I dormitori
Nota: in
questo capitolo il "piccolo Anton" avrà un dialogo più
lungo del solito con Emma, e sono venute fuori tutte le sue carenze
grammaticali. Un po' perché qui ha solo sei anni, un po'
perché proprio di suo non ne azzecca una. E non sapete
quanto la cosa faccia sentire Emma frustrata! Povera, la capisco.
Comunque vogliate per favore essere pazienti con lui <3 <3. --- 羽毛
Si
svegliò nel cuore della notte, sentendo qualcuno urlare. Un urlo
disarticolato, che aveva poco di umano. Sua madre si era messa a sedere
sul letto, poi evidentemente aveva deciso che la fonte del rumore non
le interessava un granché, ed era tornata a dormire. Nel giro di
un minuto il suo respiro era tornato regolare.
Sua madre non si interessava molto di niente. Mai. Soprattutto se riguardava lei.
Avrebbe
voluto essere rassicurata, quel grido l’aveva spaventata, ma
sapeva di non poter trovare conforto presso sua madre. Dal piano di
sotto ancora arrivavano dei gemiti, che le facevano rizzare i capelli
sulla nuca. Decise che l’unico modo di calmarsi e tornare a
dormire era andare a vedere chi faceva quei rumori e dimostrare a
sè stessa che c'era una spiegazione assolutamente razionale. In
fondo aveva sei anni, presto avrebbe iniziato la scuola. Non aveva
più l’età per raggomitolarsi sotto le coperte e
piangere di paura.
Uscì
in punta di piedi, senza produrre il minimo rumore. Ormai era
bravissima ad andare e venire senza che sua madre la sentisse.
Aprì la porta di uno spiraglio e scivolò fuori. Quasi
urlò di paura quando andò a sbattere contro
un’ombra nera. «Shhht, sono io!» Bisbigliò
Anton prima che lei potesse emettere un fiato.
«Cosa
succede a casa tua?» Chiese sedendosi sui gradini e cercando di
spiare al di là della ringhiera di legno un po’ marcio.
Anton sembrava molto a disagio. «Sono arrivati i miei
nonni.»
«I
tuoi nonni? Pensavo che avessi solo una nonna.» Anton scosse la
testa e fece la classica espressione cospiratrice che assumeva prima di
rivelarle un segreto. Lo sapeva anche senza bisogno vedere bene il suo
volto.
«Mio
nonno era nei campi esterni, perché era un ribelle. Adesso non
può più lavorare perché è troppo vecchio e
malato e l’hanno mandato a casa a morire.»
Fece una smorfia scettica. «Non poteva essere un ribelle. I ribelli li uccidono subito, non li mandano nei campi.»
«Era
un ribelle ti dico!» Insistette Anton oltraggiato. «Gli
hanno tagliato la lingua e l’hanno mandato a lavorare fuori.
È peggio della pena di morte. Ed è perché era un
ribelle fortissimo, la pena di morte non bastava.»
Era
ancora un po’ scettica. Aveva sentito dire che i ribelli, o
almeno quei pochi che c'erano stati, venivano impiccati davanti a tutti.
«E
allora perché l’hanno rimandato a casa, se era un ribelle?
Potrebbe ribellarsi di nuovo, no?» Chiese con una smorfia. Anton
assunse un tono sinistro.
«Perché
così gli altri ribelli vedono che è diventato matto, e
che non ha più la lingua, e si spaventano.»
«Ah.»
Si limitò a commentare. Aveva senso. Infilò le gambe
negli spazi della ringhiera e le lasciò dondolare nel vuoto,
fissando la strada sotto di loro. Anton si sedette sul gradino sopra di
lei.
«Io
non ho paura però. Mia nonna dice che gli somiglio tanto. Non
come è adesso, senza lingua e senza capelli e
tutto…» Esitò un attimo. «… Tutto
magro. Dice che sono uguale a lui quando era giovane. Anche io da
grande divento un ribelle, come lui.» Annunciò fiero.
«Non dire scemenze! Vuoi che ti taglino la lingua?»
«Voglio che vedono che non ho paura di loro, anche se hanno fatto male a mio nonno.»
