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Autore: Gnana    20/08/2014    0 recensioni
Alexander era spaccone, impulsivo, un demone ammaliatore, un vagabondo. E' diventato un uomo vigile, posato, consapevole di sé stesso. Ma nessun evento, nessun insegnamento ha potuto cambiare la sua natura. A causa di un trauma terribile, diventa un abile e spietato assassino. Anche ora che si trova in un carcere di massima sicurezza, specializzato nella cura dei criminali come lui, dove trascorrerà il resto dei suoi giorni, lui non si pente delle sue azioni.
Vede il carcere come un punto di arrivo, un check point, un posto dove ristorarsi perché é molto meglio di qualsiasi sistemazione abbia trovato in tutta la sua vita. L'unica cosa che lo infastidisce é Bill, un criminologo, apparentemente ossessionato da lui e dai suoi omicidi che non perde tempo per riportare a galla ricordi ormai assopiti e dettagli insignificanti, ma Alexander non ha idea delle innumerevoli cose che nasconde.
La sua routine e la sua tranquillità verranno stravolte dal suo compagno di cella, Harry, un uomo umile ma sicuro di sé, che ha avuto tutto e poi niente dalla vita. Harry ha un piano ben preciso, un idea estremamente coraggiosa che Alexander non riesce a digerire ma che alla fine accetta solo per poterlo seguire.
Genere: Azione, Drammatico, Mistero | Stato: in corso
Tipo di coppia: Shonen-ai
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Bussarono alla porta.

“Si, chi è?”

Una figura femminile con un camice bianco entrò nell’ufficio.

“Signor Yana, mi ha fatto chiamare.”
“Si, Laura. Volevo notizie sull’ultimo paziente.”
“Sta durando più del previsto, signore. O è più forte o semplicemente non gli facciamo abbastanza male.”
“Dovete dargli la dose di dolore esatta. Non dimenticarlo.”
“Certo, signore. La macchina sta facendo progressi, comunque. Gli esperti stanno facendo un ottimo lavoro.”
“Perfetto. Ora può andare. E ricordi…”
“Dose di dolore esatta.” La donna sorrise e si congedò.

Si affrettò a scendere le scale verso il laboratorio. Non voleva perdersi niente di quello che accadeva lì dentro, ovviamente quando era operativo.
Se fosse stato un lavoro normale, non sarebbe stata così in ansia. Ultimamente prendeva calmanti e eccitanti come se fossero caramelle. Doveva essere al massimo della forma, doveva avere la mente vigile.
Il signor Yana le aveva affidato la direzione del laboratorio alcuni anni prima, ma era adibito alla creazione di farmaci per le terapie, perfettamente legali e autorizzati dallo stato. Il personale era altamente qualificato e spendevano molto meno fabbricando che comprando, anche perché comprando i medicinali “speciali” rischiavano di incappare in qualche fasullo e non avevano intenzione di avere qualche morto sulla coscienza.
Ora, invece, il laboratorio era adibito ad una cosa ben piu’ importante.

Circolavano voci e sospetti e loro facevano di tutto per reprimerle dichiarando che fossero infondati, ma non era sicura che ci fossero riusciti. Anzi, fare gli indifferenti sembrava alimentare i sospetti.
Non poteva preoccuparsi di questo, adesso. Doveva pensare solo ed esclusivamente ai pazienti e cercare che non morissero, cosa che avevano fatto tutti quelli che avevano prelevato.
La signorina Annika Salander era un rinomato medico e una scienziata brillante, almeno per il suo capo, nonché la donna piu’ sexy dell’edificio.
Aveva molto a cuore quel caso o meglio quell’esperimento. 
Era mortificata per la morte di quei poveri bestioni pieni di muscoli che fischiavano ogni volta che la vedevano camminare per i corridoi. Viscidi, stupidi e squallidi uomini senza cervello. Però erano pur sempre persone.
La mamma le diceva sempre che era troppo buona e comprensiva, che non doveva perdonare qualsiasi cosa. Annika non ci poteva fare niente, era fatta così.
Inserì la password azionandola con il riconoscimento facciale e con un suono soffocato ma netto, la porta blindata si aprì. Fece un sospiro ed entrò assumendo la sua solita aria determinata e non facendo complimenti impartì un po’ di ordini qua e là.

