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Autore: summers001    20/08/2014    5 recensioni
"Chiedo il permesso di salire a bordo!" disse Emma a testa bassa nascondendo un ghigno sotto al mantello blu, camminando sul pontile di quella nave che conosceva assai bene. Non lo sapeva che il permesso si chiedeva prima di essere lì, perché per lei era una formalità. Lei chiedeva solo per cortesia, perché poteva prendersi tutto quello che voleva e nessuno le aveva mai detto no.
"Permesso negato!" rispose cattivo il capitano, col sorriso da spaccone di uno che puntava la sua preda fresca e giovane da umiliare. Scese allora le scale abbandonando il timone. Emma vide gli stivali di pelle scura e il cappotto lungo e nero avvicinarsi e nascose ancor di più il viso, solo per un attimo ansiosa. "Chi diavolo sei tu comunque?". Killian Jones le si avvicinò ed in un gesto veloce le tolse il cappuccio, scoprendole le testa. Vide i capelli lunghi e biondi che avrebbe riconosciuto anche da lontano, anche dopo mille anni, e poi la faccia seria di lei. "Swan!" riuscì a bisbigliare sbigottito.

Princess!AU, Captain Swan, Three-Shot
Genere: Avventura, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Emma Swan, Killian Jones/Capitan Uncino, Un po' tutti
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'The royal court'
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Il tenente Jones sarebbe dovuto tornare in giornata da una missione. L'avevano annunciato le fate, che l'avevano visto salpare su quella nave dal porto solo due giorni prima.

