HARRY
Il
silenzio regnava sovrano in quella piccola
chiesetta del quartiere. Harry non era mai stato un credente. Certo,
aveva
sporadicamente partecipato a qualche cerimonia religiosa, ma non poteva
definirsi quale assiduo frequentatore della parrocchia e attivo fedele
della
comunità.
Quel giorno avrebbe preferito persino essere
costretto a svolgere un ennesimo e fallimentare compito, piuttosto che
dover
assistere a quell’evento. In realtà nessuno lo
aveva obbligato a partecipare,
ma il suo cuore, la sua coscienza lo avevano quasi costretto a
svegliarsi
presto quella mattina ed indossare quello stupido vestito scuro. Non si
sarebbe
mai perdonato una sua eventuale assenza.
Un gruppo di sei uomini continuava la lenta
avanzata lungo la navata della chiesa, sorreggendo una bara sulle
spalle.
Non la conosceva bene, non quanto avrebbe
potuto conoscerla Millie, o magari Zayn, ma sapeva che aveva fatto la
cosa più
giusta presentandosi lì, quella mattina, per commemorarla.
Era successo tutto così in fretta. Aveva
sentito delle voci parlare di una festa, di qualcuno che aveva perso il
controllo, di alcuni ragazzi che avevano bevuto troppo, altri che
avevano fatto
uno eccessivo di sostanze stupefacenti. Sul giornale aveva letto di una
ragazza, non aveva compiuto neppure diciannove anni, morta di overdose
proprio
a quella festa.
Audrey alla sua destra rabbrividì quando il
corpo inerme di quella giovanissima donna passò a pochi
metri di distanza da
lei.
Sapeva chi era, l’aveva vista parlare con
Millie durante quella fatidica festa organizzata a casa di Zayn qualche
settimana prima. Eppure quella sera non le era affatto sembrata la
ragazza
disposta a tutto, persino a superare i propri limiti fisiologici, pur
di
riscoprire quello sprazzo di felicità e soddisfazione che
quella roba sembrava
riuscir ad offrire a chi, come sua sorella Millie, ancora non era in
grado di
farne a meno. Attimi di pura felicità, attimi di
spensieratezza, di follia, il
cui prezzo era decisamente troppo alto per poter essere ripagato. Ed
allora il
distino compiva le sue scelte, passava a riscuotere tutti quei debiti
che
semplici e piccoli umani continuavano ad accumulare, incoscienti e
sopraffatti
da quella parvenza di ebrezza di cui i loro istanti venivano
temporaneamente
riempiti. Era la vita ciò che pretendeva, ciò che
portava via. Era la vita il
bene più grande che veniva donato ad ogni singola persona ed
era quella stessa
vita che veniva spazzata via con un semplice, piccolo gesto. Sarebbe
bastata
una striscia di troppo, una siringa in più, una dose troppo
grande e quella
vita sarebbe stata interrotta per sempre.
D’istinto Audrey cercò la mano di Harry,
sfiorandola con forza, per poi afferrarne appena tre dita.
Il suo era stato un gesto impulsivo, fatto
senza averci riflettuto per neppure un istante, così quando
gli occhi verdi e
limpidi di Harry si scontrarono con i suoi, Audrey sentì una
strana sensazione
farsi largo alla bocca dello stomaco, mentre le sue guance ribollivano
per
l’imbarazzo.
“Io…”, la voce di Audrey era un sussurro
smorzato, un’unica flebile parola che era scappata dalle sue
labbra prima che
violentemente abbassasse il capo, per puntarlo esattamente in direzione
dei
suoi piedi.
Harry percepì la presa di Audrey farsi più
debole, aveva perfettamente intuito che nel giro di qualche secondo
avrebbe
ritirato completamente la mano, lasciando libera quella del ragazzo.
Ma Harry non voleva, non ora che finalmente
anche Audrey pareva mostrare un briciolo di interesse nei suoi
confronti. Il
ricco sorrise, mentre con finta sicurezza intrecciava le sue dita a
quelle
della ragazza, stingendole forte la mano, così da non
poterle permetterle di
allontanarsi in alcun modo.
