CAPITOLO 1
Un’altra monotona giornata stava per
concludersi nell’oasi di Sulamba, ultimo avamposto dell’Impero di Fortwar.
Il sole stava già per abbassarsi all’orizzonte
quando il giovane soldato Tim andò a raggiungere il fortino militare situato al
centro dell’oasi. Mentre camminava a passo spedito lungo la stradina sabbiosa
che lo avrebbe condotto dai suoi compagni, il giovane era sempre più immerso
nei suoi pensieri. Ora che erano mesi che aveva lasciato casa sua, situata proprio
a Fortwar, la capitale dell’impero, a Tim mancava tantissimo la sua città e i
suoi amici.
Fino a pochi mesi prima era un
ragazzo svogliato, che aveva molti amici e gli piaceva girovagare per i sobborghi
della capitale, osservando la vita della gente ordinaria che svolgeva le
proprie mansioni quotidiane. Oppure faceva lunghe bevute con gli amici.
Effettivamente, fu costretto a riconoscere che in quel periodo felice non si
era mai preoccupato tanto della sua vita, della sua famiglia o dell’amore.
Poi tutto era cambiato nel giro di
pochi giorni. La notizia che suo padre era morto, ucciso in una rissa in strada
da un ubriacone, l’aveva distrutto, e con lui anche sua madre aveva sofferto un
immenso dolore. Forse per questo si era ammalata ed era morta nel giro di
qualche mese, depressa e magra come non mai. Inoltre, a dare a Tim il colpo di
grazia, ci fu un amore triste, provato verso una ragazza di nome Ilse, che di
lui non gliene importava proprio nulla, e che lo aveva costretto a demordere, e
a ciò andava aggiunto lo stato di più totale indigenza in cui si era ritrovato
subito dopo la morte di entrambi i genitori.
Era figlio unico, e non avendo più
soldi o altri parenti disposti ad aiutarlo, si era visto costretto ad arruolarsi
nell’esercito oramai in declino dell’Impero. E così si era ritrovato lì in quel
luogo sperduto, dove ovunque attorno a lui la vita scorreva sempre regolare e
con gli stessi ritmi. Anche in
quell’istante i soliti e scarsi venditori di oggetti pressoché inutili si
affollavano davanti al fortino dei militari, cercando di guadagnare qualche
soldo per tirare avanti in quel luogo ostile agli uomini.
L’oasi era l’avamposto imperiale più
avanzato nel deserto infinito che svolgeva da confine con i Regni Ignoti. Regni
dai quali mai nessuno era tornato e mai nessuno era giunto, ma tutti sapevano
che al di là del deserto fino ad un certo periodo tutto pullulava di vita
umana.
La legittimazione di ciò era la
leggenda tramandata d’in generazione in generazione che narrava dei Signori
della Guerra, validi guerrieri che avevano tentato già in passato di invadere
l’allora nascente Impero, ma che erano stati spazzati via dagli imperatori
fondatori di Fortwar.
Comunque, erano centinaia d’anni, se
non migliaia, che non riaffiorava più nessuno da quella marea di sabbia
rovente. Era passato talmente tanto tempo dalle ultime invasioni esterne e
dalle guerre di consolidamento interne che lo stesso imperatore aveva di
recente fatto capire che intendeva smilitarizzare il confine. Ovviamente per
risparmiare denaro. Le casse imperiali non eran mai state più vuote di allora,
lo sapevano tutti.
Tim era soltanto uno degli ultimi
quaranta soldati a vivere e presidiare quel luogo angusto, con pochi civili ma
pur sempre avidi e pronti ad ingannare il prossimo, per non parlare poi del
caldo soffocante, terribile nemico di ogni giorno. Le poche abitazioni
dell’oasi erano state costruite tutte a ridosso della piccola pozza d’acqua,
che si trovava a fianco del fortino. Alcune palme offrivano un po’ d’ombra, che
purtroppo alleviava ben poco le sofferenze dei militari, tra l’altro mal
sopportati dai civili poiché bevevano e consumavano la maggioranza della già
ben scarsa acqua della pozza.