Emma aspettava annoiata da qualche giorno. Per lo più faceva quello che sua madre le diceva di fare. Aveva sedici anni ormai, Killian appena tre più di lei e poteva girare il mondo. Lei invece no, chiusa in quella stanza a studiare. Giocava a rigirarsi una penna tra le dita, scuotendola ed osservando l'arcobaleno di colori tondo che creava, quando invece aveva promesso che avrebbe imparato tutte quelle stupide capitali.
Era diventata davvero bella intanto con gli anni. Il viso ancora in parte tondo cominciava a mostrare i lineamenti che le si sarebbero affermati più in là. La pelle morbida, le guance rosa, gli zigomi alti, i capelli lunghissimi che teneva sciolti e basta. Era diventata una ragazzina muscolosa che si arrampicava sugli alberi e s'era fatta insegnare a tirare di spada anche lei da suo padre, ridendo tra una lezione e l'altra. Sua madre avrebbe potuto insegnarle a tirar d'arco, ma preferiva tentare con la danza. Detestava i gioielli e l'unica cosa che portava era una collana con un pendente tondo ed un cigno inciso in superficie.
Quando alzò gli occhi e vide le navi i suoi occhi si illuminarono. Mollò tutto e corse di sotto appendendosi alla ringhiera delle scale. Si fece aprire il portone principale dai nani, uno mezzo addormentato, l'altro in crisi allergica, che stavano là davanti. Prese un respiro profondo prima di ricominciare a correre. Si fermò sulla piazza del paese affannata, ispirò forte e cacciò tutto fuori con le mani sulle ginocchia. Pochi metri più lontano un gruppo di paesani si apriva, le truppe reali passavano in gruppo. Erano tutti uomini alti e muscolosi, stranamente riposati, e Killian non era là in mezzo, almeno così sembrava. Si sporse a destra ed a sinistra con la testa per vedere meglio e finalmente lo trovò: pochi metri dietro suo fratello, gli ultimi a scendere come due veri ufficiali, il capitano e il suo tenente.
Quando Killian alzò gli occhi la trovò lì ad aspettarlo. Mollò il suo borsone a terra, corse da lei e la sollevò in aria, abbracciandosela poi stretta, inalando l'odore della sua pelle fresca, non di fastidiosi profumi che le altre dame emanavano a metri di distanza. Suo fratello di lontano scosse la testa sorridendo, si caricò sulla spalla il borsone che Killian aveva lasciato e se ne andò.
Killian ed Emma si sorrisero a vicenda, lei gli carezzò una guancia e lo guardò dal basso verso l'alto ed era tanto cresciuto, mentre lei ancora bassa pensava che solo tra qualche anno avrebbe potuto guardarlo in viso. Gli era cresciuta la barba in viaggio, le sua spalle erano un po' più larghe ed in generale la sua presenza s'era fatta più imponente. Lui le mise invece una mano sulla testa fingendo di riuscire a guardar oltre. Lei pareva così piccola e delicata, l'avrebbe presa e l'avrebbe potretta fino in capo al mondo!
Andarono via su quella collina che era il loro posto poi. Lasciò che lì lei si arrampicasse a cogliere le mele più alte e più mature. L'ombra ed il teporino primaverile erano piacevoli, il sole non troppo forte, c'era una piccola brezza che a mala pena scuoteva l'erba, ma lasciava addosso una sensazione di fresco. Lui si tolse la giacca e la stese sul terriccio, in quel loro angolo di quercia. Restarono a mangiare distesi all'ombra guardando le nuvole.
Killian d'un tratto si scosse, ricordandosi di una cosa importante che aveva trovato durante il viaggio. Si piegò quel poco che bastava per recuperare il pezzo di pergamena che aveva infilato tra il panciotto e la camicia. Tornò giù ed a metà tra lui e lei lo srotolò. Comparve la faccia di Emma disegnata sul pezzo di carta, una carrozza, un paio di date, annunci di viaggi ed incontri per salutare la principessa. "La principessa Emma Swan." cominciò lui leggendo a voce alta. "Swan?" chiese incuriosito con fare sospettoso, che aveva copiato da una certa bambina bionda anni fa.
"E' il mio secondo nome." rispose semplicemente lei colpevole sospirando: non avrebbe mai voluto ammetterlo! Si girò verso di lui e lo vide che la guardava con finto sdegno o divertimento. "Che c'è?" chiese con voce irritata, permalosa. "Mi avresti presa in giro per sempre!"
"Non è vero!" rispose lui imitando il suo tono cantilenoso. Era un gentiluomo non l'avrebbe mai fatto, non ci aveva neanche mai pensato! D'accordo, forse un po' l'aveva fatto, ma non era quello il punto. Decise di lasciar cadere l'argomento e tornò a guardare le nuvole, aspettando che fosse lei a far la prima mossa.
"Non vedo l'ora di uscire da questa prigione!" sospirò poi lei dopo poco. Sarebbe andata un po' per volta in ogni angolo del regno, come diceva il manifesto, a conoscere i suoi sudditi. Era un rito di passaggio per ogni prossimo erede al trono, così che tutti lo conoscessero, lo amassero, lo capissero; così che l'erede potesse conoscere il suo regno, il suo popolo, i suoi problemi. Emma non aveva mai visto il modo fuori dal castello se non per qualche rara fuga o per i pic nic organizzati mentre suo padre e gli altri uomini si divertivano in una battuta di caccia, e lei annoiata all'ombra, costretta con le altre dame.
"Sei uscita altre volte!" le rispose lui girandosi sul fianco verso di lei con una mano a reggersi la testa.
"Già," rispose lei, quelle fughe "ma solo di notte e con te per giunta, che volevi fermarti sempre davanti a quelle taverne!" disse strattonandolo, cercando di fargli cadere l'equilibrio, ricominciando quel gioco che facevano sempre da bambini.
Killian rispose e le spostò le mani, lei allora l'aggredì più convinta girandosi verso di lui, chiudendo le mani a pugno ed usando i gomiti. Lui dapprima si parò con le braccia, poi incrociò le gambe con le sue e gli bastò rigirarsi per sulle braccia per trovarsi sopra di lei, mentre scherzavano e ridevano ancora entrambi. "Non ti lamentavi fino a qualche mese fa!" disse cercando di tenerla buone le braccia che ancora s'agitavano. Aveva uno sguardo strano sul viso mentre si mordeva un labbro, che ad Emma fece ridere e perdere la sfida.
Quando finalmente riuscì a bloccarle le mani con le sue sull'erba si bloccò. I sorrisi e le risate sparirono prima sul volto di lui e poi su quello di lei e per un breve attimo riuscì a vederla ridere da così vicino. Ed era paragonabile al sole e le stelle. I suoi occhi accesi di verde, così pieni di colore che a malapena riusciva a notarle le pupille. Non ebbe il coraggio di fissarle la bocca, non un secondo o avrebbe fatto qualcosa. Non sapeva cosa, forse uno di quei baci bagnati sulle labbra.
