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Autore: Astrea_    20/08/2014    1 recensioni
[Dal primo capitolo]
Sapevano che erano esattamente come tante piccole mine vaganti, senza passato né futuro, anime che si affannavano per sopravvivere, che si sbracciavano per rimanere a galla nell’oceano increspato della vita. Si sforzavano di cercare contatti, di trovare stabilità, amore ed affetto. Fingevano di comprendersi, di esserci l’uno per l’altro, di essere uniti, ma in realtà sapevano di essere terribilmente soli. Non erano un gruppo, ma solo l’unione di individualità problematiche, di adolescenti troppo presi ad affrontare le difficoltà del piccolo mondo nel quale si rinchiudevano. Erano fragili, talmente tanto che sarebbe bastata una sola folata di vento per raderli al suolo, ridurli a brandelli. Erano forti, tanto forti da mascherare le loro più grandi paure, l’incolmabile vuoto che sentivano nei loro petti e nelle loro menti.
STORIA ISPIRATA ALLA SERIE TELEVISIVA "SKINS".
Genere: Drammatico, Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Nuovo personaggio, Un po' tutti
Note: OOC | Avvertimenti: nessuno
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HARRY

Il silenzio regnava sovrano in quella piccola chiesetta del quartiere. Harry non era mai stato un credente. Certo, aveva sporadicamente partecipato a qualche cerimonia religiosa, ma non poteva definirsi quale assiduo frequentatore della parrocchia e attivo fedele della comunità.
Quel giorno avrebbe preferito persino essere costretto a svolgere un ennesimo e fallimentare compito, piuttosto che dover assistere a quell’evento. In realtà nessuno lo aveva obbligato a partecipare, ma il suo cuore, la sua coscienza lo avevano quasi costretto a svegliarsi presto quella mattina ed indossare quello stupido vestito scuro. Non si sarebbe mai perdonato una sua eventuale assenza.
Un gruppo di sei uomini continuava la lenta avanzata lungo la navata della chiesa, sorreggendo una bara sulle spalle.
Non la conosceva bene, non quanto avrebbe potuto conoscerla Millie, o magari Zayn, ma sapeva che aveva fatto la cosa più giusta presentandosi lì, quella mattina, per commemorarla.
Era successo tutto così in fretta. Aveva sentito delle voci parlare di una festa, di qualcuno che aveva perso il controllo, di alcuni ragazzi che avevano bevuto troppo, altri che avevano fatto uno eccessivo di sostanze stupefacenti. Sul giornale aveva letto di una ragazza, non aveva compiuto neppure diciannove anni, morta di overdose proprio a quella festa.
Audrey alla sua destra rabbrividì quando il corpo inerme di quella giovanissima donna passò a pochi metri di distanza da lei.
Sapeva chi era, l’aveva vista parlare con Millie durante quella fatidica festa organizzata a casa di Zayn qualche settimana prima. Eppure quella sera non le era affatto sembrata la ragazza disposta a tutto, persino a superare i propri limiti fisiologici, pur di riscoprire quello sprazzo di felicità e soddisfazione che quella roba sembrava riuscir ad offrire a chi, come sua sorella Millie, ancora non era in grado di farne a meno. Attimi di pura felicità, attimi di spensieratezza, di follia, il cui prezzo era decisamente troppo alto per poter essere ripagato. Ed allora il distino compiva le sue scelte, passava a riscuotere tutti quei debiti che semplici e piccoli umani continuavano ad accumulare, incoscienti e sopraffatti da quella parvenza di ebrezza di cui i loro istanti venivano temporaneamente riempiti. Era la vita ciò che pretendeva, ciò che portava via. Era la vita il bene più grande che veniva donato ad ogni singola persona ed era quella stessa vita che veniva spazzata via con un semplice, piccolo gesto. Sarebbe bastata una striscia di troppo, una siringa in più, una dose troppo grande e quella vita sarebbe stata interrotta per sempre.
D’istinto Audrey cercò la mano di Harry, sfiorandola con forza, per poi afferrarne appena tre dita.
