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Autore: Gnana    20/08/2014    0 recensioni
Alexander era spaccone, impulsivo, un demone ammaliatore, un vagabondo. E' diventato un uomo vigile, posato, consapevole di sé stesso. Ma nessun evento, nessun insegnamento ha potuto cambiare la sua natura. A causa di un trauma terribile, diventa un abile e spietato assassino. Anche ora che si trova in un carcere di massima sicurezza, specializzato nella cura dei criminali come lui, dove trascorrerà il resto dei suoi giorni, lui non si pente delle sue azioni.
Vede il carcere come un punto di arrivo, un check point, un posto dove ristorarsi perché é molto meglio di qualsiasi sistemazione abbia trovato in tutta la sua vita. L'unica cosa che lo infastidisce é Bill, un criminologo, apparentemente ossessionato da lui e dai suoi omicidi che non perde tempo per riportare a galla ricordi ormai assopiti e dettagli insignificanti, ma Alexander non ha idea delle innumerevoli cose che nasconde.
La sua routine e la sua tranquillità verranno stravolte dal suo compagno di cella, Harry, un uomo umile ma sicuro di sé, che ha avuto tutto e poi niente dalla vita. Harry ha un piano ben preciso, un idea estremamente coraggiosa che Alexander non riesce a digerire ma che alla fine accetta solo per poterlo seguire.
Genere: Azione, Drammatico, Mistero | Stato: in corso
Tipo di coppia: Shonen-ai
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Roger e i suoi colleghi si erano divisi i compiti affinché l’operazione andasse a buon fine, erano organizzati e pronti ad ogni evenienza. Grazie alle loro conoscenze e al loro spirito si erano rivelati dei compagni di squadra leali e pronti a tutto. La causa era giusta e li faceva andare avanti con coraggio e senza rimpianti.
Era al pc e guardava le immagini che provenivano dalla telecamera nascosta nell’istituto. 
Una donna usciva dal laboratorio e andava via a passo veloce. 

Il suo turno di sorveglianza stava per finire, ma non la sua giornata di lavoro. 

Quel giorno era il gran giorno e non si sarebbe tirato indietro, anche se aveva un intera nottata in bianco alle spalle. La determinazione gli avrebbe dato abbastanza forza.
Harry aveva comunicato che avevano un amico in piu’ in questa storia che avrebbe potuto dare una mano. Un suo vecchio amico, aveva detto. Aveva dato anche istruzioni su cosa fare una volta scappati e li aveva incoraggiati, come faceva suo solito.
Roger era felice e speranzoso, finalmente Harry sarebbe stato libero. Ma si sentiva anche molto preoccupato perché quella non era un operazione semplice, anzi, era una doppia operazione. Oltre ad organizzare una fuga, che poteva rivelarsi semplice, dovevano immischiarsi nei loschi affari di Yana Klava. L’uomo piu’ potente che conoscesse.

Si ricordò che doveva fare ancora una cosa prima di potersi dire pronto. Una voce glielo ricordò.

“Allora Roger, tutto pronto?” Gracchiò la radio che aveva alla cintura.
“Tutto pronto, Jeremia. Vengo a prenderti tra pochi minuti nel luogo prestabilito. Ah, salutami tua moglie.” 
“Non fare lo spiritoso e concentrati, pivello.”
“Si, signor capitano.” 
Sorridendo, Roger azionò il motore e si affrettò a immettersi nella strada principale.

Jeremia aspettava ormai da troppi minuti. Roger era solito fare tardi, diceva che le persone interessanti fanno sempre così.
Proprio quando stava per imprecare per la decima volta, un furgone catturò la sua attenzione. Era nero lucente con una striscia rossa sulla fiancata e stava attraversando a tutta velocità. Si fermò proprio di fronte a lui con uno stridio di ruote, la portiera si aprì e ne uscì la faccia da ebete di Roger.

“Dai, salta su!”

Jeremia rimase esterrefatto. Si guardò attorno e vide che parecchie persone li stavano guardando male e infuriandosi urlò contro il suo partner.
“Avevo detto non appariscente!” 
“Non ho trovato altro. Su, sbrigati che ci aspettano!”
Jeremia si mise a sedere e non fece in tempo a chiudere la portiera che il pazzo che gli era seduto di fianco fece partire il mezzo a tutta velocità.

“Sei pronto?” Chiese Harry, mentre faceva esercizio.
“Se lo sei tu, si.”
“Certo che sono pronto! Sarà la giornata piu’ bella della mia vita! La piu’ bella successiva sarà quando Yana Klava andrà all’inferno. Magari ci andremo insieme… non credi?”
“Sono preoccupato…”
“Che vada all’inferno?” Fece Harry con tono sarcastico.

“Harry, è pericoloso. Non lo sarebbe se dopo essertene andato sparissi dalla faccia della terra, ma tu non vuoi! Vuoi ficcare il naso e lo sai che i ficcanaso non piacciono a nessuno.”
“Mi piace il pericolo.” Disse Harry ridendo.