Emma sfilò le braccia da sotto le mani di lui e si ricompose. Era tanto che non facevano quel gioco. "Forse non..." cominciò perché da quando era cresciuta aveva cominciato a volere i suoi spazi, perché si sentiva strana ad avere qualcuno così vicino, ad avere lui così vicino.
"Sì," cominciò dandosi del cretino, illuso che lei volesse essergli vicino almeno tanto quanto volesse anche lui "sì, scusa." disse tornando alla posizione iniziale disteso sulla schiena. Emma scosse la testa, non fa niente, non poteva saperlo.
"Devo ripartire la settimana prossima!" disse Killian con un tono tra l'annoiato ed il rilassato. Sapeva che lì ci sarebbe stato qualcuno ad aspettarlo, ma non era ancora abbastanza per decidere di restare e basta. Quell'affetto, Emma, ci sarebbe sempre stato ad aspettarlo.
"Di già?" fece lei sbalordita e triste.
"Già!" Lì c'era ancora troppo poco per pensare di restare.
"Tra me nel reame e te in missione ci vedremo pochissimo!" fece lei accettando al volo l'idea. Sarebbero tornati entrambi. SI rilassò ed incrociò le braccia dietro la testa. Lui si girò e la guardò di nuovo e s'incantò ancora. Se non fosse stato per i vestiti che era costretta a portare non gli sarebbe mai sembrata una principessa, ma ancora una donna, o una ragazza, bella da far star male. Riusciva a notarle i seni tondi che le avevano cominciato a crescerle sotto i corsetti che ora portava. E quasi le si voleva avvicinare, baciarla e toccarla come le avevano raccontato gli uomini più grandi con cui condivideva la nave, ma più gentile, in un modo tutto suo. Parevano sodi e morbidi e sentiva qualcosa crescergli dentro, che non aveva ancora mai provato davvero. Il cuore gli aveva accellerato e la mente fantasticava, di lei, con lui.
"Già." risponde lasciando cadere la voce, distratto, mentre la guardava. "ma sarà l'ultima volta" disse ricomponendosi e scuotendo la testa e scompigliandosi i capelli, perché si sarebbe potuta girare e non voleva che lei sapesse. Sentì un barlume di speranza però nelle sue stesse parole, di poterla vedere ogni giorno, che forse quel qualcosa, magari tra un anno o due, sarebbe diventato qualcos'altro. Sarebbe valsa la pena restare.
"Nel senso?" chiese lei guardandolo in viso ed allora lui ringraziò di aver distolto lo sguardo, si sarebbe vergognato da morire se lei l'avesse scoperto.
"E' l'ultima missione per il re del mio reame, dopo saremo solo al servizio di tuo padre, che non ha programmato spedizioni." E sì, era contento di restare, starle vicino, continuare a sentirsi così. Sarebbe presto cresciuta anche lei e avrebbe cominciato a volere anche lei quelle cose che lui aveva appena deciso che avrebbe conosciuto solo con lei. Perché era così che doveva andare. Era giusto così.
"Dove andate stavolta?" chiese lei. Le piaceva da morire ascoltare quei racconti, sarebbe voluta andare via volentieri anche lei. Anche con lui magari, sarebbe stato il viaggio più divertente della sua vita, la vita più divertente che aveva mai vissuto. Sicuramente meglio di quelle quattro mura in cui era rinchiusa.
"Una qualche isola che non ho mai sentito a recuperare erbe medicali." fece lui sufficiente. La missione non era un granché in realtà, ma erano i particolari a stuzzicare il suo interesse.
"Che isola?" chiese lei. Immaginava giganti ed orchi, fate e folletti, ninfe e fiori e colori ed il mare.
"E' importante?" chiese impaziente perché doveva prorpio dirle quel dettaglio. Emma non ebbe il tempo di rispondere prima che lui parlò di nuovo. "Useremo il gioiello del reame"
"Cos'è?" chiese. Una qualche corona forse?
"La nave più veloce che questo mondo abbia conosciuto!" rispose finalmente lui e sorrideva a bocca aperta, coi denti bianchi che gli riempirono il sorriso. Si alzò poi e la aiutò a tirarsi su acciuffandola per i polsi. La sollevò poi in aria sentendo per un attimo i fianchi perfetti e la stoffa morbida del vestito sotto le dita, la fece girare. Emma allargò le braccia ed urlò godendosi il vento sulla faccia e si chiese se era così che ci si sentiva in mare, sicura ed al caldo col vento sulla faccia.
Tornarono al castello felici, ridendo di nuovo. Ma non era tutto ancora perfetto: c'era un battito in più nei loro cuori che solo Killian riuscì a spiegarsi. Emma s'accontentò di tirarlo via per mano e costringerlo a rubare le fragole dalla cucina, fin quando vennero scoperti ed un valletto, senza commentare, le riferì che sua madre e suo padre la stavano aspettando per il pranzo. Salutò Killian e corse via, mentre lui rimase a guardare la nuvola bianca di vestito che volava e le cadeva addosso come facevano i suoi capelli, ora ricci ed ora lisci.
Più tardi, di notte, Emma si stava pettinando, era coperta da una semplice stoffa bianca di cotone, quando sentì qualcosa picchiare contro la finestra. Si avvicinò e notò i sassolini accumulati sul piccolo balcone che c'era davanti. Aprì i vetri, si affacciò e notò di nuovo Killian. "Dici che se mi lanci i tuoi capelli riesco a salire fin lassù?" chiese senza neanche salutarla prima. Lei fece una smorfia prima poi sorrise.
"Che ci fai lì?" chiese, ma era contenta di vederlo di nuovo.
"Volevo salutarti e..." disse e le indicò qualcosa in lontananza. Emma alzò lo sguardo e vide vele bianche, maestose, enormi. Capì che quella era la nave con cui sarebbe dovuto partire presto, ma dopo di lei. Era magnifica da lontano. In un cielo azzurro le sarebbero parse solo nuvole. C'era una bandiera azzurra piantata sull'albero maestro. Si chiese quanto poteva essere grande da vicino se riusciva a notarla dal castello.
"Buona notte, Killian!" sorrise lei. Era così bello quando lui si emozionava per qualcosa, sembrava ancora il bambino felice che giocava nell'erba. Gli allungò la mano e desiderò quasi di riuscire a toccarlo. Sentì freddo in quell'istante, così a distanza da lui, era come un'ombra che le era calata addosso, un vuoto che aveva bisogno di riempire.
"Buona notte, Emma!" disse sorridendo con la stessa espressione di lei, sollevando appena un braccio. Quando lei chiuse la finestra si ritrovò a fissare il balcone e toccare la pietra, chiedendosi quanto fosse lunga la notte che li stava dividendo.

