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Autore: Aleberyl 90    16/09/2008    3 recensioni
"Charlie conosceva i Cullen.
Chi non li conosceva, in quella piccola contea il cui unico vanto era di ospitare una serie di persone che sapevano a menadito ogni più piccolo dettaglio della vita dei propri concittadini?
Solo che, dal momento che io ed Edward eravamo fidanzati ufficialmente, aveva ritenuto che fosse arrivato il momento, per lui, di conoscerli di nuovo. Per questo ci aveva chiesto di organizzare un piccolo incontro tra le nostre famiglie per 'approfondire il rapporto e discutere delle varie faccende'.
...Ma possibile che io fossi l'unica a non dare il minimo peso a quell'evento così banale?"
Piccola fic senza pretese, aspettando che esca il nuovo libro! :) Spero vi piaccia!
*NOTA: NON è ispirata all'omonimo film*
Genere: Commedia | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Edward Cullen, Isabella Swan
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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«Forse avremmo dovuto essere più delicati» mugugnai tra me ad alta voce, rannicchiando le ginocchia contro il petto e stringendomi nelle spalle. Non riuscivo proprio a combinare qualcosa di buono, in quel periodo.
Appollaiato accanto a me sul materasso, Edward si limitò a scuotere il capo con un movimento quasi impercettibile: lo catturai a malapena, con la coda dell’occhio.
Alzai lo sguardo in cerca di una qualche conferma e sul suo volto perfetto si aprì una smorfia, a metà tra il rassegnato e il divertito.
«…Che c’è?» chiesi, in attesa di una sua risposta: la leggera tensione delle sue labbra tradiva la sua impazienza.
Fece un sospiro. «Anche se avessimo usato tutti i giri di parole possibili, dubito che avrebbe reagito in modo diverso».
Non potei che dargli ragione: in effetti Charlie era piuttosto prevedibile.
«Sei preoccupata?» mi chiese poi, dopo avermi osservata attentamente per un lungo secondo. Probabilmente stava cercando di esaminare la mia espressione, di cui io ero pressoché ignota.
«No» risposi, «è solo che…ecco, sapevo che sarebbe andata così, ma proprio per questo avrei dovuto cercare di attenuare il colpo!».
«Sarebbe comunque venuto a saperlo, prima o poi». Gli angoli della sua bocca si curvarono in un sorriso comprensivo.
«Oh, certo, ci mancava solo che non lo mettessimo al corrente del nostro matrimonio e scappassimo via come due amanti in fuga!» sbottai, sarcastica; la voce uscì, mio malgrado, più acuta di quanto avessi sperato.