Gli occhi di Audrey furono d’istinto
nuovamente catapultati in quelli di Harry. Lui le sorrideva appena,
come a
volerla incoraggiare. Due tenere fossette gli si erano scavate agli
angoli
della bocca. Audrey puntò forte i denti sul labbro
inferiore, mordendolo
indecisa. Quella sensazione di sicurezza che si propagava da quel lieve
contatto la confondeva. Non voleva rinunciarci, ma non voleva neppure
soccombere a quella subdola debolezza.
Eppure per un istante, in quella bara di legno
scuro che ormai era quasi giunta all’altare, Audrey
immaginò di vedere Millie.
Un brivido le percorse la spina dorsale.
“Andrà tutto bene, tranquilla”, la
rincuorò
Harry.
Ormai, lo aveva capito, non c’era più spazio
per la timidezza e l’incertezza. Lui voleva Audrey e se per
averla avrebbe
dovuto combattere contro tutte le sue paure, allora lo avrebbe fatto.
Audrey annuì appena, lasciandosi confortare da
quel tono di voce tanto familiare e rassicurante, poi fece cadere il
suo
attento e vigile sguardo sulla figura di Millie.
Aveva la testa bassa, la mascella serrata,
l’espressione cupa, gli occhi vuoti. Giocava distrattamente
con le mani. Per
quanto bene il nero le potesse stare, per quanto splendidamente quel
colore si
abbinasse con la sua carnagione, quella non era certo
l’occasione per la quale
aveva in mente di indossare quell’abito. Deglutì
forte quando il prete diede
inizio alla cerimonia. Sentiva le gambe tremare, sapeva che da un
momento
all’altro avrebbero potuto cedere, lasciandola rovinosamente
cadere sul freddo
pavimento. Non ci sarebbe stato nessuno a sorreggerla, né
Niall, né Audrey, né
suo padre e neppure Zayn.
Aveva preferito andarci da sola, non voleva la
compagnia ed il supporto di nessuno. Aveva come la sensazione che
avrebbe
dovuto affrontare quella situazione da sola. Voleva mettersi in gioco,
voleva
provare a se stessa fino a che punto sarebbe stata capace di spingersi.
Non
sapeva, Millie, che proprio in quella piccola chiesetta, in ultima
fila, Audrey
continuava a scrutarla, assicurandosi che tutto procedesse per il
meglio. Non
avrebbe mai davvero potuto lasciarla sola, così si era
accontentata di un posto
ben poco visibile e si era ripromessa di non perderla mai di vista,
neppure per
un istante.
Louis tirò un respiro di sollievo quando
raggiunse finalmente l’esterno di quell’edificio.
Aveva promesso a Zayn che gli
sarebbe stato accanto, ma quando aveva visto arrivare la signora ed il
signor
Malik, pochi attimi prima che la cerimonia iniziasse, aveva intuito che
non ci
sarebbe più stato bisogno della sua presenza, perlomeno non
come prima. Così,
dopo appena dieci minuti, si era dileguato con fare fortuito e, una
volta
fuori, si era raggomitolato sulle scalette che si stagliavano davanti
all’ingresso.
“Ehi”, la voce affusolata di Charlotte
catturò
immediatamente Louis, costringendolo a voltarsi nella direzione da cui
essa
pareva provenire.
“Ehi”, ricambiò con un lieve sorriso
sulle
labbra, nonostante tutta quella atmosfera lo rendeva piuttosto di
cattivo
umore.
“Ho saputo solo questa mattina quello che è
successo”, mormorò quasi la ragazza, mentre con
movimenti lenti si avvicinava a
Louis, fino a sedersi al suo fianco.
“Sì, beh, a me l’ha detto Zayn ieri
sera”,
spiegò allora.
Charlie annuì, incapace di aggiungere altro.
Sapeva perfettamente che al posto di quella
malcapitata ci si sarebbe potuto trovare uno qualsiasi di loro,
chiunque, e non
era per nulla fiera di quella consapevolezza.