 

La notizia della morte di Liam Jones aveva raggiunto persino le terre lontane, fuori dal limite della foresta incantata, oltre il lago Nostos, quasi alle terre calde e sabbiose della lontana Agraba.

Era stata una vera tragedia, il tradimento, le accuse al re, come quello aveva sfruttato i suoi marinai credendo che forse sarebbe potuto entrare facilmente in guerra e vincerla. Il re David se ne preoccupò poco, visto com'erano finiti i suoi tentativi, ma interruppe la pace e ruppe i commerci, acquisendo intanto quello che gli era dovuto, le navi, l'esercito ed il resto.
Emma si trovava in viaggio con sua madre quando lo venne a sapere, in quella terra ai confini di tutto, leggendaria perché circondata da tutti gli altri regni, neutrale al centro del mondo. Era sicura che ormai fosse successo da tempo. Erano passati almeno due mesi da quando aveva visto Killian l'ultima volta e le notizie viaggiano veloci tanto quanto i cavalli.
Pregò il re di quel reame di prepararle una carrozza e dei destrieri. Si organizzò un viaggio a sole cinque fermate, impiegando poco meno di una settimana per tornare indietro. Quando i cavalli erano fermi per riposare lei diventava agitata, camminava avanti e dietro e la notte non riusciva a dormire. Faceva piccole pause di sonno tra un chilometro e l'altro, senza però mai perdere d'occhio la strada sulla cartina.
Quando arrivò, smontò da cavallo solo davanti alle porte di legno enormi del castello. Brontolo le aprì e le chiese cosa fosse successo, cosa avrebbe dovuto farne del cavallo. Lei non rispose e corse dentro, raggiunse prima le scale e salì al piano di sopra. Girò i corridoi invano non sapendo dove poter cominciare a cercare. Sporgeva la testa in ogni porta. Quando incrociò il piccolo Neal si bloccò di scatto. Si lasciò per terra sulle ginocchia davanti a lui e gli mise le mani sulle spalle. Riprese fiato mentre quello la guardava e non sapeva che fare.
"Neal," cominciò lei sospirando. "dov'è..." aveva il fiato corto per la corsa ed a mala pena le uscivano le parole. "Dov'è Killian?"
Il bambino fece una faccia triste. "Nella sua stanza." disse appena indicando con un dito corto e cicciottello verso le scale che portavano al piano di sotto, dove appunto c'era la sua stanza.
"Bravo ragazzo!" fece Emma e si rialzò, ancora affannata. Diede una piccola pacca sui capelli scuri come sua madre al piccolo fratello e si incamminò con le spalle ricurve e piegata su un fianco a tenersi la milza che faceva male, tanta era stata la corsa.
"Emma!" la richiamò Neal. Emma si girò con il volto sofferente, chiedendo cos'altro voleva e perché non capiva che doveva lasciarla andare, che quella volta era importante. Lo trovò che stendeva una mano su cui teneva una mela verde e croccante, di quelle che tutti ricordavano piacessero a Killian. Era l'unico che le mangiava quando avanzavano nei cesti di frutta che le domestiche portavano nelle stanze. Neal doveva averla presa dal suo piatto. Emma la prese e la tenne stretta tra le dita, fece un segno di grazie con la testa e corse di nuovo giù.
Quando spalancò la porta della sua camera non era pronta a quello che avrebbe trovato. Killian era steso in un angolo con la schiena mezza appoggiata alla parete e la testa a ciondoloni in avanti. C'era una serie di bottiglie vuote attorno a lui, sopra al letto, sotto, accanto alla scrivania. La puzza che si respirava era incredibile, ringraziò il cielo che Neal non fosse arrivato fin laggiù a controllare.
"Hey!" esclamò Emma gettandosi su di lui. Lo tirò su per il bavero della giacca aperta cercando gli occhi, o almeno per controllare se fosse vivo, ma dai versi che aveva appena fatto doveva esserlo. "Hey!" lo richiamò, ma quello non rispondeva e teneva gli occhi chiusi e puzzava da morire e aveva addosso la divisa blu e bianca e forse non se l'era tolta da quando era tornato, cioè settimane. Emma alzò la mano e lo schiaffeggiò sulla guancia.
Killian si riebbe ed aprì gli occhi, sbattendoli di continuo e strizzandoli per mettere a fuoco. Vide un qualcosa di rosa e giallo sfocato e capì che era lei. "Swan!" fece senza forze, mezzo sorpreso, mezzo disperato. Alzò un braccio pesante e lo portò sulla spalla di lei.
"Andiamo." lo incitò lei invitandolo ad alzarsi con tutta l'intenzione di lanciarlo in una tinozza e lavarlo con tutti i vestiti. O magari di chiamare qualcuno per non doverlo fare proprio lei.
Provò a reggere entrambi, tirandosi su, con la schiena tutta storta e lui lanciato addosso. Caddero dopo poco ed erano di nuovo punto ed accapo. "Andiamo!" fece di nuovo lei e cercò di nascondere la frenesia della disperazione. "Andiamo!" lo chiamò ancora ed ancora, tirandolo su, ma lui pareva aver perso di nuovo conoscenza e se lo ritrovava di nuovo addosso, pesante, non collabborante. "Killian!" lo supplicò piangendo quasi, ma non si smuoveva. Tentò un'ultima volta, s'alzò prima lei e poi cercò di sollevarlo dall'alto tenendolo per la giacca. Cadde quando gli pesò poi sulle gambe, costrigendola all'indietro. "Killian!" gli urlò, ma lui neanche la sentiva. Emma se lo scrollò da dosso, spingendolo via con le mani e scusciò all'indietro piangendo, seduta sul pavimento.