Matrimonio… Oddio.
«Amanti in fuga» mi citò lui sfoderando un’espressione falsamente solenne, per scherzare. «Suona davvero bene».
«Smettila» lo redarguii io con un mezzo sorriso. Fortunatamente il mio accenno di nervosismo non aveva intaccato il suo buonumore. Finchè quell’oro caldo avesse vegliato su di me, anche il mio tormento sarebbe stato senz’altro meno insostenibile.
«Comunque ormai è inutile tornare a rimuginarci su», concluse infine sfiorandomi la guancia con la punta delle dita, nell’innumerevole tentativo di confortarmi. «Non dovresti essere così dura con te stessa, migliaia di ragazze hanno già affrontato questa prova prima di te». Sogghignò beffardo.
«Sì, ma detto…in quel modo!» piagnucolai, improvvisamente preda dei sensi di colpa. Strinsi tra le mani un angolo del lenzuolo e lo torturai, torcendolo ed attorcigliandolo su se stesso.
Che rabbia.
Forse quello non era stato il momento più opportuno per informare mio padre della celebrazione che sarebbe avvenuta di lì a poche settimane.
E pensare che durante il tragitto dalla nostra radura alla villetta Swan ero perfino riuscita a riordinare le mie idee e ad elaborare una piccola arringa per l’occasione! Ero pronta ad affrontare la situazione a testa alta, un leone concentrato esclusivamente sulla propria preda.
Stando alla mia solita fortuna, ovviamente nulla era andato come avevo accuratamente previsto.
Forse sarà stata l’ansia, la preoccupazione, la mia smania di levarmi quell’impiccio il prima possibile…fatto sta che, non appena ebbi messo piede al di là della soglia di casa, le mie labbra si scollegarono dal cervello e si mossero per conto loro, senza che io riuscissi a controllarle. Ero andata inesorabilmente in tilt, con tutte le conseguenze del caso.
Un lieve calore alle gote mi stordì e mi annebbiò la mente, assorta nel ripercorrere le fatidiche tappe che avevano preceduto il mio sfortunato annuncio.
No, non “sfortunato”: è un termine troppo riduttivo.
Ecco, la definizione giusta è disastroso.
Insomma, quando mai si è vista una ragazza che piomba nella cucina di casa sua in compagnia del proprio fidanzato ed esclama così, di punto in bianco, di fronte al proprio padre che non aspetta altro che un’occasione per bandire il proprio genero dalla città: “Papà, io e Edward stiamo per sposarci!”?!
E senza nemmeno uno straccio di preambolo, un’introduzione, o cose del genere! Io e la delicatezza appartenevamo a due sfere differenti. Purtroppo non appartenevo nemmeno al mondo dei telefilm – anche se, tecnicamente, da due anni a quella parte era impossibile affermare che appartenessi ancora al mondo reale - , in cui le eroine delle serie non mostrano mai un briciolo di insicurezza ed annunciano il loro matrimonio con così tanta tranquillità che se le riprendessero nel sorseggiare un caffè al bar non sarebbe possibile notare alcuna differenza.
E come se non bastasse, la prima cosa che mi chiese fu la più ridicola, prevedibile ed imbarazzante che potesse mai uscire dalle sue labbra: «Sei incinta, non è vero?!»
Avevo negato con tutte le mie forze, ovviamente, ma non sono del tutto sicura di averlo convinto. A quanto pare la nostra piccola parentesi sullo stato della mia verginità non aveva avuto i risvolti che avevo sperato.
Scossi freneticamente la testa e strizzai gli occhi per reprimere l’episodio, che non la smetteva di fare perfidamente capolino nella mia mente.
L’espressione sbigottita che si era andata stampando pian piano sul viso di Charlie era ancora talmente vivida nei miei ricordi che mi nascosi istintivamente il viso tra le mani e gemetti, mentre l’imbarazzo provato poco prima al piano di sotto riaffiorava con una violenza a dir poco sorprendente.
A quel gesto, Edward mi accarezzò delicatamente i capelli e mi strinse un poco a sé.
«Bella» mi sussurrò all’orecchio, «vedrai che gli passerà ancor prima di quanto tu possa immaginare».
Sospirai a fondo, appoggiando il capo contro il suo petto e stringendo il lembo della manica della sua camicia, mettendoci più forza del solito: a differenza di me, durante tutta la durata dell’annuncio lui non aveva battuto ciglio. Uffa.
«Parli bene, tu», borbottai imbronciata.
Lui soffocò una risata. «Non devi preoccuparti, sento già la sua furia omicida placarsi…anche se a un ritmo piuttosto lento, certo». Mi baciò la punta del naso. «Comunque, stanotte potrai dormire sonni tranquilli».
Fortunato lui, a non aver bisogno di fronteggiarsi con un genitore per questioni del genere.
A proposito di genitori…