Il suo era stato un gesto impulsivo, fatto senza averci riflettuto per neppure un istante, così quando gli occhi verdi e limpidi di Harry si scontrarono con i suoi, Audrey sentì una strana sensazione farsi largo alla bocca dello stomaco, mentre le sue guance ribollivano per l’imbarazzo.
“Io…”, la voce di Audrey era un sussurro smorzato, un’unica flebile parola che era scappata dalle sue labbra prima che violentemente abbassasse il capo, per puntarlo esattamente in direzione dei suoi piedi.
Harry percepì la presa di Audrey farsi più debole, aveva perfettamente intuito che nel giro di qualche secondo avrebbe ritirato completamente la mano, lasciando libera quella del ragazzo.
Ma Harry non voleva, non ora che finalmente anche Audrey pareva mostrare un briciolo di interesse nei suoi confronti. Il ricco sorrise, mentre con finta sicurezza intrecciava le sue dita a quelle della ragazza, stingendole forte la mano, così da non poterle permetterle di allontanarsi in alcun modo.
Gli occhi di Audrey furono d’istinto nuovamente catapultati in quelli di Harry. Lui le sorrideva appena, come a volerla incoraggiare. Due tenere fossette gli si erano scavate agli angoli della bocca. Audrey puntò forte i denti sul labbro inferiore, mordendolo indecisa. Quella sensazione di sicurezza che si propagava da quel lieve contatto la confondeva. Non voleva rinunciarci, ma non voleva neppure soccombere a quella subdola debolezza.
Eppure per un istante, in quella bara di legno scuro che ormai era quasi giunta all’altare, Audrey immaginò di vedere Millie. Un brivido le percorse la spina dorsale.
“Andrà tutto bene, tranquilla”, la rincuorò Harry.
Ormai, lo aveva capito, non c’era più spazio per la timidezza e l’incertezza. Lui voleva Audrey e se per averla avrebbe dovuto combattere contro tutte le sue paure, allora lo avrebbe fatto.
Audrey annuì appena, lasciandosi confortare da quel tono di voce tanto familiare e rassicurante, poi fece cadere il suo attento e vigile sguardo sulla figura di Millie.
Aveva la testa bassa, la mascella serrata, l’espressione cupa, gli occhi vuoti. Giocava distrattamente con le mani. Per quanto bene il nero le potesse stare, per quanto splendidamente quel colore si abbinasse con la sua carnagione, quella non era certo l’occasione per la quale aveva in mente di indossare quell’abito. Deglutì forte quando il prete diede inizio alla cerimonia. Sentiva le gambe tremare, sapeva che da un momento all’altro avrebbero potuto cedere, lasciandola rovinosamente cadere sul freddo pavimento. Non ci sarebbe stato nessuno a sorreggerla, né Niall, né Audrey, né suo padre e neppure Zayn.
Aveva preferito andarci da sola, non voleva la compagnia ed il supporto di nessuno. Aveva come la sensazione che avrebbe dovuto affrontare quella situazione da sola. Voleva mettersi in gioco, voleva provare a se stessa fino a che punto sarebbe stata capace di spingersi. Non sapeva, Millie, che proprio in quella piccola chiesetta, in ultima fila, Audrey continuava a scrutarla, assicurandosi che tutto procedesse per il meglio. Non avrebbe mai davvero potuto lasciarla sola, così si era accontentata di un posto ben poco visibile e si era ripromessa di non perderla mai di vista, neppure per un istante.
Louis tirò un respiro di sollievo quando raggiunse finalmente l’esterno di quell’edificio. Aveva promesso a Zayn che gli sarebbe stato accanto, ma quando aveva visto arrivare la signora ed il signor Malik, pochi attimi prima che la cerimonia iniziasse, aveva intuito che non ci sarebbe più stato bisogno della sua presenza, perlomeno non come prima. Così, dopo appena dieci minuti, si era dileguato con fare fortuito e, una volta fuori, si era raggomitolato sulle scalette che si stagliavano davanti all’ingresso.