 

La principessa aveva aiutato per tanto il suo protetto, finché non fu costretta a partire di nuovo, finché qualche altro re non domandasse la sua presenza.

Fu solo tre settimane dopo dacché era tornata. Lei non voleva e neanche sua madre e suo padre volevano vederla costretta, ma Emma avrebbe dovuto capire che quello non era il tipo di lavoro da cui poteva prendersi una pausa e lei lo sapeva e l'accettava sempre meno volentieri.
Killian era uscito dalla sua stanza solo di recente. Ogni volta che era in sé, che non era ubriaco e privo di sensi, non faceva altro che mandarla via, offenderla sperando che quello bastasse, ma l'aveva sottovalutata e non era sempre così. Allora era lui ad andar via. Non voleva lo vedesse, non così. Non lei.
Nell'ultima settimana che era stata al castello allora l'aveva evitato, s'era chiusa anche lei nella sua stanza e guardava dall'alto, dal balcone, tutte le volte che usciva e tornava con altri soldati, la sera tardi e la mattina presto, una bottiglia in mano e qualche sciacquetta ogni tanto dalla veste slacciata. Emma al contrario aveva un portagioie accanto alla finestra di vetro. Ci teneva dentro tanti sassolini, i sopravvissuti di quelli che lui le lanciava sul balcone, quelli che riuscivano ad arrivare a destinazione. Li raccoglieva ogni volta, ci giocava con le mani fino a pochi mesi prima e li aggiungeva a quelli della sera precedente. Emma li guardava, a volte li toccava. Si affacciava per controllare quel rumore sospetto che aveva sentito solo un secondo prima, guardava e poi tornava a letto a domire.
Emma partì. Aveva chiesto alle sue guardie di tenerlo d'occhio però. Gli impegni reali stavano diventando soffocanti. Ricevette notizia dopo soli due giorni delle liti che aveva iniziato ad intavolare, del nuovo occhio nero di Killian e delle bende strette che gli fasciavano la mano e le ossa rotte. Bruciò quei fogli. Quello non era lui.
La principessa non lesse più alcuna lettera. Tornò poi tre mesi dopo sperando che il tempo gli avesse fatto bene, ma il filo dell'amicizia che c'era prima era ormai bruciato.
La principessa era sola.

 

 

Il castello s'era fatto paurosamente silenzioso negli ultimi anni.