«…come la mettiamo per la sua richiesta?» alzai gli occhi per cercare il suo sguardo, ma lui osservava la parete al di là di me. Sembrava pensieroso.
«Edward?» lo richiamai, incuriosita. Chissà cosa l’aveva distratto…
Lui abbassò lentamente lo sguardo su di me, l’ombra di un sorriso sul viso serafico. «Bè…non credo ci siano difficoltà» rispose tranquillo dopo aver abbassato appena le palpebre. «Del resto, mi pare più che naturale che voglia scambiare quattro chiacchiere con la famiglia del suo futuro genero». Ridacchiò malizioso.
Rabbrividii appena, nel tentativo di scacciare via la negatività che mi stava assalendo.
Scambiare quattro chiacchiere con la famiglia del suo futuro genero. Se in quel momento fossi stata più lucida – e soprattutto se la diretta interessata non fossi stata io – avrei perfino potuto mettermi a ridere per l’assurdità della situazione.
Charlie conosceva i Cullen.
Chi non li conosceva, in quella piccola contea il cui unico vanto era di ospitare una serie di persone che sapevano a menadito ogni più piccolo dettaglio della vita dei propri concittadini?
Solo che, dal momento che io ed Edward eravamo, a quel punto, fidanzati ufficialmente, aveva ritenuto che fosse arrivato il momento, per lui, di conoscerli di nuovo. Per questo ci aveva chiesto di organizzare un piccolo incontro tra le nostre famiglie per “approfondire il rapporto e discutere delle varie faccende”.
Quali fossero le faccende di cui avrebbe voluto discutere con i Cullen…bè, a dire il vero non avevo indagato, ma supponevo si trattasse delle solite cose di cui ci si dovrebbe preoccupare nell’organizzazione di un matrimonio, come gli abiti o la prenotazione del ristorante.
Avrebbero avuto ben poco di cui discutere: Alice non avrebbe rinunciato al suo piccolo, terrificante divertimento per nulla al mondo.
Ovviamente avevo provato a dissuaderlo dal voler mettere in piedi una cerimonia troppo sfarzosa – particolare che anche Edward aveva rimarcato con insistenza – prima che avesse il tempo di avanzare qualsiasi proposta, ma in quel momento sembrava talmente perso nei suoi pensieri che dubito ci abbia ascoltato.
Anzi, più che immerso nei suoi pensieri…boccheggiava come se qualcuno gli avesse improvvisamente rifilato un ceffone e borbottava con insistenza cose che non ero riuscita ad afferrare - se non il nome di mia madre, in un minuscolo e fugace frangente.
«Sei sicuro? Nessun problema?» mormorai, vagamente preoccupata: non riuscivo minimamente ad immaginare come avrebbe potuto svolgersi la dinamica dell’incontro. Mi sembrava ancora tutto così assurdo… Come se stessi osservando tutto da dietro un pannello di vetro.
«Nessun problema» ribadì lui alzando una mano. «Se solo Emmett si azzarderà a fare troppo lo spiritoso, do la mia parola d’onore che lo faccio a pezzi». E scoppiò in una vera risata, il cui suono argentino colmò le mie orecchie.
D’un tratto mi sentii ancora più in disagio: il mio broncio era proprio fuori luogo, rispetto alla gaiezza che traspariva dalle sue parole. Era totalmente entusiasta, glielo si leggeva in ogni sua piccola attenzione a me rivolta.
«Sei al settimo cielo, non è vero?» mugugnai incerta, tentando comunque di tirare fuori un mezzo sorriso e di mantenerlo per più di due secondi.
«Cosa te lo fa pensare?» rispose lui ironico, sfoderando un sorriso a trentadue denti, talmente magnifico da mozzare il fiato.
Rimasi ad ammirarlo per qualche secondo, in silenzio. Le mie guance assunsero automaticamente una delicata sfumatura porporina.
E poi, prima che potessi aprire bocca per ribattere, fu lui a riprendere la parola.
«Sei pentita di averlo fatto?», sussurrò dolce al mio orecchio.
«No!» ribattei subito io… forse troppo in fretta, ma ormai era tardi per riparare al danno: lo vidi aggrottare le sopracciglia.
«Avresti preferito aspettare ancora qualche giorno» concluse per me.
«No…davvero» risposi io a bassa voce. «È stato molto meglio così: se avessimo aspettato ancora non mi sarei mai decisa, mi conosco».
«Mmm» Edward mi si avvicinò con fare indagatore. I suoi occhioni color caramello mi fissavano intensamente, come se cercassero di penetrare il fitto intreccio dei miei pensieri e, inconsciamente, mi chiesi se in quell’attimo stesse provando la solita frustrazione che lo assaliva di fronte al fallito tentativo di setacciare la mia mente. «Io invece penso che, se fosse dipeso da te, avresti rimandato quel momento all’infinito».
Trasalii: non mi aspettavo tanta schiettezza.