Camminò velocemente verso un’altra porta che portava dentro un’altra area del laboratorio.

L’area X.

Entrando, vide l’unico addetto all’area indaffarato e il povero Daniel privo di sensi.

Era legato ad una sedia con cinture di cuoio ai polsi, alle caviglie e alle spalle. Aveva sulla testa quello che una comune persona poteva benissimamente definire come ‘casco metallico’, da esso partiva un cavo molto spesso che andava verso l’alto e si collegava ad una macchina attaccata al soffitto.
Essa incarnava la rivoluzione informatica, poteva essere motivo di timore o rabbia all’interno di cerchie esclusive; era tutto quello che l’uomo poteva immaginare, ma anche quello che non poteva immaginare.
Era un invenzione straordinaria, nata da una mente straordinaria che aveva dedicato tutta la sua vita alla creazione e allo sviluppo di quel progetto. 
Era Yana Klava, il suo capo. Il capo dell’intero istituto.

L’aveva spinto ad andare avanti la sua sete di giustizia, ma lui aveva una visione estrema di essa. Non si era mai fidato dei sistemi giuridici, per lui valeva il modo di dire “occhio per occhio, dente per dente”, ma anche la visione di quello era estrema.
Lui pensava, anzi, era convinto che la punizione perfetta per un uomo fosse mettersi nei panni di una vittima. Un uomo o una donna che infliggono torture, sia psichiche, sia fisiche, non ha bisogno di detenzione. Non capirebbe mai fino in fondo lo sbaglio commesso,  a meno che non lo subisca sulla propria pelle.
Il suo progetto avrebbe rivoluzionato il sistema. Non sarebbero piu’ serviti carceri o manicomi o istituti riabilitativi. Il criminale o il pazzo sarebbe stato sottoposto a una breve terapia che lo avrebbe cambiato nel profondo e gli avrebbe fatto cambiare strada.

Il progetto era un computer all’avanguardia, creato pezzo per pezzo da esperti di informatica e hacker di tutto il mondo.  Al suo interno c’erano processori che elaboravano dati alquanto insoliti per uno scopo altrettanto insolito. Faceva vivere al paziente uno scenario virtuale che fosse simile alla violenza compiuta. Per esempio, Daniel sotto effetto di una massiccia dose di droga e sotto minaccia aveva spellato una bambina. Il computer, in quei giorni gli stava proiettando nel cervello una scena simile, dove lui veniva spellato vivo da un assassino spietato con gli occhi rossi. Purtroppo aveva un effetto collaterale.
 
Era ancora in fase di sperimentazione e il numero di trattamenti variava da persona a persona. Dopo ogni trattamento venivano effettuati dei test per accertarsi se il paziente non era piu’ in grado, effettivamente, di commettere crimini in futuro e capitava spesso che non rispondessero ai test con esito positivo. In tal caso aggiungevano un nuovo elemento: il dolore. Veniva trasmesso al cervello tramite un indicatore di potenza, gli addetti dovevano solamente sintonizzare la potenza giusta in coerenza con lo scenario. Dovevano ripetere il trattamento fino a quando non avessero avuto un buon risultato. O fino a quando non crepavano a causa di un infarto.
 
Pain Generator era in grado di far morire di dolore i pazienti. Letteralmente.
Prima di Daniel ce ne sono stati molti altri. Tutti morti.
I problemi quindi erano due, già troppi per Annika la quale era impaziente di annunciare a tutto il mondo PG.
Il primo era che il trattamento veniva ripetuto, cosa alquanto strana.
Avevano intuito da tempo che qualcosa non andava: era impossibile che dopo un trauma una persona fosse ancora in grado di essere convinta che il male che aveva commesso fosse giustificabile o addirittura giusto. Qualcuno aveva proposto che forse i pazienti non avevano memoria di quanto PG gli aveva inferto. 
Il secondo problema, il quale era piu’ che altro la conseguenza del primo, erano i decessi.
Gli esperti si stavano mettendo al lavoro per perfezionare il tutto, ma continuavano a vedere i pazienti accasciarsi sulla sedia, il che poteva portare ad un punto morto e il progetto poteva fallire da un momento all’altro.
Il fatto che migliorasse, però - seppur molto lentamente -  li spingeva ad andare avanti.