Deglutì sommessamente, prima di tornare a
puntare lo sguardo negli occhi chiari di Louis.
“Ho parlato con Margaret”, esordì
allora,
senza aggiungere alcun dettaglio.
Voleva essere sicura che quella conversazione
non avrebbe in alcun modo turbato Louis. Dovevano essere già
molte le
preoccupazioni che vagavano nella sua mente a moltiplicarle per
l’ennesima
volta non era affatto tra gli obiettivi di Charlie.
Erano stati insieme per così tanto tempo che lei
aveva imparato a conoscere ogni sfaccettatura del suo carattere. Sapeva
perfettamente
riconoscere quel cipiglio affranto, quell’aria assente, lo
sguardo spento,
quelle labbra leggermente schiuse.
Louis prese un lungo respiro e si sgranchì il
collo, muovendo leggermente il capo prima da un lato, poi
dall’altro.
Charlie sapeva che era quello il momento, era
quello l’istante in cui lei avrebbe dovuto riprendere il
discorso.
“Mi ha detto cosa è successo”,
mormorò quasi.
Da quando Margaret le aveva riferito di quello
che Louis aveva fatto per lei, Charlie non era riuscita a non esserne
felice. Sapeva
che la presenza di un amico avrebbe notevolmente alleviato il dolore
che
Margaret serbava. Ma solo allora si rese conto di quello strano
fastidio che
quell’idea le provocava. Era stato Louis, proprio il suo
Louis, ad aiutarla e
quasi ne fu gelosa.
Scosse istintivamente il capo, rimproverandosi
mentalmente per quei suoi pensieri.
“Voleva ringraziarti ancora di persona, ma
stamattina doveva risolvere delle faccende con sua madre, quindi non
è potuta
venire”, spiegò giocherellando con una ciocca di
capelli.
Louis sogghignò, percependo quel tono
leggermente nervoso.
“Dice che sua madre ha bisogno di lei, più di
quanto lei abbia bisogno della vodka”, aggiunse, riportando
le parole che la
stessa Margaret le aveva rivolto la sera precedente.
Il ragazzo si lasciò scappare un mezzo
sorriso, divertito quasi da quella battuta, ma non accennò a
proferir parola.
Eppure, Charlotte non lo ricordava affatto
così silenzioso, ma del resto sapeva perfettamente quanto
Louis stesse
lavorando sul suo carattere, quanto si stesse prodigando per
migliorarsi.
Magari era davvero cambiato, magari lo era sin troppo.
“Com’è lì dentro?”,
si ritrovò a chiedere poi
la bionda, mordendosi nervosamente il labbro inferiore.
Del resto era quello, il funerale, il motivo
che l’aveva spinta a recarsi lì quella mattina. Ma
proprio lei, contro ogni
aspettativa, non aveva avuto abbastanza coraggio per entrare, aveva
preferito
aspettare fuori, non vedere con i suoi occhi quella cruda e dura
verità.
Louis, invece, ci era stato e l’aveva vista.
Aveva visto quella giovane ragazza che più volte aveva
incontrato a qualche
festa o in giro per locali. Aveva osservato il suo viso diafano, le sue
palpebre abbassate,
le mani congiunte in
grembo, i capelli sparsi ordinatamente ai lati del suo volto. Immobile,
inerme,
piatta.
“Un inferno”, si lasciò scappare in un
sussurro.
Ed era proprio quella la più sincera verità. Era
un inferno, perché a morire non era stata
un’estranea, una persona che
conduceva uno stile di vita diametralmente opposto al loro, una di
quelle che
si era semplicemente ritrovata nel posto sbagliato al momento
sbagliato. Lì
dentro, in quella dannata bara, c’era una di loro. Una
ragazza con dei sogni
infranti ormai già da anni, con nessuna aspettativa, con una
routine sregolata
e ben poco controllo della sua vita. Era davvero un fottuto inferno ed
era un
inferno molto più vicino di quanto Louis avrebbe mai potuto
immaginare.