“Ehi”, la voce affusolata di Charlotte catturò immediatamente Louis, costringendolo a voltarsi nella direzione da cui essa pareva provenire.
“Ehi”, ricambiò con un lieve sorriso sulle labbra, nonostante tutta quella atmosfera lo rendeva piuttosto di cattivo umore.
“Ho saputo solo questa mattina quello che è successo”, mormorò quasi la ragazza, mentre con movimenti lenti si avvicinava a Louis, fino a sedersi al suo fianco.
“Sì, beh, a me l’ha detto Zayn ieri sera”, spiegò allora.
Charlie annuì, incapace di aggiungere altro.
Sapeva perfettamente che al posto di quella malcapitata ci si sarebbe potuto trovare uno qualsiasi di loro, chiunque, e non era per nulla fiera di quella consapevolezza.
Deglutì sommessamente, prima di tornare a puntare lo sguardo negli occhi chiari di Louis.
“Ho parlato con Margaret”, esordì allora, senza aggiungere alcun dettaglio.
Voleva essere sicura che quella conversazione non avrebbe in alcun modo turbato Louis. Dovevano essere già molte le preoccupazioni che vagavano nella sua mente a moltiplicarle per l’ennesima volta non era affatto tra gli obiettivi di Charlie.
Erano stati insieme per così tanto tempo che lei aveva imparato a conoscere ogni sfaccettatura del suo carattere. Sapeva perfettamente riconoscere quel cipiglio affranto, quell’aria assente, lo sguardo spento, quelle labbra leggermente schiuse.
Louis prese un lungo respiro e si sgranchì il collo, muovendo leggermente il capo prima da un lato, poi dall’altro.
Charlie sapeva che era quello il momento, era quello l’istante in cui lei avrebbe dovuto riprendere il discorso.
“Mi ha detto cosa è successo”, mormorò quasi.
Da quando Margaret le aveva riferito di quello che Louis aveva fatto per lei, Charlie non era riuscita a non esserne felice. Sapeva che la presenza di un amico avrebbe notevolmente alleviato il dolore che Margaret serbava. Ma solo allora si rese conto di quello strano fastidio che quell’idea le provocava. Era stato Louis, proprio il suo Louis, ad aiutarla e quasi ne fu gelosa.
Scosse istintivamente il capo, rimproverandosi mentalmente per quei suoi pensieri.
“Voleva ringraziarti ancora di persona, ma stamattina doveva risolvere delle faccende con sua madre, quindi non è potuta venire”, spiegò giocherellando con una ciocca di capelli.
Louis sogghignò, percependo quel tono leggermente nervoso.
“Dice che sua madre ha bisogno di lei, più di quanto lei abbia bisogno della vodka”, aggiunse, riportando le parole che la stessa Margaret le aveva rivolto la sera precedente.
Il ragazzo si lasciò scappare un mezzo sorriso, divertito quasi da quella battuta, ma non accennò a proferir parola.
Eppure, Charlotte non lo ricordava affatto così silenzioso, ma del resto sapeva perfettamente quanto Louis stesse lavorando sul suo carattere, quanto si stesse prodigando per migliorarsi. Magari era davvero cambiato, magari lo era sin troppo.
“Com’è lì dentro?”, si ritrovò a chiedere poi la bionda, mordendosi nervosamente il labbro inferiore.
Del resto era quello, il funerale, il motivo che l’aveva spinta a recarsi lì quella mattina. Ma proprio lei, contro ogni aspettativa, non aveva avuto abbastanza coraggio per entrare, aveva preferito aspettare fuori, non vedere con i suoi occhi quella cruda e dura verità.
Louis, invece, ci era stato e l’aveva vista. Aveva visto quella giovane ragazza che più volte aveva incontrato a qualche festa o in giro per locali. Aveva osservato il suo viso diafano, le sue palpebre  abbassate, le mani congiunte in grembo, i capelli sparsi ordinatamente ai lati del suo volto. Immobile, inerme, piatta.