Rimasero in silenzio un po’. Aveva sentito raccontare che anche solo a parlare dei ribelli, se si veniva sentiti dalla persona sbagliata, si potevano ricevere punizioni tremende, ed ebbe paura per Anton. Un ragazzino con cui Anton giocava spesso aveva raccontato loro che un amico di suo cugino, solo perché aveva raccontato in giro delle storie su alcuni ribelli che vivono nel sottosuolo, era stato picchiato da due guardie finché non aveva ammesso fra le lacrime che i ribelli non esistono e che si era inventato tutto. Gli avevano rotto il braccio e ancora adesso era tutto storto e non funzionava bene. Rabbrividì, immaginando Anton che piangeva col volto insanguinato e un braccio che penzolava con un angolo innaturale, e pregò che facesse più attenzione.
«Perché
tuo nonno è venuto qui? Non può vivere con tua
nonna?» Anche sapendo che era il nonno del suo amico,
Emma avrebbe preferito che quell'uomo se ne andasse da qualche
altra parte a gridare nel cuore della notte. Ovunque, basta che fosse
fuori portata di udito. Quelle urla la spaventavano ancora parecchio.
«Perché
è diventato matto, e la nonna non riesce a occuparsi di lui da
sola. Rischia di farle male.» Rimasero in silenzio ancora un
po’.
«E
perché sei qui sulle scale?» Gli chiese con un sorriso
malizioso. «Hai paura di lui? Per il modo strano in cui urla
vero?» Nonostante la debole luce lunare le guance di Anton si
imporporarono visibilmente.
«Paura? No, certo che no!» Anton si sforzò di ridere. «Sono venuto a vedere se TU avevi paura!»
«Io
non ho paura!» Protestò lei, punta sul vivo. «Ho
sentito urlare e pensavo ci fossero dei ladri. Sono uscita per venire a
difenderti!» Si rimbeccarono a vicenda per un po’ e senza
accorgersene alzarono la voce, finché Agnes non li sentì
e andò a trascinare via Anton per un orecchio, suggerendo anche
a lei di tornare a letto.
Poche
settimane dopo, al modesto funerale che la famiglia di Anton aveva
messo su per suo nonno, sentì Agnes raccontare a una signora che
suo suocero non aveva mai avuto niente a che fare coi ribelli. Aveva
solo parlato a sproposito, fatto una battuta di spirito su una delle
famiglie del Cuore, ed era stato sentito dalla persona sbagliata. Anton
non stava ascoltando, stava lanciando sassi nel canale qualche metro
più in là, studiando con espressione corrucciata i cerchi
che si formavano nell’acqua.
Per
un attimo pensò di raccontargli tutto, ma poi decise di mordersi
la lingua. Anche se aveva solo sei anni sapeva già che tutti,
per crescere nei rioni, avevano bisogno di un eroe da ammirare. Non
sarebbe stata lei a portarglielo via.
Comunque, alla fine, era proprio come pensava. I ribelli li uccidono subito.
Le
preoccupazioni di Yuri sulla sua salute si rivelarono fondate quando la
mattina dopo venne svegliata dalla compagna che la scuoteva.
«Emy, Emy siamo in ritardo!»
Sentire il panico nella voce della compagna le face capire che erano veramente in ritardo, e veramente nei guai. Quand’era stata l’ultima volta che non aveva sentito la campana? Non lo ricordava nemmeno.
Scattò
in piedi e si rese conto che le gambe non la reggevano. Cercò di
non dare a vedere quanto le girasse la testa e si vestì.
Nonostante la divisa fosse troppo pesante per l’aria tiepida che
soffiava in quei giorni, sentiva brividi freddi correrle lungo la
schiena. Non poteva permettersi di perdere la giornata, già il
giorno prima non aveva aperto nemmeno un libro. "Anzi, un libro l’ho aperto." Pensò
col groppo in gola ricordando il grosso tomo nascosto sotto al divano
della biblioteca. Si precipitarono a lezione correndo, ormai troppo in
ritardo per la corvè, e arrivarono che la campanella era appena
suonata.
«Siete
in ritardo voi due.» osservò il professore con tono
severo. In realtà doveva ancora arrivare parecchia gente, ma
siccome gli altri ritardatari non erano dei rioni, era irrilevante.
«Ci
scusi professor Weimer. La mia compagna si è sentita male e
l’ho accompagnata in infermeria.» Mentì Yuri
prontamente, con una dolcezza e un candore che sciolsero il cuore del
professore istantaneamente. Il professor Weimer era un falso cattivo.
Sesto figlio di una famiglia nobile, magro come il manico di un
rastrello e interessato solo alla matematica, le rimbrottava sempre con
severità, ma bastava che una studentessa gli sorridesse
perché lui arrossisse e si dimenticasse quello che stava facendo.