In quel momento, Tim aveva quasi
finito di percorrere il breve percorso che lo separava dalle logore e
semidistrutte palizzate difensive del fortino. Notò con dispiacere che pensava
troppo ultimamente, e che la causa di ciò doveva essere la vita monotona del
militare di frontiera. Se avesse avuto i soldi per vivere una vita dignitosa
non si sarebbe mai arruolato.
Improvvisamente, un grido fortissimo,
deciso ma anche spaventato, squarciò la pesante calma dell’oasi e strappò
bruscamente Tim dai suoi pensieri. Era stato Glen a urlare, un suo caro amico,
anch’esso soldato, che aveva conosciuto proprio nell’oasi. L’aveva lasciato solo
pochi minuti prima a finire il proprio turno di vigilanza a quelle che tutti
chiamavano palizzate esterne di difesa, ma che in realtà non erano altro che
pezzi di legno e mattoni spezzati buttati alla rinfusa a cercare di arginare le
pretese che aveva la sabbia del deserto verso l’oasi. Tim si guardò rapidamente
indietro e sentì che il grido d’allarme veniva ripetuto.
Molto scosso, sentì i suoi compagni
gridare dall’interno del fortino, e poi li vide rapidamente riversarsi fuori.
Tim riprese a tornare di corsa sui suoi passi, e in pochi attimi raggiunse il
posto di guardia che aveva lasciato solo pochi istanti prima. Con un rapido
sguardo constatò che tutto appariva a posto, e, leggermente infastidito, cercò
il compagno con lo sguardo e lo vide poco più in là, mentre lo fissava con un
volto pallido e tirato tipico di chi è molto spaventato. Tim lo fissò
intensamente, ricambiandolo.
’’Che c’è, Glen?’’ chiese all’amico,
con grande curiosità.
‘’Guarda’’, gli rispose l’amico che
aveva lanciato l’allarme, indicando poi con una mano un punto indefinito nel
deserto.
Intanto erano giunti sul luogo quasi
tutti gli altri soldati e anche parecchi civili. E tutti guardarono il deserto,
rimanendo sorpresi.
Calò improvvisamente un silenzio
profondo. Il deserto, all’orizzonte pareva aver preso vita. Una nube di sabbia
si sollevava verso il cielo, come quando si accingeva a crearsi una tempesta di
vento.
Alcuni, più inesperti, iniziarono a
bisbigliare tra loro, fintanto che uno più deciso degli altri si decise a parlare
apertamente.
‘’E’ solo una tempesta di sabbia’’,
disse un giovane soldato dalla retrovie, ridendo.
Tutti si girarono a guardarlo. Si
trattava di Anthos, un ragazzo particolarmente stupido ed arrogante. A prendere
la parola a quel punto fu l’anziano comandante del piccolo distaccamento
dell’oasi, il vecchio John, che era appena giunto sul posto in modo molto
silenzioso e discreto.
‘’Soldati, quello che vedete non è un
fenomeno naturale, il cielo è terso e non si tratta di una tempesta’’ disse con
la voce che trasudava stupore e spavento. ‘’Si tratta di un esercito, che tra
poco arriverà fin qui’’ concluse l’uomo, pochi istanti dopo.
‘’Ma è impossibile’’, continuò
Anthos, esprimendo un tacito dubbio comune. ‘’Sono secoli che nessuno sbuca da
quel deserto, e di certo nessuno lo farà ora! Sarà sicuramente un distaccamento
amico che viene fin qua da noi per fare un esercitazione’’.
La risposta del comandante John non
si fece attendere. Il suo sguardo si fece talmente duro che persino Anthos
impallidì e si zittì.
’’Basta soldato! Sono senza dubbio
nemici, osservate meglio. Nessun contingente imperiale si trova in questa arida
distesa senza vita, e in più costoro stanno viaggiando a dorso di cammello,
come potete notare dal polverone che alzano, mentre i nostri cavalcano solo
cavalli. Noi inoltre non attendiamo nessun distaccamento amico, e quindi dobbiamo
armarci e prepararci a combattere in caso di necessità. Ora, chi non è già equipaggiato
torni al forte e prenda le armi, e si ripresenti qui.