Il primo pensiero spontaneo che affiorò nella mia mente negava quella constatazione, ma non mi fu di grande aiuto: sapevo già di non poter mentire né a me stessa…né a Edward.
Sentii le guance avvampare di rossore ed evitai accuratamente di incrociare il suo sguardo mentre cercavo di mettere insieme una risposta accettabile.
«Ti sbagli, ora che l’abbiamo detto a Charlie mi sento, come dire…sollevata». E questa non era una bugia. «E poi mi pareva che ne avessimo già parlato più volte, sai…tutta quella storia dei compromessi, i punti di vista...e…»
Sentii un nodo in gola e fui costretta ad interrompere la mia penosa filippica. Semplicemente non trovavo le parole per costruire un discorso logico.
La verità era che non c’era modo di spiegare il turbamento che provavo in quel momento senza ferire Edward: nonostante alla fine avessi ceduto alla sua richiesta e mi fossi mostrata così ben disposta ad assecondare i suoi progetti, mi occorreva ancora del tempo per digerire l’evento che di lì a poco sarebbe accaduto.
Renèe e le sue fisime sul matrimonio! Era solo colpa sua se mi trovavo in quello stato!
Però, tutto sommato, l’aver dato la notizia a mio padre mi aveva davvero fatto sentire meglio, come se mi fossi levata un macigno dalle spalle. Se non altro, non avrei dovuto pensarci più.
«Bella». Edward mi strinse una mano tra le sue e scatenò tutta l’intensità del suo sguardo su di me. «Non voglio che tu ti senta costretta a fare qualcosa controvoglia, non è giusto che l’unico ad essere felice sia io. Sei terrorizzata, te lo si legge in faccia, in ogni gesto che fai da quando siamo tornati a casa…». Poggiò una mano sulla mia guancia e la carezzò con il pollice, come per confortarmi.
«Edward». Portai la mia mano destra al viso e la sovrapposi alla sua. «Se non fossi felice non avrei mai accettato di…sposarti. Non preoccuparti di quello che penso, se sei felice tu…bè, sono felice anche io».
Mai, mai più l’avrei fatto soffrire. Avevo fatto una promessa a me stessa e intendevo mantenerla.
«Dalla tua espressione non si direbbe che tu lo sia», obiettò lui cupo.
«Senti». Distolsi lo sguardo per volgere il viso al lembo di lenzuolo che ancora stringevo tra le mani, ormai sgualcito. «Non voglio voltare le spalle al mio impegno, ho detto che ti sposerò e lo farò». E sapevo di suonare decisa. Chissà…forse mi stavo abituando all’idea.
E poi avevo già constatato di persona che portare un anello al dito non era così male come temevo. In fondo, poi, anche sposando Edward non sarebbe cambiato granchè: cercavo di vederla come uno degli infiniti modi per rendere il nostro rapporto veramente ufficiale – come se poi ce ne fosse stato bisogno! Ultimi eventi a parte, credo che nessuno che ci veda insieme possa dubitare di quello che c’è tra noi.
Certo, se quell’atto di generosità non avesse richiesto chilometri di strascico bianco e un paio di insidiosi, terrificanti tacchi a spillo
Rabbrividii involontariamente. Cercai di convincermi che si sarebbe trattato solo di qualche ora. Una volta terminata la cerimonia non avrei più indossato nulla del genere.
Per mascherare il mio orrore tornai a concentrarmi su Edward, il suo viso ancora contratto in una smorfia di rimorso. Non mi andava che si tormentasse ulteriormente: sfoderai un ghigno e gli lanciai un’occhiata a metà tra il divertito e l’esasperato.
«Mi dispiace davvero deluderti, ma se speravi di andare all’altare da solo ti conviene non contarci troppo». Feci una linguaccia. «Anzi, sai cosa? Credo proprio che ti anticiperò di qualche ora e mi farò trovare subito lì, così quando arriverai ti avrò colto completamente di s…»
Non mi permise di concludere il discorso: mi prese rapidamente il viso tra le mani e premette le sue labbra sulle mie, con foga. Rimasi spiazzata e confusa, ma ricambiai con lo stesso entusiasmo.
«Grazie» sussurrò, una volta scostatosi da me e aver fatto aderire la sua fronte alla mia. Liscia, perfetta, senza increspature. Meno male.
«Di cosa dovresti…» cominciai io col fiato corto, ma la sua bocca mi impedì per la seconda volta di proseguire ulteriormente. Senza allontanarsi di un centimetro, guidò le mie mani dietro la sua schiena e con le sue mi cinse i fianchi. E un attimo dopo, senza nemmeno essermene resa conto, mi ritrovai con la testa sul cuscino.
Quando interruppe il bacio per fissarmi negli occhi, gli restituii uno sguardo curioso e riconoscente. Non mi ero accorta di quanto stress mi avesse procurato la dichiarazione di quel pomeriggio: la morbidezza che aveva accolto la mia nuca era un vero toccasana e mi rilassai istantaneamente.