Charlotte annuì soltanto, mentre il silenzio
tornava padrone dell’atmosfera.
“Eravamo davvero una forza noi due”, si
lasciò
sfuggire una manciata di minuti dopo, pentendosi automaticamente di
quelle
parole pronunciate senza troppa cognizione di causa.
“Oh no”, si lamentò Louis, voltandosi in
direzione di Charlie.
I suoi occhi, quegli occhi di giacchio di cui
si era innamorato tempo addietro, riuscivano ancora a perforarlo.
“Noi eravamo molto di più”,
commentò con un
leggero sorriso, prima di avvolgere le spalle della ragazza con un
braccio.
Liam suonò il campanello di casa Collins
ancora non del tutto convinto.
Aveva passeggiato freneticatamene per
interminabili minuti, rimuginando su cosa avrebbe dovuto fare. Voleva
vedere
Bree, voleva parlare con lei e cercare di chiarire quella dubbia
situazione in
cui vertevano, ma lui era comunque Liam James Payne e dichiarare ad una
ragazza, una qualsiasi ragazza, il suo interesse in stile dichiarazione
romantica non rientrava affatto tra le sue prospettive.
Ecco il motivo dei suoi mille ripensamenti.
Non era nelle sue intenzioni apparire come un docile e affettuoso
ragazzo che
finalmente si decideva ad esternare i suoi sentimenti. Liam desiderava
solo
poter trascorrere del tempo con Bree. Non era certo di essere pronto a
dare una
definizione netta al rapporto che stava nascendo con la ragazza dai
capelli
rossi, ma era stufo di fuggire ancor prima che qualcosa potesse nascere.
“Salve”, il volto gentile di una donna fece
capolinea oltre la porta d’ingresso.
“Buongiorno”, salutò allora Liam,
cercando di
sorridere in modo
cordiale.
Se la donna di fronte a lui era la madre di
Bree, di certo allora non avrebbe voluto apparire come scontroso o
maleducato.
“Sono Liam, un amico di Bree”, si
presentò
allora, sfoggiando i suoi occhi color nocciola che tanto avevano il
potere di
incantare le persone.
“Finalmente un amico maschio!”, esclamò
con
soddisfazione la donna, lasciandosi scappare una risata sarcastica.
Liam storse leggermente il labbro, non avendo
intuito cosa ella volesse insinuare con quel commento. Sembrava quasi
voler schernire
Bree, ma a Liam pareva difficile credere che proprio sua madre potesse
beffeggiarla davanti a quello che poteva essere anche il suo ragazzo.
“Entra, caro”, lo pregò la donna,
facendogli
spazio cosicché Liam potesse avanzare all’interno
dell’abitazione. “Siediti
pure, mettiti comodo”, proseguì accennando con una
mano all’accogliente
salotto.
Liam annuì soltanto, avvicinandosi con passo
lento al divano in pelle beige.
“Vado a chiamarla. Spero solo non ci metta
molto”, continuò allora la donna.
Liam la osservò meglio. Il suo volto aveva
un’aria familiare. In un attimo si ritrovò a
cercare nei suoi lineamenti dei
tratti in comune al viso di Bree.
Forse si trattava di quegli occhi chiari e
vuoti, dell’espressione svampita, della postura eretta, della
pelle candida.
“Non si preoccupi, aspetterò”,
ribatté con un
sorriso, cercando di mostrarsi disponibile.
Voleva fare una buona impressione, in un certo
senso.
La donna gli riservò una veloce occhiata
incredula, quasi scettica.
“Non capisco perché un bel ragazzo come te
perda il suo tempo così”, borbottò in
un mormorio che a Liam giunse appena
all’orecchio.
Non era neppure davvero certo di quello che la
donna avesse detto, o forse sperava semplicemente che quelle parole
appena
sussurrate non fossero veramente uscite dalla bocca di quella che
presumeva
essere la madre di Bree.