Se
la studentessa era Yuri, comunque, erano pochi i professori immuni. Le
vecchie superstiziose di Sianel avrebbero detto che quella ragazza era
una strega. «Si sente meglio, signorina Creuza? Non farebbe
meglio a restare in infermeria tutta la giornata?»
Emma
scosse la testa, guardando a terra imbarazzata consapevole dello
sguardo delle sue compagne di classe. «Solo un malore passeggero
professore.»
Il
professore non se ne interessò nemmeno un secondo di più,
e si limitò a fare un cenno nervoso con una mano verso i loro
banchi in fondo alla classe, perché si sedessero in fretta.
Rischiò di addormentarsi più volte nel corso della lezione, la campana del pranzo era un miraggio lontano. Più lontano del solito, almeno.
Comunque,
realizzò all'improvviso profondamente demotivata, prima di
potersi riposare avrebbe dovuto pulire il ballatoio dei tre piani dei
dormitori, il ché non era certo una prospettiva allettante: era
un lavoro lungo che faceva venire mal di schiena. Cercò di
sbrigarlo il più in fretta possibile, ma ci vollero comunque
quaranta minuti, alla fine dei quali era molto intirizzita.
Avrebbe
voluto saltare il pranzo ma sapeva che la cosa avrebbe fatto
preoccupare Yuri, così si costrinse a mangiare della zuppa calda
e poi arrancò più in fretta che potè fino in
camera, dove, dopo aver lanciato un’occhiata nostalgica al letto,
si impose di sedersi alla scrivania: aveva un mucchio di compiti da
recuperare.
I
raggi di sole passavano attraverso le foglie degli alberi. La luce era
strana, calda e densa. Lei camminava, gli stivali calpestavano foglie
bagnate sollevando profumo di terra. I pantaloni avevano uno strappo
dove si era impigliata in un rovo. Il cuore le pulsava in petto con una
fretta che era dovuta solo in parte alla camminata. Era spaventata,
sì, e nervosa... ma anche elettrizzata. All’improvviso gli
alberi finirono. Davanti a lei c’erano delle colline brulle, con
poche chiazze di cespugli o alberelli rachitici. All’orizzonte,
dietro una collina lontana, c’era un fronte di nuvole nere,
nonostante il libeccio avesse spazzato via le nubi su tutto il resto
della costa. Le sembrò di vedere qualcosa che superava la cresta
di una collina. Qualcosa di squadrato. Opera dell’uomo. Il suo
cuore fece un buffo sobbalzo, come se fosse inciampato dopo tutto quel
correre. Là. È là che ci sono le mura, che
corrompono tutto.
«Emma?»
Emma si sveglio di soprassalto, con la schiena dolorante e scossa dai
brividi. «Mettiti a letto se sei stanca.» Le disse Yuri con
voce dolce e bassa, come a non volerla disturbare troppo.
Fuori
era già buio e pioveva ancora. Di nuovo non aveva studiato quasi
nulla. Le colline brulle del sogno erano ancora impresse nel retro
delle sue palpebre. Aveva la testa più pesante che mai,
così accettò il consiglio e si infilò sotto le
coperte.
Aveva
il fiato corto e le spalle doloranti per il peso dello zaino.
C’era sempre meno luce, i suoi passi risuonavano sulla ghiaia.
Poi una gran confusione, uomini armati, senza capelli, con i vestiti
dello stesso colore della terra delle colline, saltarono fuori
all’improvviso, circondandoli.
Il
giorno dopo si svegliò e la prima cosa che vide fu che il sole
era alto. Presa dal panico saltò in piedi per chiamare Yuri e si
accorse che non c’era. C’era un biglietto sul suo letto
rifatto.
“Emy, resta pure a dormire. Ti giustifico io con il professore. Rimettiti in salute, ci vediamo a pranzo!”
Un vago ricordo di mani sulla fronte e di sapore di medicina le affiorò nella mente, facendole provare un certo imbarazzo. Era stata male tutta la notte?
La
cosa che ricordava meglio erano sogni agitati e comunque confusi di
sangue, battaglia e corsa su un terreno friabile. Sentiva ancora la
sensazione delle mani e delle ginocchia sbucciate che bruciavano, si
sentiva dolorante come se avesse effettivamente combattuto, ma era
abbastanza sicura di non avere più la febbre.