“Un inferno”, si lasciò scappare in un sussurro.
Ed era proprio quella la più sincera verità. Era un inferno, perché a morire non era stata un’estranea, una persona che conduceva uno stile di vita diametralmente opposto al loro, una di quelle che si era semplicemente ritrovata nel posto sbagliato al momento sbagliato. Lì dentro, in quella dannata bara, c’era una di loro. Una ragazza con dei sogni infranti ormai già da anni, con nessuna aspettativa, con una routine sregolata e ben poco controllo della sua vita. Era davvero un fottuto inferno ed era un inferno molto più vicino di quanto Louis avrebbe mai potuto immaginare.
Charlotte annuì soltanto, mentre il silenzio tornava padrone dell’atmosfera.
“Eravamo davvero una forza noi due”, si lasciò sfuggire una manciata di minuti dopo, pentendosi automaticamente di quelle parole pronunciate senza troppa cognizione di causa.
“Oh no”, si lamentò Louis, voltandosi in direzione di Charlie.
I suoi occhi, quegli occhi di giacchio di cui si era innamorato tempo addietro, riuscivano ancora a perforarlo.
“Noi eravamo molto di più”, commentò con un leggero sorriso, prima di avvolgere le spalle della ragazza con un braccio.
Liam suonò il campanello di casa Collins ancora non del tutto convinto.
Aveva passeggiato freneticatamene per interminabili minuti, rimuginando su cosa avrebbe dovuto fare. Voleva vedere Bree, voleva parlare con lei e cercare di chiarire quella dubbia situazione in cui vertevano, ma lui era comunque Liam James Payne e dichiarare ad una ragazza, una qualsiasi ragazza, il suo interesse in stile dichiarazione romantica non rientrava affatto tra le sue prospettive.
Ecco il motivo dei suoi mille ripensamenti. Non era nelle sue intenzioni apparire come un docile e affettuoso ragazzo che finalmente si decideva ad esternare i suoi sentimenti. Liam desiderava solo poter trascorrere del tempo con Bree. Non era certo di essere pronto a dare una definizione netta al rapporto che stava nascendo con la ragazza dai capelli rossi, ma era stufo di fuggire ancor prima che qualcosa potesse nascere.
“Salve”, il volto gentile di una donna fece capolinea oltre la porta d’ingresso.
“Buongiorno”, salutò allora Liam, cercando di sorridere in  modo cordiale.
Se la donna di fronte a lui era la madre di Bree, di certo allora non avrebbe voluto apparire come scontroso o maleducato.
“Sono Liam, un amico di Bree”, si presentò allora, sfoggiando i suoi occhi color nocciola che tanto avevano il potere di incantare le persone.
“Finalmente un amico maschio!”, esclamò con soddisfazione la donna, lasciandosi scappare una risata sarcastica.
Liam storse leggermente il labbro, non avendo intuito cosa ella volesse insinuare con quel commento. Sembrava quasi voler schernire Bree, ma a Liam pareva difficile credere che proprio sua madre potesse beffeggiarla davanti a quello che poteva essere anche il suo ragazzo.
“Entra, caro”, lo pregò la donna, facendogli spazio cosicché Liam potesse avanzare all’interno dell’abitazione. “Siediti pure, mettiti comodo”, proseguì accennando con una mano all’accogliente salotto.
Liam annuì soltanto, avvicinandosi con passo lento al divano in pelle beige.
“Vado a chiamarla. Spero solo non ci metta molto”, continuò allora la donna.
Liam la osservò meglio. Il suo volto aveva un’aria familiare. In un attimo si ritrovò a cercare nei suoi lineamenti dei tratti in comune al viso di Bree.
Forse si trattava di quegli occhi chiari e vuoti, dell’espressione svampita, della postura eretta, della pelle candida.
“Non si preoccupi, aspetterò”, ribatté con un sorriso, cercando di mostrarsi disponibile.
Voleva fare una buona impressione, in un certo senso.
La donna gli riservò una veloce occhiata incredula, quasi scettica.