«È tardi» mormorò lui dolce, avvolgendomi nel lenzuolo stropicciato e sistemandone i lembi sotto il materasso, sollevandolo appena. Tirai un sospiro profondo e mi aggrappai al colletto della sua camicia, per trascinarlo accanto a me.
Non tardò ad assecondare le mie intenzioni: si sdraiò al mio fianco, sopra la coperta, e mi abbracciò stretta, cullandomi sul suo petto.
Per qualche minuto ci beammo l’uno del contatto con l’altro, ascoltando il suono regolare dei nostri respiri.
«A proposito», disse poi Edward all’improvviso, avvicinando il viso al mio orecchio. «Oggi pomeriggio sei stata davvero fantastica».
«Credi?» bofonchiai incerta.
«Hai sostenuto lo sguardo di Charlie fino alla fine, sembravi sinceramente…determinata», spiegò lui, soffocando una risata che fece tremare il letto.
«Davvero?». Non me ne ero minimamente resa conto. A quanto pare il mio spirito di adolescente si era impossessato di me un’altra volta.
«Quando vuoi sai essere veramente testarda», scherzò lui baciandomi sulla guancia. Avvertii sulla pelle le sue labbra distese in un ampio sorriso e non potei che esserne lieta.
Mi lascia sfuggire uno sbadiglio e lui mi strinse a sé ancora più forte.
«Cerca di dormire, Bella, domani avremo un bel po’ di cose da fare», mormorò in tono musicale; aveva preso a canticchiare la mia ninna nanna ancor prima che avesse terminato la frase.
Annuii, mi accoccolai contro di lui e affondai il viso nel suo petto.
«Mi dici una cosa, prima che mi addormenti?», azzardai.
«Chiedi pure».
«Poco fa, quando avevi quell’espressione assorta…a cosa stavi pensando?».
Esitò un attimo, ma si riprese subito dopo. «A dire il vero, ecco, stavo…ascoltando».
«Origliando», lo corressi io.
«Quello che è». Nel suo tono di voce c’era una punta di imbarazzo, ma allo stesso tempo pareva divertito. «Ecco, a quanto pare Charlie sta cercando di escogitare un modo per bandirmi dalla città una volta per tutte. Non che sia così difficile, in effetti, ma…»
«Stia attento a quello che fa, signor Cullen», lo ammonii io, divertita a mia volta per la sfacciataggine di mio padre, «l’ispettore Swan non aspetta altro che la prima occasione per mandarla via da Forks a forza di calci nel sedere».
«Starò attento», promise lui ridacchiando. «Ah, inoltre continuava a bofonchiare in continuazione cose del tipo: La mia bambina, è ancora troppo presto!, oppure: Quel Cullen è un teppista, ne sono sicuro!. Tu ne sai qualcosa?», chiese malizioso.
«Tu non sei un teppista», farfugliai io, ormai ad un passo dalle braccia di Morfeo. Avrei dovuto dirlo anche a Charlie e rassicurarlo una volta per tutte. Voltai ancora la testa e, ad occhi chiusi, gli sfiorai la clavicola con la punta del naso.
«Grazie per la smentita», rispose lui ridendo. Il mio suono preferito.
«E adesso cosa sta pensando?» biascicai lentamente, trascinando le parole con mente annebbiata.
«Non farmi ripetere cose che ho già detto».
«Mmm». Qualcosa mi diceva che quei pensieri avrebbero accompagnato mio padre per un bel po’ di tempo.
Intonò di nuovo la mia ninna nanna e a quel punto non fui più in grado aprire bocca. Inspirai a pieni polmoni il dolce profumo della sua pelle, percepibile anche al di là della stoffa della sua camicia, e gioii in segreto per il fatto che avrei goduto di quell’irresistibile fragranza per l’eternità ed oltre.
A quel punto il torpore avvolse anche le ultime delle mie membra e mi abbandonai ad un sonno ristoratore, protetta e coccolata dall’abbraccio di Edward, conscia che ad aspettarmi ci sarebbe stata una notte limpida e senza incubi.

 



[…]


 

 

 

 

 

Per chi non avesse ancora sostenuto gli esami di maturità…ecco, questo è quello che viene fuori quando hai bisogno di svagarti un po’ dallo studio! :D Una piccola fic senza pretese su una delle serie che più mi hanno coinvolto ed emozionato nell’arco di pochi mesi! Molto semplice e breve, che del resto è l’unica cosa che puoi scrivere quando non ne puoi più di piani Marshall e leggi della termodinamica… XD Visto che ho cominciato a scriverla a giugno non ci saranno spoiler di “Breaking Dawn” (che sono ansiosissima di leggere nonostante mi sia già bruciata la trama sul dannatissimo Wikipedia, sigh…), tutto è puro frutto della mia immaginazione (:
E…ehm…visto che è il mio primo tentativo su “Twilight”, mi farebbe piacere sapere cosa ne pensate! Un commentino? :D
Nel frattempo vi ringrazio molto per aver letto il primo capitolo, spero che vi sia piaciuto! (:
Oh Edward… XD


A presto!
Alessandra

  
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