Ma il signor Yana aveva ordinato la sospensione della sperimentazione sugli umani se avessero superato le cinquanta vittime, altrimenti il computer sarebbe diventato un omicida piu’ che un giustiziere. Gli esperti avrebbero continuato a lavorare fino a quando non avessero visto una svolta imminente.
Annika era d’accordo, ma era preoccupata del fatto che senza la sperimentazione sugli umani il computer non sarebbe migliorato e sarebbero passati anni prima di poterlo usare di nuovo. Per quanto prendessero tutte le precauzioni possibili, la gente continuava a parlare, si erano spinti troppo oltre. 

Prelevavano pazienti che avessero superato un certo numero di anni di detenzione e dicevano loro che dovevano essere trasferiti oppure scagionati e un mucchio di altre sciocchezze. In questo modo non destavano sospetti nei loro compagni che non li avrebbero visti piu’.
Infatti dopo il trattamento sarebbero stati riportati a casa… salvo complicazioni.
Poi entrati nell’area protetta li facevano perdere i sensi, affinché non facessero resistenza una volta capito che dovevano essere imprigionati per un po’.
Annika e Yana sentivano il peso di quel progetto: oltre alle voci che giravano e il PG che non stava sviluppando come voluto, dovevano anche preoccuparsi del fatto che i pochi dipendenti coinvolti stavano cominciando a lamentarsi.
Yana le diceva sempre che camminare a testa alta e avere fiducia in se stessi è l’unica soluzione, ma lei non poteva smettere di avere un brutto presentimento.
Sentiva che qualcosa di brutto stava per succedere.

Chiese al suo inferiore di prendere un bicchiere d’acqua e si avvicinò lentamente a Daniel. Quando l’addetto uscì dalla porta, Annika cominciò a parlare. Era abituata a fare così quando un paziente rimaneva incosciente per tanto tempo, le piaceva pensare che si sentissero meno soli. Gli accarezzò una guancia e sorrise.
“Mi dispiace, piccolo… E’ per il bene della scienza.”
“Me ne strafotto della scienza, troia!”
Annika sussultò e fece un paio di passi indietro mentre Daniel si sistemava sulla sedia.
“Perché mi stai facendo questo?”
Daniel era furioso, nonostante fossero passate settimane dal prelevamento non si era rassegnato come facevano gli altri. Era un osso duro e Annika lo sapeva bene.
“Amore, ma io non ho colpa. Devi fare uno sforzo. Dobbiamo fare tutti uno sforzo.”
“Non chiamarmi amore e l’unico sforzo che farò è quello di liberarmi per poter mettere le mie mani intorno al tuo fottutissimo collo!”
Annika rinunciò a farlo ragionare e corse via sconvolta.

Possibile che l’amore della sua vita fosse così ottuso al cambiamento? Che fosse così contrario allo sviluppo? Lei avrebbe donato la sua vita per la scienza senza esitare, pensava e sperava che anche il suo amato avesse le sue stesse idee e i suoi stessi principi. Prima di quel casino la sosteneva in tutto e per tutto, in quei giorni invece la trattava come l’essere piu’ ripugnante del pianeta Terra.

Si erano conosciuti un po’ di mesi prima ed erano riusciti a portare avanti una specie di relazione, anche se segreta. Si erano amati, ma visto le pieghe degli eventi lo amava molto di piu’ lei.

L’addetto all’area X la incrociò fuori il laboratorio.

“Signorina Annika, le è successo qualcosa?”

Annika non lo degnò di uno sguardo. Strappò il bicchiere dalla sua mano e bevve avidamente l’acqua, poi lo rimise al suo posto con tutta la forza che aveva e andò via a passo veloce.

Ignara della telecamera che la stava riprendendo.
 
   
 
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