Alexander sbuffò e continuò a leggere il suo libro.
“Alex, è il grande giorno e tu ti metti a leggere?”

“Hai detto di aspettare il segnale e io aspetto.”
Harry guardò fuori dalla finestra, pensieroso.
“Dovrebbe essere ora…” Mormorò.

Una sirena echeggiò in tutto l’istituto: l’allarme antincendio.

Harry sorrise mentre tutte le celle si aprirono automaticamente, prese per mano Alex e corsero via.
Un gruppo di agenti li aspettarono lungo tutto il corridoio che portava all’uscita sul cortile, nel retro. Misero ordine e minacciarono un paio di persone con i manganelli. Una volta usciti fuori, Harry si accorse che erano tutti dello stesso piano. Una cosa che lo mise a disagio, poiché meno ne erano e piu’ era probabile che gli agenti li vedessero scappare. 

Ma in quel momento, come se gli avessero letto il pensiero, tutti gli agenti che giravano per il cortile si piegarono i due portandosi le mani alle orecchie. 
I suoi scagnozzi avevano messo fuori uso gli auricolari.
Ne approfittò per trascinare Alexander di fianco l’istituto, in uno stretto passaggio tra l’edificio e le mura di cinta. Trovarono un furgone nero parcheggiato proprio all’uscita del passaggio con i portelloni anteriori spalancati.

Vi entrarono e Harry diede due forti colpi dal lato del guidatore, qualcuno chiuse le porte e salì al lato del passeggero, dopodiché il furgone partì. Dopo trenta secondi che sembravano durare in eterno, la tensione lasciò spazio a grasse risate che neanche Alexander, così freddo, poteva trattenersi. Harry lo abbracciò così forte che temette di perdere un polmone.
Dopo averlo stritolato per benino e aver ripreso fiato dalla lunga risata di liberazione, riuscì a parlare.
“Ragazzi, siete stati grandi! Vi avevo detto che sarebbe stato più divertente se non avessi saputo niente.”
Jeremia si girò per aprire il piccolo sportello che dava sul retro del furgone, ma fu Roger, il solito sbruffone, a parlare.
“E’ stato facilissimo capo: quel fottuto cancello è sempre aperto. Abbiamo distratto il portiere con una finta chiamata alla radio, dopo abbiamo quasi fatto esplodere il cervello di quei poveretti mettendo fuori uso gli auricolari e poi é toccato alle telecamere: abbiamo messo in loop un pezzo di registrazione, poi ci siamo posizionati e vi abbiamo aspettato. Il tutto in meno di trenta secondi, cazzo!” Un’altra risata.

Jeremia si innervosì come al solito.

“Non è stato tutto merito nostro, Roger, smettila.”
“Ma io mi vanto solo di essere in una squadra magnifica, composta da persone splendide come te, amico mio.” Fece Roger con un sorriso sornione.
Jeremia rispose con un grugnito che Alexander non poté non condividere.
“Comunque, si, è vero.” Continuò Roger. “Le telecamere sono toccate agli altri della base e quello che abbiamo eseguito erano solo ordini del capo.”
“A proposito, come sta?” Chiese Harry.
“Non si è fatto né vedere né sentire. Si dice sia caduto in depressione. Ha fatto in tempo a darci gli ordini, poi si è dileguato, infatti non c’è stato nessuno a sorvegliare l’operazione.”- rispose Jeremia.

Alexander trovò stonante quella conversazione.
“Ma non eri tu il capo, Harry?” Disse.
“Sono piu’ il motivo per cui lavorano, il capo è un altro. Anche perché non potevo comandare tutto da dentro a un carcere, ti pare?” Rispose Harry.  Alexander assentì.
Harry si rivolse di nuovo ai due.

“Depressione? Perché?”
“Si dice che lo abbia lasciato la moglie.” Rispose Roger.
“Non credo sia un buon motivo per cadere in depressione, anzi!” Ridacchiarono tutti tranne Alexander.
“Comunque vi presento il mio amico, Alexander.”
Roger e Jeremia risposero in coro. “Ciao, Alex.”
Alexander fece un sorrisino, giusto per non essere maleducato, anche se non potevano vederlo. Odiava essere chiamato così, tranne da Harry, ovvio.
“Harry, i fatti sono questi: il capo ci ha ordinato di sgombrare la base a Orange County e di trasferirci dove siamo, appunto, diretti. Ma prima dobbiamo fare una sosta a mezz’ora di macchina da qui e prenderci un altro furgone con il pieno appena fatto. Un mio amico ci terrà nascosto questo qui perché è troppo appariscente per i gusti di Jeremia.”

“Ho ragione, non negarlo.” Rispose Jeremia senza tono.
“Trasferiamo tutta la roba elettronica che c’è lì dietro nel nuovo furgone e partiamo a razzo verso il confine. Non dovremmo avere problemi con i posti di blocco e con i caselli.”
Alexander solo in quel momento aveva notato tutta l’attrezzatura che ingombrava gran parte del retro.
“Ah, si? Quali documenti mostriamo? E non so se lo sai, ma io e il mio amico qui siamo vestiti in arancione. Dico, in arancione!”
“Calmati boss. Vi abbiamo procurato dei documenti falsi che sono custoditi nel mitico marsupio di Jeremia e ci sono dei vestiti lì con voi. Cambiatevi, che siamo quasi arrivati.”
Alexander posò gli occhi sulla piccola pila di vestiti che erano stati messi in un angolo.