‘’Veloci, siete dei rammolliti vi
voglio qui entro cinque minuti! Abbiamo poco tempo per prepararci prima che ci
siano addosso’’, concluse in modo concitato il vecchio comandante, facendo
smuovere ogni sottoposto.
I soldati iniziarono a correre alla
rinfusa verso il fortino. Tim prese la sua spada e indossò rapidamente la sua
corazza semplice e leggera per proteggere petto e schiena, allacciandosi poi
anche un leggero elmetto. Vide alcuni compagni mentre afferravano le lance
lunghe per i combattimenti a distanza.
Poi, senza guardarsi attorno, tornò
rapidamente alla barricata. John contò rapidamente che ci fossero tutti e
quaranta, per iniziare infine ad impartire ordini. Tim lanciò di sfuggita uno
sguardo verso il deserto; ormai si potevano distinguere le sagome umane a dorso
di resistenti cammelli.
‘’Avanti; i soldati che hanno le
lance lunghe formino una prima linea e abbassino le punte di ferro di fronte a
loro; i soldati senza lance si preparino a supportare l’urto che ci sarà tra
non molto, tenendosi pronti a spingere in avanti i loro compagni per non farli
ripiegare sotto la carica nemica! Perché quegli sconosciuti ci vogliono
piombare addosso e falciare, lo vedo dalla velocità con cui si stanno muovendo’’,
ruggì il comandante, dando i suoi ultimi ordini, iniziando poi a camminare tra
i suoi uomini, sempre pronto a strattonarli e a riprenderli nel caso che qualcosa
non gli andasse bene.
I soldati dopo pochi minuti erano
pronti e ben disposti. Si erano sistemati di fronte alla barricata, poiché il
comandante aveva preferito affrontare il nemico a viso aperto, ed in più le lance
avrebbero potuto mietere maggiori vittime e rallentare la velocità nemica,
mentre invece la debole barriera sarebbe stata distrutta in un batter d’occhio
mettendo seriamente nei guai i soldati.
Il contingente imperiale era diviso
in due file, da venti uomini ciascuna. Nella prima erano disposti venti soldati
con le lance lunghe puntate verso il nemico, mentre la seconda fila impugnava
solo la spada.
Era il primo combattimento vero per
tutti, anche per il vecchio comandante, che continuava a impartire disciplina
ai soldati.
I nemici iniziarono ben presto ad
essere ben distinguibili. Indossavano corazze molto diverse da quelle di foggia
imperiale, ed erano sorprendentemente belle e sgargianti e sfavillavano nella
luce della sera.
Quando si avvicinarono ulteriormente,
i soldati si compattarono. Sicuramente i nemici avrebbero continuato la loro
folle corsa e avrebbero provato a sfondare le linee per disperderli.
Gli imperiali di John, nonostante la
scarsa esperienza, sapevano bene che nel caso che i nemici fossero riusciti a
sfondare le linee e a disperderli, sarebbe stata la fine per tutti loro. Tim
smise di fissare i nemici per un attimo, deglutì e si volse verso i suoi
compagni.
Non c’era sicurezza sui loro volti,
solo paura, tanta paura. Poi, calò un silenzio teso prima dell’impatto.
Quando i cavalieri sconosciuti
giunsero a pochi passi da Tim, il giovane poté sentire distintamente i rumori
attutiti nella sabbia prodotti dalla folle corsa dei cammelli, mentre il rauco
grido nemico di battaglia risuonava ovunque.
Tim sperò per un istante che i
cammelli si spaventassero di fronte alle lance che venivano puntate loro contro,
nella vana speranza che disarcionassero i nemici, ma in cuor suo sapeva che non
sarebbe stato così facile e che non sarebbe successa una cosa del genere.
Il giovane soldato si trovava in
seconda fila e poté vedere chiaramente il compagno davanti mentre si
irrigidiva. E in un solo attimo fu tutto finito.