Sulla scrivania c’era del latte ancora tiepido e del pane, che sbocconcellò guardando il sole che splendeva sul palazzo del Patrono, uomo misterioso che di rado compariva in pubblico. L’aveva visto quattro anni prima, durante i festeggiamenti per i sedici anni del suo erede. Non ricordava con esattezza il suo volto, ma ricordava bene l'erede, un ragazzo non molto più grande di lei, con occhi violetti e capelli argentati. Si dice che quando nasce qualcuno con quelle caratteristiche nella famiglia reale seguono molti anni di prosperità e grandi cambiamenti.
Si
dice anche che i regnanti con gli occhi violetti abbiano un carattere
instabile e i poteri di un dio. Decisamente non la migliore delle
combinazioni. Ma ovviamente questo non veniva mai detto ad alta voce.
Cercò
di rimuovere gli ultimi flash della nottata facendo colazione, poi
raccolse i libri che aveva trascurato per due giorni e si mise a
studiare, con la coperta di lana grigia buttata sulle spalle.
Ad ora di pranzo la porta si aprì piano e Yuri mise la testa dentro.
«Meglio?»
Emma annuì e Yuri parve sinceramente contenta. Mangiò con
una certa voracità la scodella di pasta in brodo che le aveva
portato, mentre Yuri la osservava seduta sul suo letto, con una postura
protesa verso di lei e l’espressione di chi aveva qualcosa da
chiedere.
«Sì?» Chiese Emma incuriosita, invitandola a parlare.
«Sta notte parlavi nel sonno.» Imprecò
mentalmente, usando parole che pronunciate ad alta voce le avrebbero
fatto crollare il soffitto in testa. «Hai parlato di un
atlante.»
Emma
cercò disperatamente di controllare l’espressione del
viso, cosa in cui riusciva malissimo. Infatti aveva l’aria di
qualcuno che sta ingoiando un piccione vivo e molto combattivo. "Ecco
fatto. Ora verrà qualcuno ad arrestarmi. Verrò deportata
nelle miniere… con la mia corporatura esile sarei perfetta per i
tunnel più angusti, mi manderebbero ad esplorare i peggio posti
finché non rimarrò incastrata o crollerà un
soffitto e io farò la morte del ratto…"
«Deliravo.»
disse asciutta, cercando di mettere a tacere la parte della sua mente
che farneticava in preda al panico e ingoiando una grande sorsata di
brodo bollente che le ustionò gravemente la gola.
«Sì,
un po’.» Riconobbe cortesemente Yuri. «Capita quando
si legge la mappa per la prima volta.»
«Ne
ho viste parecchie di mappe. Studio geografia.» Emma
continuò ostinatamente a bluffare, più concentrata sulla
necessità di allenarsi davanti allo specchio a fare una faccia
normale che su quello che Yuri stava dicendo.
«Ma
quello era diverso. Non negare. L’ho visto anch’io.»
Emma rinunciò ad ogni contegno e strabuzzò gli occhi,
boccheggiando alla ricerca di qualcosa da dire. Fu Yuri a rompere il
silenzio.
«Non
l’hai portato in camera vero?» Emma scosse la testa e Yuri
sospirò di sollievo. «Non devi farlo vedere a nessuno,
ok?»
Emma
si sentiva abbastanza confusa. Yuri era molto diversa dal solito, seria
e concentrata. Ricordò il lampo di trionfo che l’aveva
attraversata due sere prima, quando era tornata dalla biblioteca
sconvolta. «Tu già sapevi che lo stavo leggendo,
vero?» Yuri si morse le labbra, sembrava stesse soppesando le
parole.
«Sospettavo che l’avessi trovato, ma non potevo dirti niente finché non fossi stata sicura.»
«Che cosa sai di quel libro?»
Yuri
si alzò, guardò nervosa fuori dalla porta, poi la
richiuse e si sedette accanto a lei, trascinando la sedia dalla sua
scrivania a quella di Emma. La sensazione di essere parte di una
cospirazione si fece più forte.
«Compare
periodicamente in biblioteca, in aeree diverse... ma soprattutto in
quella di geografia. Ogni tanto uno studente lo trova e lo legge. Poi
scompare, per un mese, un anno, tre anni, non c’è una
regola. L’hai letto tutto?»
«No, ho solo visto la mappa.»
«L’hai
lasciato sullo scaffale?» Emma negò di nuovo, gli occhi
spalancati fissi in quelli grigi e seri della compagna.
