota “fantasy” soprattutto per i combattimenti, che sono un misto fra Dragon Ball, Buffy e Kill Bill, quindi di realistico non c’è… niente xD E da quest’ultimo capitolo si capisce benissimo… Il fatto è che i Janko non combattono fra loro, ma contro robot e creature di laboratorio, perciò nemmeno loro possono essere del tutto normali, altrimenti morirebbero K Detto questo… ti ringrazio ancora, le tue recensioni mi sono davvero molto utili! A presto!

 

   
 
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