“Non capisco perché un bel ragazzo come te perda il suo tempo così”, borbottò in un mormorio che a Liam giunse appena all’orecchio.
Non era neppure davvero certo di quello che la donna avesse detto, o forse sperava semplicemente che quelle parole appena sussurrate non fossero veramente uscite dalla bocca di quella che presumeva essere la madre di Bree.
“Ti mando mia figlia giù”, concluse infine, regalando un ultimo sorriso a Liam, prima di affrettarsi a salire le scale.
Ora ne era certo. Quella era davvero la madre di Bree e a giudicare dalle apparenze non doveva avere propriamente un buon rapporto con la figlia.
Zayn osservò ancora per un istante la lapide in marmo. Aveva seguito l’intera cerimonia, poi si era recato al cimitero, dove il tutto si era concluso. Non aveva avuto la forza di avvicinarsi alla tomba. Era rimasto piuttosto distante, quasi nascosto da una lunga fila di cipressi. Ormai erano andati via quasi tutti. Dalla sua posizione riusciva solo ad intravedere i volti di quelli che aveva compreso fossero i genitori della ragazza. Da quando aveva avuto notizia dell’infelice evento, Zayn non aveva fatto altro che sentire una morsa stringergli lo stomaco. Mille idee si erano fatte spazio nella sua mente, tormentandolo, non concedendogli neppure un istante di tregua. Sapeva che in parte era responsabile dell’accaduto. Sapeva che era lui che nell’ultimo periodo aveva venduto della roba a quella ragazza. Sapeva che quella dose, quella che l’aveva portata alla morte, probabilmente era passata dalle sue stesse mani. Aveva ancora il volto leggermente livido, i segni di quella notte non erano scoparsi integralmente dal suo corpo, eppure quel mondo continuava a perseguitarlo.
Zayn cominciava a dubitare di poter davvero lasciarsi alle spalle quella terribile esperienza. Qualcosa, forse i rimorsi, forse la sua coscienza, gli urlavano che niente e nessuno avrebbe mai potuto cancellare ciò che lui aveva fatto, ciò che aveva fatto agli altri. Ne avrebbe portato per sempre i segni, le cicatrici sul suo cuore.
Il fastidioso rumore di foglie calpestate lo destò dai suoi cupi pensieri. Deglutì sommessamente, nel vano tentativo di ignorare quel tanto palese indizio. Erano giorni che vedeva sempre quelle stesse persone osservarlo, controllarlo, pedinarlo. Da quando era tornato a scuola non lo avevano lasciato solo per neppure un istante. Non ne aveva parlato con i suoi genitori, non ne aveva parlato neppure con Louis a dir il vero. Zayn credeva soltanto che meno persone fossero a conoscenza di tutto ciò, meno pericoli avrebbe fatto correre ai suoi cari. Temeva che una sola parola avrebbe potuto scatenare l’ira vendicativa, che una sola frase sarebbe stata sufficiente a proseguire ciò che quella notte era stato lasciato in sospeso.
Fece roteare gli occhi, alla ricerca di una via di fuga che gli consentisse di allontanarsi da quegli uomini il prima possibile. Individuò un sentiero, lo avrebbe imboccato, sarebbe uscito dal cimitero ed, infine, si sarebbe diretto velocemente a casa. Aveva bisogno di sentirsi al sicuro e, nonostante ormai nessun luogo lo fosse per lui, percepiva la necessità di rifugiarsi in famiglia, accudito dall’amore dei suoi genitori e dalle risate allegre delle sue sorelle.
Prese un respiro profondo, mentre con la mando destra estraeva una sigaretta dal pacchetto che teneva nella tasca del cappotto. Con l’altra recuperò l’accendino ed in pochi attimi l’accese. Ne fece un tiro, poi finalmente si decise a camminare. Sapeva quello che doveva fare, cercava solo di racimolare quel briciolo di forza che gli avrebbe permesso di concretizzare il suo piano.