Il re e la regina stavano invecchiando e per lo più le loro attività si riducevano alla sala del trono, dove incontravano i loro sudditi. Non c'erano più risatine tra di loro, si stringevano solo duri come la roccia le mani in silenzio tra le due poltrone. Il re poi ultimamente non era nel pieno delle forze, ma si sarebbe ripreso, pensava, lo faceva sempre. La regina per stargli vicino aveva disdetto anche le ultime partenze, lasciando la principessa andar da sola ad esplorare il regno ed il mondo. Da sola con uno stuolo di dame e cavalieri a proteggerla. Neal aveva cominciato il suo percorso di istruzione. Non era l'erede, ma avrebbe dovuto studiare anche lui come tale, nel remoto caso in cui ce ne fosse stato il bisogno: a castello ti tagliano fuori prima ancora di farti accomodare!
Il castello era davvero silenzioso.
Emma era da sola. Stava fiorendo bella e delicata come un gelsomino, rigogliosa come una mimosa. La vita però era diventata noiosa. Si lasciava pettinare ed annodare i capelli più spesso, perché tanto non aveva nulla da fare. Provava vestiti ogni tanto e sceglieva stoffe, disponeva ordini a destra ed a manca per riordinare i giardini che sua madre stava trascurando. Si portava libri nel prato all'ombra delle foglie. Si toglieva le scarpe e passava i piedi nudi nell'erba umida, tentando di apprezzare la ruggiada. Ricordava quando era costretta a sgattaiolare via dalle guardie. Nell'ultimo periodo invece erano state gli unici amici che aveva. A volte provava ad intavolare discorsi, ma era peggio che parlar da sola. Alcuni di loro però capivano quanto sola fosse ed a volte rispondevano con cortesia.
Una sera s'era trovata a passeggiar per le ale. Aveva passato la giornata fino a sera tardi in biblioteca, dove aggiornava i suoi diari di viaggio. Si diceva sempre che doveva ricordare e conservare, come suo padre le aveva insegnato. Teneva una penna stretta tra le dita quando le capitò di passare dinanzi all'ingresso imponente per arrivare alle scale. Fu catturata da una risata femminea provenire dai corridoi. Pensò subito potesse essere la cameriera gentile che le porgeva sempre il piatto a cena, che ricordava essersi sposata di recente col giovane giardiniere che Emma vedeva ogni mattina portarle una rosa nelle cucine. La principessa si sporse a controllare, volendo solo per qualche secondo spiare la scena, vedere com'era, immaginare cosa si prova.
Quello che si trovò davanti agli occhi invece la sconvolse. Killian stava schiacciando contro il muro una donna dai colori volgari dipinti in viso, i capelli mori e arruffati sopra la testa ed una mano di lui che vagava sotto la vestaglia. Strinse i pugni arrabbiata e sentì le lacrime graffiarle la pelle delicata delle guance.
Quando la notarono, la donna si ricompose, aspettò che lui che si stringesse il laccio della camicia e gli acciuffò la mano per trascinarlo via, lontano dalla vista della tenera e dolce principessina. Le fece un inchino sbruffona e poi saltellò via ridendo. Lui invece alzò gli occhi solo di nascosto per guardarla preoccupato e li nascose poi tra le ciglia, sconfitto, evitando i suoi.
Quella lo trascinava via e lui rideva, ma non era divertito, non erano i sorrisi che le dava quando erano al balcone o correvano nel prato. Era diverso, quasi cattivo. I suoi vestiti scomposti e sporchi, i capelli unti a grandi ciocche ed il codino arruffato, le guance rosse ed un'espressione così diversa negli occhi. Emma teneva lo sguardo dritto orgogliosa mentre lui gli passava accanto a testa bassa.
"Che cosa sei diventato, Killian?" bisigliò Emma. La sua voce era accusatoria, preoccupata e cattiva e disgustata quasi. Tradiva un turbine di emozioni che era stata di recente costretta a tenere nascosti.
Killian gelò. Sentì l'accusa prima e la rabbia poi investirlo e scivolargli via con la stessa violenza. Si girò verso di lei che gli dava le spalle. "Qualcuno che non dovrai più far finta di non voler ignorare..." Rispose con distacco e solo quando le parole gli uscirono da bocca si rese conto che era la prima volta che le parlava da mesi ormai. "...Sua maestà!". Le fece un inchino anche se lei non poteva vederlo, perché era quello che facevano gli altri, era quello che faceva la servitù. La principessa si voltò giusto in tempo per vederlo rialzarsi. Strinse la stoffa chiara del lungo vestito tra i pugni mentre lo osservava di spalle andar via.

 

 

Quando una principessa compie diciott'anni tra i regni si è soliti dare una festa, un'ulteriore occasione per consentirle di conoscere altre persone, altri principi, stringere alleanze.