“Ti mando mia figlia giù”, concluse
infine,
regalando un ultimo sorriso a Liam, prima di affrettarsi a salire le
scale.
Ora ne era certo. Quella era davvero la madre di
Bree e a giudicare dalle apparenze non doveva avere propriamente un
buon
rapporto con la figlia.
Zayn osservò ancora per un istante la lapide
in marmo. Aveva seguito l’intera cerimonia, poi si era recato
al cimitero, dove
il tutto si era concluso. Non aveva avuto la forza di avvicinarsi alla
tomba.
Era rimasto piuttosto distante, quasi nascosto da una lunga fila di
cipressi.
Ormai erano andati via quasi tutti. Dalla sua posizione riusciva solo
ad
intravedere i volti di quelli che aveva compreso fossero i genitori
della
ragazza. Da quando aveva avuto notizia dell’infelice evento,
Zayn non aveva
fatto altro che sentire una morsa stringergli lo stomaco. Mille idee si
erano
fatte spazio nella sua mente, tormentandolo, non concedendogli neppure
un
istante di tregua. Sapeva che in parte era responsabile
dell’accaduto. Sapeva
che era lui che nell’ultimo periodo aveva venduto della roba
a quella ragazza.
Sapeva che quella dose, quella che l’aveva portata alla
morte, probabilmente
era passata dalle sue stesse mani. Aveva ancora il volto leggermente
livido, i
segni di quella notte non erano scoparsi integralmente dal suo corpo,
eppure
quel mondo continuava a perseguitarlo.
Zayn cominciava a dubitare di poter davvero
lasciarsi alle spalle quella terribile esperienza. Qualcosa, forse i
rimorsi,
forse la sua coscienza, gli urlavano che niente e nessuno avrebbe mai
potuto
cancellare ciò che lui aveva fatto, ciò che aveva
fatto agli altri. Ne avrebbe
portato per sempre i segni, le cicatrici sul suo cuore.
Il fastidioso rumore di foglie calpestate lo destò
dai suoi cupi pensieri. Deglutì sommessamente, nel vano
tentativo di ignorare
quel tanto palese indizio. Erano giorni che vedeva sempre quelle stesse
persone
osservarlo, controllarlo, pedinarlo. Da quando era tornato a scuola non
lo
avevano lasciato solo per neppure un istante. Non ne aveva parlato con
i suoi
genitori, non ne aveva parlato neppure con Louis a dir il vero. Zayn
credeva
soltanto che meno persone fossero a conoscenza di tutto ciò,
meno pericoli
avrebbe fatto correre ai suoi cari. Temeva che una sola parola avrebbe
potuto
scatenare l’ira vendicativa, che una sola frase sarebbe stata
sufficiente a
proseguire ciò che quella notte era stato lasciato in
sospeso.
Fece roteare gli occhi, alla ricerca di una
via di fuga che gli consentisse di allontanarsi da quegli uomini il
prima
possibile. Individuò un sentiero, lo avrebbe imboccato,
sarebbe uscito dal
cimitero ed, infine, si sarebbe diretto velocemente a casa. Aveva
bisogno di
sentirsi al sicuro e, nonostante ormai nessun luogo lo fosse per lui,
percepiva
la necessità di rifugiarsi in famiglia, accudito
dall’amore dei suoi genitori e
dalle risate allegre delle sue sorelle.
Prese un respiro profondo, mentre con la mando
destra estraeva una sigaretta dal pacchetto che teneva nella tasca del
cappotto. Con l’altra recuperò
l’accendino ed in pochi attimi l’accese. Ne fece
un tiro, poi finalmente si decise a camminare. Sapeva quello che doveva
fare,
cercava solo di racimolare quel briciolo di forza che gli avrebbe
permesso di
concretizzare il suo piano.
Quando, dopo quasi un’oretta, chiuse alle sue
spalle il portone di casa, Zayn respirò a pieni polmoni,
sollevato. Aveva
distintamente notato due persone seguirlo sino al cancello della sua
abitazione, ma poi li aveva visti fermarsi sull’altro lato
della strada. Zayn
era anche piuttosto certo del fatto che riusciva a distinguerli solo
perché
erano loro a voler essere visti. Era come se in quel modo potessero
sempre
ricordargli di tenere la bocca chiusa, ben sigillata.