Il cammello lanciato al galoppo
proprio di fronte a Tim si fermò. Ma proprio nel centro dello schieramento i
cammelli non si fermarono e si gettarono sulle lance, e mentre gli animali
della prima linea morirono infilzati, i quelli che si trovavano dietro di loro piombarono
sui soldati di John, abbattendoli e distruggendo la valida formazione da
battaglia degli imperiali. Divisi in due gruppi distinti, i soldati capirono
che sarebbero morti. E allora iniziò la fuga.
I compagni di Tim vacillarono, poi cercarono
di fuggire, braccati dai nemici. Tim si trovò a fianco di Glen. Si compresero
con uno solo sguardo e si misero spalla contro spalla ad affrontare tre nemici
che li stavano inseguendo a piedi.
Dopo un attimo, il giovane soldato
sentì un urlo di dolore, e vide Anthos a terra, ferito gravemente e poi
disarmato da un nemico, anche se comunque riuscì a deviare un fendente e a
ritirarsi, evitando la morte istantanea per un soffio. Poi, ovunque divamparono
alte grida, questa volta esultanti, mentre un altro nemico sconosciuto e in
tenuta colorata infilzava su una picca la testa del vecchio comandante John.
’’Siamo perduti, dobbiamo abbattere
questi tre e poi scappare ‘’ disse a Glen.
I tre nemici sconosciuti li affrontarono. Sembravano
invincibili e incredibilmente sicuri.
Dopo qualche affondo Tim si mise
sulla difensiva ma si rese conto ben presto che avrebbe potuto combattere
ancora per poco, ed era già sfinito, fuori forma com’era, accorgendosi che stava
per morire. Poi accadde l’imprevedibile.
Due frecce, a distanza di pochi
secondi l’una dall’altra, trafissero i due avversari di Tim. Il giovane soldato
si girò per vedere da dove provenivano, e riconobbe che era stato Anthos a
scoccarle, mentre stava scagliando frecce alla rinfusa con un arco rubato ad un
nemico, cercando di combattere fino alla morte. Un solo istante dopo fu
trafitto da decine di frecce e il suo corpo rovinò a terra esanime.
Tim si volse a guardare Glen, che
aveva perso di vista poco dopo il fortuito avvenimento. E lo ritrovò disteso a
terra, trafitto da un nemico. Stava perdendo molto sangue dal ventre e molto
presto sarebbe stato sopraffatto.
Il giovane soldato imperiale si
guardò attorno, e vide che i suoi compagni giacevano tutti a terra, morti o
feriti a morte, e ad aggravare ulteriormente la situazione stavano iniziando a
scendere le tenebre notturne e gelide del deserto.
Approfittando del fatto che i nemici
sembravano presi dai festeggiamenti e dal massacro dei feriti,
disinteressandosi momentaneamente a lui, si nascose dietro la barricata e
rapidamente raggiunse le prime case. I nemici stavano iniziando a sfondarne le
porte per saccheggiarle.
Nascosto dietro un cespuglio spinoso,
tolse un abito ad un nemico morto che giaceva li vicino e lo indossò. Doveva
raggiungere il forte a tutti i costi.
Si armò di coraggio e iniziò a
camminare a passo svelto tra i nemici. Essendosi camuffato, nessuno badava a
lui, ed ogni nemico faceva i propri interessi saccheggiando le case e uccidendo
i civili.
In pochi passi era al fortino, in cui
nessuno per ora era entrato, ma Tim sapeva che di lì a poco sarebbe successo.
Entrò dalla porta spalancata e si diresse dritto al luogo che solo i soldati
del suo contingente conoscevano. Molto rapidamente percorse il breve corridoio
interno, superò i dormitori comuni dei soldati e giunse di fronte alla porta
della camera privata del comandante.