Sua madre e suo padre non ci tenevano molto, al contrario degli altri regnanti, ma per mantenerne i buoni rapporti fu data una festa grandiosa come ci si aspettava. Emma passò l'intero pomeriggio a farsi intrecciare steli di fiori bianchi tra i capelli, mentre guardava dalla finestra sconsolata. Il vestito che le era stato preparato era di un rosa pallido ed innocente, fatto di veli che cadevano giù lisci, nascondendo le forme ancora poco pronunciate di una ragazza ancora troppo piccola per trovar marito.
Mentre una le annodava ciocche bionde, lei sporgendosi in avanti notò una cosa e s'appoggiò sulla finestra, facendosi tirare così i capelli. La smorfia sul suo viso fece girar tutti prima verso di lei, poi verso cosa stesse guardando di sotto e tutti notarono il protetto della principessa andar a braccetto con quelle che davan proprio l'idea di offrirsi per denaro.
Emma provò vergogna davanti alle sue ancelle. "Chiamatemi Graham." sospirò lei, chiudendo gli occhi sperando di potersi nascondere e poter nascondere quello scempio, sperando in più con l'aiuto della sua guardia, ereditata da sua madre, di poter risolvere la situazione. Sentì una rabbia strana dentro, voleva urlare e si sentiva infastidita, tradita, non era così che dovevano andar le cose, non doveva.
Più tardi la festa sembrò durare in eterno: ci furono presentazioni, inchini e danze a cui neanche il re e la regina potettero partecipare, solo i giovani potevano.
Killian aveva guardato Emma divertirsi da un angolo buio. Spiava il suo sorriso, le sue mosse aggrazziate, i suoi passi e si ricordava di quando tutto quello pensava potesse essere suo. Ad ogni sfarzo la corte gli sbatteva in faccia ciò che lei era, ciò che lei non sarebbe mai potuta essere e la sua grazia e il suo agio in quel posto gli urlavano quello che lei non avrebbe mai voluto essere: sua. Dal canto suo la principessa invece l'aveva notato un'unica volta. Si era girata, l'aveva cercato, l'aveva visto e poi aveva ignorato nervosa.
Quando le ultime luci, prima delle candeline poi delle torce, furono spente nel grande salone del castello, Emma si complimentò con tutti: i suoi invitati prima, la servitù o collaboratori, come lei preferiva chiamarli, dopo. Volle rimanere poi sola in silenzio qualche minuto dopo per togliersi dalla faccia quel sorriso finto che mal sopportava e fissare il buio. Quando tutti furono andati via pensò anche di volersi avvicinare al trono. Provò una ormai triste ed arresa curiosità. Ci si appropinquò ed a mala pena riuscì a sfiorarne il bracciolo imbottito di stoffa rossa e dorata, quando sentì una voce sorprenderla da dietro.
"Le mie signore." fece la voce di uomo che ben conosceva. L'espressione di Emma si indurì e mise da parte la curiosità per occuparsi di quella questione scomoda. Sperava di non dover vivere quel confronto che a dirla tutta però s'aspettava.
"Andate." rispose lei dura.
"Sono un'offesa alla tua presenza." fece lui il verso di quello che s'era sentito dire, quando due ufficiali della guardia reale gli avevano strappato per il braccio le donne a cui aveva dovuto pagare troppi drink per poterci rinunciare.
"Già," confermò lei "ed erano solo prostitute." disse sentendosi quasi sporca ad aver pronunciato quella parola. Intanto stava ancora girata di spalle e non s'azzardava a concedergli la sua presenza. Lo guardava con la coda dell'occhio, inclinando la testa di lato mentre i capelli ormai scompigliati le si piegavano su una spalla.
Killian ne rimane irritato. Da quando quella ragazzina era diventata tanto altezzosa e presuntuosa? Strinse i pugni mentre mesi e mesi di abbandoni, il confronto tra ciò che era e ciò che poteva essere gli scorrevano addosso come un torrente in piena, pronto a straripare gli argini. "Oh e tu sei meglio di loro." disse cattivo, improvvisamente alleggerito.
Emma si voltò, non disposta certo ad essere umiliata. Rimase calma con le mani congiunte in grembo, gesto che aveva appreso da sua madre, dietro il quale si nascondeva, che le incateneva le lacrime dentro. "Loro non hanno nient'altro che mani tanto sudicie quanto le loro anime!" Il suo tono di voce tradiva risentimento e gelosia e fastidio per il dover essere gelosa di donne da cui non aveva mai pensato di poter essere toccata.
Lui si fece coraggioso e si avvicino. Le accarezzò la guancia sprezzante, mentre lo sguardo di lei era fiero e intimorito su quello di lui. "Devo pur prendere le soddisfazioni che tu non mi dai da qualche parte, dolcezza."
Emma s'offese e si ricordò di quel ragazzo che era, di quel giorno di qualche anno prima, del cambiamento, delle delusioni, del tradimento. "Soddisfazioni?" chiese retorica senza allontanarsi, rimanendo con coraggio sotto il tocco della sua mano."Tu sei come loro," constatò "non sei più un onesto marinaio. Sei diventato nient'altro che un pirata."