“Zayn, amore, tutto bene?”, la voce calda di
sua madre giunse all’orecchio del moro come la cosa
più dolce e bella del
mondo.
Annuì soltanto, sperando di poter mascherare
quel velo di tensione e paura che ormai caratterizzava la sua
espressione.
“Zayn, figliolo, finalmente sei tornato”,
questa volta fu suo padre a parlare, raggiungendolo
nell’ampio ingresso.
La sua voce era chiaro segno di quanto
straziante quell’attesa gli fosse risultata. Probabilmente
aveva pregato per
interminabili minuti che Zayn rincasasse, che quella porta si
spalancasse
rivelando l’immagine serena di suo figlio e poterlo rivedere,
in quel momento,
sano e salvo era una gioia incommensurabile.
Il moro distolse lo sguardo, mentre con
noncuranza lasciava cadere la giacca sullo schienale della poltrona.
“Scusate il ritardo”, borbottò mentre si
sedeva scomposto sul bracciolo.
“Vuoi dirci dove sei stato?”, la domanda di
sua madre non preannunciava rimprovero alcuno, ma solo un disperato
bisogno di
sapere suo figlio al sicuro.
“In chiesa, poi al cimitero”, rispose atono,
mentre i suoi occhi si fissavano sullo schermo spento del televisore.
“Una
ragazza che conoscevo è morta”, aggiunse in un
sussurro.
In un attimo la mano di Zayn fu avvolta da
quella della madre.
“Permettici di aiutarti, tesoro”, la sua voce
era quasi una supplica.
“Ormai credo sia rimasto davvero ben poco da
poter fare”, il rifiuto di Zayn colpì forte
entrambi i suoi genitori.
“Zayn, noi abbiamo capito”, proferì suo
padre.
Il moro trattenne il fiato, mentre ruotava lo
sguardo in direzione dell’uomo. Aveva gli occhi sgranati, la
bocca schiusa e la
mente affollata da mille dubbi.
“Cosa?”, chiese soltanto a modi conferma.
Sua madre deglutì, mentre si faceva ancora più
vicina a lui.
“Abbiamo parlato con Jamal, sappiamo cosa è
successo e sappiamo perché quella
notte…”, suo padre lasciò incompleta la
frase, incapace di portarla a termine.
“Hai fatto la cosa giusta”, esordì
allora la
donna, carezzando delicatamente la guancia del figlio. “Ora
dobbiamo solo
essere certi che tu sia al sicuro”, terminò,
accennando ad un lieve sorriso,
nel tentativo di tranquillizzarlo.
Probabilmente a Zayn non sarebbe bastato, ma
in quell’istante gli parve un ottimo inizio.
Erano seduti da oltre un’ora sul comodo e
largo divano dell’enorme sala di casa Wood. Audrey, Harry,
Millie, Niall e
Charlie erano in silenzio, assorti nei loro pensieri. Era stato Harry a
proporre di organizzare qualcosa per quel pomeriggio, ma quando poi si
erano
ritrovati, nessuno sembrava più essere dell’umore
adatto. In realtà quando il
riccio aveva chiesto agli altri di incontrarsi, lo aveva fatto per un
unico
scopo. Non voleva in nessun caso che Millie ed Audrey si trovassero da
sole a
dover combattere la prima contro i rimorsi ed il senso di colpa che
continuava
a celare dietro la sua espressione gelida, la seconda contro la paura
di poter
perdere la gemella in ogni istante. Sarebbe stata sufficiente
un’unica piccola
distrazione ed Audrey avrebbe potuto tranquillamente dire per sempre
addio a
Millie.
“Qualcuno ha sete o fame?”, la domanda di
Charlie fece riscuotere tutti.
Era quasi una supplica, la sua, un invito a
metter fine a quella straziante agonia.