Quando, dopo quasi un’oretta, chiuse alle sue spalle il portone di casa, Zayn respirò a pieni polmoni, sollevato. Aveva distintamente notato due persone seguirlo sino al cancello della sua abitazione, ma poi li aveva visti fermarsi sull’altro lato della strada. Zayn era anche piuttosto certo del fatto che riusciva a distinguerli solo perché erano loro a voler essere visti. Era come se in quel modo potessero sempre ricordargli di tenere la bocca chiusa, ben sigillata.
“Zayn, amore, tutto bene?”, la voce calda di sua madre giunse all’orecchio del moro come la cosa più dolce e bella del mondo.
Annuì soltanto, sperando di poter mascherare quel velo di tensione e paura che ormai caratterizzava la sua espressione.
“Zayn, figliolo, finalmente sei tornato”, questa volta fu suo padre a parlare, raggiungendolo nell’ampio ingresso.
La sua voce era chiaro segno di quanto straziante quell’attesa gli fosse risultata. Probabilmente aveva pregato per interminabili minuti che Zayn rincasasse, che quella porta si spalancasse rivelando l’immagine serena di suo figlio e poterlo rivedere, in quel momento, sano e salvo era una gioia incommensurabile.
Il moro distolse lo sguardo, mentre con noncuranza lasciava cadere la giacca sullo schienale della poltrona.
“Scusate il ritardo”, borbottò mentre si sedeva scomposto sul bracciolo.
“Vuoi dirci dove sei stato?”, la domanda di sua madre non preannunciava rimprovero alcuno, ma solo un disperato bisogno di sapere suo figlio al sicuro.
“In chiesa, poi al cimitero”, rispose atono, mentre i suoi occhi si fissavano sullo schermo spento del televisore. “Una ragazza che conoscevo è morta”, aggiunse in un sussurro.
In un attimo la mano di Zayn fu avvolta da quella della madre.
“Permettici di aiutarti, tesoro”, la sua voce era quasi una supplica.
“Ormai credo sia rimasto davvero ben poco da poter fare”, il rifiuto di Zayn colpì forte entrambi i suoi genitori.
“Zayn, noi abbiamo capito”, proferì suo padre.
Il moro trattenne il fiato, mentre ruotava lo sguardo in direzione dell’uomo. Aveva gli occhi sgranati, la bocca schiusa e la mente affollata da mille dubbi.
“Cosa?”, chiese soltanto a modi conferma.
Sua madre deglutì, mentre si faceva ancora più vicina a lui.
“Abbiamo parlato con Jamal, sappiamo cosa è successo e sappiamo perché quella notte…”, suo padre lasciò incompleta la frase, incapace di portarla a termine.
“Hai fatto la cosa giusta”, esordì allora la donna, carezzando delicatamente la guancia del figlio. “Ora dobbiamo solo essere certi che tu sia al sicuro”, terminò, accennando ad un lieve sorriso, nel tentativo di tranquillizzarlo.
Probabilmente a Zayn non sarebbe bastato, ma in quell’istante gli parve un ottimo inizio.
Erano seduti da oltre un’ora sul comodo e largo divano dell’enorme sala di casa Wood. Audrey, Harry, Millie, Niall e Charlie erano in silenzio, assorti nei loro pensieri. Era stato Harry a proporre di organizzare qualcosa per quel pomeriggio, ma quando poi si erano ritrovati, nessuno sembrava più essere dell’umore adatto. In realtà quando il riccio aveva chiesto agli altri di incontrarsi, lo aveva fatto per un unico scopo. Non voleva in nessun caso che Millie ed Audrey si trovassero da sole a dover combattere la prima contro i rimorsi ed il senso di colpa che continuava a celare dietro la sua espressione gelida, la seconda contro la paura di poter perdere la gemella in ogni istante. Sarebbe stata sufficiente un’unica piccola distrazione ed Audrey avrebbe potuto tranquillamente dire per sempre addio a Millie.
“Qualcuno ha sete o fame?”, la domanda di Charlie fece riscuotere tutti.