Quelle parole ferirono Killian nel profondo, ferirono il ragazzo che più di tutto voleva emulare suo fratello, onesto fino alla morte, fedele alla corona. Provò rabbia verso di lei e amore insieme e voglia di ferirla tanto quanto l'aveva ferito lei. Si fece più vicino a gesti ampi d'odio, la spinse contro quella sedia che lei stava guardando fino poco prima e la sollevò, schiacciandosela addosso e contro il legno morbido del trono reale. Le alzò la gonna e le mise una mano sulla coscia, mentre lei in silenzio senza attirare nessuno dal castello si divincolava per slacciarsi da quella morsa pericolosa. Provò a tirargli qualche pugno, che riuscì ad evitare prima che le bloccasse le mani. Allora Emma agitò le gambe, sperando di colpirgli le ginocchia o di riuscire a spingerlo via, ma il vestito era stretto e Killian s'era già parato tra le sue gambe che gli aveva aperto con forza.
"E tu?" fece lui ed era una voce che lei non aveva mai sentito, una persona che forse non aveva mai visto. "Credi che mi piaccia?" continuò lui e dalla sua bocca uscivano solo frasi sconnesse, degne di un ubriaco o di un represso. "Ti vedo e non posso averti, ti sto così vicino e..." le disse annusandole il collo. Emma cercò ancora di divincolarsi ed allontanò la testa quanto più potesse disgustata.
Killian non seguiva la conversazione o il discorso, era preso solo dalle sue cose, dalle sue idee. Nella sua testa quello era l'unico modo in cui poteva averla, s'era costruito quella fantasia fatta di odio, montata sul trauma e sulla sofferenza degli ultimi anni. Pareva quasi ubriaco, ma il suo alito non puzzava, i vestiti erano puliti ed i suoi capelli sistemati e non unti come li aveva visti nei giorni precedenti.
Killian si ricordò di quello che aveva pensato non molto tempo fa, che avrebbe avuto solo lei, che doveva andare così "Mi prendo solo quello che è mio di diritto. Ho bisogno di..." cominciò in cerca di qualcosa che Emma sperò potesse solo essere conforto, mentre lei scansava la testa, evitava il suo viso e si dimenava per uscire dalla morsa di lui. "Mio fratello è morto e..." fece lui passando violento le labbra vicino al suo orecchio, come aveva fatto altre volte con quelle donne con cui era solito ormai avere rapporti.
"E così anche tu." Emma colse la sua occasione. Gli occhi di lui s'aprirono come sorpreso o sconvolto. Il corpo piccolo di lei sgusciò via, mentre lui stava a fissare la poltrona vuota e stringeva i braccioli dove prima le aveva bloccato le mani. Gli era scappata. La sentì chiamare le guardie dietro di lui che, prima che se ne rendesse conto l'avevano già circondato e preso le braccia. Killian s'agitò per essere mollato e quelli allora lo buttarono a terra davanti ai piedi di lei, che non s'era riaggiustata. Aveva lasciato che la gonna le cadesse di nuovo fino ai piedi da sola. Emma era fiera, non gli avrebbe mai dato la soddisfazione di sistemare i suoi errori. Dal basso Killian guardava scorrere la stoffa lungo la pelle delle sue gambe perfette.
"Esiliatelo." fece solo lei composta, con calma e grazia, senza sprecar parola di più, lo sguardo fisso privo di qualsiasi emozione che faceva contrasto col vestito candido. Le guardie che le erano affianco, sorprese, avevano appena riconosciuto quella che sarebbe diventata la prossima regina.
"Sono stato tradito dal mio paese," cominciò e la sua suonava quasi una supplica, forse perché costretto in ginocchio, forse perché dietro di lui s'erano armati con le spade per proteggere una donna che una volta correva con lui nei campi. "non posso sopportare anche il tuo."
"Ti sto risparmiando." rispose semplicemente lei e fece un cenno alle guardie che lo strinsero di nuovo per le braccia, lo costrinsero in piedi e poi lontano dalla vista di lei, fuori dal castello.
Più tardi nella sua camera, uno di loro le era rimasto vicino. "Dobbiamo comunicarlo alle loro maestà?" chiese Graham con garbo, senza timore di ferirla ricordandole ciò che era successo col solo suono della sua voce. Lei non si spezzava. Lei non si spezzava mai.
"No, mio padre lo ucciderebbe ed il mio esilio sarebbe inutile" rispose lei. Le forze che l'avevano accompagnata durante la serata la stavano abbandonando e solo allora si permise il lusso di accasciarsi contro i muri di pietra sospirando.
Il cavaliere fece un cenno con la testa che Emma non vide.
"Graham, grazie." gli disse lei girandosi appena..
Il mattino dopo Emma vide una nave salpare. Riconobbe il gioiello del reame, ma a sventolare dall'albero maestro c'era una bandiera nera.
 




Angolo dell'autore
Colgo l'occasione soltanto per un salutino veloce. Spero che la mia storia piccia ancora! Ci saranno altri due capitoli oltre questo, vista la recente prolissità! 
Mi spiace avervi tenuti sulle spine. Prossima storia che aggiorno sarà l'altra! 
Ringrazio chi c'è stato, chi c'è e chi ci sarà e me ne vado a dormire ;) 
Recensioni? Ps ho fatto a cazzotti con l'html, un giorno aggiusterò!
 
  
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