“Ci dovrebbe essere del gelato di là.”,
la
voce sommessa di Audrey giunse pochi secondi dopo.
Affogare il dispiacere nel cibo non era mai
rientrato tra le sue abitudini, né era solita mangiare per
noia, ma probabilmente
una coppa di cremoso gelato avrebbe potuto alleviare
quell’atmosfera così tesa
e pesante.
“Mi offro come volontario per prendere i
cucchiaini”, si propose immediatamente Harry, sollevandosi di
scatto dal
divano.
Aveva gli arti quasi atrofizzati per
l’eccessivo tempo trascorso immobile nella più
totale contemplazione.
“Ed io per prendere le coppette”, lo
imitò
prontamente Niall, mentre con un balzo lo affiancava.
“Andiamo, allora”, concluse Audrey, facendo
strada ai due verso la cucina.
Charlie sospirò non appena ebbe realizzato che
era rimasta da sola proprio con Millie e per di più nel
salotto di casa sua. Quasi
si maledisse per la malsana idea che aveva avuto e per le conseguenze a
cui
aveva portato.
Si morse fortemente il labbro inferiore tra i
denti, chiedendosi se fosse il caso di intavolare una qualsiasi
conversazione o
di attendere in silenzio il ritorno degli altri.
“Mi fa piacere che tu sia passata”, fu Millie
a rompere il ghiaccio, mentre con gli occhi cercava quelli chiari di
Charlie.
La maschera di fierezza che solitamente
sfoggiava aveva lasciato posto ad un’espressione
più amichevole e meno
orgogliosa.
Charlie riuscì solo ad accennare un sorriso,
prima che Niall si facesse spazio tra le due, porgendo le coppette
ricolme di
gelato.
“Ecco a voi, signorine”, le offrì con
voce
giocosa.
“Hai sentito?”, fu la domanda appena
sussurrata da Harry all’orecchio attento di Audrey.
Si era immobilizzata sullo stipite della porta
nell’esatto istante in cui sua sorella aveva proferito parola.
Annuì, mentre un sorriso si impossessava delle
sue labbra.
“Forse questa volta siamo davvero sulla buona
strada”, commentò con lo sguardo ancora incatenato
alla figura della sorella,
prima di afferrare Harry per mano e tornare in sala dagli altri.
Angolo Autrice
Buon pomeriggio a tutti! Allora, eccoci con il nuovo capitolo!
Stavolta parliamo di Harry che, insomma, per tutto il capitolo non fa che preoccuparsi per tutti. Ma non è carinissimo in veste di uomo premuroso?
A quanto pare tutta la sua timidezza sembra aver lasciato il posto ad una buona dose di sicurezza.
Ed eccolo che prima cerca di far forza ad Audrey e poi, insieme a lei, continua a tenere sott'occhio Millie.
Il funerale di cui si parla è quello della ragazza che nel 20esimo capitolo Millie avvicina, ecco perché sia per lei che per Zayn la sua morte è piuttosto destabilizzante.
Per quanto riguarda Louis, vediamo un repentino riavvicinamento con Charlie!
Insomma, Margaret e Niall manca per appena un capitolo e quei due subito ne approfittando!
Però non voglio dire nulla a riguardo, potrebbe tranquillamente trattarsi di una chiacchierata tra amici, no?!
Anyway, veniamo a Zaynuccio caro. A quanto pare i suoi problemi non sono finiti ed ora i suoi genitori sono al corrente di tutto.
Vedremo come si evolveranno le cose, perché presto ci sarà anche un gran ritorno.
Ah, quasi dimenticavo: Liam fa conoscenza della signora Collins!! Beh, forse ora finalmente inizia a capire il perché di tutte le insicurezze di Bree.
Okay, credo di aver detto tutto. Spero di riuscire a pubblicare il prossimo capitolo quanto prima!!
Ringrazio chi segue, ricorda, preferisce e legge!!
E, se vi va, lasciate pure un commento, insomma per sapere cosa ne pensate!
Alla prossima,
Astrea_