Con un forte spintone aprì la porta
di legno ed entrò. La camera era quasi completamente spoglia e di ridotte dimensioni,
e conteneva solo un letto, un comodino con una candela sopra, un mobiletto con
un cassetto aperto e pieno di biancheria, ed infine uno strano armadio. Con
grande fretta, Tim prese a cercare disperatamente quell’oggetto che aveva visto
tante volte e che gli sarebbe stato utile nel caso fosse riuscito a fuggire
dall’oasi senza essere ucciso.
Ed in fondo ad un cassetto, nascosto
sotto la biancheria, Tim trovò quello che cercava.
Era il piccolo forziere dove il
comandante conservava i soldi per la paga dei soldati, che distribuiva
personalmente ogni mese e che gli venivano consegnati da un corriere imperiale.
Il giovane soldato superstite constatò che la paga avrebbe dovuto essere
effettuata tra due giorni, però c’era possibilità che nel piccolo forziere ci
fosse qualche soldo. Lo sbatté con vigore, e dentro risuonò il suono classico
del denaro sonante. Tim si sentì sollevato, udendo quel rumore.
In quel momento, riconobbe che non
poteva far altro che nascondersi, poiché tra pochi istanti il fortino sarebbe
stato pieno di nemici, che sicuramente avrebbero trascorso la gelida notte del
deserto riposando al suo interno, dopo averlo saccheggiato.
Tim percosse con le mani la parete,
non avendo molto tempo a disposizione, poi passò al pavimento, ma continuando a
non trovare nulla. Eppure, ogni comandante nella propria camera aveva una via
di fuga in modo da potersi salvare in casi di disperati attacchi al forte, in
modo da poter avvisare gli altri imperiali del pericolo.
Tentando il tutto per tutto, si
infilò sotto il letto, che era più rialzato del normale dalla pavimentazione. E
fu lì che il legno risuonò.
Il giovane soldato spostò il letto
incredibilmente leggero, aprì la botola e si infilò al suo interno. Appena in
tempo, poiché ben presto le urla dei nemici ubriachi iniziarono a sentirsi
ovunque, sopra di lui.
Tim abbassò la botola e la richiuse
con un tonfo, non dopo aver cercato di rimettere il letto nella miglior
posizione possibile e naturale, trovandosi proprio sotto la pavimentazione in
legno della stanza del comandante.
Lì sotto era buio, l’aria era fresca
ma non vedeva nulla. Sopra di lui sentì i passi di più uomini, poi dei tonfi, riconoscendo
che i nemici stavano distruggendo tutta la mobilia in ricerca di soldi o cose
da portare con sé. Poi, di lì a poco il frastuono cessò.
Tim si tastò le tasche delle brache
che aveva sotto la veste colorata del nemico, ed estrasse un piccolo mozzicone
di candela. La mise a terra, poi si ricordò che non aveva nulla per accenderla.
Con rabbia, pugnò a terra e si mise a
sedere a pensare. Non sapeva neppure se lo spazio ignoto che lo circondava era
ampio o ristretto, anche se pareva abbastanza spazioso. E non sapeva neppure
che direzione prendere, per provare a tentare una folle fuga da quella
situazione pericolosa.
Pian piano la sua mente si offuscò, perdendo
lucidità. Il giovane soldato si accorse di ciò, ma non poté fare nulla contro
il suo corpo che gli chiedeva riposo.
Volente o nolente, perse i sensi,
cadendo in un sonno profondo e pieno di incubi, mentre il silenzio della notte
del deserto veniva lacerato dalle urla degli invasori che festeggiavano la
prima, anche se piccola, vittoria sul nemico.
Al suo risveglio, Tim si sentiva
perso. Aveva il suo corpo indolenzito, e la testa gli doleva. Un lieve bruciore
alla gamba destra gli fece notare che aveva una lieve ferita, e se la tastò con
le mani.
Il sangue si era già raggrumato e fortunatamente
non era nulla di grave, solo un taglietto di striscio. Nel frattempo, il buio
lo circondava; sopra di lui regnava un silenzio pesante, ma sapeva che i nemici
erano ancora lì, anche se addormentati.