Scelse un jeans un po’ stracciato, una canottiera grigia e una camicia a quadri, rossa e nera e degli anfibi marroncini. Harry aveva i suoi stessi anfibi, ma era vestito con dei bermuda di jeans che mettevano in mostra le gambe muscolose, una cintura in cuoio e una maglietta abbastanza larga con una scritta cinese. Stranamente quei vestiti, anche se malconci e sbiaditi, gli stavano bene. Molto probabilmente gli stava bene qualsiasi cosa, pensò.

“Wow. Sembri venuto dal Texas.” Harry non lo aveva mai guardato in quel modo, lo squadrava da capo a piedi e solo quando rispose si decise a guardarlo in faccia.
“E tu sembri uno zingaro che quando ruba vestiti non sa neanche sceglierli.”

Harry sorrise e si sedette con un sonoro sospiro. Vestirsi in un furgone in movimento era una cosa difficilissima. Anche Alexander, infine, si sedette.
“E poi sono Texano per davvero.”
Harry si girò e lo guardò strabuzzando gli occhi, poi fece un grande sorriso.
“Ci ho azzeccato!”
“Tu, invece, di dove sei? Non te l’ho mai chiesto.”
“Non preoccuparti, ti perdono, piccolo.” Disse ironico. “Sono della California.”
“Questo spiega molte cose.” Disse Alexander guardando a terra sorridendo.
“Che vuoi dire?” Chiese Harry, sinceramente incuriosito.
“Lì passa il peggio d’America, tipi loschi che nessuno vorrebbe incontrare.”
“La sai, la mia storia, idiota. Mi hanno incastrato.”
“Hai ragione, scusa.” Rispose, ancora sorridente.

Restarono in silenzio per un po’ di secondi e Harry, non ancora soddisfatto, domandò:
“E poi chi sarebbero questi tipi loschi?”
“Per cominciare: Charles Manson. Abbiamo molte cose in comune sai?”
“Hai ragione, molte cose.  Criminale e fan dei Beatles.” Poi scoppiò a ridere.
Alexander non lo seguì, lo scrutò seriamente e ribadì il concetto.
“Sul serio, Harry. Molte cose.”

Il sorriso si tramutò lentamente in un espressione sconcertata e confusa. Stava per chiedergli cosa significasse, ma Roger li avvisò che erano arrivati.
“Vi va di darci una mano?” Fece con un sorriso gentile.
Subito dopo si spalancarono le porte e un signore un po’ sorpreso li guardò. Subito gli venne Roger dietro che gli diede una pacca sulla spalla.
“Niente paura, Max. Sono qui per darci una mano.”
Max fece un cenno col capo per salutare.

Gli occhi di Alexander puntarono sulle tute arancioni che erano lì per terra, Roger, parve accorgersene perché la sua espressione si fece dura. Lui ed Harry si guardarono negli occhi e tutti e tre pregarono che Max non se ne accorgesse. Tutti fecero come nulla fosse e al momento opportuno Roger ficcò le tute in uno scatolone e lo caricò sull’altro furgone che questa volta era di un colore anonimo. Perfetto per l’occasione poiché dovevano rimanere anonimi il piu’ possibile. Una volta caricato tutto, salutarono Max, e Roger partì di nuovo a razzo con il sollievo dei passeggeri.

“Come ha fatto a non vedere quel colore acceso, non saprei, temo che il diabete gli faccia brutti scherzi.” La vocazione di Roger era sdrammatizzare, in qualunque situazione.
Nuovo furgone, nuova targa, nuovi vestiti, nuovo stato. Ma quale, poi? Sembrò che Harry gli leggesse il pensiero perché disse: “Ma si può sapere dove stiamo andando?”
“Oh, non ve l’ho ancora detto? Stiamo andando in Mexico!” Urlò l’ultima parola prolungando la ‘o’ finale. Jeremia fece una smorfia. Alexander pensò che molto probabilmente gli sarebbe stato simpatico.
Rimasero a lungo senza fiatare. Erano stanchi, avevano saltato tutti il pranzo e ora l’adrenalina stava lasciando il sangue perché ormai il viaggio si stava rivelando estremamente tranquillo.  Forse fin troppo.

“Cazzo!” La voce di Roger fece sobbalzare Harry dal sonnellino.
“Che cazzo ti urli Roger?”

“Ragazzi, non vorrei mettervi paura, ma abbiamo fatto male i calcoli. C’è un posto di blocco proprio qui di fronte.''

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Mi dispiace che tra un aggiornamento e l'altro passi molto tempo, però sto facendo del mio meglio. Scusate se modifico in continuazione i capitoli.
Mi raccomando, recensite. Voglio sapere cosa ne pensate.

-Gnana.



 
   
 
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