«L’ho nascosto sotto un divano.»
«Bravissima,
questo è molto importante!» Disse Yuri sorridendo
entusiasta, di nuovo se stessa, per poi tornare seria un attimo dopo.
«Se l’avessi messo sullo scaffale non l’avresti
più trovato. Intendi tornare a leggerlo vero?»
Emma
non sapeva cosa rispondere. «Tu l’hai letto tutto?»
Yuri annuì, guardando distrattamente fuori dalla finestra.
«Che mi consigli di fare?»
«Dipende.»
Emma
si passò le mani fra i capelli, cercando di non cedere alla
tentazione di mettersi a letto e dormire fino alla vecchiaia.
«Dipende da cosa?» Chiese cercando di non perdere la
pazienza.
«Da
tante cose.» Iniziò a dire Yuri con voce assorta. Poi,
forse vedendo lo sguardo esasperato di Emma, sorrise con dolcezza.
«Dipende da quanto ti interessa sapere la vera storia, da quanti
rischi sei disposta a correre per conoscerla... Soprattutto da quanto
sei felice delle cose così come stanno.»
«Da quanto sono felice? Cosa centra questo?»
«Se
pensi le tue prospettive per il futuro siano buone, se ti sta bene
avere meno opportunità degli altri solo perché sei nata
in un rione, se pensi che la Città venga gestita nel migliore
dei modi… Allora ti consiglio di andare in biblioteca e
rimettere il libro sullo scaffale. La mattina dopo non lo troverai
più, potrai continuare con la tua vita come se niente fosse
successo.»
Emma
tacque pensosa, mentre una serie di immagini si susseguì nella
sua mente, troppo confusa per esprimersi a parole. Pensò a Jane
che piangeva in cucina, al nonno di Anton, al dolore dell’ago
sulla pelle ogni volta che le rinnovavano le rune, una volta
l’anno, e alle catene che legavano ognuno nel proprio angolino di
terra. All’ombra delle mura che incombeva sulla loro vita, a come
le aveva viste in sogno, spuntare da sopra le colline brulle. Corrompere tutto.
No, quello non centrava. Era solo un sogno, e avrebbe fatto meglio a scordarsene.
Forse
in quel libro era nascosto un segreto per uscire dagli schemi che
avevano regolato la sua vita da quando era nata? Yuri le lesse la
risposta negli occhi.
«Allora leggilo. Devi sapere come stanno veramente le cose, se vuoi sperare di cambiarle.»
Emma
sospirò e lasciò cadere la testa sulla scrivania con un
sonoro tonfo. Qualcosa le diceva che conoscere la verità non
sarebbe stata una cosa priva di rischi. Poi, come colta da una
rivelazione improvvisa, guardò Yuri a bocca spalancata.
«Che
cosa c’è?» Chiese toccandosi i capelli rossi, come
per cercare un insetto che ci fosse rimasto incastrato. Emma scosse la
testa, scioccata. «Niente è che… ti facevo molto
più… svampita.» Yuri le fece l’occhiolino,
divertita.
«È una cosa che prima o poi mi dicono tutti.»
Hey!!
Yuri ha rivelato qualcosa in più su di sé, cioè che è ancora più incasinata di quanto si pensi °___°
Viene fuori anche il cognome di Emma, che non era mai stato pronunciato prima. L'avevo deciso fin dall'inizio ma ora lo sapete anche voi :p
Piccola curiosità: il suo cognome viene dalla canzone Creuza de Ma, di De Andrè, che è un po' il mio personale tormentone estivo, tanto che ci ho scritto sopra pura una one shot XD. La canzone non c'entra nulla con la storia e aver messo parte del titolo come cognome della protagonista è solo un omaggio. Comunque, visto che farsi una cultura musicale non è mai mala cosa, vi lascio il link della canzone, nel caso non l'aveste mai sentita. <3https://www.youtube.com/watch?v=KoVxtw5V3GQ
P.S: Le immagini le scelgo da deviant art, cercando qualche cosa che renda una vaga idea dell'atmosfera e dell'ambiente. Non sono state fatte apposta quindi non sempre coincidono con le cose come descritte nella storia, ma soprattutto non le ho create io. Se schiacciate con il pulsante destro sull'immagine troverete l'URL originale. Non è assolutamente mia intenzione prendermi il merito per i disegni, anche perché so disegnare solo omini stecchino e verrei sgamata subito. Love <3 --- 羽毛