Doveva aver dormito un paio d’ore e
fuori doveva essere notte fonda. Con la mano afferrò e si riprese il mozzicone
di candela, rimettendosela in tasca, mentre intanto pensava a come uscire di
lì. Dalla botola non poteva uscire, ma poteva procedere pian piano per trovare
una via d’uscita, seguendo la galleria che partiva dall’ambiente in cui si
trovava.
Con decisione, si tirò su e batté la
testa. Imprecò e si abbassò leggermente, sperando di non aver fatto troppo
baccano.
Proseguì a lungo per un tempo
indefinito, seguendo la galleria tortuosa e urtando le friabili pareti del
cunicolo che continuava ad aprirsi di fronte a sé.
Poi, all’improvviso, sentì un lieve
alito d’aria fresca sfiorargli il volto, e capì che era sulla giusta strada e
che mancava poco al suo obiettivo. Seguendo l’aria fresca si ritrovò pochi
istanti dopo ad osservare la luna da un piccolo spazio nascosto tra rocce e
cespugli spinosi.
Con un ultimo sforzo silenzioso,
spostò le pietre che nascondevano l’ingresso della via di fuga del forte e si
nascose tra i cespugli.
Si guardò attorno; era una bella
nottata di luna piena, e poco distante da lui uno scorpione stava proseguendo
la sua caccia notturna, mentre un cammello ancora imbrigliato restava sdraiato
sulla sabbia poco distante, masticando placidamente un po’ di foraggio secco.
Tim riconobbe che si trovava
abbastanza distante dal fortino e dalle povere casupole distrutte, che poteva
ancora vedere chiaramente grazie alla luna. Attorno a lui, era tutto calmo.
Quando si sentì sicuro, uscì allo
scoperto e decise di tentare la fortuna; si avvicinò al cammello, che nel
frattempo continuava a restare a terra in attesa del suo padrone, probabilmente
morto durante lo scontro di quella sera, oppure doveva essere riverso da
qualche parte, ubriaco di quel poco vino contenuto negli scarni otri dei pochi
abitanti dell’oasi. L’animale era molto mansueto, e fu subito pronto a muoversi
quando Tim gli salì in groppa.
Nessuno, a parte lo scorpione a
caccia di insetti, notò le due sagome che venivano rapidamente inghiottite dal
deserto. Non le notarono neppure le due guardie nemiche che dovevano
controllare l’oasi appena conquistata, che erano alticce e mezze addormentate
in mezzo alle palme.
Tim ora sapeva dove doveva andare e
cosa fare; era coraggioso e avrebbe fatto di tutto per salvare l’impero ed
avvisare i suoi superiori del pericolo e dell’invasione di un nemico
sconosciuto.
Era libero, aveva una cavalcatura e un
po’ d’acqua, ed era ancora vivo e vegeto, e ciò era davvero un miracolo e una
fortuna che non doveva sciupare.
Il giovane soldato imperiale
superstite pensò che quella notte doveva avere gli dèi dalla sua parte, e si
lasciò sfuggire un lieve sorriso mentre ormai era sufficientemente distante dal
nemico, sentendosi già un po’ più al sicuro. Nonostante tutto, sfoggiò un
sorriso nervoso, di quelli che si fanno per scaricare la tensione sopportata
durante gli ultimi tragici eventi.
In quel momento si sentiva libero
come non mai e pieno di sé, poiché sapeva che aveva una grande missione da
portare a termine e che la vita di numerosi civili dipendeva da lui e dalla
velocità con cui avrebbe avvisato gli altri fortini militari, mentre la luna
piena gli illuminava la strada e lo osservava come solo una fiera compagna di
viaggio poteva fare.
NOTA DELL’AUTORE
Ciao a tutti, e grazie per aver letto
questo primo capitolo J
Questa è la prima storia in assoluto
che ho scritto, e mi scuso già se troverete qualche piccolo errore o svista.
Comunque, sto revisionando la storia.
Vi ringrazio se siete giunti fin qui,
e spero abbiate voglia di proseguire la lettura e di seguire il nostro giovane
protagonista nelle sue avventure. Avremo modo di conoscerlo meglio a breve J
Grazie ancora a tutti J