Era quasi una supplica, la sua, un invito a metter fine a quella straziante agonia.
“Ci dovrebbe essere del gelato di là.”, la voce sommessa di Audrey giunse pochi secondi dopo.
Affogare il dispiacere nel cibo non era mai rientrato tra le sue abitudini, né era solita mangiare per noia, ma probabilmente una coppa di cremoso gelato avrebbe potuto alleviare quell’atmosfera così tesa e pesante.
“Mi offro come volontario per prendere i cucchiaini”, si propose immediatamente Harry, sollevandosi di scatto dal divano.
Aveva gli arti quasi atrofizzati per l’eccessivo tempo trascorso immobile nella più totale contemplazione.
“Ed io per prendere le coppette”, lo imitò prontamente Niall, mentre con un balzo lo affiancava.
“Andiamo, allora”, concluse Audrey, facendo strada ai due verso la cucina.
Charlie sospirò non appena ebbe realizzato che era rimasta da sola proprio con Millie e per di più nel salotto di casa sua. Quasi si maledisse per la malsana idea che aveva avuto e per le conseguenze a cui aveva portato.
Si morse fortemente il labbro inferiore tra i denti, chiedendosi se fosse il caso di intavolare una qualsiasi conversazione o di attendere in silenzio il ritorno degli altri.
“Mi fa piacere che tu sia passata”, fu Millie a rompere il ghiaccio, mentre con gli occhi cercava quelli chiari di Charlie.
La maschera di fierezza che solitamente sfoggiava aveva lasciato posto ad un’espressione più amichevole e meno orgogliosa.
Charlie riuscì solo ad accennare un sorriso, prima che Niall si facesse spazio tra le due, porgendo le coppette ricolme di gelato.
“Ecco a voi, signorine”, le offrì con voce giocosa.
“Hai sentito?”, fu la domanda appena sussurrata da Harry all’orecchio attento di Audrey.
Si era immobilizzata sullo stipite della porta nell’esatto istante in cui sua sorella aveva proferito parola.
Annuì, mentre un sorriso si impossessava delle sue labbra.
“Forse questa volta siamo davvero sulla buona strada”, commentò con lo sguardo ancora incatenato alla figura della sorella, prima di afferrare Harry per mano e tornare in sala dagli altri.

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Angolo Autrice
Buon pomeriggio a tutti! Allora, eccoci con il nuovo capitolo!
Stavolta parliamo di Harry che, insomma, per tutto il capitolo non fa che preoccuparsi per tutti. Ma non è carinissimo in veste di uomo premuroso?
A quanto pare tutta la sua timidezza sembra aver lasciato il posto ad una buona dose di sicurezza.
Ed eccolo che prima cerca di far forza ad Audrey e poi, insieme a lei, continua a tenere sott'occhio Millie.
Il funerale di cui si parla è quello della ragazza che nel 20esimo capitolo Millie avvicina, ecco perché sia per lei che per Zayn la sua morte è piuttosto destabilizzante.
Per quanto riguarda Louis, vediamo un repentino riavvicinamento con Charlie!
Insomma, Margaret e Niall manca per appena un capitolo e quei due subito ne approfittando!
Però non voglio dire nulla a riguardo, potrebbe tranquillamente trattarsi di una chiacchierata tra amici, no?!
Anyway, veniamo a Zaynuccio caro. A quanto pare i suoi problemi non sono finiti ed ora i suoi genitori sono al corrente di tutto.
Vedremo come si evolveranno le cose, perché presto ci sarà anche un gran ritorno.
Ah, quasi dimenticavo: Liam fa conoscenza della signora Collins!! Beh, forse ora finalmente inizia a capire il perché di tutte le insicurezze di Bree.
Okay, credo di aver detto tutto. Spero di riuscire a pubblicare il prossimo capitolo quanto prima!!
Ringrazio chi segue, ricorda, preferisce e legge!!
E, se vi va, lasciate pure un commento, insomma per sapere cosa ne pensate!
Alla prossima,
                                                     Astrea_
  
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